1) L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, che agisce quale giudice di diritto comune dell’Unione, di disapplicare il termine di prescrizione assoluto risultante dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ipotesi in cui siffatta normativa impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
2) La nozione di interruzione della prescrizione dev’essere considerata una nozione autonoma del diritto dell’Unione e dev’essere definita nel senso che ogni atto diretto al perseguimento del reato nonché ogni atto che ne costituisce la necessaria prosecuzione interrompe il termine di prescrizione; tale atto fa quindi decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, mentre il termine di prescrizione già decorso viene cancellato.
3) L’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità giudiziarie italiane disapplichino, nell’ambito dei procedimenti in corso, il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale conformemente all’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555).
4) L’articolo 53 della Carta dei diritti fondamentali non consente all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) con la motivazione che tale obbligo non rispetterebbe il livello di tutela più elevato dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione di tale Stato.
5) L’articolo 4, paragrafo 2, TUE non consente all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) con la motivazione che l’applicazione immediata a un procedimento in corso di un termine di prescrizione più lungo di quello previsto dalla legge in vigore al momento della commissione del reato sarebbe tale da compromettere l’identità nazionale di tale Stato.
Causa C‑42/17
Procedimento penale
a carico di
M.A.S.,
M.B.
«Rinvio pregiudiziale – Tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea – Articolo 325 TFUE – Procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) – Potenziale lesione degli interessi finanziari dell’Unione – Normativa nazionale che prevede termini assoluti di prescrizione che possono determinare l’impunità dei reati – Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) – Principi di equivalenza e di effettività – Inammissibilità della normativa in questione – Obbligo per il giudice nazionale di disapplicare tale normativa nel caso in cui quest’ultima impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive “in un numero considerevole di casi di frode grave” che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione – Applicazione immediata ai procedimenti in corso di tale obbligo conformemente al principio tempus regit actum – Compatibilità con il principio di legalità dei reati e delle pene – Portata e rango di tale principio nell’ordinamento giuridico dello Stato membro considerato – Inclusione delle norme sulla prescrizione nell’ambito di applicazione di detto principio – Natura sostanziale di dette norme – Articolo 4, paragrafo 2, TUE – Rispetto dell’identità nazionale dello Stato membro considerato – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 49 e 53»
I. Introduzione
1. Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale, la Corte costituzionale (Italia) chiede alla Corte di giustizia entro quali limiti i giudici nazionali siano tenuti a conformarsi all’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (2), obbligo consistente nella disapplicazione, nell’ambito di procedimenti penali in corso, delle norme contenute nell’articolo 160, ultimo comma, e nell’articolo 161, secondo comma, del codice penale.
2. In tale sentenza, e in linea con la sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (3), la Corte di giustizia ha affermato che le frodi in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) possono costituire frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea.
3. La Corte di giustizia ha rilevato che le disposizioni previste dal codice penale – introducendo, in particolare, in caso di interruzione della prescrizione, la regola secondo la quale il termine di prescrizione non può essere in alcun caso prorogato per più di un quarto della sua durata iniziale – comportano, data la complessità e la lunghezza dei procedimenti penali avviati contro le frodi gravi in materia di IVA, l’impunità di fatto di queste ultime, in quanto tali reati sono generalmente prescritti prima che la sanzione penale prevista dalla legge possa essere inflitta con sentenza definitiva. La Corte di giustizia ha dichiarato che una situazione siffatta viola dunque gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.
4. Per garantire l’efficacia della lotta alle frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione, la Corte di giustizia ha quindi chiesto ai giudici nazionali di disapplicare, ove necessario, tali disposizioni.
5. Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale, la Corte costituzionale sostiene che un obbligo siffatto è tale da violare un principio supremo del suo ordinamento costituzionale, il principio di legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege), sancito all’articolo 25, secondo comma, della Costituzione (in prosieguo: la «Costituzione italiana») e, quindi, da compromettere l’identità costituzionale della Repubblica italiana.
6. La Corte costituzionale sottolinea che il principio di legalità dei reati e delle pene, come interpretato nell’ordinamento giuridico italiano, garantisce un livello di tutela più elevato di quello derivante dall’interpretazione dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (4), in quanto tale principio si estende alla determinazione dei termini di prescrizione applicabili al reato e osta, pertanto, a che il giudice nazionale applichi a un procedimento in corso un termine di prescrizione più lungo di quello previsto nel momento in cui tale reato è stato commesso (principio di irretroattività della legge penale più severa).
7. Orbene, la Corte costituzionale sottolinea che l’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. costringe il giudice penale italiano ad applicare ai reati commessi precedentemente alla pubblicazione di tale sentenza, l’8 settembre 2015, e non ancora prescrittisi, termini di prescrizione più lunghi di quelli inizialmente previsti alla data in cui detti reati sono stati commessi. La Corte costituzionale rileva, inoltre, che tale obbligo non si fonda su alcuna base giuridica precisa e che si basa, peraltro, su criteri che essa ritiene vaghi. Pertanto, tale obbligo porterebbe a riconoscere al giudice nazionale una discrezionalità che può comportare rischi di arbitrio e che eccederebbe, inoltre, i limiti della sua funzione giurisdizionale.
8. La Corte costituzionale sostiene che, poiché la Costituzione italiana garantirebbe un livello di tutela dei diritti fondamentali più elevato di quello riconosciuto nel diritto dell’Unione, l’articolo 4, paragrafo 2, TUE e l’articolo 53 della Carta consentono ai giudici nazionali di opporsi all’attuazione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a.
9. Con le sue tre questioni pregiudiziali, la Corte costituzionale chiede, pertanto, alla Corte di giustizia se l’articolo 325 TFUE, come interpretato da quest’ultima nella sentenza Taricco e a., obblighi i giudici nazionali a disapplicare le norme sulla prescrizione di cui trattasi, sebbene, in primo luogo, tali norme siano coperte, nell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato, dal principio di legalità dei reati e delle pene e, in quanto tali, rientrino nel diritto penale sostanziale, in secondo luogo, detto obbligo sia privo di una base giuridica sufficientemente precisa, e infine, in terzo luogo, tale obbligo sia contrario ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano o ai diritti inalienabili della persona come riconosciuti dalla Costituzione italiana.
10. Nella sua ordinanza di rinvio, la Corte costituzionale non solo sottopone alla Corte di giustizia queste tre questioni pregiudiziali, ma le fornisce anche consigli sulla risposta che andrebbe formulata per evitare l’avvio della procedura cosiddetta dei «controlimiti» (5). Al riguardo, tale ordinanza di rinvio mi ricorda la questione pregiudiziale formulata dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (6). La Corte costituzionale illustra, infatti, in modo assai chiaro che, nel caso in cui la Corte di giustizia dovesse mantenere la propria interpretazione dell’articolo 325 TFUE in termini identici a quelli formulati nella sentenza Taricco e a., essa potrebbe allora dichiarare la legge nazionale di ratifica e di esecuzione del Trattato di Lisbona – nei limiti in cui essa ratifica e dà esecuzione all’articolo 325 TFUE – contraria ai principi supremi del suo ordinamento costituzionale, esimendo così i giudici nazionali dall’obbligo di conformarsi alla sentenza Taricco e a.
11. Nelle presenti conclusioni esporrò le ragioni per cui non si tratta di rimettere in discussione il principio stesso stabilito dalla Corte di giustizia in tale sentenza, secondo il quale il giudice nazionale è tenuto, ove necessario, a disapplicare le norme contenute nell’articolo 160, ultimo comma, e nell’articolo 161, secondo comma, del codice penale per garantire una sanzione effettiva e dissuasiva delle frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione.
12. In primo luogo, spiegherò che l’interpretazione eccessivamente restrittiva della nozione di interruzione della prescrizione e degli atti interruttivi di quest’ultima, risultante dal combinato disposto delle norme di cui trattasi, in quanto priva le autorità inquirenti e giudicanti di un termine ragionevole per portare a termine i procedimenti avviati contro le frodi in materia di IVA, è manifestamente inidonea a soddisfare l’obbligo di sanzionare le violazioni degli interessi finanziari dell’Unione ed è priva dell’effetto dissuasivo necessario per prevenire la commissione di nuovi reati; in tal modo, essa viola non solo l’aspetto sostanziale, ma anche l’aspetto che potrei qualificare come «processuale» dell’articolo 325 TFUE.
13. Al riguardo, spiegherò che, tenuto conto del dettato dell’articolo 49 della Carta e della giurisprudenza elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con riferimento alla portata del principio di legalità dei reati e delle pene sancito all’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (7), nulla osta a che il giudice nazionale, nell’attuazione degli obblighi ad esso incombenti ai sensi del diritto dell’Unione, disapplichi le disposizioni di cui all’articolo 160, ultimo comma, e all’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ambito dei procedimenti in corso.
14. Preciserò a tal fine i criteri in base ai quali il giudice nazionale è tenuto all’osservanza di tale obbligo. Infatti, conformemente alla tesi della Corte costituzionale, alla quale aderisco relativamente a tale punto, mi sembra che, per garantire la prevedibilità necessaria tanto nel diritto processuale penale quanto nel diritto penale sostanziale, si debbano precisare i termini della sentenza Taricco e a. Al riguardo, al criterio enunciato da tale sentenza proporrò di sostituire un criterio correlato esclusivamente alla natura del reato.
15. Esporrò infine le ragioni per cui ritengo che la costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia esiga che la repressione dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione si accompagni oggigiorno a un’armonizzazione delle norme sulla prescrizione nell’Unione e, in particolare, delle norme che ne disciplinano l’interruzione.
16. In secondo luogo, e in linea con i principi stabiliti dalla Corte di giustizia nella sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni (8), spiegherò che l’articolo 53 della Carta non consente, a mio avviso, all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. con la motivazione che tale obbligo non rispetterebbe il livello di tutela più elevato dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione di tale Stato.
17. Infine, in terzo luogo, esporrò le ragioni per cui l’applicazione immediata di un termine di prescrizione più lungo, che deriverebbe dall’attuazione di detto obbligo, non è tale, a mio avviso, da compromettere l’identità nazionale della Repubblica italiana e, quindi, da violare i termini dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Trattato UE
18. L’articolo 4, paragrafo 2, TUE dispone che l’Unione rispetta l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale. Ai sensi del paragrafo 3 di tale disposizione, l’Unione e gli Stati membri, conformemente al principio di leale cooperazione, devono rispettarsi e assistersi reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati. Gli Stati membri devono quindi adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione.
19. Conformemente all’articolo 325 TFUE, l’Unione e gli Stati membri hanno il dovere di combattere contro «la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione» e di permettere «una protezione efficace» di tali interessi.
2. La Carta
20. L’articolo 47, secondo comma, della Carta dispone quanto segue:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. (…)».
21. L’articolo 49 della Carta, intitolato «Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene», così prevede al paragrafo 1:
«Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima».
22. Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta:
«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla , il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».
23. L’articolo 53 della Carta così dispone:
«Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla , e dalle costituzioni degli Stati membri».
B. Diritto italiano
1. Costituzione italiana
24. L’articolo 25, secondo comma, della Costituzione italiana stabilisce che «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».
2. Disposizioni del codice penale relative alla prescrizione dei reati
25. La prescrizione costituisce una delle cause di estinzione del reato (libro I, titolo VI, capo I, del codice penale). La sua disciplina è stata profondamente modificata dalla legge del 5 dicembre 2005, n. 251 (9).
26. Conformemente all’articolo 157, primo comma, del codice penale, la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione.
27. L’articolo 158 di tale codice fissa l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione nel modo seguente:
«Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza.
(…)».
