1. Con riferimento all’art. 600-ter, mentre va ribadito il principio di diritto ivi espresso della necessaria alterità tra l’agente autore di una delle varie condotte del comma 1 ed il minore – con la precisazione però che, nell’ultima condotta della seconda ipotesi dello stesso comma 1, ben è possibile che l’agente tragga altrimenti profitto dagli spettacoli pornografici autoprodotti dal minore – non è possibile spingere oltre tale interpretazione ritenendo che tutta la norma sia informata alla nozione di materiale pornografico del comma 1 inteso nella sua interezza. Ne consegue che i commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico.
2. Ai fini dell’incriminazione e, quindi, del fatto tipizzato nel comma 4 dell’art. 600-ter c.p., non rileva la modalità della produzione, auto o eteroproduzione. Tale approdo è confermato dall’inserimento nell’art. 600-ter del comma 7, che ha introdotto la nozione di pornografia minorile a beneficio di tutte le fattispecie contemplate dalla norma.
Per la configurabilità del delitto di cui all’art. 600-ter c.p., comma 4, relativo all’offerta o cessione ad altri di materiale pedopornografico ossia di materiale raffigurante la pornografia minorile secondo la nozione data dall’art. 600-ter c.p., comma 7, è necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19.10.2017 il Giudice dell’udienza preliminare di Salerno ha assolto G.A. dai reati di cui all’art. 646 c.p. e art. 600-ter c.p., comma 4, perché il fatto non sussiste.
A seguito della denuncia del padre della persona offesa in ordine alla circolazione di foto pornografiche della figlia, i Carabinieri avevano sentito l’imputato ed altri soggetti che avevano ricevuto le foto nonché sequestrato i cellulari nelle cui gallerie le stesse erano presenti.
Nel corso dell’interrogatorio, l’imputato, studente universitario, aveva ammesso che, durante una gita a Palinuro nel periodo pasquale, dopo aver scattato delle foto di gruppo usando il telefono della persona offesa, all’insaputa di questa, aveva trattenuto l’apparecchio e, rinvenuti nella galleria i selfie pornografici, li aveva fotografati, prima di restituirle il cellulare; dopo qualche giorno, aveva inviato le foto dei selfie ad un comune amico, il quale, nel novembre 2015, le aveva successivamente divulgate. L’amico aveva confermato la versione dei fatti dell’imputato, ammettendo sia di aver ricevuto le due foto sia di averle inviate ad altro gruppo di whatsapp composto da circa venti persone che, probabilmente, a loro volta, le avevano divulgate su altre chat. Sentiti gli altri giovani, tutti avevano indicato il nome della persona da cui avevano ricevuto le due foto, alcuni avevano ammesso di averle successivamente inoltrate ad altro gruppo, altri di averle cancellate.
Il Pubblico ministero, pur avendo inviato l’avviso di conclusione delle indagini a tutti coloro i quali avevano avuto un ruolo attivo nella vicenda, si era determinato all’esercizio dell’azione penale solo nei confronti del G. .
Il Giudice ha osservato che l’imputato, piuttosto che divulgare o diffondere le due foto della ragazza ad una serie indeterminata di utenti, secondo la contestazione del Pubblico ministero, si era limitato a veicolarle ad un unico soggetto che aveva poi dato corso alla successiva e frenetica divulgazione in rete, sicché, premessa l’astratta ipotizzabilità del reato di cui all’art. 600-ter c.p., comma 4, piuttosto che quella del comma 3, come contestato in fatto, era da escludersi ogni responsabilità. Ed invero, il reato dell’art. 600-ter c.p. presupponeva, per ciascuna delle ipotesi di reato contemplate dalla norma incriminatrice, che il produttore del materiale pedopornografico fosse una persona diversa dal minore raffigurato. La norma mirava infatti a sanzionare chi utilizzava il minore al fine di produrre il materiale pornografico o al fine di porre il suddetto materiale nei circuiti che lo veicolavano a terzi. Nella specie, vi era stata la duplicazione, mediante copiatura, del materiale pedopornografico autoprodotto dalla ragazza, ipotesi non contemplata dalla norma incriminatrice e non giustificabile, trattandosi di un’interpretazione in malam partem.
Il Giudice ha poi escluso il reato di appropriazione indebita, perché i selfie non potevano essere oggetto di appropriazione, essendo cose mobili solo le entità materiali come i supporti cartacei su cui le immagini erano state eventualmente stampate e perché, essendo rimasta la ragazza nella disponibilità degli originali, non era stata spogliata di un suo bene. L’ipotesi poteva, forse, essere ricondotta nell’alveo della previsione dell’art. 615-ter c.p., giammai in quella dell’art. 646 c.p., donde l’assoluzione anche da questo reato.
1.1.Il Pubblico ministero ha interposto appello avverso la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare, eccependo che la giurisprudenza di legittimità formatasi sull’art. 600-ter c.p. riguardava l’ipotesi della divulgazione di foto pedopornografiche autoprodotte dal minore e non l’ipotesi in esame in cui il minore aveva certamente autoprodotto il materiale, ma non ne aveva curato la divulgazione che era stata invece oggetto dell’illecita autonoma iniziativa dell’imputato. Ha inoltre affermato che mal si comprendeva la ragione per la quale il Giudice non avesse condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 600-quater, dal momento che non v’era dubbio che avesse detenuto il materiale pedopornografico in funzione della successiva divulgazione, o per il reato di cui all’art. 615-ter c.p., la cui sussistenza pure aveva adombrato nella motivazione di assoluzione.
1.2. Con sentenza in data 14.3.2019 la Corte d’appello di Salerno, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’imputato alla pena di mesi 1 e giorni 20 di reclusione, nonché Euro 2.000,00 di multa, oltre spese del doppio grado di giudizio, risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in separata sede e spese di giudizio, riconosciuti i doppi benefici di legge, così calcolata: pena base per il reato più grave di cui all’art. 600-ter c.p., comma 4, mesi 3 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, ridotta per le circostanze attenuanti generiche a mesi 2 e giorni 10 di reclusione nonché Euro 2.000,00 di multa, aumentata per la continuazione del reato dell’art. 646 c.p. a mesi 2 e giorni 15 di reclusione nonché Euro 3.000,00 di multa, ridotta, per il rito come sopra.
