È rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, che, con riferimento a condotte anteriori alla sua entrata in vigore, ha determinato un aggravamento del regime della punibilità (consistente nel prolungamento, pari a sessantatré giorni, del tempo necessario a prescrivere), così contrastando con il principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in forza del quale le modifiche normative che comportino un aggravamento del regime della punibilità devono spiegare la propria efficacia con riferimento ai soli fatti commessi quando la stesse erano già in vigore.
Giudice Spina
Osserva
1. Premessa – In via preliminare, occorre evidenziare che il presente giudizio ha ad oggetto distinte contestazioni di reati edilizi, commessi prima del 9 marzo 2020.
1.1. Secondo l’ipotesi accusatoria, più in particolare, A. P., D. C. e G. D. M., in concorso tra loro e nelle rispettive qualità di committente, progettista e rappresentante legale della ditta esecutrice dei lavori, avrebbero eseguito opere edilizie in assenza di titolo abilitativo o, comunque, in totale difformità dallo stesso, proseguendo poi i lavori già avviati nonostante l’intervenuta sospensione degli stessi, disposta con ordinanza dell’autorità comunale.
1.2. Il Pubblico Ministero, in effetti, ha contestato agli imputati di aver violato gli artt. 100 cod. pen. e 44, primo comma, lettera b) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, articolando l’accusa in due distinti capi d’imputazione: al capo 1) della rubrica è stata contestata l’esecuzione di lavori sine titulo o in totale difformità dal titolo riconosciuto, con condotta protrattasi sino al 29 agosto 2014, allorquando è intervenuta la notifica dell’ordine di sospensione dei lavori, emesso dal comune di Colle di Val d’Elsa; al capo 2), invece, è stata contestata la ripresa dei lavori già sospesi, iniziata in data successiva a quella dell’intervenuto ordine di sospensione e proseguita sino al 16 maggio2015, allorquando la polizia locale del comune di Colle di Val d’Elsa è intervenuta sul posto, eseguendo un sopralluogo.
1.3. Nell’imputazione, il fatto ascritto al capo 1) risulta accertato in data 29 agosto 2014, mentre quello ascritto al capo 2) risulta accertato in data 16 maggio 2015.
1.4. In ordine a tali contestazioni, l’azione penale è stata esercitata l’11 luglio 2018, mediante decreto di citazione diretta a giudizio.
2. Sul termine di prescrizione del reato contestato al capo 2) – Tanto premesso sui fatti per cui si procede, decisiva appare, anzitutto, l’individuazione del giorno di consumazione del reato contestato al capo 2), per l’indubbio rilievo che tale dato assume al fine di determinarne il tempo necessario a prescrivere.
2.1. Al riguardo, osserva il Tribunale che in tema di reati edilizi il tempus commissi delicti, rilevante ai fini del decorso della prescrizione, può coincidere, a seconda dei casi: a) o con l’ultimazione dei lavori per integrale completamento dell’opera, inclusa la realizzazione delle rifiniture; b) o con la sospensione dei lavori, sia essa volontaria o imposta per fatto del terzo (qual è, ad esempio, l’intervenuto sequestro dell’opera); c) oppure con la sentenza di primo grado, là dove i lavori siano continuati anche dopo l’accertamento del reato (v., ex plurimis, Cass. pen., Sez. 3, sent. n. 46215 del 03/07/2018, Rv. 274201; Sez. 3, sent. n. 29974 del 06/05/2014, Sullo, Rv. 260498; Sez. 3, sent. n. 8172 del 27/01/2010, Vitali, Rv. 246221; Sez. 3, sent. n. 38136 del 25/09/2001, Triassi, Rv. 220351).
2.2. Dall’istruttoria dibattimentale, grazie alla testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria Alessandro Burragato, è peraltro emerso che il giorno in cui è stato eseguito il sopralluogo, ossia il 16 maggio 2015, i lavori risultavano cessati e il manufatto completamente ultimato e rifinito. Non è stato possibile, tuttavia, accertare una data di ultimazione delle opere antecedente al 16 maggio 2015 e da cui poter eventualmente far decorrere il termine necessario a prescrivere.