28. Ai sensi dell’articolo 159 di detto codice, relativo alle regole sulla sospensione del corso della prescrizione:
«Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di:
1) autorizzazione a procedere;
2) deferimento della questione ad altro giudizio;
3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. (…)
(…)
La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
(…)».
29. L’articolo 160 del medesimo codice, che disciplina l’interruzione del corso della prescrizione, così dispone:
«Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali (…) il decreto di fissazione della udienza preliminare (…).
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre i limiti di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale».
30. A norma dell’articolo 161 del codice penale, relativo agli effetti della sospensione e dell’interruzione:
«La sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato.
Salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere (…)».
III. Fatti
A. Sentenza Taricco e a.
31. La domanda di pronuncia pregiudiziale formulata dal Tribunale di Cuneo (Italia) verteva sull’interpretazione degli articoli 101, 107 e 119 TFUE nonché dell’articolo 158 della direttiva 2006/112/CE (10) alla luce della normativa nazionale relativa alla prescrizione dei reati, come quella di cui all’articolo 160, ultimo comma, e all’articolo 161, secondo comma, del codice penale.
32. Tale domanda veniva presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato contro una pluralità di soggetti cui veniva contestato il fatto di aver costituito e organizzato un’associazione al fine di commettere vari reati in materia di IVA.
33. In tale sentenza, pronunciata l’8 settembre 2015, la Corte di giustizia ha dichiarato che una normativa nazionale come quella esaminata, che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l’atto interruttivo della prescrizione verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
34. Infatti, la Corte di giustizia ha constatato che le disposizioni in questione, introducendo, in caso di interruzione della prescrizione, la regola in base alla quale il termine di prescrizione non può essere in nessun caso prolungato per più di un quarto della sua durata iniziale, comportano la conseguenza, data la complessità e la lunghezza dei procedimenti penali che sfociano nell’adozione di una sentenza definitiva, di neutralizzare l’effetto temporale di una causa di interruzione della prescrizione. In virtù di tale circostanza, in un numero considerevole di casi, la Corte di giustizia ha rilevato che i fatti costitutivi di frode grave non sono penalmente puniti.
35. Per garantire la piena efficacia dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, la Corte di giustizia ha quindi dichiarato che il giudice nazionale, ove necessario, è tenuto a disapplicare le disposizioni del diritto nazionale che abbiano come effetto di impedire allo Stato membro interessato di osservare gli obblighi ad esso imposti da tale disposizione.
B. Questioni di costituzionalità rimesse dalla Corte suprema di cassazione (Italia) e dalla Corte d’appello di Milano (Italia) alla Corte costituzionale
36. La Corte suprema di cassazione e la Corte d’appello di Milano, dinanzi alle quali erano pendenti procedimenti riguardanti frodi gravi in materia di IVA, hanno considerato che non applicare l’articolo 160, ultimo comma, e l’articolo 161, secondo comma, del codice penale a situazioni precedenti alla data di pubblicazione della sentenza Taricco e a. avrebbe comportato un inasprimento retroattivo del regime di incriminazione, incompatibile con il principio di legalità dei reati e delle pene sancito all’articolo 25, paragrafo 2, della Costituzione italiana.
37. Esse hanno quindi rimesso alla Corte costituzionale una questione di costituzionalità riguardante l’articolo 2 della legge del 2 agosto 2008, n. 130 (11), nella parte in cui esso autorizza la ratifica del Trattato di Lisbona e l’esecuzione, in particolare, dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, in base al quale la Corte di giustizia ha stabilito l’obbligo di cui trattasi (12).
IV. L’ordinanza di rinvio
A. Sulla portata e sul rango del principio di legalità dei reati e delle pene nell’ordinamento giuridico italiano
38. Nell’ordinanza di rinvio la Corte costituzionale sottolinea, in primo luogo, che, nell’ordinamento giuridico italiano, il principio di legalità dei reati e delle pene osta a che il giudice nazionale disapplichi il disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale, nei procedimenti in corso.
39. Infatti, la Corte costituzionale precisa che, contrariamente ad altri sistemi giuridici in cui le norme sulla prescrizione in materia penale sono qualificate come norme processuali (13), queste ultime si configurano, nell’ordinamento giuridico italiano, come norme di diritto sostanziale, costituenti parte integrante del principio di legalità dei reati e delle pene, e non possono essere quindi oggetto di applicazione retroattiva a sfavore della persona sottoposta a procedimento penale.
40. La Corte costituzionale rileva che l’articolo 25, secondo comma, della Costituzione italiana conferisce quindi al principio di legalità dei reati e delle pene una portata più ampia di quella riconosciuta dalle fonti del diritto dell’Unione, in quanto esso non è limitato esclusivamente alla definizione del reato e delle pene ad esso applicabili, ma si estende a tutti gli aspetti sostanziali relativi alla sanzione e, in particolare, alla determinazione delle norme sulla prescrizione applicabili al reato. Conformemente a tale principio, il reato, la pena inflitta e il termine di prescrizione devono essere quindi definiti in termini chiari, precisi e stringenti in una legge vigente al momento in cui l’atto viene commesso. Secondo il giudice del rinvio, il rispetto di tale principio deve quindi consentire a chiunque di conoscere le conseguenze della propria condotta sul piano penale e di impedire qualsiasi arbitrio nell’applicazione della legge.
41. Orbene, nell’ambito del procedimento principale, la Corte costituzionale sostiene che gli interessati non potevano ragionevolmente prevedere, alla luce del quadro normativo in vigore all’epoca dei fatti, che il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 325 TFUE, avrebbe imposto al giudice nazionale di disapplicare l’articolo 160, ultimo comma, e l’articolo 161, secondo comma, del codice penale, prolungando così i termini di prescrizione applicabili. Pertanto, l’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. sarebbe contrario ai requisiti di cui all’articolo 7 della CEDU.
42. La Corte costituzionale sottolinea, inoltre, che il principio di legalità dei reati e delle pene è un principio cardine in materia di diritti inalienabili della persona e va considerato, in tutti i suoi aspetti, come un principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano, prevalente, pertanto, sulle norme del diritto dell’Unione in conflitto.
43. Per quanto riguarda la qualificazione delle norme sulla prescrizione in materia penale, la Corte costituzionale precisa che questa appartiene alla tradizione costituzionale di ciascuno Stato membro, e non al diritto dell’Unione.
44. Poiché l’ordinamento giuridico italiano conferirebbe un livello di tutela dei diritti fondamentali più elevato di quello derivante dall’interpretazione dell’articolo 49 della Carta e dell’articolo 7 della CEDU, la Corte costituzionale aggiunge che l’articolo 53 della Carta autorizza quindi il giudice nazionale a sottrarsi all’obbligo fissato dalla Corte di giustizia nella sentenza nella sentenza Taricco e a.
45. La Corte costituzionale distingue pertanto la causa in esame dalla causa che ha dato luogo alla sentenza del 26 febbraio 2013 (14), Melloni, nella quale l’applicazione delle disposizioni costituzionali del Regno di Spagna incideva direttamente sul primato del diritto dell’Unione, in particolare sulla portata della decisione quadro 2009/299/GAI (15), e comportava la rottura dell’uniformità e dell’unità del diritto dell’Unione in una materia basata sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri.
46. In secondo luogo, la Corte costituzionale sostiene che l’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. si fonda su criteri imprecisi, contrari al principio della certezza del diritto, in quanto il giudice nazionale non è in grado di definire, in maniera inequivocabile, i casi in cui la frode contro gli interessi finanziari dell’Unione possa essere qualificata come «grave» e i casi in cui l’applicazione delle norme sulla prescrizione di cui trattasi comporti l’impunità in un «numero considerevole di casi». Siffatti criteri darebbero luogo, quindi, a un grave rischio di arbitrio.
47. In terzo luogo, il giudice del rinvio dichiara che le regole stabilite dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. sono incompatibili con i principi che disciplinano la separazione dei poteri.
48. Detto giudice precisa, al riguardo, che i termini di prescrizione e le modalità di calcolo di questi ultimi devono essere definiti dal legislatore nazionale attraverso disposizioni precise, e che non spetta quindi alle autorità giudiziarie decidere, caso per caso, il loro contenuto. Orbene, la Corte costituzionale ritiene che i principi enunciati nella sentenza Taricco e a. non consentano di delimitare la discrezionalità delle autorità giudiziarie, che sarebbero allora libere di disapplicare le disposizioni legislative in questione qualora considerino che queste ultime costituiscono un ostacolo alla repressione del reato.
B. Sull’identità costituzionale della Repubblica italiana
49. Nella sua ordinanza di rinvio, la Corte costituzionale sostiene infine che l’articolo 4, paragrafo 2, TUE consente al giudice nazionale di sottrarsi all’obbligo fissato dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., in quanto tale obbligo viola un principio supremo del suo ordinamento costituzionale e, di conseguenza, può compromettere l’identità nazionale, e in particolare costituzionale, della Repubblica italiana.
50. Essa sottolinea che il diritto dell’Unione, così come l’interpretazione di tale diritto fornita dalla Corte di giustizia, non possono essere intesi nel senso che impongono allo Stato membro di rinunciare ai principi supremi del suo ordinamento costituzionale, i quali definiscono la sua identità nazionale. Pertanto, l’esecuzione di una sentenza della Corte di giustizia sarebbe sempre subordinata alla condizione della compatibilità di quest’ultima con l’ordinamento costituzionale dello Stato membro interessato, compatibilità che deve essere valutata dalle autorità nazionali e, in Italia, dalla Corte costituzionale.
V. Questioni pregiudiziali
51. Alla luce di tali considerazioni, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento sulla questione della costituzionalità dell’articolo 2 della legge del 2 agosto 2008, n. 130, di ratifica e di esecuzione del Trattato di Lisbona, e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, (…) TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata.
2) Se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, (…) TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità.
3) Se la sentenza debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro».
VI. Osservazioni preliminari
52. Prima di affrontare l’esame delle questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte costituzionale, ritengo opportuno formulare alcune osservazioni preliminari riguardanti, anzitutto, il contesto nel quale la sentenza Taricco e a. è stata pronunciata e, poi, l’approccio adottato dalle parti e dalla Commissione europea in udienza.
53. In primo luogo, intendo segnalare che l’incidenza delle norme in materia di prescrizione previste nel codice penale sull’effettività dei procedimenti penali, a prescindere dal fatto che tali procedimenti siano promossi per un reato commesso contro la persona o che si inseriscano nell’ambito della criminalità economica e finanziaria, non costituisce una questione inedita. Tale questione è già stata oggetto di numerose relazioni e raccomandazioni rivolte alla Repubblica italiana, nelle quali venivano censurate, segnatamente, le regole e i metodi di calcolo applicabili alla prescrizione e, in particolare, l’interpretazione restrittiva delle cause di interruzione della prescrizione e l’esistenza di un termine di prescrizione assoluto che non può essere né interrotto né sospeso.
54. Le difficoltà evidenziate dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. riguardo all’incidenza delle norme sulla prescrizione di cui all’articolo 160, ultimo comma, e all’articolo 161, secondo comma, del codice penale sull’effettività della repressione delle frodi in materia di IVA non costituiscono quindi una novità.
55. A livello nazionale, anzitutto, le autorità giudiziarie hanno allertato quasi subito il legislatore nazionale riguardo al fatto che i termini di prescrizione in vigore non consentivano di ottenere una sentenza definitiva nella maggior parte dei casi di corruzione gravi e complessi (16), il che ha dato luogo alla creazione di un gruppo di lavoro (commissione ad hoc) incaricato di studiare le possibilità esistenti quanto a una riforma delle norme sulla prescrizione, i cui lavori sono stati presentati il 23 aprile 2013 (17).