Premesso che la norma violata nel caso in esame era l’art. 600-ter c.p., comma 4, i Giudici di secondo grado hanno osservato che la peculiarità del caso risiedeva nel fatto che la minore aveva sì autoprodotto il materiale pedopornografico, ma la condotta dell’imputato che aveva fotografato e divulgato (rectius: ceduto) le foto della stessa aveva pienamente integrato il reato. Rilevava non il momento originario dell’autoscatto, bensì quello successivo del nuovo scatto fotografico compiuto dall’imputato, terzo rispetto alla minore ritratta nel selfie. Inoltre, l’invio del materiale, anche ad un solo soggetto, aveva integrato la divulgazione (rectius: cessione), per la possibilità, insita nel mezzo telematico prescelto, di accesso ad un numero indeterminato di destinatari. Hanno poi ritenuto integrato il reato di appropriazione indebita perché l’imputato aveva illecitamente carpito le foto contenute nel cellulare della persona offesa, fotografandole a sua insaputa, non rilevando in questo caso la natura di bene immateriale della res o il fatto che si trattasse di un file e, d’altra parte, essendo escluso il reato di illecita interferenza nella vita privata altrui, perché la ragazza aveva spontaneamente consegnato il cellulare all’imputato.
2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione di legge in ordine all’applicazione dell’art. 600-ter c.p., comma 4, perché la Corte territoriale aveva sovvertito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ampiamente ed opportunamente valorizzato dal Giudice di primo grado, ritenendo di poter prescindere, ai fini della configurabilità del reato, dal requisito della formazione del materiale pedopornografico da parte di un soggetto altro e diverso rispetto al minore ritratto. Lamenta il travisamento della ratio della norma incriminatrice, volta a sanzionare la strumentalizzazione, o meglio l’utilizzazione del minore vittima del reato. Assume l’irrilevanza della circostanza della riproduzione fotografica da parte di un terzo delle due foto esistenti sul cellulare della persona offesa, poiché non vi era stata la strumentalizzazione del minore.
Con il secondo deduce la violazione di legge, di norme processuali, nonché il vizio di motivazione con riferimento alla condanna per il reato dell’art. 646 c.p., che non era stato oggetto di appello. Non v’era dubbio poi che egli non avesse avuto il possesso del file fotografico in contestazione, così come difettava l’elemento finalistico. Inoltre, non era ravvisabile nella sua condotta la finalità di perseguire un illecito profitto, indispensabile per un reato a dolo specifico. Lamenta infine la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di appropriazione indebita, siccome la Corte territoriale si era limitata ad affermare in modo apodittico la sua responsabilità.
Considerato in diritto
3. Pacifico il fatto storico, il primo problema di diritto sottoposto all’attenzione di questa Corte è relativo all’interpretazione dell’art. 600-ter c.p., comma 4, in rapporto all’art. 600-ter c.p., comma 1: se la condotta di chi entri abusivamente nella disponibilità di foto pornografiche autoprodotte dal minore e presenti nel suo telefono cellulare, ne effettui la riproduzione fotografica e le offra o le ceda successivamente a terzi senza autorizzazione, integri o meno l’ipotesi delittuosa per cui è intervenuta la condanna.
3.1. La norma, relativa alla pornografia minorile, punisce al comma 1 chiunque, utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico (prima ipotesi) e chiunque recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto (seconda ipotesi).
Tale formulazione è il frutto di plurimi interventi legislativi.
Nella formulazione originaria del 1998, l’art. 600-ter c.p. così recitava: “Art. 600-ter. – (Pornografia minorile). – 1. Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni. 2. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. 3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni. 4. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni”.
A seguito della modifica della L. 6 febbraio 2006, n. 38, con vigenza dal 2 marzo 2006, applicabile al caso in esame, la formulazione dell’articolo è stata così modificata: “1. Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228. 2. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. 3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645. 4. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al comma 1, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.549 a Euro 5.164. 5. Nei casi previsti dal terzo e dal comma 4 la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità”.
L’evoluzione normativa del 2006 ha seguito quella giurisprudenziale, ma non è stata decisiva nè ha comportato una modificazione dell’approccio culturale ai reati di pedopornografia, approccio fondato sulla necessità di prevenire e reprimere il fenomeno duramente, senza possibilità di introdurre elementi di distinguo con riferimento all’età ed al consenso, a differenza di quanto previsto nei reati di violenza sessuale.
Va precisato che l’art. 600-ter c.p. ha subito ulteriori interventi per effetto del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con modificazioni dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, ma soprattutto della L. 1 ottobre 2012, n. 172 che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a (OMISSIS) . In particolare, la Convezione di Lanzarote ha previsto all’art. 21, quanto ai reati relativi alla partecipazione di un minore a spettacoli pornografici, che ciascuna delle parti adotti le misure legislative o di altra natura necessarie per prevedere come reato le seguenti condotte intenzionali: a) reclutare un minore per partecipare a spettacoli pornografici o favorire la partecipazione di un minore a tali spettacoli, b) costringere un minore a partecipare a spettacoli pornografici, trarne profitto o sfruttare un minore in altra maniera per tali fini, c) assistere, con cognizione di causa, a spettacoli pornografici che comportano la partecipazione di minori, mentre può riservarsi il diritto di limitare l’applicazione della predetta lettera c), ai casi in cui i minori sono stati reclutati o costretti nei casi della lettera a) o b).
In virtù della L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4 lett. h), per quanto qui interessa, l’art. 600-ter c.p., comma 1, è stato modificato come segue: “Pornografia minorile. – È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 24.000 a Euro 240.000 chiunque 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto”.
Sono stati poi aggiunti due commi alla norma, il sesto ed il settimo.
Il sesto recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.500 ad Euro 6.000”.
Il settimo contiene la definizione di pornografia minorile come ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.
