SENTENZA (STORICA) SULLA RESPOSABILITÀ DA PRODOTTO DIFETTOSO E SUI RAPPORTI CON LA RESPONSABILITÀ PER LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ PERICOLOSE

Cass. civile, Sez. III, 28 marzo 2025, n. 8224

 

1.Natura della responsabilità da prodotto difetto e nozione di “difetto”

La responsabilità del produttore per i danni cagionati da prodotti difettosi, pur sganciata dall’accertamento dell’elemento soggettivo, non assume la configurazione giuridica di una responsabilità oggettiva, bensì ha natura presunta.

Ai sensi dell’art. 120 cod. cons., il danneggiato ha, infatti, solo l’onere di dimostrare il danno patito, il difetto del prodotto e il nesso causale che correla il primo al secondo, mentre grava sul produttore la prova dei “fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell’articolo 118”.

In tale contesto, assume centralità, anzitutto, la nozione di difetto recata dall’art. 117 cod. cons., la quale esprime un significato ambivalente che si traduce sia nella sicurezza del prodotto da apprezzarsi rispetto agli standard richiesti dalla normativa di settore, sia in una concezione in termini relazionali, da apprezzarsi in base alle legittime aspettative del consumatore.

 

2.Il criterio oggettivo e quello relazionale si integrano a vicenda

Tali accezioni di difettosità non si escludono reciprocamente, ma sono complementari. Ragione per cui un prodotto, del quale sia stata accertata l’innocuità, in ragione della sua conformità agli standard richiesti per la sua immissione in commercio dalla normativa di settore, può, se rapportato alle legittime aspettative ingenerate nei consumatori in relazione all’ suo utilizzo, non risultare sicuro.

Dunque, che un prodotto sia formalmente “innocuo”, è condizione necessaria ma non sufficiente affinché questo possa essere considerato non difettoso, essendo a tal fine necessario apprezzarne anche la sicurezza da un punto di vista sostanziale e relazionale, rispetto all’uso che si può ragionevolmente prevedere dello stesso.

 

2.1. La ratio della nozione (anche relazionale) di “difetto” si rinviene nell’asimmetria informativa

In questa prospettiva, il parametro sul quale calibrare le legittime aspettative del consumatore, ai fini dell’accertamento sulla dannosità del prodotto, è dato dalle informazioni indispensabili, che è onere del produttore veicolare al momento della sua immissione in commercio.

Tali oneri si razionalizzano alla luce della strutturale posizione di asimmetria di potere informativo tra produttore e consumatore, che si riflette in uno squilibrio del potere contrattuale, di cui il legislatore euro-unitario e quello nazionale prendono atto.

Per riequilibrare il più possibile questa posizione fisiologicamente sbilanciata a favore del produttore, occorre colmare quel vuoto informativo, che può considerevolmente ripercuotersi sulle scelte negoziali che il consumatore può essere indotto ad adottare, condizionandole. Osservato questo onere da parte del produttore, il consumatore potrà considerarsi padrone delle proprie scelte negoziali e la tutela rafforzata a lui riservata, presupponente una posizione di debolezza strutturale di partenza che è venuta meno, sarà attenuata dal principio di autoresponsabilità, come emerge dal dettato normativo dell’art. 122 cod. cons.

 

2.2. La specificità dell’informazione: la derivazione della derivazione causale

Va precisato che, in ogni caso, non vale ad esentare il produttore da responsabilità per mancanza del difetto, l’indicazione di una generica pericolosità del prodotto, essendo necessario invece che sia specificata, ove nota o conoscibile, la derivazione del pericolo rappresentato. Dunque, la specificazione della derivazione causale della potenziale causalità efficiente del prodotto, rispetto ad una determinata tipologia di danno, è funzionale a garantire effettività agli oneri informativi, la cui ratio risiede nel garantire al consumatore un’autodeterminazione negoziale consapevole.

 

2.3. Il limite temporale dell’onere informativo: il momento dell’immissione in commercio del prodotto

Un’effettiva trasparenza informativa può essere garantita solo rendendolo edotto dei rischi connessi all’utilizzo del prodotto, in rapporto ad eventuali condizioni personali in cui egli può versare. La libertà di autodeterminazione negoziale del contrante debole è direttamente proporzionale al livello di personalizzazione dei rischi, prospettati dal contraente dotato di maggiore potere contrattuale. Tale risultato informativo non può che essere perseguito illustrando, nella maniera più minuziosa possibile e in base allo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche disponibili al momento dell’immissione in commercio, la genesi dei potenziali effetti dannosi rispetto all’impiego del farmaco.