2.3. Considerate, pertanto, le previsioni di cui agli artt. 157, 160 e 161 cod. pen., il termine quinquennale massimo di prescrizione deve, quindi, ritenersi decorso al giorno 16 maggio 2020, non essendo nel frattempo maturata alcuna sospensione del corso della prescrizione, ad eccezione di quella oggi prevista nell’art. 83, comma quarto, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.
3. Sulla norma oggetto della questione di legittimità costituzionale e sulla sua applicabilità al reato contestato al capo 2) – Al fine di meglio chiarire la rilevanza della questione di legittimità costituzionale proposta con il presente provvedimento, occorre preliminarmente ricostruire il complesso degli atti legislativi disposti in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, soffermandosi in particolare sul decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. Tale ultimo atto, infatti, deve letto nell’ambito della sequela di interventi legislativi, eccezionali ed urgenti, inaugurata con decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 e chiusa, per quel che qui rileva, dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23.
3.1. Con il d.l. 11/2020 (dapprima abrogato dall’art. 1, comma 2, della medesima legge 24 27/2020, di conversione del d.l. 18/2020, e poi decaduto, in data 7 maggio 2020, per mancata conversione in legge, nel termine fissato dalla Costituzione) è stato infatti inizialmente previsto “un differimento urgente delle udienze e una sospensione dei termini nei procedimenti civili, penali, tributari e militari sino al 22 marzo 2020” (così, testualmente, la relazione illustrativa al d.d.l. di conversione in legge del d.l. 18/2020.
3.2. Il termine del 22 marzo 2020 è stato prorogato, dapprima, al 15 aprile 2020, in forza dell’art. 83, primo comma, d.l. 18/2020 e, successivamente, all’11 maggio 2020, in virtù dell’art. 36, primo comma, d.l. 23/2020, che non ha tuttavia sostituito il pregresso termine inscritto nel corpo dell’art. 83, limitandosi a disporne la sola proroga, con autonoma disposizione.
3.3. Prevede, infatti, l’art. 83, primo comma, d.l. 18/2020 che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d‟ufficio a data successiva al 15 aprile 2020”, aggiungendo, al secondo comma, che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.”. Prevede, poi, l’art. 36, primo comma, d.l. 23/2020, che: “il termine del 15 aprile 2020 previsto dall‟articolo 83, commi 1 e 2, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 è prorogato all‟11 maggio 2020”.
3.4. Il dato teleologico della disciplina complessivamente prevista ai commi primo e secondo dell’art. 83 d.l. 18/2020 – come, d’altronde, espressamente affermato e riconosciuto dallo stesso legislatore (v. relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del d.l. 18/2020) – ruota attorno a un duplice asse: da un parte, la necessità di “sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell‟epidemia”; dall’altra, l’esigenza di “neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali”. In altri termini, se nel primo comma viene prescritto il “massivo differimento” di ogni attività processuale, disponendosi il rinvio obbligatorio di tutte le udienze già fissate tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020, nel secondo comma viene invece prevista la sospensione, per lo stesso periodo di tempo, del decorso dei termini processuali.
3.5. La disposizione che, in questa sede, risulta però di maggiore rilievo risiede nel comma quarto del citato art. 83: “nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2 altresì sospes, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione”.
3.6. In proposito, è facile rilevare come il legislatore abbia istituito uno stretto legame tra sospensione dei termini processuali e sospensione del corso della prescrizione, ancorando quest’ultima alla prima sia per quel che concerne i presupposti applicativi, che per quel che riguarda l’estensione temporale. Pertanto, là dove siano sospesi i termini per il compimento di qualsiasi attività processuale, resterà parimenti sospeso il corso della prescrizione, per un periodo di tempo sempre fisso e prestabilito, corrispondente all’arco di tempo che intercorre tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020 e, quindi, pari a sessantatré giorni complessivi.