3.2. Come già diffusamente evidenziato da questa Sezione con ordinanza n. 10167 del 30/11/2017, dep. 2018, M., non massimata, la materia della pornografia minorile è stata affrontata ex professo per la prima volta in Italia nel 1998. Vero è che già nella L. 15 febbraio 1996, n. 66, in materia di violenze sessuali, v’era stata una speciale attenzione al minore, ma, solo dopo due anni, è arrivata al traguardo la legge recante le “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale, in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, che, al suo primo articolo, richiama l’adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata dalla L. 27 maggio 1991, n. 176, ed a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996, proclamando che la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall’Italia.
Successivamente, l’Italia ha ratificato, con la L. 11 marzo 2002, n. 46, il Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, fatto a New York il 6 settembre 2000, protocollo nascente dall’esigenza degli Stati di contrastare, con strumenti sempre più articolati ed omogenei, anche dal punto di vista internazionale, i gravi fenomeni ivi menzionati. Questa legge ha, tra l’altro, impartito delle disposizioni processuali per la salvaguardia del minore vittima e testimone di tali reati, integrando sul punto la L. 15 febbraio 1996, n. 66.
Di fondamentale importanza per l’evoluzione normativa è stata però la Decisione quadro GAI 2004/68/GAI del Consiglio del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. L’Unione Europea ritiene lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile gravi violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto fondamentale di tutti i bambini ad una crescita, un’educazione ed uno sviluppo armoniosi (par. 4 dei considerando), particolarmente pericolosa la pornografia infantile, a causa della diffusione a mezzo internet (par. 5 dei considerando), sicché l’importante opera portata avanti dalle organizzazioni internazionali deve essere integrata da quella dell’Unione Europea (par. 6 dei considerando) ed è necessario affrontare reati gravi quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile con un approccio globale comprendente quali parti integranti elementi costitutivi della legislazione penale comuni a tutti gli Stati membri, tra cui sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, e una cooperazione giudiziaria più ampia possibile (par. 7 dei considerando).
In questo contesto, sono state dettate delle regole minime a cui gli Stati membri avrebbero dovuto attenersi. L’Italia, in realtà, aveva già recepito queste regole nel 1998, ma nel 2006 è ulteriormente intervenuta con modifiche o inserti, per vero più di forma che di sostanza.
Confrontando i testi normativi, in particolare la Decisione quadro ed il pacchetto di norme sulla pornografia minorile introdotto dalla L. n. 269 del 1998, modificato nel 2006, ci si avvede che la normativa nazionale ha recepito integralmente la normativa sovranazionale ed anzi la modifica del 2006 ha consentito un’integrale sovrapposizione della normativa nazionale a quella Europea, perché l’art. 600-ter c.p. ha riprodotto integralmente l’art. 2 della Decisione quadro.
3.3. Dal punto di vista teleologico non v’è nessun dubbio che la politica criminale in tema di pornografia minorile, sia a livello nazionale che internazionale, si imperni sulla prevenzione del crimine, con l’idea dell’intrinseca pericolosità delle possibili manifestazioni della pedofilia, anche a prescindere dal contatto tra l’adulto ed il bambino ed è animato il dibattito scientifico anche in altri Paesi, e soprattutto negli Stati Uniti d’America, sulla rilevanza del consenso del minore che può invece legittimamente esprimersi nella relazione sessuale, e sulla presunzione che il pedofilo sia un soggetto che dalla “fantasia” erotica passi certamente all’azione. Ciò nondimeno, allo stato, è netta la scelta del legislatore nazionale di tutelare tutti i minori di anni diciotto, senza distinzioni, rispetto alle condotte relative alla pornografia, di per sé ritenute degradanti.
3.4. Va rimarcato che la materia è comunque sempre presente nell’agenda del legislatore sovranazionale a vari livelli. Basti pensare, a titolo esemplificativo, che il Comitato di Lanzarote del Consiglio d’Europa, per quello che qui interessa, a maggio 2015, ha programmato, tra gli altri, uno specifico lavoro sul sexting, attività che risulta ancora in corso.
3.5. La circostanza di una riflessione sempre aperta sul fenomeno, con approcci multidisciplinari e con risultati molto avanzati negli altri Stati, in particolar modo, per quel che consta, nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America, impone alla giurisprudenza di evolversi nell’interpretazione delle norme, da adattarsi al caso concreto, nel tentativo di diradare le ombre, sia pure con la piena consapevolezza dei limiti imposti dalla cognizione della vicenda.
4. Il caso in esame è emblematico dell’assenza di una stabilizzazione delle interpretazioni in materia.
4.1. Il punto di partenza del ragionamento è costituito dalla sentenza di questa Sezione n. 11675 del 18/02/2016, S R e altri, Rv. 266319, secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto dell’art. 600-ter c.p., è necessario che il produttore del materiale sia persona diversa dal minore raffigurato, in quanto, nel diverso caso dell’autoproduzione difetterebbe l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo.
4.2. Il caso scrutinato era stato quello della cessione da parte di terzi del materiale pedopornografico autoprodotto dalla minore e da questa volontariamente ceduto ad altri che l’avevano ulteriormente ceduto. Il Tribunale per i minorenni aveva ritenuto di non doversi procedere nei confronti degli imputati per il reato dell’art. 600-ter c.p., comma 4, poiché il rinvio del comma 4 al comma 1 era da ritenersi operante, non rispetto alla parte relativa al solo materiale pedopornografico, ma all’intera prescrizione, siccome il materiale pedopornografico del comma 1 era solo quello etero prodotto. Nel ricorso per cassazione il Pubblico ministero aveva condiviso la lettura dell’art. 600-ter c.p., con riferimento al comma 1, ma l’aveva considerata errata con riferimento ai successivi commi, compreso il quarto, che facevano riferimento al materiale pornografico riproducente minori, senza richiedere che lo stesso fosse stato realizzato da terzi, utilizzando i minori medesimi. Tale interpretazione, ad avviso del ricorrente, era l’unica che consentiva di evitare un pericoloso e gravissimo vuoto di tutela, quale quello evidente nel caso esaminato della successiva ed ulteriore divulgazione di immagini pedopornografiche. Inoltre, era l’unica coerente con la successiva previsione dell’art. 600-quater c.p. che non rinviava per la definizione del materiale pedopornografico all’art. 600-ter c.p., comma 1.
