Va rimessa alle Sezioni Unite la questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, se, in segugio alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 – che ha determinato la riviviscenza per della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere e dei relativi trattamenti sanzionatori differenziati -debbano considerarsi pene illegali anche quelle inflitte per fatti concernenti droghe leggere posti in continuazione con altri e più gravi reati, così che le quote sanzionatorie corrispondenti consistano in aumenti ex art. 81 cpv. c.p. rispetto a valori di partenza certamente individuati in modo legittimo.
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente –
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.E.M. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 59/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 24/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fimiani Pasquale, che ha concluso per annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. Inammissibilità del ricorso nel resto;
Udito il difensore Avv. Pallacani Maria Letizia di Piacenza.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del 24 maggio 2013 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma di sentenza del G.u.p. del Tribunale di Piacenza emessa l’11 luglio 2012 – che aveva condannato S.E.M. alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e Euro 24.000 di multa per reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere detenuto e ceduto stupefacenti di tipo cocaina in (OMISSIS) in zone limitrofe in data anteriore e prossima al 15 ottobre 2010: capo 3), al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere detenuto e ceduto sostanze stupefacenti di tipo hashish e cocaina in (OMISSIS) e zone limitrofe in data anteriore e prossima al 15 ottobre 2010: capo 4), agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in concorso con altro soggetto e in esecuzione del medesimo disegno criminoso ceduto hashish e cocaina in Piacenza il 15 ottobre 2010 e in data anteriore e prossima: capo 5), agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in concorso con altro soggetto e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ceduto cocaina in Piacenza in data anteriore e prossima al 18 ottobre 2010: capo 6), al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 81 cpv. e 73, (per avere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ceduto cocaina in provincia di Piacenza in data anteriore e prossima al 18 ottobre 2010: capo 7), al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere ceduto hashish in Piacenza il 14 e 15 gennaio 2011: capo 32), al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere ceduto hashish in Piacenza in data anteriore e prossima al 15 novembre 2010: capo 33), all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in concorso con altro soggetto ceduto hashish a (OMISSIS) e a (OMISSIS) il 16 gennaio 2011: capo 34), all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere ceduto in concorso con altro soggetto hashish in Piacenza il 17 febbraio 2010: capo 35), agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere, in concorso con altri soggetti e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ceduto cocaina in Piacenza dal febbraio al marzo 2011: capo 39), al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere ceduto hashish in provincia di Piacenza fino al 28 febbraio 2011: capo 40), all’art. 81 cpv. c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ceduto in più occasioni cocaina a un soggetto albanese non identificato, in provincia di Piacenza anteriormente al 25 marzo 2011: capo 41), all’art. 81 cpv. c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso in più occasioni ceduto a tale N.F. cocaina e hashish in Piacenza e provincia in data anteriore e prossima al 10 marzo 2011: capo 42), al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere offerto in vendita al suddetto – che anticipava Euro 350 – cocaina e hashish in Piacenza l’11 marzo 2011: capo 43), all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in concorso con altri soggetti ceduti hashish e cocaina in Piacenza nelle date sopra riportate: capo 44), all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (per avere in concorso con altri soggetti acquistato e trasportato cocaina, in Milano, Lodi e Piacenza l’11 marzo 2011: capo 45); il tutto contestato con recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale -, ha assolto l’imputato dai reati di cui ai capi 33 e 41 perchè il fatto non sussiste, riqualificato il reato di cui al capo 40 in offerta in vendita, dichiarato assorbito il reato di cui al capo 42 in quello di cui al capo 44 e rideterminato la pena in cinque anni di reclusione e Euro 22.000 di multa.
2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di cinque motivi.
Il primo motivo denuncia vizio motivazionale in ordine alla responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi 4,3, 5 e 7;
il secondo motivo denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione quanto ai reati di cui ai capi 3, 4, 5, 6 e 7 che consisterebbero, come era stato addotto in appello, in un unitario fatto criminoso; il terzo motivo denuncia violazione di legge penale e vizio motivazionale in ordine al reato di cui ai capo 40 per cui sarebbe stata erronea la riqualificazione, dovendosi invece assolvere; il quarto motivo denuncia violazione della legge penale e vizio motivazionale in ordine alla responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo 43; il quinto motivo denuncia violazione di legge penale e vizio motivazionale nella determinazione della pena per non essere stata concessa l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e per essere stata riconosciuta l’aggravante della recidiva ex art. 99 c.p..