3.7. È chiaro, peraltro, che un legame altrettanto stretto sussista anche tra rinvio (o differimento) d’udienza e sospensione del corso della prescrizione. Ritiene, infatti, il Tribunale che il rinvio obbligatorio d’udienza, previsto dell’art. 83, primo comma, d.l. 18/2020, altro non sia che una diversa forma di sospensione dal “compimento di qualsiasi atto dei procedimenti … penali”.
Non può fondatamente sostenersi, pertanto, che il richiamo al solo comma secondo dell’art. 83, operato dal comma quarto del medesimo articolo (“… nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2…”), valga ad escludere l’applicabilità della sospensione del corso della prescrizione per quei procedimenti penali in cui, ai sensi del comma primo, sia stato disposto il rinvio d’ufficio dell’udienza. Se così fosse, d’altronde, tale sospensione resterebbe di fatto inapplicata nella totalità dei procedimenti in cui sia stato disposto un rinvio d’udienza, in contrasto con la stessa ratio legis dell’intervento normativo in parola, che proprio tramite l’istituto della sospensione ha inteso “neutralizzare ogni effetto negativo” conseguente al “massivo differimento delle attività processuali”.
A tale rilievo, inoltre, se ne deve aggiungere un altro: la constatazione che l’art. 83 d.l. 18/2020 condensa in un’unica disposizione, seppure in parte revisionata e riordinata, la disciplina normativa inizialmente prevista dal d.l. 11/2020, poi infatti abrogato (e successivamente decaduto), in quanto definitivamente superato dal predetto art. 83. Da questo punto di vista, non può non rilevarsi, allora, come la disciplina originariamente prevista dal d.l. 11/2020, muovendosi nell’ambito del medesimo dato teleologico sotteso all’art. 83, ancorasse proprio al meccanismo del rinvio d’udienza l’operatività della sospensione del corso della prescrizione. Sarebbe, dunque, quantomeno irragionevole ritenere che una disciplina introdotta con la dichiarata finalità di razionalizzarne un’altra ad essa di poco precedente, e con la quale condivide lo scopo di contemperare lo strumento del differimento obbligatorio d’udienza con il meccanismo sospensivo, risulti poi massimamente carente e deficitaria proprio sotto quest’ultimo profilo.
3.8. In ragione di siffatti rilievi, ritiene pertanto il Tribunale che la prescrizione del reato contestato al capo 2) debba intendersi sospesa, in virtù dell’art. 83, quarto comma, d.l. 18/2020, per complessivi sessantatré giorni, dovendosi pertanto posticipare al 18 luglio 2020 il decorso del termine massimo di prescrizione. Tale effetto sospensivo, infatti, consegue al differimento dell’udienza del 16 aprile 2020 a quella del 21 maggio 2020, disposto con provvedimento depositato in cancelleria il 17 aprile 2020 e ritualmente notificato al Pubblico Ministero, agli imputati e ai loro difensori.
3.9. Questo giudicante, tuttavia, dubita della conformità a Costituzione di una norma che, prolungandone la durata di sessantatré giorni, modifica in senso sfavorevole per l’imputato il regime della prescrizione di un reato, commesso prima della sua entrata in vigore.
3.10. Detta norma, d’altra parte, non può essere certo ignorata dal Tribunale, essendosene verificata la condizione di applicazione, costituita dal differimento dell’udienza del 16 aprile 2020, disposto ai sensi dell’art. 83, primo comma, d.l. 18/2020 e dell’art. 36, primo comma, d.l. 23/2020.
23/2020.
3.11. Né può essere utilmente invocata la possibilità, per questo giudice, di definire il presente giudizio con pronuncia di proscioglimento nel merito, da adottarsi ai sensi dell’art. 129 cpv. cod. proc. pen. Pur essendosi, infatti, ormai esaurita l’assunzione delle prove, non è tuttavia possibile pervenire ad una pronuncia di assoluzione nel merito, se non previo meditato e approfondito apprezzamento delle risultanze istruttorie, dagli atti non emergendo alcuna circostanza evidente, chiara, manifesta e obiettiva, tale da escludere in radice l’esistenza del fatto contestato al capo 2), la non commissione del medesimo da parte degli imputati o la sua rilevanza penale.