4.3. La decisione di questa Sezione di rigetto del ricorso del Pubblico ministero risente dell’impostazione del problema da parte delle Sezioni Unite con sentenza n. 13 del 31/05/2000, PM, Rv. 216337 e 216338.
Ai fini di una migliore comprensione della questione, va ricordato che le Sezioni Unite del 2000, chiamate proprio dalla Sezione terza, non a dirimere un contrasto tra le Sezioni semplici, bensì a pronunciarsi su una questione nuova e di particolare importanza, siccome il reato era stato introdotto solo nel 1998, avevano focalizzato la loro attenzione, da una parte, sul senso del termine “sfruttare”, da intendersi nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata, dall’altra, sulla necessità che questo sfruttamento mirasse alla diffusione del materiale pornografico prodotto, donde la necessità di accertare l’esistenza di un pericolo concreto. Tale parte fondamentale della decisione discendeva dall’osservazione che le Convenzioni internazionali miravano ad anticipare la repressione delle condotte prodromiche ad alimentare il mercato della pedofilia, e recava implicitamente la preoccupazione di restringere la portata applicativa della norma, per evitare che un’eccessiva anticipazione della tutela prestasse il fianco ad istanze di incostituzionalità, per mancanza di offensività. Di qui la distinzione della prescrizione dell’art. 600-ter c.p. da quella dell’art. 600-quater c.p., in cui la detenzione non richiedeva il pericolo concreto di diffusione.
4.4. Nella sentenza del 2016 i Giudici di legittimità hanno affermato che il medesimo percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite “impone – quale presupposto logico prima ancora che giuridico -, che l’autore della condotta sia soggetto altro e diverso rispetto al minore da lui (prima sfruttato, oggi) utilizzato, indipendentemente dal fine – di lucro o meno – che lo anima e dall’eventuale consenso, del tutto irrilevante, che il minore stesso possa aver prestato all’altrui produzione del materiale o realizzazione degli spettacoli pornografici; alterità e diversità che, quindi, non potranno ravvisarsi qualora il materiale medesimo sia realizzato dallo stesso minore – in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto -, ostando a ciò la lettera e la ratio della disposizione come richiamata, sì che la fattispecie di cui all’art. 600-ter, comma 1, in esame non potrà essere configurata per difetto di un elemento costitutivo”.
Nello sviluppo della motivazione, hanno sostenuto che tale soluzione era valida anche per il comma 4, a) per motivi letterali, stante il rinvio del secondo, terzo e comma 4 al materiale pornografico prodotto come indicato dal comma 1; b) per motivi sistematici, perché l’art. 602-ter c.p., nel disciplinare le circostanze aggravanti relative ai delitti contro la personalità individuale ribadivano e presupponevano la necessaria alterità tra l’autore del reato e la persona offesa; c) per motivi teleologici, perché la ratio che permeava di sé tutto il testo dell’art. 600-ter c.p., compreso il comma 4, presupponeva che la condotta di cessione del materiale pornografico, pur se a titolo gratuito, avesse quale necessario presupposto l’utilizzazione del minore da parte di un terzo, “Il minore, quindi, quale persona offesa da tutelare perché (ieri sfruttato, oggi) utilizzato; con la conseguente punizione di chi inserisce quel materiale in un qualsivoglia circuito che lo veicoli a terzi, fosse anche una mera cessione a titolo gratuito”.
Hanno quindi argomentato, per ribattere all’obiezione del ricorrente sulla diversa formulazione dell’art. 600-quater c.p., che sanzionava chiunque consapevolmente si procurava o deteneva materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, che si trattava di una tipica fattispecie di chiusura, che non negava l’interpretazione restrittiva e rispondeva ad esigenze di tecnica redazionale, peraltro ex se giustificata dall’applicazione su una norma distinta: un richiamo sintetico al materiale dell’art. 600-ter c.p., comma 1 avrebbe rischiato di rendere la norma di difficile lettura.
Hanno infine concluso che una difforme interpretazione ermeneutica rispetto a quella propugnata avrebbe implicato un’interpretazione analogica della norma incriminatrice palesemente in malam partem, come tale vietata dall’ordinamento, oltre che in contrasto insanabile con la lettera e la ratio della disposizione.
4.5. Tale decisione non ha trovato riscontri unanimi in dottrina.
Se da un lato è stata apprezzata l’interpretazione restrittiva in scrupolosa aderenza al testo letterale, dall’altro è stata lamentata l’assenza di una riflessione approfondita sulla rilevanza del consenso del minore nella produzione e successiva divulgazione del materiale pornografico ed è stato evidenziato il vuoto di tutela del sexting, neologismo inglese coniato a metà degli anni 2000, che individua la pratica di diffusione, attraverso dispositivi elettronici, principalmente il cellulare, di testi e/o immagini sessualmente espliciti.
È stato più in dettaglio osservato che il sexting determina, rispetto alla produzione “tradizionale” della pedopornografia, un’inversione della strumentalizzazione del minore, che si sposta dal momento della produzione al momento della diffusione, con la conseguenza che l’interprete non deve valutare se il minore sia stato o meno utilizzato, ma deve concentrarsi sulle caratteristiche delle immagini e sulla tipicità delle condotte che assumono significato criminoso in sé, senza indagare sull’origine dell’immagine. Se la ratio della norma è quella di garantire una tutela omnicomprensiva del minore, attraverso l’incriminazione di qualsiasi condotta connessa alle immagini pedopornografiche, si deve prendere atto che le condotte disciplinate dai commi successivo al primo sono temporalmente e materialmente distanti dal primo fatto di utilizzazione e non presuppongono necessariamente l’accertamento dell’alterità. Del resto, tale interpretazione già ricorre nella giurisprudenza, forse inconsapevolmente, in tutti quei casi di commercio e diffusione del materiale pornografico in cui l’imputato rappresenta solo un anello della catena del mercato pedofilo, distante dal produttore originario del materiale, ignorante della provenienza dello stesso, sebbene accetti il rischio che esso sia stato prodotto attraverso l’utilizzazione del minore raffigurato.