56. A livello dell’Unione, inoltre, la Commissione ha dedicato, nel 2014, uno studio particolare alle conseguenze del regime italiano in materia di prescrizione sulla lotta effettiva alla corruzione (18). Essa ha al riguardo rilevato che «a questione della prescrizione è un problema particolarmente serio », sottolineando che « termini di prescrizione previsti dalla disciplina italiana, sommati alla lunghezza dei processi, alle regole e ai metodi di calcolo della prescrizione, alla mancanza di flessibilità circa i motivi per sospendere e interrompere la decorrenza dei termini e all’esistenza di un termine assoluto che non può essere interrotto o sospeso, hanno determinato e determinano tuttora l’estinzione di un gran numero di procedimenti» (19).
57. Ponendosi in linea con le raccomandazioni rivolte dal Consiglio alla Repubblica italiana il 9 luglio 2013 (20), la Commissione ha invitato tale Stato membro a rivedere le norme esistenti che disciplinano i termini di prescrizione, in modo da rafforzare il quadro normativo in materia di repressione della corruzione.
58. Attualmente, a livello di Consiglio d’Europa, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nelle sentenze Alikaj e a. c. Italia (21) nonché Cestaro c. Italia (22), ha a sua volta dichiarato che il meccanismo della prescrizione, quale previsto agli articoli da 157 a 161 del codice penale, può produrre effetti contrari a quelli richiesti dalla tutela dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, nel loro aspetto penalistico, in quanto il risultato di tale meccanismo è che reati gravi restino impuniti. Essa ha quindi considerato tale quadro legislativo inadeguato (23) per prevenire e punire gli attentati alla vita nonché le torture e i maltrattamenti.
59. Pertanto, nella sentenza Cestaro c. Italia (24), pronunciata solo alcuni mesi prima della sentenza Taricco e a., la Repubblica italiana è stata condannata per violazione dell’articolo 3 della CEDU sotto il profilo non solo sostanziale, ma anche processuale, in quanto la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rilevato l’esistenza di un «problema strutturale», ossia «l’inadeguatezza» delle norme sulla prescrizione previste dal codice penale per punire le torture e garantire un effetto sufficientemente dissuasivo (25). Dopo aver rilevato che tali norme sulla prescrizione possono impedire, in concreto, di giudicare e di punire i responsabili, nonostante tutti gli sforzi compiuti dalle autorità inquirenti e giudicanti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato la legislazione penale italiana applicata a questo tipo di reati «inadeguata» rispetto all’esigenza sanzionatoria e priva dell’effetto dissuasivo necessario per prevenire la commissione di altri reati simili. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha quindi invitato la Repubblica italiana a dotarsi degli strumenti giuridici atti a sanzionare adeguatamente i responsabili di tali violazioni e a impedire che questi ultimi possano beneficiare di misure che contrastano con la sua giurisprudenza, in quanto l’applicazione delle norme sulla prescrizione deve essere compatibile con i requisiti fissati dalla CEDU (26).
60. A un livello ora più politico, il Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione (GRECO) ha inoltre rilevato, nelle sue relazioni di valutazione relative al primo (giugno 2008), al secondo (ottobre 2008) e al terzo (ottobre 2011) ciclo congiunto di valutazioni sulla Repubblica italiana (27), che, sebbene la durata teorica del termine di prescrizione non differisca di molto rispetto a quella degli altri Stati aderenti, il metodo di calcolo del termine di prescrizione e il ruolo svolto da altri fattori (quali la complessità delle indagini collegate alla corruzione, il tempo che può decorrere tra il momento in cui il reato viene commesso e quello in cui tale reato è stato segnalato alle autorità inquirenti, i mezzi di ricorso disponibili, i ritardi e il sovraccarico di lavoro della giustizia penale) ostacolano notevolmente l’efficacia del regime sanzionatorio in vigore in Italia.
61. Infine, a livello internazionale, anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha raccomandato alla Repubblica italiana, nell’ambito delle sue valutazioni sull’attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione nelle operazioni economiche internazionali (28), di allungare la durata del termine di prescrizione assoluto previsto dal codice penale, in modo da garantire l’efficacia dei procedimenti penali riguardanti fatti di corruzione transnazionale, e di conformarsi in tal modo ai requisiti fissati dall’articolo 6 di detta Convenzione (29). La Repubblica italiana sembra essersi impegnata in tal senso nell’ambito di una proposta di legge approvata dal Senato (Italia) il 15 marzo 2017 (30).
62. Tali elementi mi sembrano rilevanti per comprendere appieno il contesto nazionale, ma anche europeo, nel quale si inserisce la sentenza Taricco e a.
63. In secondo luogo, alla luce delle discussioni svoltesi in udienza, ritengo importante rettificare l’approccio univoco adottato dalle parti e dalla Commissione, ricordando la specificità che costituisce la natura stessa del diritto penale.
64. Infatti, il diritto penale è un diritto sanzionatorio che si ricollega alla nozione stessa di ordine pubblico e, nella fattispecie, di ordine pubblico dell’Unione. Tale diritto deve quindi trovare un equilibrio tra il rispetto dell’ordine pubblico, l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge qualora essi lo violino e la garanzia dei diritti processuali delle persone sottoposte a procedimento penale. Orbene, in nessun caso l’invocazione di tali garanzie ad opera di una parte inquirente o sottoposta a procedimento penale può sfociare nel diritto soggettivo o di punire in modo arbitrario o di sfuggire alla conseguenza normale e ponderata degli atti illeciti commessi.
VII. Analisi
65. Nell’ambito delle prime due questioni pregiudiziali, la Corte costituzionale rimette in discussione la compatibilità dei principi e dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. con il principio di legalità dei reati e delle pene. Nell’ordinamento giuridico italiano, tale principio richiede che il termine di prescrizione sia determinato con precisione in una disposizione in vigore nel momento in cui i fatti sono stati commessi e che non possa essere applicato in alcun caso retroattivamente quando è a sfavore della persona sottoposta a procedimento penale.
66. La Costituzione italiana garantisce pertanto a ogni individuo il diritto di sapere, prima della commissione di un atto illecito, se quest’ultimo costituisca un reato, la pena e il termine di prescrizione ad esso applicabili, e nessuno di tali elementi può essere modificato successivamente a danno dell’interessato.
67. Orbene, la Corte costituzionale sostiene che l’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., nel richiedere al giudice nazionale la disapplicazione del disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ambito di procedimenti in corso, allungando in tal modo il termine di prescrizione applicabile, è in contrasto con tale principio.
68. A sostegno della sua tesi, la Corte costituzionale sottolinea che le disposizioni in questione sono state adottate al fine di garantire, da un lato, il rispetto del termine ragionevole del procedimento e, dall’altro, i diritti della persona sottoposta a procedimento penale. Al riguardo, si deve ammettere che la sentenza Taricco e a. non consente, di per sé sola, di rispondere alle critiche espresse dal giudice del rinvio.
69. Tuttavia, sarebbe ingiusto muovere critiche eccessive alla Corte di giustizia per non aver fornito risposte, in quanto né il Tribunale di Cuneo, autore del primo rinvio pregiudiziale, né il governo italiano, nelle osservazioni scritte e orali presentate nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Taricco e a., hanno menzionato le particolarità connesse alla natura e alle norme che disciplinano il regime della prescrizione nell’ordinamento giuridico italiano, che pur costituivano il punto centrale del rinvio pregiudiziale, particolarità rilevate attualmente dalla Corte costituzionale.
70. È quindi in seguito a questo ulteriore ricorso dei giudici italiani che proporrò alla Corte di giustizia di integrare la sua prima risposta.
71. Non si tratta infatti di rimettere in discussione il principio stesso stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., secondo il quale il giudice nazionale è tenuto a disapplicare le norme contenute nell’articolo 160, ultimo comma, e nell’articolo 161, secondo comma, del codice penale per garantire una sanzione effettiva e dissuasiva delle frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione, quanto piuttosto di precisare i criteri in base ai quali tale obbligo deve essere attuato.
A. Sul principio stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a.
72. La posizione espressa dalla Corte costituzionale si articola intorno a nozioni i cui elementi, come dalla stessa definiti, contrastano in particolare con il principio di effettività del diritto dell’Unione e sono, per tale ragione, incompatibili con quest’ultimo.
73. Prima di avviare l’analisi delle questioni sollevate, occorre, pertanto, individuare con estrema precisione i punti che portano a tale risultato.
74. Per quanto riguarda, in primo luogo, il principio di legalità dei reati e delle pene, altresì denominato principio della legalità penale, esso costituisce uno dei principi essenziali del diritto penale moderno. Tale principio fu elaborato in particolare dal penalista italiano Cesare Beccaria, che faceva riferimento, nel suo celebre trattato Dei delitti e delle pene (31), ai lavori di Montesquieu (32).
75. È tradizionalmente riconosciuto che, conformemente a tale principio, nessun reato può essere addebitato e nessuna pena può essere inflitta se questi ultimi non sono previsti e definiti dalla legge prima che i fatti siano commessi.
76. Nell’ambito della vicenda in esame, detto principio pone problemi solo per il fatto che, a tale definizione del Beccaria, la legislazione italiana aggiunge che il regime della prescrizione rientra in detto principio e che il reo dispone quindi di un diritto acquisito a che tutti i procedimenti penali si svolgano secondo il regime della prescrizione vigente alla data di commissione del reato.
77. Per quanto riguarda, in secondo luogo, la prescrizione, non è il suo principio in quanto tale, bensì il suo regime ad essere incompatibile, nella fattispecie, con il diritto dell’Unione, anche a causa delle particolarità introdotte dalla legislazione italiana, considerata alla luce del meccanismo delle due modalità costituite dalla sospensione e dall’interruzione della prescrizione.
78. Infatti, con riferimento all’interruzione della prescrizione, le disposizioni di cui trattasi limitano i casi in cui la decorrenza della prescrizione può essere interrotta, riservando detta interruzione ad atti procedurali poco numerosi, e talora tardivi, che producono, per giunta, effetti limitati. In tal senso, quando si verifica un atto interruttivo, quest’ultimo non ha come conseguenza di far decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, ma unicamente di prolungare quest’ultimo di un quarto solamente della sua durata iniziale, prolungamento del termine di prescrizione che non può essere inoltre oggetto né di nuova sospensione né di nuova interruzione, e che può quindi verificarsi una sola volta nel corso del procedimento.
79. Il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale porta quindi a fissare un limite assoluto al termine di prescrizione applicabile. Pertanto, quest’ultimo diviene intangibile e assume, a tal proposito, l’aspetto di un cosiddetto délai préfix («termine di decadenza»), tradizionalmente definito come il termine per il compimento di atti determinato dalla legge e la cui decorrenza, a differenza della prescrizione, non può essere né sospesa né interrotta (33). Tale nozione è dunque incompatibile con la nozione stessa di prescrizione, e la dottrina, del resto, contrappone l’una all’altra.
80. Di fronte all’approccio propugnato dalla Corte costituzionale, che fa valere, a suo sostegno, da un lato, l’intento di garantire il termine ragionevole del procedimento e, dall’altro, la garanzia dei diritti della persona sottoposta a procedimento penale, la sentenza Taricco e a., come già detto, non contiene tutti gli elementi che consentono di confutarlo.
81. Occorre in realtà interrogarsi sulla fonte dell’incompatibilità esistente tra il regime della prescrizione di cui all’articolo 160, ultimo comma, e all’articolo 161, secondo comma, del codice penale e l’esigenza che l’effettività del diritto dell’Unione sia rispettata.