3.12. Le considerazioni e i rilievi dianzi esposti, ad avviso di questo giudicante, depongono nel senso di escludere la possibilità che il presente giudizio possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione.
3.13. D’altra parte, esistono plurimi argomenti per escludere il carattere manifestamente infondato della predetta questione di legittimità costituzionale. Argomenti che attengono alle caratteristiche della prescrizione e alla sua natura, nonché al rapporto tra questa e il principio costituzionale di legalità in materia penale, come di seguito si andrà meglio a precisare.
4. Sull’istituto della prescrizione e sulla sua natura, nonché sul principio costituzionale di legalità in materia penale e sul suo ambito di applicazione – In via preliminare, osserva il giudicante come la prescrizione, misurando la rilevanza concreta che ha il decorso del tempo sul potere di punire, possa essere configurata come istituto che attiene o al profilo “statico” della potestà punitiva oppure a quello “dinamico”.
Là dove ad essere privilegiato sia il profilo “statico”, la prescrizione rientrerà allora in quel complesso di elementi che, descritti dalla legge quale presupposti di una pena, prende il nome di “reato”. Per converso, qualora ad essere preferito sia il profilo “dinamico”, la prescrizione sarà invece ricompresa nel novero di quella serie di attività che, dirette alla formulazione di un giudizio e alla conseguente condanna o assoluzione di un imputato, prende il nome di “processo”.
Nel primo caso, la prescrizione è intesa come elemento che deve necessariamente mancare affinché un fatto di reato possa dirsi punibile, concorrendo così a connotare la struttura stessa del reato e dovendo essere, pertanto, annoverata tra le figure di diritto penale sostanziale. Nel secondo caso, invece, essa andrà più propriamente caratterizzata come figura di diritto processuale e, più in particolare, come causa o condizione d’improcedibilità, affiancandosi così, quanto a esclusiva incidenza sull’azione penale, alla querela, all’istanza, alla richiesta e all’autorizzazione, da queste tuttavia differendo per il sol fatto che è la sua “sopravvenuta” presenza– e non già l’“originaria” assenza – a paralizzare l’esercizio dell’azione penale, impedendone l’inizio ovvero la prosecuzione.
L’alternativa tra le opzioni innanzi descritte, in definitiva, consiste nel ritenere la prescrizione o come istituto di diritto processuale, perciò regolata e governata, nei suoi profili di diritto intertemporale, dal principio tempus regit actum (v., ex plurimis, Cass. pen., Sez. 1, sent. n. 7385 del 05/06/2000, Hasani, Rv. 216255)); oppure, come istituto di diritto sostanziale e, dunque, retto e disciplinato dal principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, Cost.
4.1. Tanto premesso in via generale, ritiene il Tribunale che la prescrizione, nel nostro ordinamento, debba essere annoverata tra le figure di diritto sostanziale, come d’altronde espressamente affermato, in plurime occasioni, tanto dalla giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, Cass. pen., Sez. U, sent n. 13390 del 28/10/1998 Boschetti, Rv. 211904; Sez. U, sent. n. 33543 del 11/07/2001, Brembati, Rv. 219222; Sez. U, sent. n. 3760 del 16/03/1994, Munaro, Rv. 196575), quanto dalla giurisprudenza costituzionale.
4.2. Sul punto, di particolare rilievo appaiono le pronunce della Consulta rese nell’ambito della nota vicenda Taricco, ove il Giudice delle Leggi ha qualificato la prescrizione come “istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l‟effetto di impedire l‟applicazione della pena”, espressamente affermando che la stessa “rientra nell‟alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall‟art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza” (v. Corte cost., sentenza n. 115 del 2018 considerato in diritto, par. 10). Nella stessa pronuncia, la Consulta ha inoltre aggiunto che la prescrizione “deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all‟oblio e l‟interesse a perseguire i reati fino a quando l‟allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l‟applicazione per delitti di estrema gravità)”; precisando, tuttavia, che il potere del legislatore di modulare tale istituto deve comunque svolgersi “sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile”, ossia del principio di legalità in materiale penale e, con esso, del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole al reo (v. Corte cost., sentenza n. 115 del 2018 considerato in diritto, sempre par. 10).
