Il delitto di omicidio preterintenzionale può configurarsi, con riguardo all’elemento psicologico, anche quando gli “atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli art. 581 e 582 cod. pen.,” dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto
Per la sussistenza del delitto di omicidio preterintenzionale, è sufficiente infatti che esista un rapporto di causa ed effetto tra l’azione volontaria di percosse o di lesioni e la morte del soggetto passivo, non postulando detta figura la prevedibilità in capo all’agente dell’evento maggiore: invero la valutazione positiva in ordine a questo dato è nella legge stessa, secondo la ratio dell’art. 584 cod. pen. consistente nel porre una difesa avanzata al bene della vita, in considerazione che non raramente da atti diretti a ledere possa naturalisticamente (ancorché involontariamente) sopravvenire la morte della persona offesa
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 16.06.2014, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltagirone applicava nei confronti di M.L. la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di rapina impropria aggravata (capo A) e omicidio preterintenzionale (capo B).
2. Avverso detto provvedimento, veniva proposto ricorso ex art. 309 cod. proc. pen. avanti al Tribunale di Catania che, con ordinanza in data 26.06.2014, riqualificato il fatto descritto al capo A) ai sensi degli artt. 56, 628 commi 3 quater e 3 quinquies cod. pen., confermava l’ordinanza impugnata.
3. Nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Catania, M.L. propone ricorso per cassazione, lamentando:
– violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 628 cod. pen. e 624 bis, commi 2 e 3 cod. pen. (primo motivo);
– violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 584 cod. pen. e dell’art. 586 cod. pen. (secondo motivo);
– violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 125 e 292 cod. proc. pen. (terzo motivo).
3.1. In relazione al primo motivo, censura il ricorrente la decisione impugnata nella parte in cui non ha riqualificato il fatto di cui al capo A) nel delitto di furto con strappo ai sensi dell’art. 624 bis commi 2 e 3 cod. pen.: infatti, dalle dichiarazioni del M. e dagli atti d’indagine compiuti era emerso che lo stesso, mentre tentava di strappare la borsa alla persona offesa, a causa della tortuosità della strada formata da grossi sampietrini, provocava la caduta a terra di quest’ultima per avere la stessa perso l’equilibrio. Il ricorrente, pertanto, aveva esercitato violenza esclusivamente sulla cosa (la borsa), anche se, a causa della relazione fisica intercorrente tra cosa sottratta e possessore, ne era derivata una ripercussione indiretta e involontaria sulla vittima.
3.2. In relazione al secondo motivo, censura il ricorrente la decisione impugnata nella parte in cui non ha riqualificato il fatto di cui al capo B) nel delitto di cui all’art. 586 cod. pen. (morte come conseguenza di un altro delitto). Il ricorrente, volendo – come detto – compiere un furto con strappo, ha esercitato la violenza solo sulla cosa e, conseguentemente, la morte della persona offesa, ha costituito la conseguenza di un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni (ricorrenza della speciale ipotesi della aberratio ictus).
3.3. In relazione al terzo motivo, si censura l’ordinanza impugnata perché, con asserzioni apodittiche e congetture totalmente sganciate dagli elementi indiziari raccolti, ha ritenuto la chiamata in correità del ricorrente nei confronti del proprio congiunto Me.Ma. non attendibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.
5. È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame e dell’appello sulla libertà personale.
5.1. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod. proc. pen. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari (e/o alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza), alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la sussistenza delle esigenze (e/o la gravità del quadro indiziario) nei confronti dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato come la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza ed alla formulazione di un giudizio prognostico in merito alla reiterazione delle condotte ovvero alla ricorrenza delle altre esigenze di cautela nella prospettiva di una verificata eseguibilità della pena infliggenda (cfr., Sez. U, sent. n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
5.2. Si è altresì osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, sent. n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, sent. n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
5.3. Ricorda al riguardo il Collegio come il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, sent. n. 41738 del 19/10/2011, dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).