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il quinto motivo del ricorso in esame denuncia violazione della legge penale e vizio motivazionale nella determinazione della pena in concreto applicata, adduce doglianze che incidono, come esplicita la rubrica del motivo, sulla “determinazione della pena in concreto applicata”, la quale è stata stabilita nel modo seguente:
considerato il reato più grave quello di cui al capo 4 e individuando per esso la pena base di anni sei e Euro 27.000 di multa – che espressamente viene qualificata “minimo edittale” -, tutti gli altri reati vengono ad esso avvinti da continuazione con un aumento di mesi 1 e giorni 15 di reclusione nonchè Euro 500 di multa per ciascuno, così pervenendo a sette anni e sei mesi di reclusione e Euro 33.000 di multa che, applicata la diminuente del rito, diventano cinque anni di reclusione e Euro 22.000 di multa.
4. Le ormai ben note modifiche dell’assetto normativo penale in tema di stupefacenti rispetto all’epoca in cui il giudice di merito ha, come appena esposto, determinato la pena conducono a valutare, d’ufficio, la legalità, allo stato attuale, della pena irrogata all’imputato come rideterminata dal giudice d’appello.
Se, invero, non incide nel caso concreto la riforma del quinto comma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, avendo il giudice di merito accertato la natura non lieve dei reati commessi, diverso è il discorso per quanto concerne l’intervento della Corte Costituzionale che con la nota sentenza n. 32 del 2014 ha reintrodotto un discrimen tra le tipologie di sostanze stupefacenti, un distinto disvalore oggettivo cui si connette un diverso trattamento sanzionatorio, ora notevolmente più favorevole per le droghe leggere rispetto all’epoca in cui è stata pronunciata la sentenza in esame.
In caso di nullità della sentenza impugnata sopravvenuta in forza di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma relativa al trattamento sanzionatorio, il giudice di legittimità deve procedere al rilievo d’ufficio, come è stato specificamente riconosciuto dalla giurisprudenza nettamente prevalente di questa Suprema Corte, anche a proposito proprio della sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale (in tal senso Cass. sez. 6^, 5 marzo 2014 n. 13878; ritengono sussistente l’obbligo di rilievo ufficioso pure in ipotesi di ricorso inammissibile Cass. sez. 6^, 6 marzo 2014 n. 12727, Cass. sez. 4^, 12 marzo 2014 n. 16245, Cass. sez. 4^, 15 maggio 2014 n. 22293, Cass. sez. 4^, 2 luglio 2014 n. 41820 e, in motivazione, le recentissime Cass. sez. 4^, 9 ottobre 2014 n. 47329 e Cass. sez. 4^, 16 ottobre 2014 n. 46395, nonchè, in ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza, Cass. sez. 4^, 15 maggio 2014 n. 25216; esclude invece la rilevabilità d’ufficio in caso di inammissibilità per tardività Cass. sez. 4^, 6 maggio 2014 n. 24638; atrofizzano l’ufficiosità – non condivisibilmente, dato che attraverso questa si tutela, in ultima analisi, la legalità costituzionale – esigendo che i motivi originari del ricorso abbiano investito il giudice di legittimità della verifica motivazionale in tema di definizione della pena Cass. sez. 4^, 12 marzo 2014 n. 24606, Cass. sez. 6^, 20 marzo 2014 n. 15157 e Cass. sez. 6^ 26 marzo 2014 n. 14995; cfr. pure, per diversa fattispecie, ancora tra i più recenti arresti, Cass. sez. 6^, 16 maggio 2013 n. 21982; ad abundantiam si rimarca comunque che il ricorso in questa sede esaminato non è inammissibile, bensì meritevole di rigetto, e ha polarizzato l’ultimo motivo sul trattamento sanzionatorio, anche in termini motivazionali).
Nel caso di specie, alcuni dei capi d’imputazione contestano come unitari fatti delittuosi che, nella reviviscenza della c.d. L. Jervolino-Vassalli, più non lo sono, in quanto le relative condotte riguardano sia droghe pesanti (cocaina) sia droghe leggere (hashish).
Si tratta dei capi 4 – che, ai fini del vincolo di continuazione, è stato identificato come il reato più grave -, 5, 43 e 44. La sopravvenuta nullità della sentenza in termini di trattamento sanzionatorio avrebbe pertanto un effetto di reformatio in pejus perchè comporterebbe lo sdoppiamento di questi capi d’imputazione.