Ma già in sede di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che “nell‟ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall‟art. 25, secondo comma, Cost.”, aggiungendo trattarsi di “giusta premessa” quella secondo cui “il principio di legalità penale riguarda anche il regime legale della prescrizione” (v. sempre Corte cost., ordinanza n. 24 del 2017, parr. 4 e 5).
4.3. Un simile orientamento, peraltro, non appare affatto isolato nella giurisprudenza costituzionale. Al contrario, esso si iscrive, pianamente e coerentemente, nel lungo solco di pronunce che, riconoscendo la natura sostanziale della prescrizione, ne affermano, più o meno esplicitamente, la sua integrale sottoposizione al principio di legalità in materia penale, sancito dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione.
A tal fine, può invero menzionarsi la pronuncia n. 265 del 2017, là dove si afferma che la prescrizione, “pur potendo assumere una valenza anche processuale, in rapporto alla garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) … costituisce, nel vigente ordinamento, un istituto di natura sostanziale … la cui ratio «si collega preminentemente, da un lato, all‟“interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, l‟allarme della coscienza comune” …; dall‟altro, “al „diritto all‟oblio‟ dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela” (v. Corte cost., sentenza n. 265 del 2017, considerato in diritto, par. 5).
Ma negli stessi termini la Corte si esprime anche nella pronuncia n. 143 del 2014: “sebbene possa proiettarsi anche sul piano processuale – concorrendo, in specie, a realizzare la garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) – la prescrizione costituisce, nell‟attuale configurazione, un istituto di natura sostanziale” (v. Corte cost., sentenza n. 143 del 2014, considerato in diritto, par. 3).
Non dissimile quanto a contenuto, inoltre, è un passaggio incidentale della pronuncia n. 294 del 2010, ove discorrendo di prescrizione viene affermato che trattasi di “un tema … di diritto penale sostanziale” (v. Corte cost., sentenza n. 294 del 2010, considerato in diritto, par. 3).
In termini più netti, poi, sembrano esprimersi la pronuncia n. 324 del 2008, ove si afferma essere “pacifico … che la prescrizione, quale istituto di diritto sostanziale, è soggetta alla disciplina di cui all‟art. 2 … cod. pen.” (v. Corte cost., sentenza n. 324 del 2008, considerato in diritto, par. 7); la pronuncia n. 393 del 2006, che parimenti parla di “natura sostanziale della prescrizione”, a tal fine insistendo sull’“effetto da essa prodotto”, in quanto “«il decorso del tempo non si limita ad estinguere l‟azione penale, ma elimina la punibilità in sé e per sé, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva»” (v. Corte cost., sentenza n. 393 del 2006, considerato in diritto, par. 4); e, infine, la pronuncia n. 275 del 1990, che incidentalmente parla di “istituto sostanziale della prescrizione” (v. Corte cost., sentenza n. 275 del 1990, considerato in diritto, par. 3).
4.4. D’altra parte, quel che vale per la prescrizione, deve valere anche per il suo regime modificativo, composto dagli istituti dell’interruzione e della sospensione. È questa, ad avviso del Tribunale, una conclusione affatto piana e agevole da sostenere, scontrandosi con i più elementari canoni della logica la tesi che ritenesse sottratti alla copertura prevista dall’art. 25, secondo comma, Cost. gli istituti dell’interruzione e della sospensione. Una conclusione che, peraltro, è espressamente avvalorata anche dalla Consulta, che così si esprime, sul punto, nell’ordinanza n. 24 del 2017: “nell‟ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall‟art. 25, secondo comma, Cost., come questa Corte ha ripetutamente riconosciuto (da ultimo sentenza n. 143 del 2014)” (v. Corte cost., ordinanza n. 24 del 2017, par. 4).