82. Un diritto è effettivo solo se la sua violazione viene sanzionata.
83. Se, per garantire la propria tutela, il diritto dell’Unione esige che qualsiasi violazione sia sanzionata, ogni sistema incaricato di dare attuazione a tale diritto, ma che, di fatto, si risolve nella mancanza di sanzioni o in un rischio manifesto e grave di impunità, è per definizione in contrasto con il principio del primato del diritto dell’Unione e con il principio di effettività sul quale si fonda, in particolare, l’articolo 325 TFUE.
84. Ciò è quanto si verifica nel caso di specie?
85. La mia risposta è affermativa e si basa su constatazioni attinenti, segnatamente, alla natura stessa dei reati commessi contro gli interessi finanziari dell’Unione e, in particolare, al loro carattere per definizione transnazionale.
86. Le indagini condotte nell’ambito di tale criminalità economica e finanziaria devono consentire di accertare la gravità della frode quanto alla sua durata, alla sua estensione e al profitto che essa ha generato. Orbene, immaginiamo i tempi necessari per un’indagine riguardante una frode carosello in materia di IVA (34), che coinvolge società fittizie ripartite sul territorio di più Stati membri e concorrenti e complici di diverse nazionalità, e che necessita di indagini tecniche, di audizioni e di confronti multipli, nonché di una consistente perizia contabile e finanziaria e del ricorso a misure di cooperazione giudiziaria e di polizia internazionali. Nel corso dell’iter giudiziario, le autorità giurisdizionali devono svolgere un procedimento penale complesso al fine di accertare, nel rispetto delle garanzie di un equo processo, le singole responsabilità di ciascuna delle persone sottoposte a detto procedimento, e devono anche far fronte alla strategia difensiva adottata dagli avvocati e da altri periti specializzati, consistente nel far durare il procedimento sino alla sua prescrizione.
87. In procedimenti di tale natura, il termine ultimo imposto all’indagine e al processo risulta quindi notoriamente insufficiente e le diverse relazioni presentate a livello nazionale e internazionale dimostrano effettivamente la sistematicità dell’inadeguatezza constatata. Il rischio di impunità non è in questo caso ascrivibile ai ritardi, alla compiacenza o alla negligenza delle autorità giudiziarie, ma all’inadeguatezza del quadro legislativo per sanzionare le frodi in materia di IVA, in quanto il legislatore nazionale ha fissato un termine del procedimento irragionevole, perché troppo breve e intangibile, che non consente al giudice nazionale, nonostante tutti gli sforzi dallo stesso compiuti, di applicare agli atti commessi la normale sanzione che questi meritano.
88. Comprendo che una delle preoccupazioni del legislatore nazionale al momento delle modifiche apportate al regime della prescrizione dalla legge ex Cirielli è stata quella di contrastare i ritardi processuali spesso denunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e quindi di garantire, nell’interesse delle persone sottoposte a procedimento penale, la durata ragionevole del procedimento.
89. Orbene, paradossalmente, tale modifica, scaturita dall’intento di garantire la celerità dei procedimenti giudiziari, costituisce una violazione della nozione stessa di termine ragionevole e, da ultimo, un ostacolo alla buona amministrazione della giustizia (35).
90. Infatti, nell’ambito dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, la Corte europea dei diritti dell’uomo definisce il termine ragionevole nel senso che esso impone che la durata del procedimento sia proporzionata alla complessità oggettiva della causa, alla rilevanza della controversia nonché al comportamento delle parti e delle autorità competenti (36).
91. Orbene, è giocoforza constatare che, per sua natura, un délai préfix («termine di decadenza») è in pieno contrasto con tale principio.
92. Il diritto al termine ragionevole non è un diritto all’impunità e non deve impedire la condanna effettiva dell’autore del reato.
93. Orbene, il délai préfix («termine di decadenza») può produrre tale effetto perverso.
94. Al riguardo, ritengo di dover richiamare l’attenzione sul testo della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (37), la quale include nel suo ambito di applicazione il reato di frode grave in materia di IVA. Mentre la convenzione PIF non affrontava la questione dei termini di prescrizione, l’articolo 12 della proposta di direttiva PIF introduce una nuova serie di norme vincolanti e dettagliate riguardanti il regime della prescrizione applicabile ai reati che arrecano pregiudizio al bilancio dell’Unione. Gli Stati membri sono quindi tenuti a prevedere un termine di prescrizione.
95. Orbene, anche se la proposta di direttiva PIF prevede termini di prescrizione certamente ampi, in modo da consentire alle autorità di contrasto di intervenire durante un periodo sufficientemente lungo per lottare contro tali reati in modo efficace, essa stabilisce altresì un termine massimo e assoluto del procedimento.
96. Non posso quindi che manifestare la mia perplessità a fronte della previsione, in tale progetto, di un sistema di prescrizione che ricalca il regime procedurale in discussione nella presente causa, i cui effetti sono identici a quelli generati dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale e che mi sembra quindi soggetto alle stesse censure, in quanto esso comporta in realtà gli stessi rischi.
97. Infatti, questo tipo di disposizioni ha come conseguenza, in realtà, di riversare sulle istituzioni giudiziarie la responsabilità della mancata definizione dei giudizi. Si dimentica che l’efficacia dei procedimenti dipende dai mezzi messi a disposizione della giustizia, e che non fornirli costituirà sempre un possibile espediente per sfuggire agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Il rischio è allora di vedere i casi considerati più gravi e più complessi orientati verso «circuiti brevi» che non garantiranno la sanzione effettiva e dissuasiva del reato e non consentiranno, in particolare, di impedire agli autori la commissione di reati per un periodo sufficiente. È così che, con le migliori intenzioni del mondo, si rischia di favorire il riciclaggio di capitali o il finanziamento di attività illecite particolarmente pregiudizievoli per l’Unione e per i suoi cittadini, sui cui interessi ricadranno sempre, in definitiva, gli effetti lesivi di tali attività.
98. Sebbene mi sembri, quindi, perfettamente legittimo prevedere un termine che inizi a decorrere dal giorno della commissione del reato e al di là del quale non potrà essere avviato alcun procedimento penale nel caso in cui, allo scadere di detto termine, non siano state svolte indagini in tal senso, mi sembra, per contro, assolutamente indispensabile che, una volta avviato, il procedimento penale possa svolgersi sino alla sua conclusione, e che ciascun atto processuale costituisca un atto interruttivo della prescrizione che fa decorrere un nuovo termine nella sua integralità; l’unico limite e riferimento possibile resta il rispetto del principio del termine ragionevole, quale definito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
99. Tale riferimento al principio del termine ragionevole è, a mio avviso, un obbligo per tutti gli Stati membri.
100. Infatti, nell’ambito della tutela degli interessi finanziari dell’Unione, tali Stati membri attuano il diritto dell’Unione e sono pertanto vincolati dalle disposizioni della Carta. Orbene, dato che l’articolo 47 della Carta e l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU contengono disposizioni redatte in termini identici riguardo al principio del termine ragionevole del procedimento, gli Stati membri sono vincolati dalla definizione fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo poc’anzi richiamata.
101. Pertanto, ritengo che la Corte di giustizia debba considerare la nozione di interruzione della prescrizione una nozione autonoma del diritto dell’Unione, e debba definirla nel senso che ogni atto diretto al perseguimento del reato nonché ogni atto che ne costituisce la necessaria prosecuzione interrompe il termine di prescrizione; tale atto fa quindi decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, mentre il termine di prescrizione già decorso viene cancellato.
102. Solo questo tipo di definizione consentirà di garantire il perseguimento dei reati di tale natura.
103. Sebbene i negoziati relativi all’adozione della proposta di direttiva PIF e all’istituzione della Procura europea tendano all’elaborazione di una definizione comune di frode e del livello delle sanzioni applicabili, siffatta armonizzazione non può produrre risultati soddisfacenti qualora non sia accompagnata e sostenuta da misure efficaci in materia di indagini e di azioni penali e, in particolare, da un regime di prescrizione uniforme in tutta l’Unione.
104. Se così non fosse, la Procura europea (38) sarebbe in realtà nata morta e, con essa, il buon funzionamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
105. Infatti, come si può ammettere, nell’ambito di quello spazio unico che vuol essere lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che uno stesso reato lesivo degli interessi finanziari dell’Unione sia prescritto in uno Stato membro mentre possa dar luogo a una condanna definitiva nello Stato limitrofo?
106. Poiché una situazione del genere si è già verificata, è essenziale giungere a un’armonizzazione delle norme sulla prescrizione per garantire una tutela degli interessi finanziari dell’Unione equivalente e uniforme in tutti gli Stati membri e, in tal modo, evitare che gli autori dei reati godano di una quasi impunità avvalendosi delle legislazioni penali più favorevoli per i loro interessi, il che farebbe sorgere un rischio di forum shopping (39).
107. Del resto, da diversi anni, la Commissione continua a rilevare le carenze del sistema attuale, caratterizzato da un quadro normativo estremamente frammentario dovuto alla varietà delle tradizioni e dei sistemi giuridici, alla ratifica o meno della convenzione PIF (40) e alle priorità politiche adottate in materia penale dagli Stati membri (41). Tenuto conto della mobilità degli autori di reati e dei benefici derivanti dalle attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione, e della complessità delle indagini transfrontaliere che ciò implica, la Commissione ritiene attualmente inadeguati i termini nazionali di prescrizione applicabili in materia (42).
108. Alla luce di tutti questi elementi, e in linea col principio stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., ritengo che l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE debba essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, che agisce quale giudice di diritto comune dell’Unione, di disapplicare il termine di prescrizione assoluto risultante dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ipotesi in cui siffatta normativa impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
109. A mio avviso, inoltre, la nozione di interruzione della prescrizione dev’essere considerata una nozione autonoma del diritto dell’Unione e dev’essere definita nel senso che ogni atto diretto al perseguimento del reato nonché ogni atto che ne costituisce la necessaria prosecuzione interrompe il termine di prescrizione; tale atto fa quindi decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, mentre il termine di prescrizione già decorso viene cancellato.
B. Sulle condizioni alle quali i giudici nazionali sono tenuti a disapplicare il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale
1. Criteri da applicare
110. Secondo i principi stabiliti dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., i giudici nazionali sono tenuti a disapplicare le disposizioni di cui all’articolo 160, ultimo comma, e all’articolo 161, secondo comma, del codice penale nel caso in cui esse impediscano «di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione» (43).
111. I criteri in base ai quali si ritiene che i giudici nazionali debbano disapplicare le disposizioni proprie del loro codice penale sono, come rilevato dalla Corte costituzionale, vaghi e generici. In mancanza di orientamenti o di qualsiasi altra precisazione nella sentenza Taricco e a., il solo giudice nazionale si trova, in effetti, nell’impossibilità di definire inequivocabilmente le ipotesi in cui la violazione degli interessi finanziari dell’Unione debba essere qualificata come «grave» e i casi in cui l’applicazione delle norme sulla prescrizione in questione abbia come effetto di impedire «di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi» (44).
112. Nell’ambito di un procedimento penale in corso, è in effetti concretamente difficile esigere che il giudice nazionale soddisfi un obiettivo, come quello della lotta contro i reati in materia di IVA, chiedendogli di disapplicare una norma sostanziale del suo diritto penale, relativa alla prescrizione dei reati e delle pene, in base a un criterio che può sembrare, è vero, diretto a introdurre un elemento di soggettività nella valutazione richiesta.
113. Il criterio stabilito nella sentenza Taricco e a. si basa sull’esistenza di un rischio sistematico di impunità.
114. La valutazione della sistematicità può costituire effettivamente un’operazione delicata per il giudice nazionale investito della controversia, in quanto, dall’esterno, può sembrare che tale operazione implichi una dose di soggettività da parte di quest’ultimo.
