Il reato di violenza sessuale, consistente nel compimento da parte della persona offesa di atti sessuali su se stessa, può essere commesso anche a distanza, ovverosia a mezzo telefonico o di altre apparecchiature di comunicazione elettronica.
FATTO
1. Con sentenza del 12/07/2011 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Gip presso il Tribunale di Roma in data 19/09/2007 di condanna di Z.F. alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa per i reati di cui agli artt. 110, 81 cpv. e art. 600 ter c.p., comma 1, (capo a), art. 81 cpv., art. 609 bis e ter c.p., comma 1, n. 1, (capo b), art. 81 cpv., art. 609 bis e ter c.p., comma 1, n. 1, (capo c), art. 629 c.p. (capo d) e art. 81 cpv., artt. 56 e 629 c.p. (capo e).
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato tramite il difensore.
Con un primo motivo deduce, in sintesi, la nullità della sentenza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 110 e 600 ter c.p.; infatti, a fronte dalla richiesta, formulata con l’atto di appello, di derubricazione della fattispecie ex art. 600 ter c.p., comma 1, in quella di cui all’art. 600 ter, comma 4, in considerazione dell’impossibilità oggettiva di diffusione del materiale in rete e dell’inconsapevolezza della volontà di questi di concorrere con il F. nella diffusione, la Corte aveva richiamato la natura di reato di pericolo del reato di cui al comma 1 in cui la condotta di sfruttamento implica una destinazione anche solo potenziale del materiale alla successiva fruizione da parte di terzi. Tuttavia nessun elemento era stato indicato in ordine alla eventuale produzione del materiale da parte dell’imputato mentre gli elementi valorizzati dalla Corte (scambi di materiale, ripetute richieste di altre foto, pareri sul tipo di fotografie) erano indicativi del reato di cui al comma 4. Neppure la Corte avrebbe motivato in ordine alla sussistenza degli elementi ritenuti dalla giurisprudenza necessari per la sussistenza del comma 1 (l’esistenza di una struttura organizzativa, la disponibilità di strumenti tecnici, i precedenti penali e la condotta anteatta al reato).
Neppure si sarebbe tenuto conto che è configurabile l’ipotesi più lieve di cui all’art. 600 ter, comma 4, ove il soggetto invii le immagini ad una persona determinata. Alcuna motivazione è inoltre stata espressa in ordine al contestato concorso materiale o morale nel reato posto in essere da F. in particolare con riferimento alla conoscenza nello Z. della produzione del materiale da parte di F..
Con un secondo motivo deduce, in sintesi, la nullità della sentenza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 54 e 600 ter c.p., comma 1. Nessuna considerazione infatti la Corte avrebbe svolto in ordine alla lamentata presenza della causa di giustificazione dello stato di necessità avendo il ricorrente avuto timore del F., in possesso di tutti i suoi numeri telefonici.
Con un terzo motivo deduce, in sintesi, la nullità della sentenza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 609 bis e ter c.p., comma 1, n. 1, non avendo la Corte argomentato in ordine alla invocata insussistenza del reato di violenza sessuale nei capi b) e c) in caso di contatti avvenuti a distanza, mancando in tali situazioni la compressione della libertà di autodeterminazione della persona offesa quale necessaria componente del reato.
Con un quarto motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 609 bis c.p., comma 4, n. 1, non avendo la Corte tenuto conto, ai fini della riconoscibilità, nella specie, dell’attenuante del fatto lieve, che la condotta si sarebbe realizzata in un contesto virtuale.
Con un quinto motivo lamenta la lamenta la nullità della sentenza per violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 56 e 629 c.p., non avendo in particolare la Corte saputo indicare in cosa sarebbe consistita la deminutio patrimoni necessaria per configurare il reato, dovendo quindi, piuttosto, riconoscersi, nella specie, le caratteristiche del reato di violenza privata ovvero nessun altro reato oltre a quello di violenza sessuale, speciale rispetto a quello di estorsione, come chiarito dalla Corte di Cassazione. Nè la Corte aveva saputo motivare in ordine all’altro elemento costitutivo rappresentato dall’ingiusto profitto. Con un sesto motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione di legge in relazione all’art. 62 bis c.p.. e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte reso sul punto una motivazione meramente apparente a fronte della richiesta che fondava tale giudizio sulla commissione “a distanza” del reato, ed ancora nullità della sentenza per difetto di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di riduzione della pena.