4.5. Né ignora questo giudicante come emergano, nella giurisprudenza costituzionale, orientamenti tesi ad evidenziare la “variabile dinamica cui tale istituto, pur afferendo alla sfera del diritto penale sostanziale (come ribadito da questa Corte, da ultimo, nella sentenza n. 115 del 2018), è in concreto esposto nelle singole vicende processuali, ciascuna contrassegnata da uno specifico andamento in sede giurisdizionale” (Corte cost., sentenza n. 143 del 2018, considerato in diritto, par. 4.4).
Tuttavia, è proprio l’attenzione riservata dalla Consulta all’istituto della prescrizione, specie con riferimento alla più volte affermata sottoposizione della stessa al principio di legalità in materia penale, che giustifica il deferimento alla Corte della presente questione.
Ad avviso del Tribunale, infatti, è proprio dalla giurisprudenza costituzionale dianzi citata che possono trarsi argomenti a sostegno della tesi per cui l’ambito di applicazione del principio di legalità in materia penale sancito dall’art. 25 cpv. Cost., diversamente da quello riconosciuto dalle carte internazionali ed europee, non sia limitato alla sola descrizione degli elementi che compongono il reato, ma includa ogni profilo sostanziale concernente il regime della punibilità.
4.5. Né ignora questo giudicante come emergano, nella giurisprudenza costituzionale, orientamenti tesi ad evidenziare la “variabile dinamica cui tale istituto, pur afferendo alla sfera del diritto penale sostanziale (come ribadito da questa Corte, da ultimo, nella sentenza n. 115 del 2018), è in concreto esposto nelle singole vicende processuali, ciascuna contrassegnata da uno specifico andamento in sede giurisdizionale” (Corte cost., sentenza n. 143 del 2018 considerato in diritto, par. 4.4).
Tuttavia, è proprio l’attenzione riservata dalla Consulta all’istituto della prescrizione, specie con riferimento alla più volte affermata sottoposizione della stessa al principio di legalità in materia penale, che giustifica il deferimento alla Corte della presente questione.
Ad avviso del Tribunale, infatti, è proprio dalla giurisprudenza costituzionale dianzi citata che possono trarsi argomenti a sostegno della tesi per cui l’ambito di applicazione del principio di legalità in materia penale sancito dall’art. 25 cpv. Cost., diversamente da quello riconosciuto dalle carte internazionali ed europee, non sia limitato alla sola descrizione degli elementi che compongono il reato, ma includa ogni profilo sostanziale concernente il regime della punibilità.
4.6. In conclusione, ritiene il Tribunale che l’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, concernendo condotte anteriori alla sua entrata in vigore, determini un aggravamento del regime della punibilità (consistente nel prolungamento, pari a sessantatré giorni, del tempo necessario a prescrivere), così contrastando con il principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in forza del quale le modifiche normative che comportino un aggravamento del regime della punibilità devono spiegare la propria efficacia con riferimento ai soli fatti commessi quando la stesse erano già in vigore.
5. Sul tentativo di ricondurre al dettato costituzionale la disposizione censurata – Intesi prescrizione e connesso regime come ricadenti sotto la sfera di applicazione del principio di legalità in materia penale, non può allora ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, in riferimento all’art. 25 cpv. Cost.
5.1. Né utilmente esperibile appare il tentativo ermeneutico volto a ricercare, della disposizione predetta, un significato compatibile con l’art. 25, secondo comma, Cost., così elidendone in radice i rilevati profili di attrito.
5.2. Inadeguata al dettato costituzionale, da questo punto di vista, è anzitutto la tesi per cui l’art. 83, quarto comma, d.l. 18/2020 costituirebbe null’altro che una particolare applicazione di quanto già previsto dall’articolo 159, primo comma, cod. pen. (a mente del quale “il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale … è imposta da una particolare disposizione di legge”), al quale ultimo soltanto andrebbe perciò ricollegato l’effetto sospensivo della prescrizione, per i procedimenti rinviati d’ufficio ai sensi dell’art. 83, primo comma, d.l. 18/2020, come modificato dall’art. 36, primo comma, d.l. 23/2020.