115. È pur vero che la valutazione della sistematicità potrebbe derivare dall’applicazione di criteri obiettivi o da una valutazione complessiva compiuta dal giudice supremo italiano, la quale si imporrebbe a tutti i giudici nazionali. Tuttavia, dalle discussioni svoltesi in udienza non risulta che siffatta soluzione sia possibile alla luce della legislazione nazionale. Del resto, la Repubblica italiana, di cui occorre sottolineare l’atteggiamento manifestamente caratterizzato dalla volontà di trovare una soluzione adeguata e conforme al diritto dell’Unione, non ha potuto fornire su tale punto garanzie sufficienti.
116. Propongo, pertanto, che tale obbligo sia fondato esclusivamente sulla natura del reato, e che spetti al legislatore dell’Unione definire detta natura.
117. Rilevo che, nell’ambito dei negoziati finalizzati all’adozione della proposta di direttiva PIF, il legislatore dell’Unione ha definito la nozione di reati gravi lesivi degli interessi finanziari dell’Unione – reati che includono anche le frodi in materia di IVA – nel senso che essa comprende tutti i reati aventi un collegamento con il territorio di due o più Stati membri e che comportano un danno di importo totale superiore alla soglia di EUR 10 milioni, soglia soggetta a una clausola di revisione (45).
2. Sugli effetti nel tempo dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a.
118. Secondo i principi stabiliti dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., il giudice nazionale è tenuto, ove necessario, a disapplicare il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ambito dei procedimenti in corso, e ciò al fine di garantire, conformemente all’articolo 325 TFUE, la sanzione effettiva della frode accertata.
119. Come ho esposto, la Corte costituzionale ritiene che il giudice nazionale non possa conformarsi a tale obbligo, tenuto conto del rango e della portata del principio di legalità dei reati e delle pene nell’ordinamento giuridico italiano.
120. Al riguardo, la Corte costituzionale sostiene che l’articolo 53 della Carta autorizzerebbe la Repubblica italiana ad applicare il proprio livello di tutela dei diritti fondamentali, in quanto tale livello è più elevato di quello derivante dall’interpretazione dell’articolo 49 della Carta e consentirebbe quindi al giudice nazionale di opporsi all’attuazione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia.
121. La Corte costituzionale fa riferimento, inoltre, all’articolo 4, paragrafo 2, TUE per sostenere che il diritto dell’Unione non può forzare siffatta attuazione senza rimettere in discussione l’identità nazionale e, in particolare, costituzionale della Repubblica italiana.
122. Non condivido l’interpretazione proposta dalla Corte costituzionale.
a) Sulla portata del principio di legalità dei reati e delle pene nel diritto dell’Unione
123. In primo luogo, è noto che la sanzione per le violazioni degli interessi finanziari dell’Unione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e che il giudice nazionale è tenuto a garantire l’effettività di tale diritto e, in particolare, del diritto primario.
124. Nell’ambito del diritto dell’Unione, il principio di legalità dei reati e delle pene è sancito all’articolo 49 della Carta. Conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della stessa, tale articolo è applicabile agli Stati membri quando questi attuano il diritto dell’Unione, come accade nel caso di specie.
125. Secondo le spiegazioni relative alla Carta (46), l’articolo 49, paragrafi 1 (fatta eccezione per l’ultima frase) e 2, della medesima corrisponde all’articolo 7 della CEDU. In forza dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, laddove quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione; tale disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.
126. Ai punti da 54 a 56 della sentenza Taricco e a., la Corte di giustizia ha dichiarato che il principio sancito all’articolo 49 della Carta comprende unicamente la definizione dei reati nonché il livello delle pene ad essi applicabili. Dato che tale principio non si estende alla determinazione dei termini di prescrizione, essa ha pertanto dichiarato che tale principio non osta a che il giudice nazionale applichi a un procedimento in corso un termine di prescrizione più lungo di quello previsto nel momento in cui il reato è stato commesso.
127. Tale valutazione è in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa alla portata del principio di legalità dei reati e delle pene.
128. I principi generali relativi all’applicazione delle norme sulla prescrizione sono stati sintetizzati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Coëme e a. c. Belgio (47) e recentemente riaffermati nelle decisioni Previti c. Italia (48) e Borcea c. Romania (49).
129. L’articolo 7 della CEDU sancisce il principio di legalità dei reati e delle pene: «etto principio, che vieta in particolare l’estensione dell’ambito di applicazione dei reati esistenti a fatti che, in precedenza, non costituivano reato, impone anche di non applicare la legge penale estensivamente a danno della persona sottoposta a procedimento penale, ad esempio, per analogia. Ne consegue che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Questa condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, in base al testo della disposizione rilevante e, nel caso, con l’aiuto dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza, gli atti e le omissioni che fanno sorgere la sua responsabilità penale» (50).
130. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, «le norme sulla retroattività contenute nell’articolo 7 della si applicano soltanto alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono» (51). Pertanto, la Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene che sia suo compito garantire che, «nel momento in cui una persona sottoposta a procedimento penale ha commesso l’atto che ha dato luogo al procedimento ed eventualmente alla condanna, esistesse una norma giuridica che rendeva l’atto punibile e che la pena inflitta non abbia ecceduto i limiti fissati da tale disposizione» (52).
131. Per contro, nella sentenza Cöeme e a. c. Belgio (53), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto ragionevole l’applicazione, da parte dei giudici interni, del principio tempus regit actum per quanto riguarda le leggi processuali, nella fattispecie l’applicazione immediata ai procedimenti in corso delle leggi che modificano le norme sulla prescrizione.
132. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’applicazione immediata di una legge di proroga dei termini di prescrizione non comporta una violazione dell’articolo 7 della CEDU, «in quanto non si può interpretare tale disposizione nel senso che osta, per effetto dell’applicazione immediata di una legge processuale, a un prolungamento dei termini di prescrizione quando i fatti contestati non si siano ancora prescritti» (54). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha quindi qualificato le norme sulla prescrizione come «leggi processuali». Detta Corte osserva che le norme sulla prescrizione non definiscono i reati e le pene che li reprimono e possono essere interpretate nel senso che fissano una condizione preliminare per l’esame della causa (55).
133. Nella decisione Previti c. Italia (56), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha quindi qualificato le nuove norme sulla prescrizione, introdotte dalla legge ex Cirielli, come norme processuali. Ricordo che sono le radicali modifiche apportate dalla medesima legge ad essere state discusse nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Taricco e a. e ad essere al momento oggetto di interesse.
134. Nella causa che ha dato luogo alla decisione Previti c. Italia (57), la Corte europea dei diritti dell’uomo era chiamata, in particolare, a valutare se le condizioni alle quali i nuovi termini di prescrizione erano stati applicati fossero compatibili con i requisiti di cui all’articolo 7 della CEDU. Nella fattispecie, il ricorrente, la cui impugnazione era pendente in cassazione, lamentava di non aver potuto beneficiare della riduzione del termine di prescrizione prevista per il reato di corruzione, termine passato da quindici a otto anni. Infatti, conformemente al regime transitorio previsto dal legislatore, le nuove disposizioni in materia di prescrizione più favorevoli alla persona sottoposta a procedimento penale erano applicabili a qualsiasi procedimento in corso alla data di entrata in vigore della legge, ad eccezione tuttavia dei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte suprema di cassazione, il che escludeva de facto il ricorrente dal loro beneficio.
135. La questione consisteva quindi nell’accertare se le disposizioni che stabilivano i termini di prescrizione fossero soggette, al pari delle disposizioni che definivano i reati e le pene che li reprimevano, a norme particolari in materia di retroattività, comprendenti il principio di retroattività della legge penale più mite.
136. Per rispondere a tale questione e, quindi, valutare la fondatezza della censura relativa alla violazione dell’articolo 7 della CEDU, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è dunque interrogata sulla questione se la legge ex Cirielli contenesse disposizioni di diritto penale sostanziale.
137. Essa ha risposto in senso negativo, qualificando le modifiche legislative introdotte dalla legge ex Cirielli come «norme processuali».
138. In linea con la sua costante giurisprudenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti ricordato che le norme in materia di prescrizione, poiché non definiscono i reati e le pene che li reprimono, possono essere interpretate nel senso che fissano una semplice condizione preliminare per l’esame della causa e possono essere quindi qualificate come «leggi processuali» (58).
139. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha quindi dichiarato che, contrariamente a quanto avviene per le disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono (59), l’articolo 7 della CEDU non osta all’applicazione immediata ai procedimenti in corso (tempus regit actum) di una legge che allunga termini di prescrizione, quando i fatti contestati non si siano ancora prescritti (60) e purché non vi sia arbitrio (61).
140. Dato che le norme sulla prescrizione introdotte dalla legge ex Cirielli dovevano essere qualificate come «leggi processuali» e che il regime transitorio non sembrava né irragionevole né arbitrario, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che nessun elemento nella CEDU impediva al legislatore italiano di disciplinare l’applicazione di tali disposizioni ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge.
141. Alla luce di tali elementi, ritengo che, tenuto conto del dettato dell’articolo 49 della Carta e della giurisprudenza elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo alla portata del principio di legalità dei reati e delle pene sancito all’articolo 7 della CEDU, nulla osti a che il giudice nazionale, nell’attuazione degli obblighi ad esso incombenti ai sensi del diritto dell’Unione, disapplichi le disposizioni di cui all’articolo 160, ultimo comma, e all’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ambito dei procedimenti in corso.
142. La Corte costituzionale sostiene inoltre che i principi stabiliti nella sentenza Taricco e a. sono incompatibili con i requisiti di cui all’articolo 7 della CEDU e, in particolare, con il requisito della prevedibilità, in quanto gli interessati non hanno potuto ragionevolmente prevedere, alla luce del quadro normativo in vigore all’epoca dei fatti, che il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 325 TFUE, avrebbe imposto al giudice di disapplicare l’articolo 160, ultimo comma, e l’articolo 161, secondo comma, del codice penale (62).
143. Orbene, mi sembra che gli interessati non potessero ignorare che i fatti ad essi attualmente addebitati potevano far sorgere la loro responsabilità penale e sfociare, in caso di condanna definitiva, nell’applicazione della pena stabilita dalla legge. Tali atti si configuravano come reati nel momento in cui sono stati commessi, e le pene non saranno più severe di quelle applicabili all’epoca dei fatti. Non credo che, a causa dell’attuazione di tale obbligo da parte del giudice nazionale, gli interessati subiranno un pregiudizio maggiore di quello cui erano esposti all’epoca della commissione del reato.
b) Sulla portata dell’articolo 53 della Carta
144. La Corte costituzionale frappone inoltre le disposizioni dell’articolo 53 della Carta all’attuazione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a.
145. Essa adotta, infatti, l’interpretazione secondo la quale l’articolo 53 della Carta autorizza la Repubblica italiana ad applicare un livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione italiana, in quanto quest’ultimo è più elevato di quello derivante dall’interpretazione dell’articolo 49 della Carta, e a frapporlo all’attuazione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a.
146. Tale interpretazione consentirebbe al giudice nazionale di sottrarsi tale obbligo, laddove quest’ultimo richiede che egli disapplichi le norme sulla prescrizione di cui trattasi nell’ambito dei procedimenti in corso.
147. Le questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte costituzionale portano quindi a interrogarsi sul margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per fissare il livello di tutela dei diritti fondamentali che essi intendono garantire nell’attuazione del diritto dell’Unione.