In particolare, il capo 4, una volta sezionato in una duplice fattispecie, giungerebbe ad una pena detentiva indubbiamente superiore a quella per esso determinata secondo la normativa costituzionalmente illegittima, che individua come pena base sei anni di reclusione e Euro 27.000 di multa, laddove per la estrapolata fattispecie esclusivamente di droga pesante la pena minima dovrebbe essere di otto anni di reclusione e Euro 25.822 di multa.
Non è pertanto riconducibile alla reviviscente disciplina il trattamento sanzionatorio dei capi d’imputazione suddetti e, per quanto appena osservato, conseguentemente neppure la sanzione inflitta al reato più grave ex art. 81 c.p., commi 1 e 2.
Non può, peraltro, omettersi di considerare l’incidenza della reviviscenza suddetta sui capi d’imputazione riguardanti esclusivamente droghe leggere, cioè i capi 32, 34, 35 e 40. Va premesso che nella sentenza impugnata la pena per ciascuno dei reati satellite è stata determinata, uniformemente, in un mese e quindici giorni di reclusione e Euro 500 di multa. Si pongono allora due quesiti.
Il primo quesito concerne la legalità attuale della pena comminata per ciascuno dei reati satellite senza alcuna distinzione tra quelli attinenti esclusivamente a droghe pesanti (riguardano unicamente cocaina i capi 6, 7, 39 e 45) e quelli attinenti esclusivamente a droghe leggere. Il secondo quesito concerne l’incidenza della sopravvenuta reviviscenza del trattamento sanzionatorio relativo ai reati meno gravi sulla determinazione della pena complessiva in caso di continuazione, pur avendo quest’ultima preso le mosse come pena base entro la forbice edittale. Forbice edittale che, ovviamente, deve essere individuata in relazione a quello che è stato considerato il reato più grave della sequenza continuativa, aumentata sino al triplo.
Riflettendo su tali profili si perviene alle aree giurisprudenziali allo stato più incerte in punto di trattamento sanzionatorio nei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, dopo la reviviscenza della L. Jervolino-Vassalli e – fattispecie non certo identica, essendo la perfetta proiezione retroattiva degli effetti riservata alla dichiarazione di illegittimità (cfr. da ultimo S.U. 29 maggio 2014 n.42858) ma non priva comunque, per quanto è qui in esame, di significative affinità – dopo la novellazione del quinto comma dell’articolo.
5. Sotto un primo aspetto, sussiste difformità in ordine alla legalità della pena come persistente dopo l’intervento della Corte Costituzionale anche nei reati relativi a droghe leggere nel caso in cui la pena concretamente determinata vigendo la c.d. L. Fini- Giovanardi si collochi ancora, da un punto di vista meramente aritmetico, nella forbice edittale ritornata ora in vigore. E alquanto analogo è appunto il dubbio, in rapporto non alla reviviscenza bensì alla successione delle leggi, relativamente alla novellazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
5.1 Un orientamento ritiene che la compatibilità aritmetica sia sufficiente per qualificare tuttora legale la sanzione anteriormente inflitta, mentre un altro orientamento reputa necessario verificare nuovamente il valore dosimetrico del reato in rapporto ai mutati, e più favorevoli, minimo e massimo edittali, anche se ciò può – seppure, logicamente, in termini di probabilità assai limitati – comportare eventualmente una conferma, da parte del giudice di merito, della pena originariamente irrogata.