In particolare, la dottrina ha ulteriormente approfondito il tema, distinguendo tra sexting primario, cioè la condotta di chi autoproduce il materiale pornografico e ne curi la cessione a terzi, scriminata dal consenso prestato dal minore di età matura per un rapporto sessuale libero e non condizionato, e sexting secondario, relativo alla successiva utilizzazione del materiale pedopornografico ricevuto senza il consenso o in aperto dissenso del minore ritratto, sulla scorta di due interessanti sentenze di merito: una della Corte d’appello di Milano che, in data 12 marzo 2014, aveva escluso il reato di detenzione del materiale pedopornografico da parte di chi l’aveva ricevuto direttamente dal soggetto che si era autoritratto, sul presupposto che la norma incriminatrice intendesse reprimere il mercato della pedofilia e non incidere sulla libertà sessuale dell’individuo e, l’altra.. del Giudice per le indagini preliminari di Firenze, che, in data 27 gennaio 2015, aveva assolto l’imputato dal reato dell’art. 600-ter, comma 1, con riferimento alla condotta della produzione del materiale, frutto dell’autonoma e non condizionata iniziativa della ragazza ritratta, mentre l’aveva condannato per il reato dell’art. 600-ter c.p., comma 3, per la relativa divulgazione su facebook, finita la storia sentimentale.
È stato altresì ritenuto che la sostituzione del termine “sfruttamento” con quello di “utilizzazione” fosse sintomatica di un allentamento dello stretto collegamento tra le varie condotte dell’art. 600-ter c.p., soprattutto qualora si fosse attribuito al nuovo termine il significato neutro di “impiego” del minore. In altri termini, se l’utilizzazione indicava la strumentalizzazione o reificazione del minore, allora restava intatto il forte disvalore della condotta di produzione che doveva permeare tutte le fattispecie successive; se, invece, le si conferiva il semplice significato di impiego, allora non poteva arricchire il significato delle condotte successive e non ne condizionava la sussistenza.
5. Nonostante tali spunti di riflessione, questa Sezione ha ribadito, l’anno successivo, con la sentenza n. 34357 del 11/04/2017, R., Rv. 270719, il principio di diritto affermato nel 2016. Infatti, ha annullato senza rinvio il sequestro probatorio dei dispositivi informatici considerati cose pertinenti al reato contestato dell’art. 600-ter c.p., comma 3, in un’ipotesi in cui l’indagato aveva illecitamente divulgato foto osé della persona offesa autoprodotte. Pur dando conto della valutazione indiziaria dell’assenza del carattere pornografico delle foto circolate, ciò che già bastava ai fini della decisione, il Collegio ha tuttavia ritenuto in un obiter dictum di evidenziare il vuoto di tutela con riferimento alla repressione del sexting.
6. Non consta che vi siano state altre pronunce di legittimità che si siano confrontate specificamente con tale problema.
6.1. Tuttavia, proprio la singolare vicenda processuale in esame, riletta alla luce della successiva sentenza a Sezioni Unite n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087, impone un generale ripensamento dell’orientamento di questa Sezione espresso nelle citate sentenze del 2016 e 2017.
6.2. È interessante osservare che tutti i Giudici di merito si sono confrontati con la decisione del 2016, ritenendo di darvi applicazione, ma pervenendo a risultati opposti.
6.3. Il Giudice dell’udienza preliminare ha assolto l’imputato dal reato contestato perché il fatto non sussiste, giacché “un conto è produrre materiale pedopornografico, altro conto è duplicare, mediante copiatura, il materiale pedopornografico già prodotto. D’altro canto qualora si pretendesse di far rientrare anche l’attività di duplicazione mediante copiatura nella nozione di produzione, si finirebbe con l’avallare un’applicazione in malam partem della norma incriminatrice, notoriamente non consentita”.
6.4. La Corte territoriale ha pronunciato la sentenza di condanna, affermando, invece, che “La peculiarità del caso in esame è rappresentata dal fatto che la produzione del materiale pedopornografico è stata, originariamente, opera dello stesso soggetto minore, ma poi successivamente la raffigurazione pornografica, illecitamente carpita, risulta a sua volta fotografata da un terzo e poi divulgata da altri”. Ha infatti ritenuto che la foto della foto realizzata con autoscatto rientrava a pieno titolo nel concetto di materiale pedopornografico di cui al comma 1 dell’art. 600-ter c.p..
6.5. Va precisato che il Pubblico ministero, nel formulare il capo d’imputazione, non aveva valorizzato “l’autonoma produzione”, contestando il reato dell’art. 600-ter c.p., comma 1, bensì aveva focalizzato l’attenzione sulla divulgazione (è risultata poi accertata la cessione), previa indebita appropriazione (donde la contestazione del reato di cui all’art. 646 c.p.) delle predette foto pornografiche contenute nel cellulare della ragazza a mezzo scatto fotografico con il proprio cellulare. La Corte territoriale invece, pur essendo convinta della produzione, nel senso che la riproduzione a mezzo copiatura costituiva un’ipotesi di produzione, non ha inteso condannare per il più grave reato previsto dal comma 1, ritenuta assorbita l’appropriazione indebita, ma ha valorizzato la relativa condotta per connotare il materiale pornografico ceduto in ossequio alla giurisprudenza di legittimità.
7. Non dubita il Collegio che le condotte disegnate nel comma 1 presuppongano l’alterità tra l’autore ed il minore: nella prima ipotesi, la realizzazione delle esibizioni o degli spettacoli pornografici ovvero la produzione del materiale pornografico deve avvenire “utilizzando” il minore di anni diciotto, nella seconda ipotesi, il reclutamento o l’induzione dei minori di anni diciotto a partecipare alle esibizioni o agli spettacoli pornografici richiedono la condotta attiva di un soggetto “altro” dal minore.
Già però la terza delle condotte punite nella seconda ipotesi, cioè quella di chi trae profitto dalle esibizioni o dagli spettacoli pornografici, prescinde, a ben vedere, dall’auto o eteroproduzione del materiale pedopornografico.
Recentemente, poi, è maturata nella giurisprudenza di legittimità la consapevolezza che la normativa sovranazionale e nazionale impongano di prescindere dal pericolo della diffusione del materiale pedopornografico, perché le condotte della produzione, detenzione, divulgazione, cessione sono tutte autonomamente distinte e tutte di danno, sebbene ispirate da una generale idea di pericolo, forse più astratto che concreto.