Il necessario postulato su cui tale assunto si basa è che il produttore si adoperi diligentemente per reperire tutti i dati informativi che, al momento dell’immissione in commercio, siano accessibili e che consentano di fornire una prospettazione dei rischi quanto più possibile individualizzata, soprattutto con riferimento a categorie specifiche di consumatori maggiormente esposti ai danni in cui tali rischi potenzialmente si manifestano.

Emerge, quindi, un’ulteriore puntualizzazione ai fini dell’inquadramento della nozione di difetto secondo la disciplina consumeristica, che attiene al profilo temporale, collocandone il suo accertamento al momento dell’immissione in commercio del prodotto, come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 117, primo comma, lett. c) e 118, primo comma, lett. e), cod. cons., che adducono tale referente temporale trai parametri alla stregua dei quali accertare, rispettivamente, l’esistenza del difetto del prodotto o l’esclusione della responsabilità del produttore.

L’accertamento della pericolosità si cristallizza, dunque, al momento dell’immissione in commercio.

 

3.La prova mediante presunzioni del difetto e del rapporto di causalità rispetto al danno

Quanto alla prova del difetto e del nesso causale rispetto al danno, essa può essere fornita mediante presunzioni, indispensabili per evitare che sul danneggiato incomba l’onere di una probatio diabolica, atteso che possono non essere disponibili riscontri probatori diversi per dimostrare la dannosità del prodotto.

Tuttavia, l’alleggerimento del carico probatorio in ordine all’esistenza del difetto, che legittima la prova presuntiva, non può consentire il ricorso ad automatismi in forza dei quali il dato probatorio venga ricavato sic et simplicter da un fatto secondario noto.

È invece necessario che gli indizi siano gravi precisi e concordanti, poiché un diverso meccanismo inferenziale basato su una preesumptio de praesumpto, che consenta di considerare una presunzione come fatto noto idonea a fondare un’altra presunzione, osterebbe all’applicazione della disciplina euro-unitaria (Cass. n. 1225/2021). Si verrebbe infatti a legittimare una tendenza a realizzare una sostanziale e non consentita inversione dell’onere della prova, idonea a precludere al produttore ogni prova contraria che gli consenta di superare le presunzioni, alterando la giusta ripartizione dei rischi inerenti alla produzione tecnica moderna tra il danneggiato e il produttore che la direttiva ambisce a realizzare (Corte Giust., 21 giugno 2017, in C-621/15).

 

4. Il rischio da sviluppo

In questa ripartizione di rischi si colloca la prova liberatoria gravante sul produttore, il cui referente normativo si rinviene nel già citato art 118 cod. cons., che individua ipotesi tipiche e tassative, la cui ricorrenza, dimostrata dal danneggiato, esentano quest’ultimo da responsabilità.

Tra queste ipotesi vengono in rilievo, per quanto qui interessa, quelle previste dalle lettere b) ed e) dell’art. 118 cod. cons.

La prima (lett. b)) esclude la responsabilità del produttore “se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione“. Vengono, pertanto, estromessi dall’area dei difetti di cui il produttore è tenuto a rispondere quelli sopravvenuti, in linea con la nozione di difettosità che fonda la responsabilità, ai sensi dell’art. 117 cod. cons.

In base, poi, alla lett. e) la responsabilità è esclusa “se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso“.

È questa l’esimente del c.d. “rischio da sviluppo”, che conforta la nozione di difettosità, fonte di responsabilità, come una difettosità originaria, sia da un punto di vista ontologico, ma anche da quello della percezione che di essa, in quel momento, ragionevolmente abbia il produttore.

Il produttore beneficia di una mitigazione dell’onere probatorio a suo carico, potendo sottrarsi alla responsabilità, se gli studi disponibili al momento della messa in circolazione del prodotto non consentissero di risalire alla matrice dei potenziali danni connessi all’uso dello stesso, in ragione di una situazione di incertezza scientifica.

 

4.1. L’incertezza scientifica grava sul consumatore: non viene veicolato il principio di precauzione, ma quello di prevenzione

In questo contesto, l’assenza di leggi scientifiche o esperienziali esplicative dei nessi tra i potenziali danni e l’impiego del prodotto, non si ripercuote sul produttore. Infatti, non gli preclude l’immissione in commercio del prodotto, che sulla base di un’analisi comparativa rischi-benefici, risulti complessivamente più sicuro che pericoloso, non potendo ridondare a suo danno lo sviluppo delle conoscenze scientifiche sul punto.