Con un settimo motivo, invocando contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè inosservanza di legge, si duole del rigetto della richiesta di annullamento del capo della sentenza relativo alla provvisionale, avendo la Corte fatto meramente riferimento al fatto di una condotta commessa in concorso con il F. senza tuttavia motivare sugli elementi indicativi di quest’ultimo. Con un ultimo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione dell’elemento psicologico dei reati di cui alle lettere a), b) e c) dei capi d’imputazione ed in relazione alla concessione delle attenuanti generiche. Deduce in sintesi che la Corte, nel ritenere che tra l’imputato e il F. vi sia stata, relativamente al reato sub a), una perfetta sintonia tra i due senza condizioni di soggezione psicologica, abbia trascurato gli esiti della perizia psichiatrica effettuata da cui emergeva un disturbo border line di personalità attesa la forte insicurezza e inadeguatezza relazionale in un profilo personologico caratterizzato da superficialità, insicurezza, fragilità e debolezza. Nè erano stati esattamente considerati dalla Corte gli inviti rivolti da Z. alle ragazze di guardarsi dal F., inviti interpretabili non univocamente, e la scarsa considerazione di quest’ultimo da parte dell’imputato rivelata dal nomignolo attribuitogli. Deduce inoltre, a proposito della non riconosciuta attenuante del danno lieve, l’omessa valutazione del grado di intensità del dolo palesemente influenzata dalle condizioni psicologiche dell’imputato come emergenti dalla perizia effettuata.
Si duole, ancora, della completa pretermissione del profilo psicologico nella complessa valutazione delle circostanze attenuanti generiche e ai fini della dosimetria della pena ex art. 133 c.p..
DIRITTO
3. Il primo motivo è infondato. Dalla sentenza di primo grado risulta che l’imputato, qualificatosi con il “nickname” di “(OMISSIS)”, ebbe a contattare nel settembre del 2005, via chat, le minori F.L. e S.G., all’epoca dodicenni, facendosi da loro inviare fotografie, ritraenti le stesse, di contenuto pornografico; risulta, ancora, che sempre l’imputato ebbe a contattare, sempre via chat, nel marzo del 2005, la minore A. F. dalla quale si fece inviare foto della stessa sempre di contenuto pornografico a più riprese, sino al 4 gennaio 2006, anche dietro minaccia, laddove la minore si rifiutava di proseguire, di inviare quelle inizialmente effettuate ai di lei genitori. La sentenza da anche atto del fatto che tra l’imputato e F., posti, successivamente ai primi episodi sopra ricordati, sotto controllo telefonico, vi erano continue reciproche richieste, anche attraverso l’invio di numeri telefonici appartenenti a varie minorenni (tra cui, appunto, la A. e Z.C.) affinchè, sia con l’inganno sia con la minaccia, numerose minorenni venissero a turno contattate per far loro effettuare fotografie pornografiche che poi venivano scambiate tra i due e immesse in Internet tramite il programma “E – Mule” (significativa, tra tutte, la conversazione, riportata tra i due a pag. 10 della sentenza in cui Z. chiede a F.: “Ciao, boss, hai qualche bimba ? In cambio ti do il video di quella ragazza”). Ora, questa Corte ha ripetutamente precisato che, ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, è necessario che la condotta del soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, e che la nozione di “produzione” richiede l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi (Sez. 3, n. 17178 del 11/03/2010, Flak, Rv. 246982; Sez. 3, n. 27252 del 05/06/2007, Aquili, Rv. 237204; Sez. U., n. 13 del 31/05/2000, P.M. in proc. Bove, Rv. 216337), esulando quindi dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore (Sez. 3, n. 1814 del 20/11/2007, Marchionni, Rv. 238566).
Legittimamente, pertanto, la Corte romana, sulla base dei fatti sopra sinteticamente ricordati, ha ritenuto che la condotta dell’imputato sia risultata idonea ad integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, così risultando del tutto infondata la pretesa del ricorrente di ricondurre tali condotte all’interno della ben diversa ipotesi del comma 4 dell’articolo citato, limitata alla mera cessione del materiale da altri prodotto.