Nel primo senso, qualificabile restrittivo delle conseguenze del riassetto normativo sugli stupefacenti e, in proporzionalità inversa, estensivo del concetto di pena legale al punto di creare una sorta di ultrattività, si è collocata anzitutto, tra le pronunce masssimate, a proposito del fatto di lieve entità, Cass. sez. 3^, 25 febbraio 2014 n. 11110, che in motivazione, dato atto che “la sanzione prevista dal nuovo reato autonomo è senza dubbio più favorevole per l’imputato”, che “la natura di reato autonomo sottrae poi oggi la norma al bilanciamento con eventuali circostanze aggravanti” e che essa “punirà in maniera indifferenziata, sia per le droghe leggere che per quelle pesanti, i fatti di lieve entità si pone il problema del rapporto intertemporale, cioè se possa considerarsi legale la pena inflitta dal giudice del merito che, quando ha pronunciato la propria sentenza, aveva come riferimento il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, nel testo previgente, nel seguente modo risolvendolo nel senso della permanenza della pena adottata prima della lex mitior. “E’ fuori discussione che, ancorchè i fatti siano accaduti sotto la legge previgente, trovi applicazione ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, per il principio del favor rei, la più favorevole legge sopravvenuta. Ritiene tuttavia il Collegio che, a fronte di un’immutata previsione del fatto-reato sanzionato, un problema di successione di leggi penali nel tempo – e di necessità di ricalcolare una pena divenuta illegale, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato – si ponga soltanto nel caso in cui il giudice del merito sia partito da una pena base, oggi non più contemplata, superiore a cinque anni di reclusione. Oppure quando, considerata l’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, circostanza attenuante, ne abbia eliso la portata bilanciandola, in quanto ritenuta minusvalente o equivalente, rispetto a circostanze aggravanti. Una conclusione in tal senso è conforme alla pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi in materia di ius superveniens per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 274 del 2000, che ha affermato che, sulla base della disciplina transitoria ivi prevista, andavano applicate le nuove sanzioni indicate dal D.Lgs. 274 cit., art. 52, in quanto più favorevoli ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 3. In quel caso la pena applicata dal giudice sotto la legge previgente venne considerata illegale in quanto non più prevista dalla normativa disciplinante il reato per il quale si procedeva…Caso analogo è stato quello in cui questa Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di patteggiamento impugnata con la quale la pena era stata concordata anche tenendo conto della contestata aggravante di cui all’art. 69 c.p., comma 1, n. 11 bis, dichiarata incostituzionale in epoca successiva alla pattuizione della pena (sez. 6, n. 4836 del 17.11.2010, Nasri, rv.
248533…Orbene, non pare esservi dubbio alcuno che non si debba rideterminare la pena – e che in caso di patteggiamento ci si trovi di fronte ad un accordo ancora pienamente valido – quando, ritenuto il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, si sia rimasti significativamente in prossimità del minimo edittale, rimasto immutato. Qualche dubbio potrebbe sussistere nei soli casi in cui il giudice (in proprio o ratificando una pena da applicare sottopostagli) sia partito da una pena base assai vicina ai cinque anni, attuale massimo edittale. Si può ritenere in quel caso, infatti, tenendo conto anche del caso concreto, che la pena non possa dirsi più attuale in peius per l’imputato, perchè, quando è stata irrogata, la stessa non costituiva, come oggi, il massimo edittale.
La valutazione andrà, però, operata in concreto, caso per caso, tenendo conto di tutti gli elementi valutati dal giudice del merito nella dosimetria della pena”. (Conforme Cass. sez. 3^, 19 marzo 2014 n. 16699).
Cass. sez. 6^, 4 marzo 2014 n. 13895, anch’essa la fattispecie attenuata del comma 5, ma in un’ipotesi di patteggiamento, motiva – premettendo che per annullare l’accordo rileva solo la “illegalità della pena, come risultante dal calcolo posto a base del patto”- nel senso che “del tutto infondata è la richiesta proposta con la memoria difensiva, di rideterminazione in questa sede della sanzione, per effetto della sopraggiunta modifica normativa del dettato di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 5, contenuta nel D.L. n. 146 del 2013, convertito con L. 21 febbraio 2014, n. 10” in quanto “la determinazione della pena base intervenuta con la novella richiamata non ha prodotto mutamenti sulla pena minima, suscettibili di incidere sulle modalità di calcolo in concreto, e conseguentemente tale situazione giuridica non può essere posta a base di una richiesta di annullamento dell’accordo, poichè non produce illegalità della sanzione”.
