LA PRIMA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE SUL NUOVO ART. 314-BIS. IL RAPPORTO CON PECULATO E CON IL PREVIGENTE ABUSO D’UFFICIO

Cass. Sez. VI, 4 febbraio 2025, n. 4520 – Pres. Fidelbo, Rel. D’Arcangelo

 

1. L’abolizione del peculato per distrazione da parte della legge n. 86/1990

Nella versione originaria del codice del 1930, l’art. 314 c.p. (prevedeva che il delitto di peculato potesse essere commesso in due forme alternative: l’appropriazione e la distrazione.

Con l’art. 1 della legge 26 aprile 1990, n. 86, il legislatore ha, tuttavia, espunto, nella fattispecie di cui all’art. 314 c.p., il riferimento alla distrazione a profitto proprio o di altri, al fine di sussumere queste condotte nella fattispecie di abuso di ufficio ed evitare violazioni del principio di proporzionalità tra fatto e sanzione.

L’intento del legislatore era, infatti, quello al fine di arginare alcune interpretazioni della giurisprudenza, che ritenevano integrato il reato di peculato per l’impiego di denaro o delle cose mobili nel possesso o nella disponibilità del pubblico agente per scopi diversi da quelli cui i beni erano destinati, anche a fronte di mere violazioni della disciplina amministrativa sulla desti nazione dei fondi pubblici e di utilizzo degli stessi per fini di pubblica utilità

 

2. La perdurante punibilità della condotta distrattiva tra peculato e abuso d’ufficio a seconda della natura esclusivamente privata (o anche pubblica) dell’interesse perseguito.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, pur in seguito all’intervento del legislatore del 1990, il peculato per distrazione integrasse alternativamente il reato di abuso di ufficio o di peculato, in ragione delle finalità perseguite dall’agente, e che permanessero nell’ambito applicativo dell’art. 314 c.p. le condotte di c.d. distrazione appropriativa, ossia di destinazione da parte del pubblico agente di beni all’esclusivo soddisfacimento di interessi privati. Le Sezioni unite Vattani hanno rilevato che «l’eliminazione della parola «distrazione» dal testo dell’art. 314 cod. pan., operata dalla legge n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall’agente pubblico nell’area di rilevanza penale dell’abuso d’ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque Integrato il delitto di peculato.

La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d’ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell’agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a. (Sez. VI, n. 17619 dei 19/03/2007, Porpora; Sez. VI, n. 40148 del 24/10/2002, Gennari; Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani, Rv. 255296 – 01, non massimata sul punto).

Il confine tra peculato e abuso d’ufficio. con riferimento alle condotte distrattive, era, dunque, costituito dalla natura delle finalità cui è destinato il denaro o la cosa mobile altrui.

L’utilizzo per finalità esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la “distrazione” dello stesso. mentre il reato di peculato non è ravvisabile nei casi in cui l’interesse privato dell’agente e quello istituzionale dell’ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti (Sez. VI, n. 25173 del 13/04/2023, Costa, Rv. 284790-01, fattispecie in cui la Corte ha escluso il reato di peculato con riguardo all’utilizzo di fondi di un consorzio industriale impiegati dal consiglio di amministrazione per il pagamento delle prestazioni di un avvocato incarico di impugnare il provvedimento regionale che disponeva lo scioglimento dell’ente, a nulla rilevando il convergente interesse degli imputati di evitare l’azzeramento degli organi consortili dai medesimi ricoperti). L’utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra, dunque, il reato di abuso d’ufficio qualora l’atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati. Anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente, mentre integra il più grave reato di peculato nel caso in cui l’atto di destinazione sia compiuto in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione di mera copertura formale, per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali.

 

3. Il nuovo art. 314-bis c.p. non intacca il perimetro applicativo del peculato

Il nuovo reato di indebita destinazione (art. 314-bis c.p.) presenta, sul piano del fatto tipico oggettivo, il medesimo presupposto e l’oggetto materiale della condotta del peculato: il soggetto attivo del reato, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, deve, infatti, avere, per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui.

Parimenti il reato di cui all’art. 314-bis  c.p. Presenta elementi dell’abuso d’ufficio: sul piano oggettivo, la condotta di destinazione del bene ad uso diverso deve contrastare, così come avveniva sotto l’art. 323  c.p., come modificato nel 2020, con specifiche disposizioni di legge o con atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità; corrispondente è, inoltre, l’evento del reato (l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altrui danno ingiusto) e l’elemento soggettivo, costituito dal dolo intenzionale.

Sul piano testuale, infatti, non è certo casuale la scelta del legislatore di non riproporre il lemma “distrae”, ma di utilizzare il diverso predicato verbale “destina”, proprio al fine di evitare equivoci in ordine alla volontà di reintrodurre una distinzione tra peculato per appropriazione e per distrazione non più contemplata nel codice penale dal 1990.

La disposizione di cui all’art. 314-bis c.p., del resto, esordisce con una clausola di riserva (“fuori dai casi previsti dall’art. 314”) proprio per regolare il concorso apparente tra le fattispecie di reato di peculato e di indebita destinazione di denaro o cose mobili.