5.4. Infine, altro doveroso principio che merita di essere ricordato afferisce ai compiti del giudice dell’appello (anche cautelare), che non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (cfr., per tutte, Sez. 6, sent. n. 1307 del 26/09/2002, dep. 14/01/2003, Delvai, Rv. 223061).
6. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come il Tribunale abbia proceduto a validamente valorizzare un’articolata serie di elementi in merito all’individuazione delle condotte di reato correttamente contestate.
6.1. Invero, il tessuto motivazionale dell’ordinanza censurata non presenta né inosservanza o erronea applicazione di legge, né carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistenti i vizi denunciati.
7. Fermo quanto precede, rileva il Collegio come il Tribunale abbia ricostruito i termini della vicenda evidenziandone i tratti indiscussi. Osserva il Tribunale: “… il fatto è pacifico: la mattina del (omissis) l’ottantenne A.G. , mentre si trovava nei pressi dell’ufficio postale di (omissis) , veniva avvicinata da un giovane, poi identificato in M.L. , che tentava di afferrarle la borsa. Il giovane non riusciva nell’intento e scappava via; l’anziana donna cadeva per terra e sbatteva la testa sul selciato riportando lesioni gravissime consistite in frattura cranica con emorragia cerebrale irreversibile che determinavano il suo decesso dopo circa venti giorni, il (omissis) . Nessuno ha assistito ai fatti. Il primo ad intervenire è stato un passante, Z.L. che, sentito il grido della donna e dopo aver notato un giovane che correva a grande velocità in direzione opposta alla sua, si avvicinava e vedeva la donna per terra che presentava fuoriuscita di sangue dalla testa ed aveva la borsa attaccata al braccio. La descrizione del giovane fuggitivo fornita dallo Z. , le s.i.t. rese dalla nipote della A. , R.V. , che proprio quella mattina aveva notato nella stessa zona due uomini uno dei quali corrispondeva alla descrizione fornita dallo Z. , e le riprese video di un esercizio commerciale della zona, permettevano l’identificazione di M.L. riconosciuto in foto dallo Z. con una percentuale di certezza di oltre il 95%. La perquisizione in casa di M.L. , che coabita con lo zio Me.Ma. , dava esito positivo perché venivano rinvenuti gli indumenti indossati dai due uomini ripresi dalle telecamere; lo zio Me.Ma. riconosceva di essere lui l’uomo ripreso dalle telecamere la mattina del (omissis) in compagnia del nipote spiegando però di essersi separato dopo poco dal giovane. M.L. , dal canto suo, ammetteva l’addebito spiegando che, dopo aver lasciato lo zio, avendo notato un’anziana donna davanti all’ufficio postale e avendo bisogno di denaro per acquistare un regalo, decideva di rubare la borsetta alla donna. Mentre tentava di rubare la borsa, la donna si era opposta quindi era caduta per terra sbattendo la testa e il M. , accorgendosi della gravità dell’accaduto, era fuggito via per paura lasciando la borsa nel frattempo caduta per terra. Queste dichiarazioni spontanee, Me.Ma. (rectius, Luigi) le confermava davanti al P.M., rettificandole in sede di interrogatorio avanti al G.I.P., quando dichiarava che, in realtà, era stato lo zio Me.Ma. ad assumere l’iniziativa di rubare la borsa alla signora pur sempre ammettendo di aver posto in essere personalmente l’azione materiale…”.
8. In relazione al primo motivo, rileva il Collegio come, secondo costante insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., Sez. 2, sent. n. 41464 del 11/11/2010, dep. 23/11/2010, P., Rv. 248751), integra il reato di furto con strappo, la condotta di violenza immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene, mentre ricorre il delitto di rapina quando la “res” sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non solo superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra il possessore e la cosa sottratta: da qui la correttezza della contestazione di rapina impropria rispetto a quella, certamente errata, di furto con strappo.