Una simile ricostruzione interpretativa, per vero, non appare infatti sostenibile se non disconoscendo la stessa portata innovativa dell’art. 83, quarto comma, d.l. 18/2020 (e, con essa, la sua capacità di produrre effetti giuridici), di questo operandosi, in tal modo, una vera e propria interpretatio abrogans, quantomeno nella parte relativa alla sospensione della prescrizione.
Tale ricostruzione, inoltre, implicitamente postulando che ogni rinvio d’ufficio (e, dunque, non soltanto quello imposto dall’art. 83 d.l. 18/2020) rappresenti un “caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale … è imposta da una particolare disposizione di legge” (secondo quanto disposto dall’art. 159, primo comma, cod. pen.), finisce con l’equiparare la nozione di “rinvio d’udienza” a quella di “sospensione del procedimento”, ascrivendo ad entrambe il medesimo effetto, in punto di sospensione del corso della prescrizione, da ritenersi così prodotto ogni qualvolta dal giudice sia disposto un rinvio d’udienza.
Al riguardo, giova tuttavia osservare come le espressioni “rinvio d’udienza” e “sospensione del procedimento” denotino concetti tra loro affatto distinti e non sovrapponibili, diverso essendo, già sul piano semantico, il significato dei termini “sospensione” e “rinvio” (quest’ultimo, invece, sinonimo della parola “differimento”, come peraltro espressamente riconosciuto dallo stesso legislatore, che nella relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del d.l. 18/2020 espressamente parla di “differimento urgente delle udienze”).
Ma è la stessa sistematica del codice di rito ad offrire i più idonei argomenti per smentire la sussistenza di un nesso biunivoco tra rinvio d’udienza e sospensione del procedimento.
Nel tessuto codicistico, infatti, è piuttosto agevole rinvenire ipotesi normative di sospensione del procedimento che non importano alcun rinvio d’udienza o che, comunque, non dipendono affatto dall’eventuale previsione di un rinvio d’udienza. È il caso, ad esempio, della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, prevista dall’art. 71 cod. proc. pen.; o quello della sospensione del procedimento conseguente alla presentazione della richiesta di rimessione, prevista dall’art. 47 cod. proc. pen.; o quello, ancora, della sospensione del procedimento per assenza dell’imputato, prevista dall’art. 420-quater cod. proc. pen.; o quello, infine, della sospensione del procedimento, nelle ipotesi previste dagli artt. 3 e 479 cod. proc. pen.
Per converso, altrettante sono le ipotesi di rinvio dell’udienza alle quali non consegue alcuna sospensione del procedimento. È il caso, ad esempio, del differimento d’udienza previsto dall’art. 465 cod. proc. pen.; o quello, ancor più paradigmatico, della “prosecuzione” del dibattimento disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 477 cod. proc. pen., nell’ipotesi in cui non sia “assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza” (ipotesi, questa, assai frequente nell’ordinaria prassi giudiziaria).
Siffatti rilievi, ad avviso del giudicante, confortano la conclusione interpretativa per cui la sospensione del procedimento non consegua, sic et simpliciter, ad un semplice rinvio d’udienza (sia esso disciplinato come obbligatorio o facoltativo), a quest’ultimo non potendosi pertanto ritenere connessa, all’infuori di un’espressa previsione normativa. Se è certamente vero, in altri termini, che la sospensione del processo “automaticamente coinvolg … la disciplina di diritto sostanziale della prescrizione del reato” (v. Corte Cost., sentenza n. 24 del 2014), non è parimenti vero che ogni rinvio d’udienza, generando una sospensione del processo, automaticamente coinvolga la disciplina della prescrizione del reato.