1) Considerazioni preliminari (63)
148. Se è pur vero che l’interpretazione dei diritti tutelati dalla Carta deve tendere verso un livello elevato di protezione, come si evince dall’articolo 52, paragrafo 3, della Carta e dalle spiegazioni relative all’articolo 52, paragrafo 4, della stessa, si deve tuttavia precisare che deve trattarsi di un livello di protezione «consono al diritto dell’Unione», come specificano del resto le stesse spiegazioni.
149. Si tratta del richiamo di un principio che da molto tempo guida l’interpretazione dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione, vale a dire che la salvaguardia dei diritti fondamentali in seno all’Unione va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità di essa (64). A tal proposito, non è irrilevante che il preambolo della Carta faccia menzione degli obiettivi principali dell’Unione, tra i quali rientra la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
150. Non è quindi possibile ragionare soltanto in termini di livello più o meno elevato di protezione dei diritti fondamentali senza tener conto delle esigenze legate all’attività dell’Unione e della specificità del diritto dell’Unione.
151. I diritti fondamentali oggetto di protezione e il grado di protezione che deve essere loro accordato riflettono le scelte di una determinata società in relazione al giusto equilibrio tra gli interessi degli individui e quelli della collettività cui essi appartengono. Tale determinazione è strettamente collegata a valutazioni proprie dell’ordinamento giuridico considerato, in particolare in funzione del suo contesto sociale, culturale e storico, e non può dunque essere trasferita automaticamente ad altri contesti.
152. Interpretare l’articolo 53 della Carta nel senso che permette agli Stati membri di far ricorso, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, a norme costituzionali interne che garantiscono un livello di protezione più elevato del diritto fondamentale in parola equivarrebbe, di conseguenza, a ignorare che la determinazione del livello di protezione dei diritti fondamentali da conseguire dipende strettamente dal contesto nel quale detta determinazione viene compiuta.
153. Così, benché l’obiettivo sia di sviluppare un livello elevato di protezione dei diritti fondamentali, la specificità del diritto dell’Unione implica che il livello di protezione derivante dall’interpretazione di una Costituzione nazionale non possa essere automaticamente trasposto a livello di Unione e non sia opponibile in sede di applicazione del diritto dell’Unione.
154. Per quanto attiene alla valutazione del livello di protezione dei diritti fondamentali che deve essere garantito nell’ordinamento giuridico dell’Unione, occorre tener conto degli interessi specifici che muovono l’azione dell’Unione. Così è, in particolare, per quanto riguarda la necessaria uniformità di applicazione del diritto dell’Unione e le esigenze legate alla costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Questi interessi specifici portano a graduare il livello di protezione dei diritti fondamentali in funzione dei differenti interessi coinvolti.
2) Valutazione
155. Per gli stessi motivi esposti dalla Corte di giustizia nella sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni (65), l’interpretazione dell’articolo 53 della Carta suggerita dalla Corte costituzionale, a mio avviso, non può essere accolta.
156. Siffatta interpretazione viola una caratteristica essenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ossia il principio del primato del diritto dell’Unione. Infatti, tale interpretazione consente a uno Stato membro di opporsi all’attuazione di un obbligo stabilito dalla Corte di giustizia, che sia perfettamente conforme alla Carta, qualora tale obbligo non rispetti il livello di protezione più elevato dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione di tale Stato.
157. La Corte di giustizia ha quindi ricordato, nella sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni (66), che, in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può sminuire l’efficacia del diritto dell’Unione nel territorio di tale Stato (67).
158. Quando un atto di diritto dell’Unione richiede misure nazionali di attuazione, l’articolo 53 della Carta conferma che resta effettivamente consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha precisato che tale applicazione non deve compromettere il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte di giustizia, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione (68).
159. Nelle mie conclusioni nella causa Melloni (69), ho distinto i casi in cui esiste, a livello di Unione, una definizione del grado di protezione che deve essere accordato a un diritto fondamentale in sede di attuazione di un’azione dell’Unione rispetto a quelli in cui detto livello di protezione non è stato oggetto di una definizione comune.
160. Nel primo caso, ho sostenuto che la pretesa, a posteriori, di uno Stato membro di mantenere il livello di protezione più elevato da esso accordato rompe di conseguenza l’equilibrio raggiunto dal legislatore dell’Unione e compromette così l’applicazione del diritto dell’Unione. Il livello di protezione è stato infatti fissato in modo da rispondere agli obiettivi dell’azione dell’Unione considerata. Esso è quindi l’espressione di un equilibrio tra la necessità di garantire l’efficacia dell’azione dell’Unione e quella di proteggere adeguatamente i diritti fondamentali.
161. Per contro, nel secondo caso, gli Stati membri beneficiano di un margine di discrezionalità più ampio nell’accordare, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, il livello di protezione dei diritti fondamentali che essi intendono garantire all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale. Ho tuttavia sottolineato che tale livello di protezione si deve allora conciliare con la corretta attuazione del diritto dell’Unione e non deve ledere altri diritti fondamentali protetti in forza del diritto dell’Unione.
162. Conformemente all’articolo 325 TFUE, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione richiede misure nazionali di attuazione. Queste ultime devono garantire, conformemente ai principi di equivalenza e di effettività, la repressione dei reati lesivi di tali interessi, mediante l’imposizione di sanzioni penali che devono essere effettive e dissuasive. Nella fattispecie, richiedendo ai giudici nazionali di disapplicare, nell’ambito dei procedimenti in corso, le norme sulla prescrizione di cui trattasi, la Corte di giustizia tende a garantire tale obiettivo nel rispetto dell’articolo 49 della Carta e in linea con la portata riconosciuta al principio di legalità dei reati e delle pene dall’articolo 7 della CEDU.
163. È pur vero che non esiste attualmente alcuna definizione comune, a livello dell’Unione, della necessaria portata del principio di legalità dei reati e delle pene e del grado di protezione da accordare, in tale ambito, alla persona sottoposta a procedimento penale quando è in discussione l’applicazione delle norme sulla prescrizione (70). Pertanto, gli Stati membri beneficiano, in via di principio, di un margine di discrezionalità più ampio per applicare un livello di tutela più elevato, a condizione, tuttavia, che quest’ultimo garantisca il primato e l’effettività del diritto dell’Unione.
164. Orbene, si impongono a questo punto tre osservazioni.
165. In primo luogo, se è pur vero che le norme sulla prescrizione non sono ancora oggetto di armonizzazione, tuttavia il principio del termine ragionevole stabilito all’articolo 47, paragrafo 2, della Carta costituisce, al pari dell’atto giuridico che lo sancisce, l’archetipo della norma armonizzata, che può essere fatta valere direttamente.
166. In secondo luogo, l’applicazione del livello di tutela di cui all’articolo 25, paragrafo 2, della Costituzione italiana, fatto valere dalla Corte costituzionale, compromette il primato del diritto dell’Unione, in quanto consente di ostacolare l’attuazione di un obbligo stabilito dalla Corte di giustizia il quale è non solo conforme alla Carta, ma anche in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
167. Infine, in terzo luogo, tale applicazione compromette l’effettività del diritto dell’Unione, in quanto i reati di cui trattasi, che ledono gli interessi finanziari di quest’ultima, non potranno essere oggetto di una condanna definitiva tenuto conto del termine di prescrizione assoluto, e resteranno quindi impuniti.
168. Ritengo, pertanto, che l’articolo 53 della Carta non consenta all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. con la motivazione che tale obbligo non rispetterebbe il livello di tutela più elevato dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione di tale Stato.
c) Sul rispetto dell’identità costituzionale della Repubblica italiana
169. La terza questione pregiudiziale formulata dal giudice del rinvio riguarda la portata dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
170. La Corte costituzionale sostiene, infatti, che l’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., in quanto viola un principio supremo del suo ordinamento costituzionale, il principio di legalità dei reati e delle pene, può compromettere l’identità nazionale, e in particolare costituzionale, della Repubblica italiana.
171. Essa sottolinea che il diritto dell’Unione, così come l’interpretazione di tale diritto adottata dalla Corte di giustizia, non possono essere intesi nel senso che impongono allo Stato membro di rinunciare ai principi supremi del suo ordinamento costituzionale, i quali definiscono la sua identità costituzionale. Pertanto, l’attuazione di una sentenza della Corte di giustizia sarebbe sempre subordinata alla condizione della compatibilità di quest’ultima con l’ordinamento costituzionale dello Stato membro, la quale deve essere valutata dalle autorità nazionali e, nella fattispecie, in Italia, dalla Corte costituzionale.
172. La posizione che propongo alla Corte di giustizia nella presente causa non porta a negare la necessità di tener conto dell’identità nazionale degli Stati membri, di cui l’identità costituzionale fa certamente parte (71).
173. Riconosco infatti che l’Unione è tenuta, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, a rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, «insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale».
174. Riconosco inoltre che il preambolo della Carta ricorda che, nella sua azione, l’Unione deve rispettare l’identità nazionale degli Stati membri.
175. Pertanto, uno Stato membro che consideri una disposizione del diritto primario o del diritto derivato lesiva della sua identità nazionale può contestarla in base al disposto dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
176. Tuttavia, non ritengo di trovarmi di fronte a una situazione di tal genere nel caso di specie.
177. Anzitutto, la Corte di giustizia ha sempre dichiarato che il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione di uno Stato membro, vuoi i principi di una Costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto dell’Unione né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato, e ciò al fine di preservare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione. Secondo giurisprudenza costante, la validità di tali atti può essere quindi valutata solo in relazione al diritto dell’Unione (72).
178. Inoltre, non sono convinto del fatto che l’applicazione immediata di un termine di prescrizione più lungo, derivante dall’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., sia tale da pregiudicare l’identità nazionale della Repubblica italiana.
179. Infatti, non si deve confondere quanto rientra in una concezione esigente della tutela di un diritto fondamentale con una lesione dell’identità nazionale o, più precisamente, dell’identità costituzionale di uno Stato membro. Nel caso di specie viene certamente in rilievo un diritto fondamentale protetto dalla Costituzione italiana la cui importanza non può essere sottovalutata, ma questo non significa, di per sé, che debba essere presa in considerazione l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.
180. Inoltre, la Corte costituzionale non espone le ragioni per cui occorre conferire lo status di principio «supremo» dell’ordinamento costituzionale a tutti gli aspetti del principio di legalità dei reati e delle pene (73) né le ragioni per cui l’applicazione immediata di un termine di prescrizione più lungo potrebbe rimettere in discussione l’identità costituzionale della Repubblica italiana.
181. Rilevo che, nella Costituzione italiana, i principi qualificati come «fondamentali» sono elencati agli articoli da 1 a 12 della stessa, e il principio di legalità dei reati e delle pene ne è quindi, a priori, escluso.
182. È noto che la portata e il rango di un principio nell’ordinamento costituzionale italiano possono anche essere opera della giurisprudenza costituzionale.
183. Orbene, la Corte costituzionale ha già affermato che solo il «nucleo centrale» di un principio fondamentale può giustificare l’avvio della procedura cosiddetta dei «controlimiti», con esclusione dei diversi istituti nei quali tale diritto può concretamente estrinsecarsi e atteggiarsi nel corso della storia e secondo le esigenze di quest’ultima (74).
184. In una recente sentenza, la Corte costituzionale ha confermato tale approccio affermando che i principi «supremi» o «fondamentali» dell’ordinamento costituzionale sono quelli che lo identificano e che rappresentano il «nucleo centrale» della Costituzione italiana (75).
185. Peraltro, ai punti 10 e 11 delle sue osservazioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (76), e, in particolare, delle sue spiegazioni relative all’avvio della procedura cosiddetta dei «controlimiti», la Repubblica italiana ha precisato che i principi supremi o fondamentali del suo ordinamento costituzionale, la cui violazione da parte di un atto di diritto dell’Unione giustificherebbe l’avvio di detta procedura (77), corrispondono alle garanzie costituzionali essenziali, come la natura democratica della Repubblica italiana sancita all’articolo 1 della Costituzione italiana o, ancora, il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della stessa, e non includerebbero le garanzie processuali, per quanto importanti esse siano.