8.1. Invero, nella vicenda in esame, come rilevato dai giudici di merito, è risultato pacifico da parte del M. di una violenza sulla persona scaturita dal tentativo di impossessarsi a tutti i costi della borsa che l’anziana donna teneva ben stretta a sé: a tali conclusioni, i giudici di merito giungono esaminando non soltanto le connotazioni oggettive dei fatti, le lesioni riportate dalla donna, la conseguenza fatale che ne è derivata, ma anche le dichiarazioni rese dallo stesso M. che ha ammesso di aver continuato a tirare la borsa per cercare di vincere la resistenza della donna. Peraltro, il reato di rapina impropria non è stato portato a termine e pertanto la condotta è stata correttamente riqualificata come tentata rapina impropria, senza alcuno spazio per poter fondatamente invocare la desistenza volontaria, avendo il M. abbandonato il suo proposito non per scelta volontaria ma per la resistenza opposta dalla donna e per le conseguenze che ne sono derivate.
9. Parimenti infondato è il secondo motivo di doglianza.
Come correttamente evidenziato dai giudici di merito, il delitto di omicidio preterintenzionale e quello di morte come conseguenza di un altro reato si differenziano tra di loro in quanto l’esito letale, nel primo, deriva da azioni volontarie di lesioni o percosse e, nel secondo, da un diverso delitto doloso. Tuttavia, l’art. 584 cod. pen. si riferisce ad “atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 cod. pen.” e la circostanza che tali delitti possano essere assorbiti da quello più grave di rapina non può portare al risultato di far escludere in relazione al verificarsi di quest’ultima, pur comprensiva e più grave dei predetti, la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale.
9.1. Al riguardo, va preliminarmente evidenziato come la giurisprudenza di questa Suprema Corte riconosca come il delitto di omicidio preterintenzionale possa configurarsi, con riguardo all’elemento psicologico, anche quando gli “atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli art. 581 e 582 cod. pen.,” dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale e non diretto (Sez. 5, sent. n. 44751 del 12/11/2008, dep. 01/12/2008, Sorrentino e altro, Rv. 242224, con la quale, in applicazione di questo principio, è stata ritenuta immune da censure la decisione con cui il giudice di merito – in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente – ha affermato la responsabilità, a titolo di concorso in omicidio preterintenzionale, oltre che in rapina, di due soggetti i quali avevano concordato con un terzo, resosi autore materiale del fatto, un furto con strappo, da questi poi realizzato con violenza alla persona della vittima che, avendo opposto resistenza, era stata trascinata per alcuni metri così riportando lesioni che ne avevano cagionato la morte).
9.2. Invero, la circostanza rappresentata dall’avere il reo progettato un reato di furto con violenza sulla cosa, rimane priva di rilevanza poiché detta violenza si trasforma inevitabilmente in violenza sulla persona, ogniqualvolta la vittima opponga resistenza. A fronte del delineato contesto va, dunque, disattesa l’impostazione difensiva secondo cui ricorrerebbe il reato di cui all’art. 586 cod. pen. in quanto le lesioni, che avevano portato al decesso della persona offesa, erano state addebitate all’indagato quale evento non voluto: essendo smentito il presupposto su cui siffatta tesi si basa, la stessa risulta infondata.
9.3. All’uopo, va ribadito che, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, quando l’ulteriore accadimento si presenta probabile e non già meramente possibile, va escluso che l’agente si sia limitato ad accettare il rischio dell’evento, dovendosi ritenere che egli abbia accettato proprio quest’ultimo e quindi lo abbia voluto: di conseguenza, in questo caso, il dolo si configura come diretto e non come eventuale (Sez. U, sent. n. 3571 del 14/02/1996, dep. 12/04/1996, Mele, Rv. 204167).
9.4. Orbene, nell’ordinanza impugnata, è stata evidenziata una situazione di necessario collegamento della violenza sulla cosa con quella sulla persona: ciò significa che l’indagato, alla luce del principio ora richiamato, deve necessariamente rispondere delle lesioni procurate al soggetto passivo a titolo di dolo diretto.