4. Il secondo motivo, che ripropone una censura già motivatamente disattesa dal giudice d’appello, è manifestamente infondato.
Sussiste, infatti, la causa di giustificazione dello stato di necessità laddove il soggetto agente sia mosso da un insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e a cui, nemmeno putativamente, possa sottrarsi; occorre in altri termini, che l’esigenza di evitare il danno grave alla persona, quale elemento di caratterizzante effetto costrittivo, sia imperiosa e cogente, tanto da non lasciare altra scelta se non quella di ledere il diritto altrui (Sez. 6. n. 12655 del 10/12/1987, dep. 17/12/1988, Frisardi, Rv. 180004). La Corte territoriale ha fatto, nella specie, corretta applicazione del principio ricordato laddove ha ravvisato l’assoluta non riconducibilità, nell’area applicativa della scriminante, di una condotta caratterizzata invece, come già visto sopra, da un rapporto, tra Z. e F., di natura del tutto paritaria, come ben emergente dal tenore dei messaggi scambiati tra i due. Deve anzi aggiungersi come il preteso atteggiamento di “disprezzo” nutrito da Z. nei confronti in generale dei pedofili, tra cui F., invocato a suo tempo già con l’atto di appello, sia, già di per sè, ictu ocuii, chiaramente incompatibile con lo stato di soggezione assoluta presupposto dall’esimente invocata.
5. Il terzo e quarto motivo sono, anch’essi, rispettivamente, manifestamente infondato ed infondato. L’art. 609 bis c.p., comma 1., sanziona la condotta di “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”; allo stesso modo, il comma 2 della stessa norma contempla, quale illecito penale, la condotta di ” chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali” con le modalità poi specificate dai numeri 1) e 2). E’ pertanto evidente che il reato di violenza sessuale non è esclusivamente caratterizzato dal contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ma può estrinsecarsi anche nel compimento di atti sessuali che lo stesso soggetto passivo, a ciò costretto o indotto dal soggetto attivo, compia su se stesso. Per tali ragioni, del resto, questa Corte ha da tempo affermato che l’attività di prostituzione che si caratterizzi per atti sessuali che la persona retribuita a tal fine compia appunto su se stessa o su terzi ben può essere svolta “a distanza”, ovvero a fronte della presenza in due luoghi diversi del soggetto richiedente e del soggetto richiesto, come ad esempio, di prestazione richiesta ed effettuata per via telefonica (Sez. 3, n. 7368 del 18/01/2012, L. e altro, Rv. 252133) o attraverso internet (Sez. 3, n. 15158 del 21/03/2006, P.M. in proc. Terrazzi, Rv. 233929 in caso di prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza via web- chat).
Ben può, dunque, il reato di violenza sessuale, consistente nel compimento, come nella specie, da parte della persona offesa, di atti sessuali su se stessa, essere commesso anche a distanza, ovverossia a mezzo telefono o di altre apparecchiature di comunicazione elettronica (cfr. Sez. 3, n. 12987 del 03/12/2008, dep. 25/03/2009, Brizio, Rv. 243090).
Del resto, non vi è dubbio che la norma (con riferimento, evidentemente, ad atti sessuali compiuti dalla persona offesa su se stessa o anche su terzi diversi dal soggetto attivo) non richieda, all’interno dell’elemento oggettivo del reato, che tra soggetto attivo e passivo vi sia contestualità spaziale, ben potendo la minaccia o la violenza o, come nella specie, la condotta connotante l’abuso di cui all’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, essere posta anche in luogo diverso da quello in cui il soggetto passivo la subisce, essenziale invece essendo che l’abuso venga, da quest’ultimo, effettivamente percepito.
Quanto alla doglianza in ordine alla esclusione della circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità stante la commissione dei fatti in “ambiente virtuale”, va ricordato che, ai fini dell’accertamento della diminuente del fatto di minore gravità prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonchè al danno arrecato alla parte lesa, anche e soprattutto in considerazione dell’età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi (tra le tante, da ultimo, Sez. 3, n. 45604 del 13/11/2007, Mannina, Rv. 238282). Il fatto, dunque, che la condotta di violenza sia realizzata “a distanza” non è ragione di per sè sufficiente ad integrare la circostanza attenuante in oggetto, dovendo comunque valutarsi, a tal fine, le restanti modalità della condotta, sia con riferimento agli atti concretamente posti in essere dalla persona offesa su se stessa sia il danno da essa subito in ragione di età e condizioni psichiche. Nella specie, la Corte territoriale ha correttamente valorizzato in senso ostativo le modalità di adescamento e la natura subdola ed ingannevole dall’intromissione nella sfera sessuale delle minori nonchè la successiva condotta di minaccia rappresentata dal preannuncio di invio delle fotografie già fatte ai genitori delle stesse.
