INDEBITA PERCEZIONE DI EROGAZIONI PUBBLICHE: LA QUESTIONE SE VI RIENTRI ANCHE IL RISPARMIO DI SPESA INDEBITAMENTE CONSEGUITO E SE IN CASO DI “PERCEZIONI” PERIODICHE IL REATO SIA UNITARIO O PLURIMO

Cass. penale, Sez. VI, 11 luglio 2024, n. 27639

Vanno rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni di diritto:
– se rientri o meno nell’ambito applicativo dell’art. 316-ter cod. pen. il risparmio di spesa derivante dal versamento parziale dei contributi previdenziali dovuti in ordine ai lavoratori in mobilità assunti dall’impresa, a seguito della mancata comunicazione dell’esistenza di condizione ostativa all’applicazione della riduzione dell’ammontare dei contributi medesimi;
– se, in caso di ripetute percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il reato previsto dall’art. 316 – ter cod. pen. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo ovvero se, in tali casi, si sia in presenza di una pluralità di reati (uno per ciascuna percezione), eventualmente unificati dal vincolo della continuazione.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce con sentenza del 17 maggio 2023, in parziale riforma di quella di primo grado emessa dal Tribunale di Lecce, ha escluso la responsabilità della società Tomaificio Zodiaco in relazione all’illecito di cui al capo 1) della contestazione perché il fatto non sussiste, riqualificando il reato presupposto dell’illecito di cui al capo 2), originariamente rubricato come truffa aggravata (art. 640 – bis cod. pen.), nel delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 – ter cod. pen.) e ha applicato alla società la sanzione pecuniaria di Euro 150.000 nonché la sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di sei mesi, oltre all’esclusione da agevolazioni e finanziamenti pubblici, riducendo l’ammontare della somma oggetto della disposta confisca, anche per equivalente.

2. In particolare, il reato presupposto dell’illecito contestato all’ente, come riqualificato, attiene alla illecita riduzione dei contributi pagati per 210 lavoratori “rilevati”: secondo la sentenza impugnata ciò sarebbe stata la conseguenza della artificiosa messa in mobilità dei lavoratori originariamente impiegati presso l’impresa “Filanto Spa” e della creazione di un Consorzio. Tale ente (costituito, tra gli altri, dalla società ricorrente) sarebbe stato “deputato a proseguire, con una nuova veste giuridica, la medesima attività imprenditoriale svolta dalla Filanto”, con l’assunzione programmata di detti lavoratori. Si contesta altresì all’ente che nelle richieste di agevolazioni contributive – allegate alle comunicazioni di assunzione da parte di Tomaificio Zodiaco Srl dalle liste dei lavoratori collocati in mobilità dalla ditta Filanto Spa – non è stato indicato che, nella specie, sussistevano le condizioni ostative alla contribuzione agevolata di cui all’art. 8, comma 4 – bis, della legge n. 223 del 1991.

Tale disposizione, nel testo vigente in relazione alla data dei fatti, aveva il seguente tenore: “Il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti è escluso con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo. L’impresa che assume dichiara, sotto la propria responsabilità, all’atto della richiesta di avviamento, che non ricorrono le menzionate condizioni ostative”.

A seguito di tali condotte, l’ente conseguiva una illegittima riduzione dei contributi versati all’I.N.P.S. per i predetti lavoratori: l’illecito dell’ente sarebbe stato commesso sino al 31 dicembre 2008.

3. La sentenza di appello, in parziale accoglimento di un motivo di gravame, ha riqualificato il reato presupposto, escludendo che vi fosse stata “a monte” una condotta fraudolenta e, alla luce dei principi individuati dalla Suprema Corte con la sentenza delle Sezioni Unite “Carchivi”, ha ritenuto applicabile la fattispecie di cui all’art. 316 – tercod. pen. , in considerazione della mancata comunicazione di un elemento doveroso, cioè l’insussistenza del presupposto per l’operatività della disciplina in tema di riduzione dei contributi previdenziali per il 210 lavoratori in mobilità e del “risparmio di spese” in tal modo conseguito.

4. Avverso la sentenza di appello la società, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione. In particolare, si eccepisce la mancata declaratoria della prescrizione del reato presupposto, che è stato considerato dalla Corte territoriale come un’unica fattispecie “a consumazione prolungata” anziché, come evidenziato dal ricorrente, un reato continuato.

La ricorrente deduce che da tale ricostruzione della fattispecie, che trova preciso supporto nell’orientamento più recente di questa Corte, consegue la prescrizione dell’illecito amministrativo ex art. 22 D.Lgs. n. 231 del 2001. Infatti, come indicato dalla sentenza impugnata, il primo atto interruttivo di tale prescrizione è consistito nella richiesta del pubblico ministero di applicazione di misura cautelare interdittiva all’ente, formulata nel gennaio del 2013, sicché la causa estintiva dell’illecito amministrativo era già maturata in toto o, in subordine, per gli episodi fino al 13 gennaio 2008 (data dell’ultimo invio del DM 10).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il Collegio ritiene di sottoporre alle Sezioni Unite la questione relativa alla qualificazione giuridica del fatto oggetto del reato presupposto e, nel caso si dovesse ritenere configurabile la fattispecie di cui all’art. 316 – ter cod. pen. , l’ulteriore questione della natura del reato in relazione al momento di consumazione dello stesso.

2. Le due sentenze di merito hanno accertato, con motivazione non illogica e dunque insindacabile in questa sede, che la società ricorrente – che aveva costituito il “Consorzio Produttori Salentini Calzature” – ha richiesto, ai sensi del bando P.O.R. Puglia 2002-2006, le agevolazioni sui contributi da versare in relazione ai lavoratori assunti dalle “liste di mobilità” a seguito della smobilitazione degli assets della Filanto Spa , tacendo la circostanza, ostativa all’applicazione delle agevolazioni contributive, sub specie di riduzione delle somme da versare, che tale società presentava, al momento della messa in mobilità dei lavoratori, “assetti proprietari del tutto coincidenti” con quelli del Consorzio, giacché entrambi (la Filanto e il Consorzio di cui faceva parte la società ricorrente) “risultavano di proprietà del medesimo gruppo familiare Filanto” che era in rapporto di collegamento e controllo con il Consorzio. In tal modo, le diverse società facenti parti del Consorzio “ottenendo il riconoscimento dei benefici contributivi di cui alla legge n. 223 del 1991, consistenti nella riduzione della contribuzione a carico del datore di lavoro in misura pari a quella previsti per gli apprendisti ex legge n. 25 del 1955” hanno conseguito uno sgravio degli oneri contributivi per complessivi Euro 3.297.641 (relativi al periodo compreso tra il giugno 2002 e il 2008).

2.1. Risulta altresì che detto risparmio si è realizzato a mezzo dei “DM 10”, ossia i prospetti con i quali mensilmente il datore di lavoro denuncia all’I.N.P.S. le retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, i contributi dovuti e l’eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate per conto dell’ente, delle agevolazioni e degli sgravi; il versamento dei contributi dovuti sulla base dei dati indicati sui modelli DM10 viene effettuato utilizzando il modello F24.

Sulla base di tali elementi – e, come già indicato, in accoglimento di un motivo di appello, presentato in via subordinata dall’ente – la Corte territoriale ha ritenuto di riqualificare il reato presupposto ai sensi dell’art. 316 – tercod. pen. (anch’esso, come la truffa aggravata ex art. 640 – bis, integrante un delitto presupposto dell’illecito ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001).

3. Il Collegio ritiene che correttamente sia stata esclusa la configurabilità del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. Invero, è stato già precisato come il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche differisce da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per la mancanza, nel primo reato, dell’elemento dell’induzione in errore attraverso la messa in atto di artifici e raggiri. In applicazione del suddetto principio questa Corte ha configurato il reato di cui all’art. 316 – ter cod. pen. anziché quello di truffa, in una fattispecie in cui all’imputato era contestata solamente la mancata comunicazione all’I.N.P.S. del proprio trasferimento all’estero, fatto implicante la perdita del diritto all’assegno sociale (Sez. 2, n. 47064 del 21/09/2017, Virga, Rv. 271242 – 01). In tale sentenza si è anche evidenziato come il contrario indirizzo, secondo cui il raggiro necessario per la truffa può essere integrato anche dal silenzio su eventi sopravvenuti che incidano sulla persistenza del diritto a percepire l’erogazione, non può essere condiviso anche perché fa leva su precedenti giurisprudenziali relativi a fatti anteriori all’entrata in vigore dell’art. 316 – ter cod. pen. , introdotto dall’art. 4 legge 29 settembre 2000, n. 300. Nello stesso senso, per la configurabilità dell’art. 316 – ter e non dell’art. 640 – bis cod. pen. , cfr. Sez. 6, n. 17688 del 08/01/2004, Dini, Rv. 228604, in tema di omessa comunicazione all’I.N.P.S. del decesso della titolare della pensione, da parte del figlio, contitolare del conto nel quale veniva accreditato l’assegno pensionistico nonché Sez. 2, n. 22692 del 13/05/2008, T. , Rv. 240413, in tema di omessa comunicazione all’I.N.P.S. della sospensione della potestà genitoriale da parte della madre autorizzata a riscuotere la prestazione in luogo dei figli minori.

Tale orientamento ermeneutico è stato convalidato da Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962 – 01, che hanno affermato il principio secondo il quale il criterio distintivo tra le due fattispecie è rappresentato proprio dall’esistenza di un’induzione in errore, nel qual caso sussiste l’elemento costitutivo del delitto di truffa, ovvero dalla sua mancanza, con la conseguente configurazione del delitto previsto dall’art. 316 – ter cod. pen.

3.1. La Corte di appello, correttamente, ha rilevato che non si è realizzata una induzione in errore dell’amministrazione pubblica, per effetto di una condotta fraudolenta, ma una mera omissione di informazioni dovute per legge, escludendo la configurabilità della truffa aggravata.

Ma la riqualificazione nel delitto previsto dall’art. 316 – ter cod. pen. avrebbe reso necessaria, ai sensi dell’art. 33 – octies cod. proc, pen. , la trasmissione degli atti al pubblico ministero al fine di investire del giudizio la corretta composizione del Tribunale, considerato che il suddetto reato è attribuito, ai sensi dell’art. 33 – bis cod. proc. pen. , al Tribunale in composizione collegiale, a differenza del reato di cui all’art. 640 – bis devoluto alla cognizione del giudice monocratico.

Tuttavia, un tale difetto di attribuzione nell’ambito della competenza per materia del Tribunale non è rilevabile di ufficio dalla Corte e non è stato tempestivamente eccepito dal ricorrente, sicché deve ritersi sanato (in termini, Sez. 5, n. 19900 del 05/04/2023, Scalinci, Rv. 284784 – 01).

4. Ciò premesso, nell’affrontare la questione relativa all’ambito applicativo dell’art. 316 – ter cod. pen. , va rilevato che nella giurisprudenza di legittimità si è ritenuto che anche l’ottenimento di una riduzione dei contributi dovuti – conseguente alla omessa indicazione di elementi rilevanti, dei quali la legge imponeva la comunicazione – integra il reato previsto dall’art. 316 – ter cod. pen,, che può dunque consistere anche nella percezione da parte dell’I.N.P.S. di “erogazioni in forma di risparmio di spesa” (da ultimo, Sez. 6, n. 29674 del 21/06/2022, Sindoni, Rv. 283612 – 01). In tale sentenza si è sostenuto che, nella ricostruzione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 316 – ter cod. pen. , centrale è il rilievo che la fattispecie (cfr. , Corte cost. ord. n. 95 del 2004) prevede un reato a carattere residuale e sussidiario rispetto all’art. 640 – bis cod. pen. , ed è diretta ad assicurare una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella offerta agli stessi interessi dall’art. 640 – bis, coprendo in specie gli eventuali margini di scostamento – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode; sono stati, altresì, richiamati i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite che “sono intervenute nella materia con due sentenze e, in particolare, dapprima per precisare il perimetro della fattispecie, rispetto al delitto di truffa aggravata (Sez. U. , n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962) e, in seguito, valorizzando la collocazione dell’art. 316-ter cod. pen. tra i delitti contro la pubblica amministrazione e gli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma, per affermare che la volontà del legislatore è quella di perseguire la percezione sine tituìo delle erogazioni conseguite in via privilegiata dagli enti pubblici e per precisare il concetto stesso di “erogazione” (Sez. un. , n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, Rv. 249104)”.

4.1. Secondo questo orientamento, dunque, nella nozione di erogazione rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili agli enti pubblici realizzate non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro, ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità.

In particolare, le Sezioni Unite “Pizzuto” hanno ritenuto che integra il delitto di cui all’art. 316 – ter cod. pen. anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali, in particolare, quelle concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere. La conclusione di detta pronuncia si è basata sulla considerazione che “nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità. La nozione di “contributo” va intesa, infatti, quale conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante e tale apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma, non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro”.

4.2. In senso contrario – anche se in riferimento alla fattispecie di truffa – si è rilevato , dopo le Sez. U “Pizzuto”, che “mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l’elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre – mediante la “cooperazione artificiosa della vittima” che, indotta in errore dall’inganno ordito dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione – la perdita definitiva del bene da parte della stessa” (Sez. 2, n. 18762 del 15/01/2013, Meloni, Rv. 255194 – 01, in tema di mancata corresponsione ad una dipendente, da parte del datore di lavoro, di indennità di malattia e assegni familiari portati comunque a conguaglio dall’Inps, in cui la S.C. ha escluso la truffa per difetto dell’elemento del danno, ravvisando in astratto la configurabilità del reato di appropriazione indebita).

5. Il Collegio non ritiene che possa ritenersi integrata nel caso di specie la fattispecie di cui all’art. 316 – ter cod. pen.

Invero, il reato in oggetto può essere commesso sia in forma attiva, sostanziandosi allora “nell’utilizzo o nella presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere”, sia in forma omissiva, mediante “l’omissione di informazioni dovute”. In entrambi i casi, l’agente deve conseguire “indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee” (si applica la sanzione amministrativa pecuniaria “quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore ad Euro 3.996,99”).

L’indicazione all’interno dei primi due commi della fattispecie incriminatrice delle espressioni “contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati, o erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee” e “somma indebitamente percepita” sembra richiedere l’effettiva riscossione, da parte del soggetto agente, di somme di denaro erogate dagli Enti pubblici, a seguito delle condotte decettive od omissive delineate nella norma.

Al contrario, parrebbero sfuggire all’ambito applicativo della disposizione penale i casi in cui non si realizza alcuna percezione di denaro pubblico, ma si ottiene il mero conseguimento di un risparmio di spesa, nel senso di versare all’Ente pubblico una somma inferiore a quella che è dovuta.

In tal senso sembrerebbe deporre anche la modifica della rubrica di detto reato che, originariamente denominata “indebita percezione a danno dello Stato”, a seguito della legge n. 25 del 2022 è divenuta “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”, modifica che la dottrina ha ritenuto funzionale a renderla più coerente con il contenuto della disposizione.

5.1. Se la premessa ermeneutica è condivisibile, l’incriminazione di tali situazioni ai sensi della fattispecie di cui all’art. 316 – tercod. pen. comporterebbe una, non consentita, espansione dell’ambito applicativo del reato che non risulta in sintonia con il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale.

Con la sentenza n. 98 del 2021, peraltro successiva alle SU Pizzuto, la Corte costituzionale, come è noto, ha ribadito che sono soprattutto le norme incriminatrici, non solo la loro successiva interpretazione ad opera della giurisprudenza, a dover “fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicché non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore”.

Il Giudice delle leggi ha aggiunto che “il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici da parte del giudice costituisce il naturale completamento di altri corollari del principio di legalità in materia penale sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost. , e in particolare della riserva di legge e del principio di determinatezza della legge penale”. Invero, “la garanzia soggettiva che la determinatezza della legge penale mira ad assicurare sarebbe… svuotata, laddove al giudice penale fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello che il consociato possa desumere dalla sua immediata lettura”. Pertanto, l’attività di interpretazione trova un limite nel significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore a cui il giudice non può assegnare un significato diverso da quello proprio, da quello semantico, al fine di ricercare profili ulteriori in grado di colorare in senso estensivo il perimetro dell’illecito.

5.2. Sotto altro, ma correlato, profilo va rilevato che la Corte costituzionale ha ritenuto a date condizioni legittime, in quanto non violative del principio di tassatività in materia penale, le fattispecie definite dalla dottrina “ad analogia esplicita” che, cioè, contemplano una formula di chiusura in cui si afferma l’applicazione della norma incriminatrice anche a “casi simili o analoghi”. In particolare, con la sent. n. 327 del 2008, relativa alla fattispecie di “disastro innominato”, di cui all’art. 434 cod. pen, il Giudice delle leggi ha ribadito che “l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero… di clausole generali o concetti “elastici”, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo”.

Nell’art. 316 – ter cod. pen. si fa riferimento alla percezione di “contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”; dunque è proprio la “erogazione” (e la corrispettiva “percezione”) a costituire il nucleo di tipicità della fattispecie e sulla base del senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” (art. 12 prel.) l’erogazione presuppone un esborso da parte dello Stato, di altri enti pubblici o della Unione Europea a favore dell’interessato e non sembra concetto normativo che può essere dilatato sino a ricomprendere il “risparmio di spesa”.