Nella citata ordinanza del 2018, con cui le Sezioni Unite sono state compulsate a rivedere l’impostazione del 2000 sulla necessità del pericolo di diffusione ai fini dell’integrazione del reato, questa Sezione ha addirittura prospettato l’ipotesi che anche la produzione del materiale pedopornografico ad uso personale costituisse reato, perché il tipo di relazione descritta nell’art. 600-ter c.p., u.c., pur senza contatto fisico tra l’adulto ed il minore, era considerata come degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano ed armonioso.
8. Nel 2018 le Sezioni Unite hanno ritenuto che il precedente del 2000 rispondeva all’esigenza del tutto legittima di evitare di trattare con eccessivo rigore sanzionatorio, essendo molto elevata la pena edittale prevista (reclusione da sei a dodici anni e multa da cinquanta a cinquecento milioni di lire), la realizzazione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori, avendo superato l’idea che lo sfruttamento dovesse presentare risvolti economici ed avendo elaborato una nozione di sfruttamento sostanzialmente coincidente con quella di utilizzazione, recepita poi dal legislatore con la riforma del 2006.
Nella ricostruzione interpretativa dell’epoca, per “compensare” l’ampliamento della nozione di sfruttamento, i casi in cui la produzione del materiale pedopornografico era destinata ad una fruizione meramente privata da parte dello stesso soggetto che aveva realizzato il suddetto materiale erano ricondotti nell’alveo dell’art. 600-quater c.p., che prevedeva un trattamento meno rigoroso sul piano sanzionatorio (reclusione fino a tre anni e multa non inferiore a tre milioni di lire). Tale conclusione trovava spazio perché non v’era una definizione di pornografia minorile quale quella introdotta nel 2012, imperniata sull’esigenza di tutela della dignità sessuale e dell’immagine del minore. All’epoca, quindi, produrre materiale pornografico significava produrre materiale destinato alla fruizione da parte di terzi, giacché era insita nel concetto di pornografia la visione perversa da parte di una cerchia indeterminata di soggetti.
L’introduzione, in via interpretativa, del requisito del pericolo di diffusione si giustificava, allora, perché l’applicazione di un trattamento sanzionatorio così rigoroso richiedeva necessariamente che vi fosse qualcosa in più della semplice captazione dell’immagine pornografica del minore, in un contesto tecnologico nel quale la captazione non implicava necessariamente la successiva diffusione.
8.1. A causa della pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto di superare l’orientamento tradizionale, diventato anacronistico.
Hanno poi osservato che l’introduzione nel 2012 della definizione normativa di pornografia sessuale aveva chiarito che oggetto della tutela penale erano l’immagine, la dignità ed il corretto sviluppo sessuale del minore, ciò che consentiva di ricostruire la fattispecie in termini di illecito di danno, perché l’utilizzazione del minore, nella realizzazione del materiale pornografico, comprometteva di per sé il bene giuridico, consumando l’offesa che il legislatore mirava ad evitare. Hanno quindi corroborato la propria tesi con i seguenti ulteriori argomenti: a) l’art. 600-quater c.p. era una norma di chiusura del sistema che colpiva l’agente, diverso da quello coinvolto nelle condotte represse dal precedente articolo, il quale si procurava o deteneva materiale pornografico utilizzando minori degli anni diciotto; b) il materiale pornografico prodotto o realizzato, di cui si trattava negli artt. 600-ter, 600-quater e 600-quater.1 c.p. era ontologicamente lo stesso, non essendovi alcuna autonomia concettuale della produzione rispetto alla realizzazione, con conseguente irrilevanza del presupposto del pericolo di diffusione, in quanto riferito alla sola “produzione”.
8.2. Le Sezioni Unite non sono entrate nel merito dell’interpretazione della portata del rinvio del secondo, terzo e comma 4 all’art. 600-ter c.p., comma 1, del tutto estraneo al tema d’indagine che era stato loro devoluto, ma hanno chiarito le conseguenze del superamento dell’orientamento giurisprudenziale dominante.
Ai fini dell’economia della presente decisione, rilevano tuttavia le considerazioni di carattere generale.
8.3. Innanzi tutto, hanno segnalato il rischio che l’eliminazione del pericolo di diffusione determinasse un’applicazione eccessivamente espansiva della norma penale, ben al di là di ipotesi rispecchianti la gravità sociale e lo spessore criminale del fenomeno della pedopornografia. Così hanno escluso dallo spettro della rilevanza penale le condotte di cosiddetta pornografia domestica, di chi realizzava il materiale pornografico in cui erano coinvolti minori che avessero raggiunto l’età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale fosse stato prodotto e posseduto con il consenso di tali minori ed esclusivamente a loro uso privato.
Diversamente, si sarebbe incorsi in una “ipercriminalizzazione” di condotte rientranti nell’ambito dell’”autonomia privata sessuale”. Tale soluzione era coerente con il quadro normativo sovranazionale della citata Decisione Quadro, della Convenzione di Lanzarote e della Direttiva dell’Unione Europea 2011/93.
8.4. Hanno poi svolto ulteriori decisive considerazioni.
Hanno distinto, infatti, l’ipotesi di abuso per la supremazia rivestita dall’agente nei confronti del minore, da quella per le modalità con le quali il materiale pornografico veniva prodotto, ad esempio con minaccia, violenza, inganno, o da quella per il fine commerciale che sottendeva la produzione, o ancora da quella per l’età dei minori coinvolti, qualora questa fosse inferiore all’età rilevante ai fini del consenso sessuale.
In altri termini, qualora le immagini o i video avessero avuto per oggetto la vita privata sessuale nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non fosse caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, ma fosse frutto di una libera scelta, doveva essere esclusa la ricorrenza dell’”utilizzazione”, irrilevante essendo l’uso strettamente privato.
Dunque, il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante in questo campo non era costituito dal consenso del minore in quanto tale, ma dalla configurabilità dell’utilizzazione, che poteva essere esclusa solo attraverso un’approfondita valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti di legge, tra cui il carattere pornografico o meno di immagini ritraenti il minore, accertamento di fatto demandato al giudice di merito.