Con questa clausola di riserva “determinata”, in quanto riferita ad una specifica disposizione, il legislatore ha inteso escludere un’incidenza della nuova fattispecie sull’ambito applicativo dell’art. 314 c.p., per come interpretato dal diritto vivente.

Se la nozione di “appropriazione” che connota la condotta del reato di peculato, infatti, non ricomprendesse anche quello di “distrazione”, non vi sarebbe alcuna interferenza tra le disposizioni di cui agli articoli 314 e 314-bis  c.p., in quanto le due fattispecie contemplerebbero due condotte del tutto distinte e irrelate; in nessun caso, infatti, una “destinazione” di beni per finalità diverse da quelle pubbliche, ma pur sempre compatibile con la realizzazione di interessi pubblici, potrebbe essere ascritta alla nozione di “appropriazione”.

La tipicità della fattispecie di cui all’art. 314-bis c.p., dunque, si staglia una volta esclusa la ricorrenza della fattispecie di peculato di cui all’art. 314 cod. pen.

Il legislatore consapevole del diritto vivente, ne ha preso atto e, con la previsione della clausola di riserva contenuta nell’art. 314-bis c.p., ha inteso mantenerne inalterato l’ambito applicativo del delitto di peculato, per come delineato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Le condotte di distrazione qualificabili come peculato, dunque, non sono suscettibili di diversa qualificazione per effetto dell’introduzione del delitto di cui all’art. 314-bis c.p., e, pertanto, rimangono punibili ai sensi dell’art. 314 c.p.

Sono questi i casi in cui la condotta distrattiva integra un’effettiva appropriazione perché la res è sottratta in modo definitivo dalla finalità pubblica per conseguire finalità private proprie o altrui.

Con riferimento a queste ipotesi di “distrazione appropriativa” vi è, dunque, continuità nella qualificazione giuridica e, di conseguenza, nella risposta sanzionatoria, sempre affidata all’art. 314 c.p.

L’art. 314-bis c.p., dunque, non interferisce e non costituisce lex mitior rispetto alle condotte di peculato per distrazione, che esulano del tutto dall’ambito applicativo della fattispecie di indebita destinazione

La nuova fattispecie di reato, coerentemente con la ragione della sua introduzione, sottrae, invece, le condotte di indebita destinazione di denaro o cose mobili, ritenute nell’assetto previgente quale condotte di abuso di ufficio, all’irrilevanza penale conseguente all ‘abolitio criminis di tale reato, per evitare il contrasto con gli obblighi di criminalizzazione derivanti dal diritto dell’Unione europea.

Al contempo, l’art. 314-bis c.p. esclude la riespansione dell’ambito applicativo del reato di peculato con riferimento a tali classi di condotte, in quanto chiarisce, in negativo, che la deviazione dal fine pubblico non integra sempre e comunque peculato.

La nuova fattispecie di indebita destinazione, dunque, interviene solo sulle condotte di “abuso distrattivo” di fondi pubblici, finora sussunte nell’art. 323 c.p., cioè quelle consistenti nel «mero mutamento della destinazione di legge del denaro o delle cose mobili pubbliche», pur sempre compatibili con i fini istituzionali dell’ente di appartenenza dell’agente pubblico.

La locuzione «destina ad un uso diverso», infatti, in forza della clausola di riserva determinata utilizzata dal legislatore (che esclude in radice interferenze tra le condotte di “distrazione appropriativa” e di “abuso distrattivo”), implica pur sempre l’immanenza di una finalità pubblica, che, per quanto differente da quella prevista dal legislatore, deve pur sempre essere presente.

Le condotte di indebita destinazione, originariamente ascrivibili alla fattispecie di abuso di ufficio, stante la continuità nella rilevanza penale del fatto (a fronte dell’omogeneità di elementi strutturali di fattispecie), continueranno, dunque, ad essere punibili ai sensi dell’art. 314-bis c.p. e si applicherà, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, c.p. La lex mitior costituita dalla nuova cornice edittale.

4. Le differenze rispetto all’abuso (distrattivo) d’u.

Il legislatore, rispetto alle condotte di indebita destinazione punibili dalla disciplina previgente come abuso (distrattivo) d’ufficio, ha, tuttavia, inteso realizzare un’abrogatio sine abolitione parziale, rendendo non più punibili le condotte che non abbiano comportato violazione di specifiche disposizioni di legge o di disposizioni che lasciano residuare margini di discrezionalità del pubblico agente.

Un’ulteriore riduzione dello spazio di rilevanza penale

delle condotte di indebita destinazione in precedenza ascrivibili al reato di abuso di ufficio, si realizza in relazione al presupposto della condotta: il possesso o la disponibilità della res, richiesto dall’art. 314-bis c.p., sul modello del peculato, è, infatti, presupposto più stringente, e quindi maggiormente selettivo, rispetto a quello allora previsto dall’art. 323 c.p., che uti lizzava la formula “nello svolgimento delle funzioni o del servizio”.

Vi sarà, inoltre, abolitio criminis per le condotte distrattive aventi ad oggetto beni immobili, nell’assetto previgente punibili ai sensi dell’art. 323 c.p., ma attualmente non più contemplate dall’art. 314-bis c.p.

 

4520-2025