A riprova di ciò la circostanza che, laddove dovessero diventare note le interrelazioni in termini causali tra difetto del prodotto e danno e il produttore non ritiri il prodotto dal mercato, egli possa invocare l’esimente in parola. Fermo restando che, comunque, in tali ipotesi la sua responsabilità potrà essere fatta valere ai sensi dell’art. 2043 c.c., con l’onere per l’utilizzatore di dimostrare la colpa, che abbia sorretto la condotta omissiva del danneggiante.

Tuttavia, l’esimente dalla responsabilità non può tradursi in una deresponsabilizzazione assoluta del produttore.

Per eludere questo rischio si ritiene di massimizzare e intensificare la diligenza a lui richiesta, fino al momento in cui può considerarsi esigibile, cioè quello dell’immissione in commercio.

Il produttore è tenuto a reperire tutti i dati tecnico-scientifici disponibili, al fine di accertare la sicurezza del prodotto, anche laddove il reperimento di tali riscontri comporti degli ingenti esborsi, pur non prescritti dalla legislazione di settore.

Questi oneri sono imposti dal principio di prevenzione e controbilanciano la richiamata esimente, codificata dall’art. 118 cod. cons., in linea con l’impostazione teleologica e con la cornice ideale della disciplina della responsabilità del produttore: il contemperamento tra la garanzia dell’effettività della tutela del consumatore e la valorizzazione di attività economiche socialmente utili, sebbene rischiose, ma che in un’ottica di comparazione costi/benefici, il legislatore nazionale, e prima ancora quello eurounitario, tendono a favorire in un regime di libera concorrenza.

La trama normativa in esame mira, dunque, ad individuare dei punti di equilibrio che garantiscano la protezione del consumatore, che versa in una posizione di fisiologica debolezza contrattuale, ma senza congestionare attività di cui la collettività può beneficiare, soprattutto in una realtà economica caratterizzata da un dinamismo guidato dal progresso scientifico e tecnologico, che determina il sorgere di nuovi bisogni da soddisfare. Incentivare l’erogazione di beni e servizi in situazioni di incertezza scientifica passa attraverso un regime di responsabilità improntato a questa logica di bilanciamento.

 

5. Differenze con il regime della a responsabilità da attività pericolo ex art. 2050 c.c.

Il delineato regime di responsabilità presenta evidenti differenze rispetto a quello regolato dall’art. 2050 c.c.

Tale norma fonda la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose e viene a configurare, secondo la giurisprudenza prevalente, una presunzione di responsabilità, la quale assume le connotazioni di una responsabilità sostanzialmente oggettiva, in virtù dell’estremo rigore con cui si atteggia la prova richiesta per superare la presunzione di colpa (tra le altre: Cass. n. 7093/2015; Cass. n. 26516/2009).

Si tratta, dunque, di una responsabilità che prescinde dalla colpa, il cui regime di riparto dell’onere della prova rivela un particolare favore per il danneggiato.

Al fine di esimersi da responsabilità, per il danneggiante non è sufficiente dimostrare di aver rispettato la normativa vigente nell’esercizio dell’attività o di non aver commesso alcuna negligenza; occorre invece provare positivamente di aver fatto tutto il possibile per prevenire il danno (tra le altre: Cass. n. 1931/2017; Cass. n. 19422/2016).

L’art. 2050 c.c. viene, quindi, a delineare l’ambito di rischio cui si estende la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, la quale, come evidenziato anche in dottrina, viene a collocarsi in una zona di confine rispetto alla responsabilità oggettiva, poiché prescinde da qualsiasi valutazione della condotta sotto il profilo della colpevolezza individuale.

Il criterio di imputazione della responsabilità non si fonda su elementi di carattere personale, che risultano sterilizzati, ma su parametri esterni, oggettivamente definibili, che devono essere modulati in relazione alla specifica organizzazione dell’attività svolta. In questo senso, la responsabilità non deriva da un’eventuale colpa dell’agente, ma dall’esigenza di assicurare il rispetto di standard oggettivi rigorosi e adeguati al rischio intrinseco dell’attività, in un’ottica di prevenzione e tutela della sicurezza collettiva.

L’obiettivo perseguito dal legislatore, infatti, non è stato quello di introdurre una semplice inversione dell’onere della prova, ma piuttosto quello di stabilire una autentica regola di diritto sostanziale, che prevede una forma di responsabilità più severa rispetto a quella basata sulla colpa.