8.5. Hanno poi validato tale conclusione, osservando che le circostanze aggravanti dell’art. 602-ter c.p., tra cui, in particolare, quella del comma 5, prevedevano un trattamento sanzionatorio ingiustificabile, alla stregua del principio di ragionevolezza se si fossero applicate al fenomeno della pornografia minorile domestica.
9. Ritiene il Collegio che, alla luce delle considerazioni delle Sezioni Unite nel 2018, che a) hanno definitivamente espunto il requisito del pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, utilizzando i minori di anni diciotto, dal reato dell’art. 600-ter c.p., b) hanno affermato l’unitarietà della nozione di materiale pornografico quale indicata nell’ultimo comma della norma in esame, e c) hanno ritenuta lecita la pornografia domestica minorile, debba rivedersi l’orientamento di questa Sezione espresso nelle due sentenze del 2016 e 2017.
Ed invero, mentre va ribadito il principio di diritto ivi espresso della necessaria alterità tra l’agente autore di una delle varie condotte del comma 1 ed il minore, con la precisazione però che, nell’ultima condotta della seconda ipotesi dello stesso comma 1, ben è possibile che l’agente tragga altrimenti profitto dagli spettacoli pornografici autoprodotti dal minore, non è possibile spingere oltre tale interpretazione ritenendo che tutta la norma sia informata alla nozione di materiale pornografico del comma 1 inteso nella sua interezza.
9.1. Dal punto di vista letterale, tale interpretazione non tiene conto del fatto che, all’epoca della scrittura del secondo, terzo e comma 4, mancava nell’articolo la nozione di pornografia minorile introdotta nel 2012 e vi era l’esigenza di tecnica redazionale di individuare agevolmente l’oggetto delle relative condotte.
Quando si è intervenuti sulla norma, nel 2012, evidentemente non si è paventato il rischio di un’interpretazione rigoristica della Corte di cassazione in ordine al contenuto della relatio.
In senso opposto a quanto ritenuto nella sentenza del 2016, è l’art. 600-ter c.p. che soffre di debolezza nella tecnica redazionale per i vari rimaneggiamenti, non l’art. 600-quater c.p..
9.2.Ne consegue che i commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico.
Ai fini dell’incriminazione e, quindi, del fatto tipizzato nel comma 4 dell’art. 600-ter c.p., non rileva la modalità della produzione, auto o eteroproduzione. Tale approdo è confermato dall’inserimento nell’art. 600-ter del comma 7, che ha introdotto la nozione di pornografia minorile a beneficio di tutte le fattispecie contemplate dalla norma.
Per la configurabilità del delitto di cui all’art. 600-ter c.p., comma 4, relativo all’offerta o cessione ad altri di materiale pedopornografico ossia di materiale raffigurante la pornografia minorile secondo la nozione data dall’art. 600-ter c.p., comma 7, è necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica.
9.3. D’altra parte, non può trascurarsi che, nella relazione di presentazione del disegno di legge della Camera dei deputati n. 4599, prodromico all’adozione della L. n. 38 del 2006, era stata affermata l’esigenza che non vi fossero lacune nei testi, di modo da reprimere tutti i possibili comportamenti dei pedofili, anche potenziali.
9.4. Come lucidamente evidenziato dalla dottrina e dalle Sezioni Unite del 2018, non erano forse prevedibili nel 1998 gli usi distorti degli strumenti informatici, tuttavia, va aggiunto, già nel 2006 era nota nella letteratura inglese la pratica del sexting.
9.5. È significativo che, dopo la riforma del 2012, che ha recepito la Direttiva 2011/92/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, la norma non abbia subito ulteriori rimaneggiamenti, a riprova della sua sostanziale tenuta.
– In particolare, l’art. 4 si occupa dei reati di sfruttamento sessuale e trova il suo riscontro nelle condotte dell’art. 600-ter c.p., comma 1.
L’art. 5, invece, è relativo ai reati di pornografia minorile e stabilisce che “1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché siano punite le condotte intenzionali, allorché non giustificate, di cui ai paragrafi da 2 a 6.
2. L’acquisto o il possesso di materiale pedopornografico è punito con una pena detentiva massima di almeno un anno.
3. L’accesso consapevole, a mezzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, a materiale pedopornografico è punito con una pena detentiva massima di almeno un anno.
4. La distribuzione, la diffusione o la trasmissione di materiale pedopornografico è punita con una pena detentiva massima di almeno due anni.
5. L’offerta, la fornitura o la messa a disposizione di materiale pedopornografico è punita con una pena detentiva massima di almeno due anni.
6. La produzione di materiale pedopornografico è punita con una pena detentiva massima di almeno tre anni.
7. Rientra nella discrezionalità degli Stati membri decidere se il presente articolo si applichi ai casi di pornografia minorile, di cui all’art. 2, lett. c), punto iii), qualora la persona che sembra un minore abbia avuto in realtà diciotto anni o più al momento in cui è stata ritratta.
8. Rientra nella discrezionalità degli Stati membri decidere se i paragrafi 2 e 6 del presente articolo si applichino ai casi in cui si accerti che il materiale pornografico quale definito all’art. 2, lettera c), punto iv) è prodotto e posseduto dal produttore unicamente a uso privato, a condizione che non sia stato utilizzato ai fini della sua produzione alcun materiale pornografico di cui all’art. 2, lett. c), punti i), ii) e iii), e purché l’attività non comporti alcun rischio di diffusione del materiale”.
Trova quindi riscontro nelle condotte dei commi 2, 3 e 4, sebbene la norma nazionale non criminalizzi la mera produzione e la giurisprudenza abbia escluso la rilevanza penale della cosiddetta pornografia domestica.
In ogni caso, le condotte indicate come penalmente rilevanti dalla Direttiva nell’art. 5 si riferiscono al solo materiale pedopornografico, a prescindere dalle modalità di relativa produzione, il che avvalora l’interpretazione che qui si propugna secondo cui il riferimento al materiale pornografico del comma 1 dipendeva dall’esigenza di avere una definizione dell’oggetto e non dalla volontà di restringere la portata applicativa della disposizione.
Ed invero, come si è detto, i limiti di discrezionalità degli Stati membri sono fissati nel punto 8 dell’art. 5.