186. Pertanto, tenuto conto di tali elementi, non sono convinto del fatto che l’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a., in quanto comporta che il giudice nazionale applichi immediatamente a un procedimento in corso un termine di prescrizione più lungo di quello previsto dalla legge in vigore al momento della commissione del reato, possa ledere l’identità nazionale della Repubblica italiana.
187. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, ritengo quindi che l’articolo 4, paragrafo 2, TUE non consenta all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco e a. con la motivazione che l’applicazione immediata a un procedimento in corso di un termine di prescrizione più lungo di quello previsto dalla legge in vigore al momento della commissione del reato sarebbe tale da compromettere l’identità nazionale di tale Stato.
VIII. Conclusione
188. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di giustizia di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte costituzionale (Italia) nel seguente modo:
1) L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, che agisce quale giudice di diritto comune dell’Unione, di disapplicare il termine di prescrizione assoluto risultante dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale nell’ipotesi in cui siffatta normativa impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
2) La nozione di interruzione della prescrizione dev’essere considerata una nozione autonoma del diritto dell’Unione e dev’essere definita nel senso che ogni atto diretto al perseguimento del reato nonché ogni atto che ne costituisce la necessaria prosecuzione interrompe il termine di prescrizione; tale atto fa quindi decorrere un nuovo termine, identico al termine iniziale, mentre il termine di prescrizione già decorso viene cancellato.
3) L’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che le autorità giudiziarie italiane disapplichino, nell’ambito dei procedimenti in corso, il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale conformemente all’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555).
4) L’articolo 53 della Carta dei diritti fondamentali non consente all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) con la motivazione che tale obbligo non rispetterebbe il livello di tutela più elevato dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione di tale Stato.
5) L’articolo 4, paragrafo 2, TUE non consente all’autorità giudiziaria di uno Stato membro di opporsi all’esecuzione dell’obbligo stabilito dalla Corte di giustizia nella sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) con la motivazione che l’applicazione immediata a un procedimento in corso di un termine di prescrizione più lungo di quello previsto dalla legge in vigore al momento della commissione del reato sarebbe tale da compromettere l’identità nazionale di tale Stato.
note
1 Lingua originale: il francese.
2 C‑105/14; in prosieguo: la «sentenza Taricco e a.», EU:C:2015:555.
3 C‑617/10, EU:C:2013:105.
4 In prosieguo: la «Carta».
5 Tale procedura si basa sull’idea secondo la quale l’ordinamento giuridico italiano, pur riconoscendo e ammettendo una limitazione della sua sovranità da parte del diritto dell’Unione, pone altresì dei limiti a quest’ultimo per tutelare i valori fondamentali sui quali detto ordinamento si basa. V. al riguardo, le precisazioni fornite dalla Repubblica italiana nell’ambito delle osservazioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 16 giugno 2015, Gauweiler e a. (C‑62/14, EU:C:2015:400), nonché la sentenza n. 183/73 della Corte costituzionale alla quale viene fatto riferimento al punto 7 di tali osservazioni: «in base all’art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni (…) possano comunque comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. (…) ovvio che qualora dovesse mai darsi all’art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali».
6 C‑62/14, EU:C:2015:400.
7 In prosieguo: la «CEDU».
8 C‑399/11, EU:C:2013:107.
9 GURI n. 285, del 7 dicembre 2005, pag. 5; in prosieguo: la «legge ex Cirielli».
10 Direttiva del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).
11 Supplemento ordinario alla GURI n. 185, dell’8 agosto 2008.
12 Taluni giudici nazionali hanno adottato tuttavia una diversa posizione: v. sentenze n. 2210/16 della Corte suprema di cassazione, Terza Sezione penale, del 20 gennaio 2016 (nella quale la Corte suprema di cassazione applica i principi stabiliti nella sentenza Taricco e a., in quanto dichiara che il regime della prescrizione rientra intrinsecamente in un regime di natura processuale, e ritiene che non sia necessario rimettere una questione di costituzionalità alla Corte costituzionale), n. 7914/16 della Corte suprema di cassazione, Quarta Sezione penale, del 26 febbraio 2016 (nella quale la Corte suprema di cassazione conferma tale obbligo di disapplicazione del regime di prescrizione esclusivamente nei casi in cui il procedimento non sia effettivamente prescritto), e, infine, n. 44584/16 della Corte suprema di cassazione, Terza Sezione penale, del 24 ottobre 2016 (nella quale la Corte suprema di cassazione stabilisce i criteri applicabili per disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi).
13 Il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania e la Repubblica francese aderiscono a una nozione processuale delle norme sulla prescrizione. In altri Stati membri, quali la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica di Lettonia, o ancora la Romania o il Regno di Svezia, tali norme rientrano, come nell’ordinamento giuridico italiano, nel diritto penale sostanziale. Per la Repubblica di Polonia o la Repubblica portoghese, le norme sulla prescrizione costituiscono norme sia sostanziali sia processuali.
14 C‑399/11, EU:C:2013:107.
15 Decisione quadro del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (GU 2009, L 81, pag. 24).
16 V., in particolare, primo rendiconto della attività 1° luglio 2010-30 giugno 2011, Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Milano, pag. 12, punto 3.4 (Il problema prescrizione), e pag. 16, punto 5.1 (La criminalità economica), disponibile al seguente indirizzo Internet: http://www.procura.milano.giustizia.it/files/relazione-25-luglio-2011.pdf; nonché Bilancio di responsabilità sociale 2011‑2012, pag. 28, disponibile al seguente indirizzo Internet: http://www.procura.milano.giustizia.it/files/bilancio-sociale-procura-12-dic-2012.pdf.
17 Commissione Fiorella – Per lo studio di possibile riforma della prescrizione, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.page;jsessionid=J2kpebY+SYa6GMnDwpBxPZ+7?facetNode_1= 0_10&facetNode_2= 3_1&facetNode_3= 4_57&contentId=SPS914317&previsiousPage=mg_1_12.
18 Allegato 12 della Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Italia, del 3 febbraio 2014 .
19 V. pagg. 8 e 9 di tale relazione. La Commissione si riferisce in particolare allo studio Timed Out:Statutes of Limitation and Prosecuting Corruption in EU Countries, del mese di novembre 2010, nel quale l’organizzazione non governativa Transparency International ha esaminato l’incidenza dei termini di prescrizione in materia di azioni giudiziarie contro la corruzione nell’Unione: tra l’anno 2005 e l’anno 2010 un procedimento su dieci si è estinto per scadenza dei termini di prescrizione, mentre la media negli altri Stati membri si colloca tra lo 0,1% e il 2% (pag. 8).
20 Raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012‑2017 (GU 2013, C 217, pag. 42), v. considerando 12 nonché raccomandazione 2.
21 Corte EDU, 29 marzo 2011, CE:ECHR:2011:0329JUD004735708. V., in particolare, §§ 95 e 97 nonché § 108, nel quale la Corte europea dei diritti dell’uomo rileva che «tenuto conto dell’esigenza di celerità e di ragionevole diligenza, implicita nel contesto degli obblighi positivi in causa , basta osservare che l’applicazione della prescrizione rientra incontestabilmente nella categoria di quelle “misure” inammissibili secondo la giurisprudenza della Corte in quanto ha avuto come effetto quello di impedire una condanna».
22 Corte EDU, 7 aprile 2015, CE:ECHR:2015:0407JUD000688411.
23 V. Corte EDU, 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, CE:ECHR:2015:0407JUD000688411, § 225.
24 Corte EDU, 7 aprile 2015, CE:ECHR:2015:0407JUD000688411.
25 V. §§ 225, 242 e 245 di tale sentenza.
26 V. §§ 208 e 246 di detta sentenza.
27 Tali relazioni possono essere consultate sul sito Internet del GRECO (http://www.coe.int/fr/web/greco/evaluations) – valutazione per paese.
28 V., in particolare, Italia: fase 2, relazione sull’applicazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e della raccomandazione del 1997 sulla lotta alla corruzione nelle operazioni economiche internazionali, del 29 novembre 2004, punti 146 e segg., nonché Italia: fase 2, relazione di verifica sull’attuazione delle raccomandazioni relative alla fase 2, Applicazione della convenzione e della raccomandazione riveduta del 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, del 23 marzo 2007, raccomandazione 7 (b), pag. 17, e relazione della fase 3 sull’attuazione, da parte dell’Italia, della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione, del 16 dicembre 2011, punti 94 e segg. (relazioni disponibili al seguente indirizzo Internet: http://www.oecd.org/fr/daf/anti-corruption/italie-conventiondelocdesurlaluttecontrelacorruption.htm).
29 Tale disposizione richiede che sia fissato «un termine di decorso adeguato per le indagini e il perseguimento del reato».
30 Proposta di legge n. 1844 intitolata «Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato», disponibile sul sito Internet del Senato: http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/45439.htm.
31 1764.
32 Montesquieu, De l’Esprit des Lois (libro XI, capitolo VI, de la Constitution d’Angleterre), 1748.
33 V. Cornu, G., Vocabulaire juridique, Presses universitaires de France, Parigi, 2011.
34 Nella risoluzione del 16 maggio 2017 sulla relazione annuale 2015 sulla tutela degli interessi finanziari dell’UE – Lotta contro la frode , il Parlamento europeo ha rilevato che la frode carosello IVA era responsabile da sola del mancato gettito IVA di circa 50 miliardi di EUR nel 2014.
35 Secondo giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell’uomo, richiamata nella sentenza del 12 ottobre 1992, Boddaert c. Belgio (CE:ECHR:1992:1012JUD001291987, § 39), anche se l’articolo 6 della CEDU prescrive effettivamente la celerità dei procedimenti giudiziari, tale disposizione sancisce altresì il principio, più generale, di buona amministrazione della giustizia. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, occorre, quindi, creare un giusto equilibrio tra i diversi aspetti di tale requisito fondamentale.
36 Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, una causa presenta una particolare complessità quando i sospetti riguardano la criminalità «dei colletti bianchi», in particolare nei casi di frode su vasta scala che coinvolge numerose società o implica operazioni complesse aventi lo scopo di sfuggire al controllo degli organi inquirenti e che necessita di una consistente perizia contabile e finanziaria. V., segnatamente, sentenza del 1° agosto 2000, C.P. e a. c. Francia (CE:ECHR:2000:0801JUD003600997, § 26 e giurisprudenza ivi citata), relativa a una vicenda economica e finanziaria di distrazione di beni sociali, appropriazione indebita, falso e falsità in atti, nonché truffa, che sottopone a giudizio un gruppo di varie società e coinvolge diverse persone. In tale causa, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che la caratteristica fondamentale della vicenda era la sua estrema complessità, in quanto si trattava di una frode su vasta scala che coinvolgeva numerose società, che questo tipo di reato era commesso mediante operazioni complesse aventi lo scopo di sfuggire al controllo degli organi inquirenti, che il compito preliminare delle autorità giudiziarie consisteva nel districare una rete di società tra loro collegate e nell’individuare l’esatta natura dei rapporti tra ciascuna di esse sul piano istituzionale, amministrativo e finanziario, e che era stato necessario organizzare rogatorie internazionali nonché una consistente perizia contabile e finanziaria.