In ogni caso, anche se l’azione lesiva fosse stata oggetto di dolo eventuale da parte dell’attuale ricorrente, non per questo verrebbe meno la configurabilità dell’omicidio preterintenzionale. Non si ignora l’esistenza di un precedente nel quale è stato affermato che le percosse o le lesioni, che sono il presupposto per l’applicazione dell’art. 584 cod. pen., devono essere il frutto di un dolo diretto e non di dolo eventuale (Sez. 1, sent. n. 4904 del 05/07/1988, dep. 07/04/1989, Pagano, Rv. 180966): peraltro, non si reputa di dover aderire a tale orientamento per le ragioni che di seguito si andranno ad esporre.
9.5. La ratio dell’incriminazione di cui all’art. 584 cod. pen. consiste nel porre una difesa avanzata al bene della vita, in considerazione che non raramente da atti diretti a ledere possa naturalisticamente (ancorché involontariamente) sopravvenire la morte della persona offesa (Sez. 4, sent. n. 17687 del 15/11/1989, dep. 20/12/1989, Paradisi, Rv. 182907): fermo quanto precede, va quindi riaffermato il principio secondo cui il formale riferimento normativo ad “atti diretti a percuotere o a ledere” non esclude la possibilità che questi siano accettati come eventuali; in tale ottica la direzione degli atti va intesa come requisito strutturale oggettivo dell’azione e l’espressione impiegata come finalizzata a ricomprendere in essa atti realizzanti semplice tentativo del delitto a cui consegua l’evento morte (nel senso della sufficienza di tentativo di atti lesivi si veda: Sez. 5, sent. n. 4793 del 20/01/1988, dep. 20/04/1988, Zeni, Rv. 178180; Sez. 5, sent. n. 6403 del 23/03/1990, dep. 03/05/1990, Damiani, Rv. 184229).
9.6. Infondata è poi la tesi della mancata prevedibilità che l’azione lesiva potesse determinare la morte della persona offesa. Per la sussistenza del delitto di omicidio preterintenzionale, è sufficiente infatti che esista un rapporto di causa ed effetto tra l’azione volontaria di percosse o di lesioni e la morte del soggetto passivo, non postulando detta figura la prevedibilità in capo all’agente dell’evento maggiore: invero la valutazione positiva in ordine a questo dato è nella legge stessa, secondo la ratio sopra enunciata dell’art. 584 cod. pen. (Sez. 5, sent. n. 21056 del 02/03/2004, dep. 05/05/2004, Finelli, Rv. 229113).
9.7. Del pari priva di consistenza è l’ulteriore obiezione del citato ricorrente secondo cui, essendo la rapina un reato contro il patrimonio, la morte verificatasi come conseguenza della medesima realizzerebbe non già un omicidio, preterintenzionale bensì il delitto di cui all’art. 586 cod. pen.. In senso contrario, si sottolinea che l’art. 584 cod. pen. parla di “atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582 cod. pen.” e la circostanza che tali delitti possano essere assorbiti da quello più grave di rapina non può portare all’assurdo ed irragionevole risultato di far escludere in relazione al verificarsi di quest’ultima, pur comprensiva e più grave dei predetti, la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale.
10. Identiche conclusioni di infondatezza vanno tratte anche con riferimento al terzo motivo.
Si è in presenza, anche sul punto, di motivazione congrua e giustificata che riconosce la mancata attendibilità della chiamata in correità per essere stata la stessa “oggetto di una rivelazione fatta per la prima volta dal M. in sede di interrogatorio, che contrasta con quanto dichiarato dallo zio dell’indagato e che, soprattutto, è confutata da quanto dichiarato dallo Z. il quale ha affermato di aver visto una sola persona fuggire e non due”.
11. Ne consegue il rigetto del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..