Una conclusione, questa, che risulta perfettamente coerente con la necessità, avvertita dallo stesso legislatore, di introdurre un’espressa previsione normativa – qual è quella di cui all’art. 83, quarto comma, d.l. 18/2020 – il cui unico effetto giuridico, nei presupposti ancorato alla sospensione di un termine del procedimento penale, fosse quello di sospendere il corso della prescrizione per tutti i reati sub iudice e, quindi, necessariamente relativi a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del citato decreto-legge.
5.3. Ritiene, poi, il Tribunale che al fine di adeguare a Costituzione l’art. 83, quarto comma, d.l. 17 marzo 2020 non possa essere utilmente speso l’argomento per cui la sua legittimazione costituzionale potrebbe essere rinvenuta nel carattere “emergenziale” o “eccezionale” o comunque “necessitato” della complessiva disciplina in cui l’articolo predetto si inscrive.
Sul punto, infatti, giova osservare come sia la stessa logica dello stato di diritto – che non ammette eccezione alcuna alle regole in esso stipulate come fondamentali – a frapporre un argine invalicabile alla possibilità di individuare spazi di deroga o ambiti di non applicabilità in quei principi che, appartenendo “all‟essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” (così, testualmente, Corte Cost., sentenza n. 1146 del 1988, considerato in diritto, par. 2.1.), costituiscono elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale.
Nel novero di tali principi, per vero, deve farsi rientrare anche quello espresso dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, come anche di recente affermato dal Giudice delle Leggi, nella nota vicenda Taricco: “non vi è dubbio che il principio di legalità in materia penale esprima un principio supremo dell‟ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell‟individuo, per la parte in cui esige che le norme penali non abbiano in nessun caso portata retroattiva.” (v. Corte Cost., ordinanza n. 24 del 2017, considerato in diritto, par. 2).
Nessuna deroga, dunque, può essere ammessa al principio supremo dell’irretroattività della legge penale sfavorevole. Per vero, è soltanto il principio di retroattività della legge penale favorevole che “non può essere senza eccezioni”, in ciò differenziandosi da “quello di irretroattività della legge penale sfavorevole”, che per l’appunto non tollera nessuna eccezione (v. Corte Cost., sentenza n. 236 del 2011, considerato in diritto, par. 13).
5.4. Pertanto – e con esclusivo riferimento ai profili di ammissibilità della questione qui dedotta, essendone il merito interamente devoluto al giudizio della Corte costituzionale – ritiene il giudicante che dell’enunciato “nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini altresì sospes, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione” non possano ricavarsi interpretazioni conformi a Costituzione, che divergano dalle seguenti:
a) per i procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini disposta in conseguenza dell’emergenza pandemica da Covid-19, il corso della prescrizione dei reati rimane sospeso per lo stesso periodo di tempo;
b) la sospensione del corso della prescrizione è un effetto diretto della sola previsione normativa di cui all’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18;
c) la sospensione del corso della prescrizione opera di diritto e si applica anche ai reati commessi prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (recte: prima del 9 marzo 2020).
6. Sugli esatti termini della questione di legittimità costituzionale – Alla luce delle ragioni innanzi esposte, che giustificano la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione proposta con la presente ordinanza, s’impone la trasmissione degli atti del presente giudizio alla Corte costituzionale, affinché si pronunci sulla legittimità costituzionale dell’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per contrasto con il principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione e, più in particolare, con il sotto-principio di irretroattività della legge penale sfavorevole al reo, là dove è previsto che il corso della prescrizione dei reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso, per un periodo di tempo pari a quello in cui sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali.
Per questi motivi
Il Tribunale Ordinario di Siena
Visti gli artt. 134 Cost. e 23 l. 11 marzo 1953, n. 87,
Solleva
d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, quarto comma, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, nei termini di cui in motivazione.
Sospende
il presente giudizio sino alla decisione sulla proposta questione di legittimità costituzionale.
Dispone
l’immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza, insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle notificazioni e comunicazioni di seguito disposte.
Dispone
che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza:
– sia notificata agli imputati, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri;
– sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica