Cass. penale, Sez. IV, Ord. 21 novembre 2024, n.42614 – Pres. Dovere, Rel. Cirese
Va rimessa alle Sezioni Unite la questione se il reato di epidemia colposa possa essere commesso in forma omissiva. Sul tema finora si riscontrano due sole pronunce che hanno affermato che il delitto di epidemia colposa non è configurabile a titolo di omissione in quanto l’art. 438 cod. pen., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40 cod. pen., comma 2, riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera.
La Sezione rimettente non condivide tale indirizzo evocando in senso contrario tre argomenti principali:
- a) sul piano letterale, il termine “diffondere” è espressione dal significato molto ampio che può ricomprendere le forme più diverse, non necessariamente implicanti un agire naturalistico positivo in quanto si può diffondere anche “lasciando che si diffonda”;
- b) Sul piano teleologico, non si può omettere di considerare il mutato contesto storico e sociale in cui si trova ad operare l’odierno interprete rispetto al legislatore del 1930, al quale si presentava lo spargimento di germi come prioritaria modalità di realizzazione del reato sul versante doloso; mentre è palese l’attuale rilevanza della gestione del rischio sanitario che si correla a condotte inosservanti per lo più colpose;
- c) Sul piano sistematico, la centralità del riferimento alla “diffusione di germi patogeni” manterrebbe una fondamentale funzione di descrizione selettiva dell’evento accentuandone il disvalore sotto il profilo della peculiare prospettiva di tutela. In questa direzione, ad essere vincolata non sarebbe la condotta, la quale ammetterebbe qualsiasi modalità di trasmissione della malattia, bensì il mezzo attraverso il quale si verifica l’evento.
Ciò rende applicabile l’art. 40, comma 2, cod. pen., ritenuto compatibile con i c.d. reati a mezzo vincolato. A sostegno di tale ricostruzione, va anche rilevato che il legislatore costruisce le fattispecie incriminatrici come reati di evento a forma libera allorché intende apprestare una tutela particolarmente intensa al bene giuridico oggetto di protezione, proprio perché sanziona tutte le possibili modalità di aggressione al bene medesimo. Pertanto, considerato che il bene giuridico tutelato dalla norma in questione è la salute pubblica e l’incolumità collettiva, è ragionevole ritenere che il legislatore abbia voluto descrivere l’epidemia come reato causalmente orientato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza in data 28.3.2024 il Tribunale di Sassari, in composizione collegiale, ha assolto perché il fatto non sussiste A.A. dal reato di cui agli artt. 40, comma 2, 438, comma 1, e 452, comma 1, n. 2, cod. pen. perché, quale sub delegato del datore di lavoro ex art. 16, comma 3-bis, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed inosservanza degli obblighi di cui all’art. 77, comma 4, lett. h) D.Lgs. cit., non fornendo ai lavoratori dell’Ospedale civico di A i necessari dispositivi di protezione individuale in numero idoneo contro la diffusione del Sars-CoV2 all’interno dell’Ospedale, non assicurando ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata sul rischio biologico, mediante le condotte meglio descritte nel capo di imputazione, e non adottando misure collettive ed individuali di protezione dal rischio biologico da Sars CoV2, cagionava un’epidemia nell’Ospedale (marzo- aprile 2020).
Il Tribunale ha ritenuto che il reato di epidemia possa essere integrato soltanto dalla condotta di diffusione di germi patogeni che implica un comportamento attivo, sicché non può configurarsi il delitto de quo se la condotta si è concretizzata in forma omissiva, trattandosi di modalità diverse da quelle contemplate dalla norma incriminatrice.
- Avverso detta sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari ha proposto ricorso immediato per cassazione articolato in un motivo con cui ha dedotto l’inosservanza degli artt. 40, comma 2, e 438 cod. pen., censurando la sentenza impugnata laddove ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 438 cod. pen. in ipotesi di condotta omissiva, che invece è stata contestata all’imputato, e ciò in quanto l’art. 40, comma 2, cod. pen. sarebbe inapplicabile ai reati a forma vincolata, tra i quali va annoverata l’epidemia.
Si sostiene che nessuna delle due affermazioni è corretta. La ritenuta inapplicabilità dell’art. 40 cpv cod. pen. ai reati a forma vincolata confligge con quanto affermato dalla giurisprudenza secondo cui la predetta norma sarebbe applicabile anche ai reati a forma vincolata. Si contesta altresì che il reato di epidemia sia un reato a forma vincolata, atteso che il legislatore non ha selezionato una modalità di commissione ma ha solo preso atto dell’unica modalità possibile. Quanto alla realizzazione della diffusione di germi patogeni anche in forma omissiva, si osserva che l’omissione consiste nel non inserire il dovuto ostacolo alla diffusione, come avvenuto nel caso di specie.
Si evidenzia che a riguardo vi è una contrapposizione di opinioni nella giurisprudenza di merito (nel caso di specie anche all’interno del medesimo ufficio giudiziario) e si chiede che ex art. 618 comma 1, cod. proc. pen. la questione venga rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione.
Motivi della decisione
1. Ritiene il Collegio di rimettere al vaglio delle Sezioni Unite la questione oggetto del motivo di ricorso.
Dalla lettura del capo di imputazione, ed in assenza di contestazioni sul punto, si evince che l’addebito mosso all’odierno imputato si atteggia come illecito omissivo, di talché nella specie assume rilievo la questione giuridica della configurabilità del reato di epidemia colposa nella forma omissiva.
- Il tema oggetto del dubbio ermeneutico è quindi se la condotta tipica descritta dagli artt. 438 e 452 cod. pen. ammetta la forma omissiva, tema che involge anche alcune categorie generali dell’illecito penale.
- Esaminando la giurisprudenza di questa Corte, si registrano due sole pronunce che hanno negato la configurabilità del reato de quo nella forma omissiva.
Con Sez. 4, n. 9133 del 12.12.2017, dep. 2018, Rv. 272261, in un caso in cui l’addebito contestato all’imputato, nella sua qualità di dirigente della società deputata alla gestione dell’acquedotto civico di un comune, era quello di avere cagionato, per colpa, la distribuzione per il consumo di acque per uso potabile pericolose per la salute pubblica, così determinando l’insorgere di una epidemia nella popolazione locale, la Corte ha svolto un’ampia analisi delle questioni interpretative sollevate in ordine alla natura e agli elementi strutturali dell’art. 438 cod. pen. e del correlato art. 452, comma 2, cod. pen. Ha in primis definito il concetto di epidemia rilevante dal punto di vista penale ed il suo più ristretto ambito rispetto all’accezione accreditata dalla scienza medica ed ha altresì dato conto che la dottrina maggioritaria nonché la giurisprudenza di merito e anche di legittimità (Sez. 4, n. 2597 del 26/01/2011, Ceriello, sia pure in un obiter dictum), hanno sottolineato che il fatto tipico previsto nell’art. 438 cod. pen. è modellato secondo lo schema dell’illecito causalmente orientato in quanto il legislatore ha previsto anche il percorso causale, con la conseguenza che il medesimo evento realizzato a seguito di un diverso percorso difetta di tipicità. Ha quindi posto in rilievo che “la norma evoca, all’evidenza, una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma 2, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera, ovvero a quelle la cui realizzazione prescinde dalla necessità che la condotta presenti determinati requisiti modali”.
Concludendo quindi che non risulta aderente al dettato normativo l’assunto che, seguendo un indirizzo dottrinario del tutto minoritario, inquadra la fattispecie di cui all’ art. 438 cod. pen. e del correlato art. 452, comma 2, cod. pen., nella categoria dei c.d. “reati a mezzo vincolato”.
Nella medesima linea interpretativa, pur in mancanza di ulteriori approfondimenti, si pone Sez. 4, n. 20416 del 4.3.2021, n.m. la quale, pronunciandosi in un procedimento cautelare avente ad oggetto il sequestro di una casa di riposo in relazione alla diffusione del virus da Covid 19 fra gli ospiti e il personale, ha rilevato che “in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 cod. pen., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40 cod. pen., comma 2, riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera”. Nella specie, tuttavia, la Corte ha rigettato il ricorso per non essersi il ricorrente confrontato con la seconda ratio decidendi posta a base dell’ordinanza impugnata.
- Nella giurisprudenza di legittimità non si individuano pronunce che abbiano espressamente accolto un diverso indirizzo ermeneutico.
Tuttavia, Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, Rv. 277791, pur non affrontando direttamente il tema della tipicità della forma omissiva per il reato di cui all’art. 438 cod. pen., in un obiter dictum, ha svolto un’affermazione rilevante in questa sede ovvero che “… la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione quanto mai ampia, che il soggetto agente procuri un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire detta diffusione; occorre, però, al contempo, e ciò è evidente, che sia una diffusione capace di causare un’epidemia”.
- Ritiene questo Collegio che la tesi accolta da Sez. 4, n. 9133 del 12.12.2017, dep. 2018, Rv. 272261 debba essere superata in favore di un’interpretazione più ampia che ammette la realizzazione del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva.
In primis va considerato il dato letterale, in quanto la norma non sembra precludere una ricostruzione della tipicità aperta anche alla forma omissiva.
È utile rammentare quanto di recente ribadito anche dalle Sezioni Unite civili, ovvero che “l’attività interpretativa giudiziale è segnata, anzitutto, dal limite di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa” (Sez. U, n. 38596 del 6/12/2021, Rv. 663248 – 01).
Sembra al Collegio possibile attribuire alla locuzione in esame un significato conducente alla tipicità delle condotte omissive. In consonanza con un orientamento dottrinario che ormai si fatica a definire minoritario, si conviene che il termine “diffondere” è espressione dal significato molto ampio che può ricomprendere le forme più diverse, non necessariamente implicanti un agire naturalistico positivo in quanto si può diffondere anche “lasciando che si diffonda”.
Né si può omettere di considerare il mutato contesto storico e sociale in cui si trova ad operare l’odierno interprete rispetto al legislatore del 1930, al quale si presentava lo spargimento di germi come prioritaria modalità di realizzazione del reato sul versante doloso; mentre è palese l’attuale rilevanza della gestione del rischio sanitario che si correla a condotte inosservanti per lo più colpose. Va altresì considerato che l’incriminazione sia dolosa che colposa dell’epidemia non vanta alcun precedente nei codici preunitari né nel codice Zanardelli ed è stata prevista per la prima volta dal Codice Rocco di cui rappresenta una delle principali novità nell’ambito dei delitti contro l’incolumità pubblica. Il legislatore del 1930 così spiegava la scelta di introdurre questa nuova fattispecie incriminatrice: “La necessità di prevedere nel codice il delitto di epidemia è stata riconosciuta in rapporto alla enorme importanza che ormai ha acquistato la possibilità di venire in possesso di germi; capaci di cagionare una epidemia e di diffonderli e si è trovata a giustificare la grave sanzione”. Dalle motivazioni del legislatore storico non sembra potersi desumere con certezza la volontà di escludere dall’ambito della tipicità condotte realizzate in forma omissiva.
Per altro verso, l’osservazione secondo la quale la norma ove interpretata in senso ampio perderebbe la sua capacità di selezione, assicurata invece dalla descrizione di uno specifico percorso causale, non sembra cogliere nel segno. La centralità del riferimento alla “diffusione di germi patogeni” non verrebbe svalutata in quanto connotato della stessa tipicità ed essa manterrebbe una fondamentale funzione di descrizione selettiva dell’evento accentuandone il disvalore sotto il profilo della peculiare prospettiva di tutela. In questa direzione, ad essere vincolata non sarebbe la condotta, la quale ammetterebbe qualsiasi modalità di trasmissione della malattia, bensì il mezzo attraverso il quale si verifica l’evento. Ciò rende applicabile l’art. 40, comma 2, cod. pen., ritenuto compatibile con i c.d. reati a mezzo vincolato. A sostegno di tale ricostruzione, va anche rilevato che il legislatore costruisce le fattispecie incriminatrici come reati di evento a forma libera allorché intende apprestare una tutela particolarmente intensa al bene giuridico oggetto di protezione, proprio perché sanziona tutte le possibili modalità di aggressione al bene medesimo. Pertanto, considerato che il bene giuridico tutelato dalla norma in questione è la salute pubblica e l’incolumità collettiva, è ragionevole ritenere che il legislatore abbia voluto descrivere l’epidemia come reato causalmente orientato.
5.1. Peraltro, va registrato che alcune pronunce di questa Suprema Corte confutano una delle premesse della tesi che esclude la realizzazione del reato di epidemia colposa in forma omissiva, ovvero che l’art. 40 cpv. cod. pen. non possa trovare applicazione con riguardo ai reati a condotta vincolata. In particolare in tema di truffa, si è ritenuto che integra la condotta di raggiro il silenzio sul sopravvenuto verificarsi di un evento, che costituisce il presupposto della permanenza di un’obbligazione pecuniaria a carattere periodico, posto che il silenzio del beneficiario, pur indiretto, di detta prestazione è attivamente orientato a trarre in inganno il debitore sul permanere della causa dell’obbligazione (Sez. 2, n. 24487 del 18/04/2023, Rv. 284856). In tema di truffa contrattuale si è altresì affermato che anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo (Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Rv. 275463). Sempre in tale ambito si è ritenuto che il silenzio possa essere sussunto nella nozione di raggiro quando non si risolve in un semplice silenzio-inerzia, ma si sostanzia, in rapporto alle concrete circostanze del caso, in un “silenzio espressivo”, concretizzandosi in un comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa.
In applicazione di tale principio, questa Corte ha confermato la sentenza che aveva riconosciuto colpevole del delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato un medico ospedaliero autorizzato all’espletamento di attività sanitaria in regime “intra moenia”, per non aver comunicato all’ente pubblico lo svolgimento di attività professionale presso il proprio studio privato, sì da indurre l’ente stesso a corrispondergli lo stipendio maggiorato dell’indennità di esclusiva, sul presupposto che il rapporto si fosse svolto regolarmente, nel rispetto delle norme contrattuali (Sez. 2, n. 46209 del 03/10/2023, Rv. 285442). Da tali pronunce emerge, pertanto, che non è pacifica l’incompatibilità tra reati a forma vincolata e condotta omissiva; sicché, anche a ritenere che non si sia in presenza di un reato a mezzo vincolato, può ammettersi la commissione di tali reati con condotta omissiva.
- Alla stregua di quanto esposto, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite ex art. 618 cod. proc. pen.
Se è vero che la rimessione facoltativa di una questione di diritto alle Sezioni Unite, alla stregua della predetta norma richiede la ravvisabilità di un contrasto sufficientemente consolidato, sì che risulti superata la soglia dell’ordinario svolgimento di una riflessione giurisprudenziale in progressivo affinamento per essere sedimentate posizioni delle quali non è prevedibile l’ulteriore evoluzione (vedi Sez. 4, n. 7032 del 19.7.2018, dep. 2019, in motivazione; Sez. 4, n. 39766 del 23/05/2019; Rv. 277559), deve tuttavia rilevarsi come non sono mancati casi in cui detta rimessione, affidata alla discrezionalità del giudice di legittimità, sia stata disposta anche in ipotesi di contrasto solo potenziale (vedi Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266593).
La decisione del presente ricorso deve essere, quindi, rimessa alle Sezioni Unite dipendendone l’esito dalla soluzione della seguente questione giuridica controversa: “Se il reato di cui agli artt. 438, comma 1 e 452, comma 1, n. 2 cod. pen. possa essere realizzato anche in forma omissiva”.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2024.