6. Il quinto motivo è inammissibile ex art. 606 c.p.p., comma 3;
invero, l’assunto secondo cui il danno della estorsione dovrebbe consistere in una diminuzione patrimoniale subita dall’offeso, di talchè, nella specie, avrebbe dovuto configurarsi il delitto di violenza privata in luogo di quello di cui agli artt. 56 e 629 c.p., non risulta proposto con i motivi d’appello e non è, dunque, proponibile, per la prima volta a questa Corte.
7. Il sesto motivo è manifestamente infondato. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono ai sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano invece sorrette da sufficiente motivazione (Sez. U., 7 n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931). Nella specie la Corte ha puntualmente dato atto, richiamando, come ben possibile, l’operato del primo giudice, dell’insussistenza di ragioni per ritenere prevalenti le attenuanti generiche, già poste in equivalenza con le aggravanti sulla base della positiva condotta processuale posta a confronto, peraltro, con la valutazione globale della vicenda. Quanto alla invocata riduzione della pena il motivo è, sul punto, del tutto generico, venendo fatto mero riferimento, senza specificazione alcuna sul contenuto, ai motivi di appello già proposti.
8. Il settimo motivo è infondato. La censura in ordine alla condanna, inflitta in primo grado, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Z., è stata disattesa dalla Corte territoriale sul presupposto dell’addebitabilità della condotta, pur materialmente posta in essere dal solo F., di produzione del materiale pornografico rappresentato dalle fotografie della minore, anche in capo a Z. a titolo di concorso. Con ciò i giudici di appello hanno fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, stante la struttura unitaria del reato concorsuale, ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente che di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa (Sez. 5, n. 40449 del 10/07/2009, Scognamiglio, Rv. 244916; Sez. 1, n. 7442 del 08/05/1998, Negri ed altro, Rv. 210806).
9. L’ultimo motivo, volto a sostenere la mancata considerazione degli esiti della perizia psichiatrica in punto di elemento psicologico del reato nonchè di concessione dell’attenuante speciale, delle attenuanti generiche e di dosimetria della pena, è anch’esso inammissibile. Con il quarto motivo di appello l’imputato, sul presupposto che i disturbi di personalità afferenti Z. fossero stati tali da integrare una vizio parziale di mente, aveva chiesto venisse effettuata una nuova perizia. La Corte territoriale, con motivazione approfondita e logica, ha spiegato, da pag. 8 a pag.
10 della sentenza, perchè, al contrario, il disturbo diagnosticato nel 2003 non abbia comportato, in linea con le conclusioni del perito Dr. M., una patologia incidente sulla capacità di volere dell’imputato con conseguente non necessità di un ulteriore accertamento. Le ulteriori considerazioni che il ricorrente, preso atto ed anzi concordando (vedi pag. 28 del ricorso) con la motivazione sul punto data dalla Corte romana, opera con l’ultimo motivo di ricorso, in particolare prospettando una sottovalutazione degli esiti peritali (se non un contrasto con gli stessi) con riguardo all’esame dei singoli reati, introducono, evocando la possibilità di una “diversa interpretazione dei fatti” (vedi pag. 30 del ricorso), anche con riguardo alla insistita necessità di valorizzare l’asserito disprezzo dell’imputato per I pedofili, e gli avvertimenti rivolti ad alcune delle ragazze di guardarsi dal F., censure in fatto del tutto improponibili in questa sede.
Va invece ribadito che,a fronte di una motivazione che, nella specie, non presenta alcuna manifesta illogicità nè con riguardo all’elemento psicologico nè con riguardo, per quanto già detto sopra sub 7, al trattamento sanzionatorio, il sindacato della Cassazione resta, pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla I. n. 46 del 2006, quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (tra le tante, Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893).
10. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2012