6. Peraltro, considerando la condotta contestata, qualora si escludesse la sussistenza dell’indebita percezione potrebbero venire in rilievo altri reati, che sembrano avere natura speciale rispetto alla fattispecie di cui all’art. 316 – tercod. pen.

6.1. Si pensi ad esempio all’art. 10 – quater D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che secondo un orientamento giurisprudenziale è fattispecie speciale rispetto all’indebita percezione (Sez. 2, n. 7662 del 14/12/2011 – dep. 28/02/2012, Moretti, Rv. 251975 – 01). Il comma 1 dell’art. 10 – quater sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti (tra i quali rientrano crediti di qualsiasi importo maturati a titolo di contributi nei confronti dell’I.N.P.S.) per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. Al riguardo, si è precisato che “il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, è configurabile sia nel caso di compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa” (Sez. 6, n. 37085 del 28/09/2021, De Maio, Rv. 281958 – 01).

6.2. Inoltre, nel caso in cui la società avesse operato nei confronti dei lavoratori trattenute contributive calibrate sul regime ordinario, locupletando quindi lo “sconto” derivante dall’agevolazione indebitamente ottenuta, potrebbe applicarsi la fattispecie di cui all’art. 2, comma 1 – bis, del decreto – legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni nella legge 11 novembre 1983, n. 638, che sanziona l’omesso versamento dei contributi previdenziali.

Il comma 1 dell’articolo indicato stabilisce che le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20,21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, debbono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro. Al riguardo, Sez. 3, n. 9196 del 09/01/2024, Puleri, Rv. 286019 – 01, ha precisato che tale delitto si configura come fattispecie connotata da progressione criminosa, nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell’ultima mensilità, ossia con la data del 16 gennaio dell’anno successivo; in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la prescrizione del reato.

6.3. Infine, valorizzando l’elemento, specializzante, della omessa comunicazione di situazione rilevante in merito all’individuazione del corretto regime contributivo, potrebbe ipotizzarsi l’applicazione dell’art. 37, comma 1, della legge n. 689 del 1981. In merito alla distinzione di detta fattispecie rispetto a quella ex art. 640 cod. pen. , si è evidenziato che “integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria (art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689), la condotta del datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva” (Sez. 2 n. 42937 del 03/10/2012, Riondato, Rv. 253646 – 01, secondo cui il meno grave reato di cui all’art. 37 citato si differenzia dalla truffa sia per l’assenza di artifici e raggiri sia per la finalizzazione del dolo specifico, diretto ad omettere il versamento in un tutto o in parte di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatoria).

7. Nel caso in cui si ritenga che il fatto oggetto del reato presupposto non rientri nell’ambito dell’art. 316-tercod. pen. , l’ente dovrebbe essere assolto dalla contestazione ascritta, atteso che – esclusa la ricorrenza dell’art. 640 – bis cod. pen. – le altre fattispecie eventualmente ipotizzabili, tra le quali quelle sopra indicate, non rientrano comunque nel novero dei “reati presupposti” di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001.

8. Qualora si dovesse riconoscere corretto l’inquadramento ai sensi dell’art. 316 – tercod. pen. assume rilievo la seconda questione.

La sentenza impugnata dà atto che il primo atto interruttivo della prescrizione dell’illecito amministrativo a carico dell’ente è rappresentato dalla “richiesta di sequestro preventivo e di applicazione delle misure interdittive formulata dal pubblico ministero il 14.1.2013” (pag. 57).

Come si è detto, l’illecito è contestato “sino al 31 dicembre 2008” e l’atto interruttivo della prescrizione, ai sensi dell’art. 22 D.Lgs. n. 231 del 2001, è costituito dalla richiesta di applicazione nei confronti dell’ente della misura interdittiva in via cautelare.

Pertanto, ove si ritenga che il reato presupposto di cui all’art. 316-ter cod. pen. abbia natura di delitto “a consumazione prolungata” la prescrizione inizierebbe a decorrere alla data dell’ultimo illecito “risparmio di spesa” (e dunque al 31 dicembre 2008), con la conseguenza che al momento dell’atto interruttivo, intervenuto entro il termine quinquennale di cui all’art. 22 cit. (14 gennaio 2013), l’illecito amministrativo non era prescritto.