37 Proposta di direttiva dell’11 luglio 2012, COM(2012) 363 final; in prosieguo: la «proposta di direttiva PIF». Tale direttiva avrebbe come obiettivo di stabilire regole minime relative alla definizione dei reati, delle sanzioni e dei termini di prescrizione nel settore della lotta contro la frode e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione, al fine di contribuire più efficacemente a una migliore tutela contro la criminalità lesiva di tali interessi. Essa tende quindi a rafforzare il livello di tutela attualmente garantito dalla convenzione stabilita in base all’articolo K.3 TUE, relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Lussemburgo il 26 luglio 1995 (GU 1995, C 316, pag. 49; in prosieguo: la «convenzione PIF»), alla quale tale direttiva si sostituirà per gli Stati membri che hanno ratificato detta convenzione.
38 V. proposta di regolamento del Consiglio che istituisce la Procura europea, del 17 luglio 2013 , nonché progetto di regolamento, del 31 gennaio 2017, che istituisce la Procura europea (documento 5766/17). Se il progetto di regolamento sarà adottato, la Procura europea sarà competente per tutti i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, tra i quali figurano le frodi transfrontaliere in materia di IVA. Il 3 aprile 2017, sedici Stati membri hanno notificato la loro intenzione di avviare una cooperazione rafforzata per l’istituzione della Procura europea: il Regno del Belgio, la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ceca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica di Croazia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lituania, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica portoghese, la Romania, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca e la Repubblica di Finlandia.
39 V. anche punto 93 della relazione speciale n. 24/2015 della Corte dei conti europea «Lotta alle frodi nel campo dell’IVA intracomunitaria: sono necessari ulteriori interventi», in cui viene rilevato che «pesso le frodi nel campo dell’IVA sono connesse alla criminalità organizzata. I proventi delle frodi intracomunitarie dell’operatore “fantasma” vengono di norma reinvestiti in altre attività criminali. È necessario pertanto adottare un approccio comune e pluridisciplinare per far fronte alle frodi relative all’IVA » (pag. 36).
40 La convenzione PIF ha istituito de facto un regime a più velocità, che sfocia in un mosaico di situazioni giuridiche differenti a seconda che essa abbia o meno forza di legge nello Stato membro considerato.
41 V. libro verde della Commissione, dell’11 dicembre 2001, sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una procura europea ; comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 26 maggio 2011, sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea attraverso il diritto penale e le indagini amministrative, Una politica integrata per salvaguardare il denaro dei contribuenti ; proposta di direttiva PIF; comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 17 luglio 2013, Tutelare meglio gli interessi finanziari dell’Unione: una Procura europea e un nuovo Eurojust ; comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e ai parlamenti nazionali sul riesame della proposta di regolamento del Consiglio, del 27 novembre 2013, che istituisce la Procura europea per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, a norma del protocollo n. 2 , (punto 2.3); proposta di regolamento del Consiglio, del 17 luglio 2013, che istituisce la Procura europea (v., in particolare, scheda finanziaria, punto 1.5, pag. 49) nonché progetto di regolamento, del 31 gennaio 2017, che istituisce la Procura europea (documento 5766/17), e, infine, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell’articolo 294, paragrafo 6, TFUE riguardante la posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 maggio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (punto 3).
42 V. considerando 15 della proposta di direttiva PIF, nonché documento di lavoro della Commissione, disponibile solo in lingua inglese, Commission staff working paper to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions Accompanying the document communication from the Commission on the protection of the financial interests of the European Union by criminal law and by administrative investigations: An integrated policy to safeguard taxpayers’ money , del 26 maggio 2011 (pagg. 3 e 4). V. anche relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 19 luglio 2012, Tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea – Lotta contro la frode, relazione annuale 2011 , nella quale la Commissione ha rilevato che la percentuale di successo delle azioni giudiziarie relative a reati contro il bilancio dell’Unione varia notevolmente da uno Stato membro all’altro (dal 14% all’80%). Nella sua undicesima relazione operativa, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha altresì analizzato il seguito giudiziario dato ai casi da esso esaminati dagli Stati membri su un periodo di dodici anni e ha constatato «differenze assai nette tra i paesi a livello di capacità di concludere, con una condanna ed entro un termine ragionevole, indagini e azioni penali relative a reati a danno del bilancio dell’UE» (pagg. da 42 a 44 e, in particolare, tabella pag. 43), relazione disponibile al seguente indirizzo Internet: https://ec.europa.eu/anti‑fraud/sites/antifraud/files/docs/body/rep_olaf_2010_en.pdf
43 Punto 58 di tale sentenza. Il corsivo è mio.
44 Punto 58 di tale sentenza. Il corsivo è mio.
45 Al considerando 14 della proposta di direttiva PIF, la Commissione ha ritenuto che i casi di frode grave dovessero essere definiti «in riferimento a un danno globale minimo, espresso in denaro, provocato dalla condotta illecita contro il bilancio dell’Unione (…)».
46 V. spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17).
47 Corte EDU, 22 giugno 2000, CE:ECHR:2000:0622JUD003249296.
48 Corte EDU, 12 febbraio 2013, CE:ECHR:2013:0212DEC000184508.
49 Corte EDU, 22 settembre 2015, CE:ECHR:2015:0922DEC005595914.
50 Corte EDU, 22 giugno 2000, Cöeme e a. c. Belgio, CE:ECHR:2000:0622JUD003249296, § 145.
51 Corte EDU, 22 settembre 2015, Borcea c. Romania, CE:ECHR:2015:0922DEC005595914, § 60.
52 Corte EDU, 22 giugno 2000, Cöeme e a. c. Belgio, CE:ECHR:2000:0622JUD003249296, § 145.
53 Corte EDU, 22 giugno 2000, CE:ECHR:2000:0622JUD003249296.
54 Corte EDU, 22 settembre 2015, CE:ECHR:2015:0922DEC005595914, § 64.
55 Corte EDU, 12 febbraio 2013, Previti c. Italia, CE:ECHR:2013:0212DEC000184508, § 80. Per qualificare una disposizione come parte del diritto penale sostanziale o del diritto penale processuale, la Corte europea dei diritti dell’uomo esamina in quale misura tale disposizione influisca sulla qualificazione del reato o sulla severità della pena. Nella sentenza della Corte EDU del 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia (CE:ECHR:2009:0917JUD001024903, §§ da 110 a 113), dopo aver rilevato che una disposizione qualificata come processuale nel diritto interno influiva sulla severità della pena da infliggere, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che tale disposizione rientrava, in realtà, nel diritto penale sostanziale e ad essa era applicabile l’ultima frase del suddetto articolo 7, paragrafo 1.
56 Corte EDU, 12 febbraio 2013, CE:ECHR:2013:0212DEC000184508.
57 Corte EDU, 12 febbraio 2013, CE:ECHR:2013:0212DEC000184508.
58 Corte EDU, 12 febbraio 2013, CE:ECHR:2013:0212DEC000184508, § 80.
59 Conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le norme sulla retroattività contenute nell’articolo 7 della CEDU si applicano soltanto alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono. In via di principio, tali norme non si applicano alle leggi processuali, la cui applicazione immediata, conformemente al principio tempus regit actum, è stata dichiarata ragionevole dalla Corte.
60 V., in particolare, Corte EDU, 22 giugno 2000, Cöeme e a. c. Belgio, CE:ECHR:2000:0622JUD003249296, § 149.
61 Corte EDU, 12 febbraio 2013, Previti c. Italia, CE:ECHR:2013:0212DEC000184508, §§ da 80 a 85.
62 Corte EDU, 22 settembre 2015, Borcea c. Romania, CE:ECHR:2015:0922DEC005595914, § 59.
63 Tali considerazioni sono contenute nei paragrafi da 106 a 112 delle mie conclusioni nella causa Melloni (C‑399/11, EU:C:2012:600).
64 V. sentenza del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, EU:C:1970:114, punto 4).
65 C‑399/11, EU:C:2013:107.
66 C‑399/11, EU:C:2013:107.
67 Punto 59 e giurisprudenza citata in tale sentenza.
68 Punto 60 della sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107).
69 C‑399/11, EU:C:2012:600.
70 Si tende verso siffatta armonizzazione del livello di tutela nell’ambito della proposta di direttiva PIF e dell’istituzione della Procura europea mediante la definizione comune della frode contro gli interessi finanziari dell’Unione nonché mediante l’armonizzazione delle sanzioni e delle norme sulla prescrizione applicabili. Se tali testi non affrontano la questione della natura processuale o sostanziale delle norme sulla prescrizione e non risolvono quindi la questione della loro retroattività, tale punto dovrà essere necessariamente esaminato dal legislatore dell’Unione o dalla Corte di giustizia al fine di garantire la necessaria uniformità di applicazione del diritto dell’Unione e di tener conto delle esigenze legate alla costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In tal caso, sorgerà la questione se si debba seguire l’interpretazione adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in modo tale che l’interpretazione dell’articolo 49 della Carta sia in linea con la portata riconosciuta al principio garantito dall’articolo 7 della CEDU, in quanto la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, lo ricordo, che le norme sulla prescrizione costituiscono norme processuali, le quali possono essere oggetto di applicazione immediata nei procedimenti in corso conformemente al principio tempus regit actum, qualora tale applicazione sia ragionevole e non arbitraria.
71 V. in particolare, al riguardo, Simon, D., «L’identité constitutionnelle dans la jurisprudence de l’Union européenne», L’identité constitutionnelle saisie par les juges en Europe, Éditions A. Pedone, Parigi, 2011, pag. 27; Constantinesco, V., «La confrontation entre identité constitutionnelle européenne et identités constitutionnelles nationales, convergence ou contradiction? Contrepoint ou hiérarchie?», L’Union européenne:Union de droit, Union des droits – Mélanges en l’honneur de Philippe Manin, Éditions A. Pedone, Parigi, 2010, pag. 79, e, nella stessa opera, Mouton, J.‑D., «Réflexions sur la prise en considération de l’identité constitutionnelle des États membres de l’Union européenne», pag. 145.
72 V. sentenza del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, EU:C:1970:114, punto 3).
73 Lo status di un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale è opera, in particolare, della Corte costituzionale (v. sentenze n. 183/73, del 17 dicembre 1973, e n. 170/84, dell’8 giugno 1984), che fa talvolta riferimento ai «principi fondamentali» o ai «principi supremi» dell’ordinamento costituzionale o ancora ai «diritti inalienabili della persona» senza indicare chiaramente la differenza tra tali nozioni. Sembra che esista tuttavia una differenza non trascurabile in quanto, secondo la Corte costituzionale, la ratifica di un trattato internazionale è subordinata alla condizione del rispetto di tutte le disposizioni della Costituzione italiana mentre il primato del diritto dell’Unione è subordinato unicamente alla condizione del rispetto dei suoi principi supremi.
74 V. sentenza della Corte costituzionale n. 18/82, del 2 febbraio 1982, punto 4 dei motivi di diritto: «il diritto alla tutela giurisdizionale si colloca al dichiarato livello di principio supremo solo nel suo nucleo più ristretto ed essenziale» e «tale qualifica non può certo estendersi ai vari istituti in cui esso concretamente si estrinseca e secondo le mutevoli esigenze storicamente si atteggia».
75 V., al riguardo, sentenza della Corte costituzionale, n. 238/2014, del 22 ottobre 2014, punto 3.2.
76 C‑62/14, EU:C:2015:400.
77 Sembra che la Corte costituzionale abbia giustificato l’avvio della procedura cosiddetta dei «controlimiti» in due casi, uno rientrante in un conflitto tra una norma di diritto interno e il Concordato (sentenza n. 18/82, del 2 febbraio 1982) e l’altro in un conflitto tra una norma di diritto interno e il diritto internazionale (sentenza n. 238/2014, del 22 ottobre 2014).