9.6. Ulteriori argomenti, che si traggono dalle più recenti leggi, avvalorano il superamento dell’orientamento giurisprudenziale del 2016 e 2017.
La L. 29 maggio 2017, n. 71, recante disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del cyber bullismo non reca alcun riferimento specifico alle condotte di diffusione di materiale pedopornografico in rete ed anzi all’art. 7 introduce una speciale misura dell’ammonimento, finché non sia stata presentata la querela per uno dei reati di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 594, 595, 612 o 167, contenente il codice per la protezione dei dati personali.
Del pari non si occupa espressamente di pedopornografia l’art. 10 della L. 19 luglio 2019, n. 69 che ha introdotto il reato dell’art. 612-ter c.p. sulla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, fattispecie in parte sovrapponibile a quella in esame e che, in continuità, ne condivide la visione generale.
La norma così recita: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da Euro 5.000 a Euro 15.000.
2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al comma 1, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
4. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al comma 4, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.
9.7. Osserva il Collegio che, sebbene il nuovo reato preveda un trattamento sanzionatorio deteriore nei limiti edittali massimi rispetto a quelli corrispondenti previsti in materia di pedopornografia, si tratta pur sempre di un reato punibile a querela, salva la connessione con altro delitto procedibile d’ufficio. Inoltre, è un reato che presuppone il consenso del soggetto raffigurato nella predisposizione del materiale, ma il dissenso nel suo utilizzo, mentre, nel caso dei reati di pornografia minorile, l’orientamento giurisprudenziale è che si prescinda dal consenso nella formazione del materiale sia pure con le precisazioni svolte dalle Sezioni Unite nel 2018 sulla pedopornografia cosiddetta domestica.
10. In definitiva la disciplina della pornografia minorile è affidata esclusivamente al sistema chiuso degli art. 600-ter e seguenti e colpisce le condotte indicate, talvolta a prescindere dall’autore del materiale pornografico e comunque sempre a prescindere dal pericolo della sua diffusione.
10.1.Nonostante sia stato considerato dalle Sezioni Unite irrilevante l’eventuale consenso del minore, al fine del discrimine penale, non è da escludersi in prosieguo un maggiore approfondimento anche di questo tema, che tuttavia esula dal caso in esame.
10.2. Tale interpretazione non integra un’applicazione in malam partem dell’art. 600-ter c.p., infatti aderisce alla lettera della norma, giacché il riferimento al “comma 1” risponde all’esigenza di chiarire la nozione di materiale pornografico che è ormai definita dall’ultimo comma, mentre il requisito dell’eteroproduzione non è determinante in talune delle condotte delittuose; è rispettosa del sistema, poiché gli stessi lavori preparatori della legge sono indicativi della volontà di evitare vuoti di tutela; è in linea con la ratio della norma, siccome la tutela della dignità personale del minore è da intendersi nel senso più ampio possibile sia a livello della normativa nazionale che sovranazionale.
10.3. Nè vi è il rischio di un overruling in malam partem, poiché l’orientamento espresso solo in due sentenze, nel 2016 e 2017, non poteva considerarsi consolidato. D’altra parte, già le Sezioni Unite nella sentenza del 2018, nel rivedere il precedente del 2000 avevano escluso l’overruling in malam partem nell’interpretazione dell’art. 600-ter c.p., osservando che l’esclusione del pericolo quale presupposto per la sussistenza del reato non determinava in concreto un ampliamento dell’ambito di applicazione della fattispecie penale, essendo completamente mutato il quadro sociale e tecnologico di riferimento ed essendo parallelamente mutato anche il quadro normativo sovranazionale e nazionale: mentre fino al 2000 la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica, idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, era tutt’altro che scontata e doveva essere oggetto di specifico accertamento, nel 2018 era generalizzata ed anzi la riproducibilità e trasmissibilità di immagini e video era immediata conseguenza della loro produzione.
Analogamente, nel caso in esame, il mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale non ha sovvertito un orientamento radicato nell’ordinamento, ma si è limitato ad aggiornare la lettura della norma.
Va ricordato che la Corte EDU ritiene che il progressivo sviluppo del diritto penale attraverso la sua interpretazione sia una parte necessaria della tradizione legale degli Stati Membri della Convenzione, benché avversi indirizzi giurisprudenziali nazionali estensivi della sfera operativa di una fattispecie criminosa, laddove la norma sia oscura o la nuova interpretazione non costituisca un’evoluzione ragionevolmente prevedibile della giurisprudenza anteriore (così sentenza Grande Camera del 21/10/2013, Del Rio Prada c/Spagna e Sez. 3, 17/10/2017, Navalnyye c/Russia).
L’art. 7 CEDU include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa sia quello di derivazione giurisprudenziale. L’overruling in malam partem ricorre quando il dato normativo non sia chiaro, nè conoscibile o sia esclusa la prevedibilità della decisione, per il mutamento di un orientamento consolidato. Ribadisce il Collegio che nessuna di tali condizioni ricorreva nella specie: il dato normativo, specie dopo il 2012, era ragionevole che potesse venir letto alla stregua delle considerazioni esposte nella presente sentenza, che si reputano oggi maggiormente persuasive.
10. 4. Il primo motivo di ricorso va pertanto rigettato con riferimento alla condanna dell’imputato per l’art. 600-ter c.p., comma 4, mentre va accolto il secondo motivo di ricorso, siccome la Corte territoriale ha pronunciato sentenza di condanna per il reato di appropriazione indebita per il quale il Giudice dell’udienza preliminare aveva pronunciato l’assoluzione ed il Pubblico ministero non aveva impugnato.
10.5. Si impone in parte qua l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la rideterminazione della pena ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), in mesi 1, giorni 16 di reclusione ed Euro 1.333,00 di multa, scorporando l’aumento di pena per il reato dell’art. 646 c.p..
Le spese di giudizio della parte civile sono liquidate alla stregua delle risultanze di causa, come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 646 c.p. perché il fatto non sussiste. Rigetta il ricorso nel resto e ridetermina la pena per il residuo reato di cui all’art. 600-ter c.p., comma 4, in mesi 1, giorni 16 di reclusione ed Euro 1.333,00 di multa. Condanna l’imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2.550,00, oltre accessori di legge.