Secondo Sez. 2, n. 48820 del 23/10/2013, Brunialti, Rv. 257431 – 01 “il reato di cui all’art. 316 – ter cod. pen. si consuma quando l’agente consegue la disponibilità concreta dell’erogazione, sicché nel caso di erogazioni protratte nel tempo, il momento consumativo del reato e, quindi, il termine da prendere in esame ai fini della prescrizione coincide con la cessazione dei pagamenti”.

Ove, invece, l’illecito vada scisso in una serie di indebite percezioni (una per ciascuno dei mesi nei quali veniva inviato il mod. DM 10, indicante il versamento dei contributi, illecitamente ridotti), allora tutti i fatti precedenti al dicembre 2008 sarebbero prescritti.

In questa ottica, potrebbe valorizzarsi l’orientamento giurisprudenziale (Sez. 6, n. 31223 del 4/06/2021, Ciccarini, Rv. 282105 – 01) secondo cui in tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, il superamento della soglia di punibilità indicata dall’art. 316 – ter, comma 2, cod. pen. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva. In tale pronuncia si è evidenziato che “in caso di comportamenti reiterati nel tempo, ai fini della rilevanza penale della condotta, occorre avere riguardo al risultato economico derivato da ciascuna delle condotte decettive produttive di un’erogazione non dovuta – in quanto integranti autonomamente reato – e non anche alla somma di essi. Ciò diversamente da quanto previsto in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali sanzionato dall’art. 2 D.L. 12 settembre 1983, n. 463, in relazione al quale la legge prevede expressis verbis una soglia di punibilità “annua” (segnatamente “per un importo superiore a Euro 10.000 annui”) ed àncora, pertanto, la rilevanza penale della condotta al superamento del valore complessivo delle somme sottratte all’I.N.P.S. nell’anno di riferimento, dato dalla somma dei contributi non versati nei mesi interessati dall’inadempimento”.

In senso contrario, Sez. 6, n. 45917 del 23/09/2021, Prigitano, Rv. 282293 – 01, ha invece sostenuto che in tema di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, nella valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità, prevista dall’art. 316 – ter, comma secondo, cod. pen. , occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica, ove le erogazioni conseguano ad una iniziale ed unitaria condotta. Da ciò deriva che si è in presenza di “un reato a consumazione prolungata, giacché il soggetto agente sin dall’inizio, tacendo la doverosa comunicazione, intende realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo. In tal caso, il momento consumativo e il “dies a quo” del termine di prescrizione coincidono con la cessazione dei pagamenti perdurando il reato – ed il danno addirittura incrementandosi – fino a quando non vengano interrotte le riscossioni indebite (Sez. 6, n. 10790 del 2021, Caruso, Rv. 281084; Sez. 2, n. 48820 del 23/10/2013, Brunialti, Rv. 257430)”.

9. Si ritiene che entrambe le questioni debbano essere rimesse alle Sezioni unite.

Invero, la prima questione trova il proprio fondamento nella previsione di cui al comma 1 – bis dell’art. 618 cod. proc. pen. , in quanto ha ad oggetto, tra l’altro, il principio di diritto affermato da Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010, Pizzuto, Rv. 249104, secondo cui il reato di cui all’art. 316 – tercod. pen. è integrato anche in assenza di un’elargizione nel caso in cui il richiedente ottiene un vantaggio economico che viene posto a carico della comunità, principio che questo Collegio, per le argomentazioni sopra riportate, non condivide e di cui propone il superamento in relazione alla presente fattispecie.

Sull’altra questione, invece, il significativo contrasto interpretativo prima segnalato giustifica la rimessione ai sensi dell’art. 618 comma 1 cod. proc. pen.

Le questioni rimesse alle Sezioni Unite possono essere così sintetizzate:

– se rientri o meno nell’ambito applicativo dell’art. 316-ter cod. pen. il risparmio di spesa derivante dal versamento parziale dei contributi previdenziali dovuti in ordine ai lavoratori in mobilità assunti dall’impresa, a seguito della mancata comunicazione dell’esistenza di condizione ostativa all’applicazione della riduzione dell’ammontare dei contributi medesimi;

– se, in caso di ripetute percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il reato previsto dall’art. 316 – ter cod. pen. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo ovvero se, in tali casi, si sia in presenza di una pluralità di reati (uno per ciascuna percezione), eventualmente unificati dal vincolo della continuazione.

P.Q.M.
Visto l’art. 618 cod. pen. , rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso il 7 maggio 2024.

Depositato in cancelleria l’11 luglio 2024.