Il limite entro cui tale responsabilità viene circoscritta è determinato dal criterio della ragionevolezza, che si concretizza nel concetto di “rischio oggettivamente evitabile“. L’esercente l’attività pericolosa, dunque, risponde unicamente in ragione dell’oggettiva mancanza delle misure protettive idonee, non essendogli sufficiente, per ottenere l’esonero, la prova di essere personalmente incolpevole.

La portata di tale responsabilità è ulteriormente estesa alle ipotesi in cui, a prescindere dall’adozione delle misure di sicurezza richieste, il danno fosse comunque evitabile attraverso l’impiego delle soluzioni tecniche astrattamente disponibili, anche se non riconoscibili al momento dell’immissione in commercio del prodotto dell’attività.

Il giudizio si fonda, dunque, sull’effettivo stato dell’arte delle conoscenze tecniche nel settore specifico dell’attività esercitata, imponendo un obbligo di massima cautela e aggiornamento costante sulle misure idonee a prevenire il danno che sfocia nell’obbligo di astenersi dal porre il bene a disposizione dei consumatori in situazioni di incertezza scientifica.

In questo ambito il c.d. rischio da sviluppo grava sul danneggiante, tenuto costantemente ad aggiornarsi sullo stato delle conoscenze scientifiche rebus sic stantibus, sicché il suo onere di attivazione diligente non si arresta al momento dell’immissione in commercio, ma si proietta oltre.

Da ciò emerge ancor più nitidamente la natura sostanzialmente oggettiva di questa forma di responsabilità, giacché in questi casi, la prova liberatoria si identifica indirettamente nel caso fortuito. Se l’esercente l’attività pericolosa ha adottato una qualche misura atta ad evitare il danno, ma non tutte quelle misure astrattamente disponibili a tal fine, l’unica prova liberatoria di cui potrà avvalersi è quella che gli consenta di escludere il nesso causale tra la propria condotta e il danno subito dal danneggiato.

Di conseguenza, il contenuto della prova liberatoria richiesto dall’art. 2050 c.c. si rivela più circoscritto rispetto a quello previsto dalla legislazione consumeristica – la quale, come detto, equipara di fatto il difetto sopravvenuto a quello esistente al momento dell’immissione in commercio, ma non riconoscibile, in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche – collocandosi ai margini del fortuito.

Dunque, il concetto di difettosità, delineato dal codice del consumo, e quello di pericolosità ai sensi dell’art. 2050 c.c., non coincidono necessariamente. Un prodotto può essere considerato pericoloso a causa della sua natura intrinsecamente dannosa, ma al contempo risultare sicuro secondo i parametri stabiliti dall’art. 117 cod. cons.

Il rischio insito nel prodotto non rileva in sé, ai fini dell’addebito della responsabilità, ma in quanto idoneo a disvelare la pericolosità dell’intero processo di produzione, commercializzazione e distribuzione, alla quale consente di risalire in chiave retrospettiva, con la conseguenza che l’esercente deve dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

 

6. I rapporti tra di diversi regimi normativi

La legislazione consumeristica rende possibile per il danneggiato il ricorso a regimi di responsabilità diversi da quello disciplinato dagli artt. 114 e ss. cod. cons.

L’art. 127, comma 1, cod. cons., infatti, stabilisce (in attuazione dell’art. 13 della dir. 85/374/CEE) che “le disposizioni del presente titolo non escludono, né limitano i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi”.

Restano, quindi, applicabili altri regimi di responsabilità, come la responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., dove l’imputazione dell’evento in capo al danneggiante avviene in base a un criterio soggettivo, individuato nella colpa o nel dolo, nonché parimenti impregiudicata resta l’applicazione della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c. Infatti, nonostante anche in questo regime di responsabilità l’imputazione dell’evento dannoso avvenga prescindendo dall’accertamento dell’elemento soggettivo, se ne deve ravvisare, come innanzi posto in rilievo, l’eterogeneità del campo di applicazione, nonché della ratio. La possibilità per il danneggiato di usufruire della tutela somministrata da un regime di responsabilità differente da quello stabilito dalle anzidette disposizioni del codice del consumo (come, ad es., dalle fattispecie di responsabilità di cui agli artt. 2043 e 2050 c.c.), il quale, una volta individuato sulla scorta dei fatti allegati e provati, dovrà, però, trovare applicazione in coerenza con la disciplina per esso specificamente dettata dal legislatore, senza potersi operare commistioni tra regimi di responsabilità diversamente regolati.

 

Cass. civile 28 marzo 2025, n. 8224