Susseguono Cass. sez. 6^, 12 marzo 2014 n. 25807 (che, in una fattispecie dell’art. 73, comma 5, giudica sufficiente l’avere raggiunto “un risultato finale che evidentemente si pone entro i limiti della forbice edittale, anche in relazione agli effetti della modifica normativa” di cui alla L. n. 10 del 2014, “con l’esclusione di ogni possibile profilo di illegalità della pena”), Cass. i sez. 3^, 3 aprile 2014 n. 26474 (motivata nel senso che la pena anteriormente inflitta dal giudice di merito “non possa considerarsi illegale; il giudice, infatti, ha assunto quale pena base il minimo della pena prevista per il reato de quo prima dell’intervento della Corte costituzionale (anni 6 di reclusione ed Euro 27.000,00); a seguito della reviviscenza del trattamento sanzionatorio previsto prima delle modifiche apportate dalla c.d. legge Fini – Giovanardi, la pena individuata dal giudice può considerarsi come legale (per le sostanze stupefacenti contemplate nelle tabelle 2 e 4, infatti, la pena è da 2 a 6 anni di reclusione e della multa da Euro 5.164,00 ad Euro 77.468,00)”), Cass. sez. 3^, 30 aprile 2014 n. 27066 (per cui, tenuto conto della pena edittale prevista dall’art. 73, comma 5, nella versione vigente all’epoca della pronuncia stessa “non eccede i limiti legali” il trattamento sanzionatorio che era stato inflitto agli imputati) e Cass. sez. 3^, 16 maggio 2014 n. 27427 (che qualifica legale nonostante lo jus superveniens la pena anteriormente irrogata nella misura di due anni e sei mesi di reclusione ed Euro 10.000 di multa).
Da ultimo, Cass. sez. 3^, 12 giugno 2014 n. 27957, in una ipotesi riconducibile al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, in motivazione così giustifica il suo assunto: “In punto di quantificazione della pena il Collegio, pur consapevole che la pena base applicata costituisse all’epoca dei fatti il minimo della pena di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ed oggi, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 e la conseguente reviviscenza per le droghe c.d. leggere del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, nel testo della c.d. Legge Iervolino-Vassalli, costituisce il massimo, ritiene che i giudici di merito, investiti della valutazione della pena, abbiano fatto una valutazione di adeguatezza della stessa che tiene conto dell’entità dello stupefacente sequestrato (da cui potevano ricavarsi 5787 dosi)”.
5.2 Nel secondo orientamento, che intensifica il principio della legalità della pena, si riscontra anzitutto Cass. sez. 4^, 12 marzo 2014 n. 24606, che, in una ipotesi di reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 1, attinente a droga leggera, afferma la necessità di “rivalutazione dosimetrica della pena, in quanto se questa è stata inflitta discostandosi dal minimo edittale l’entità di tale minimo costituisce un parametro necessario e determinante per quantificare lo scostamento. In altri termini, la sopravvenienza della disciplina con un trattamento : sanzionatorio più favorevole, caratterizzato appunto da un abbassamento del minimo edittale, rilevante sia come pena minima irrogabile sia come parametro per la determinazione di pena che da esso si discosti, impone la piena rivalutazione di merito della pena applicata in precedenza”.
Cass. sez. III, 25 marzo 2014 n.36340, poi, in motivazione, dato atto che dalla dichiarata illegittimità costituzionale consegue “la disapplicazione, nei processi in corso delle norme dichiarate incostituzionali, riguardando situazioni anteriori alla decisione della Consulta, opera ex tunc sulla base di una sorta di retroattività degli effetti della pronuncia d’incostituzionalità, come se le norme annullate non fossero mai venute alla luce” e che nel caso in esame la pena base scelta “corrisponde al massimo di quella legalmente applicabile a seguito dell’intervento demolitorio della Corte costituzionale, pur corrispondendo al minimo edittale della pena ratione temporis applicata”, osserva che “sebbene il trattamento del caso specifico rientri nella forbice edittale di cui alla restaurata disposizione… tuttavia la declaratoria di incostituzionalità ha determinato un abbassamento, per le droghe leggere, della pena edittale sia minima che massima, sia detentiva che pecuniaria, e ciò comporta l’assoluta necessità di una rimodulazione del trattamento sanzionatorio complessivo nella considerazione che il giudice nel determinare la pena, normalmente valuta, con riferimento alla congruità in concreto della sanzione irrogata, sia il limite minimo che quello massimo, avendo come riferimento, per la commisurazione, la pena in astratto stabilita, con la conseguenza che, mutato il parametro di riferimento, il giudice del merito deve inderogabilmente esercitare il potere discrezionale conferitogli dagli artt. 132 e 133 cod. pen.” tenuto conto che la discrezionalità giudiziale in materia di commisurazione della pena è “una discrezionalità c.d. guidata, ossia vincolata, non già assolutamente libera e affrancata da specifici parametri di riferimento” e che quindi “quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale”, per cui “anche se la pena base, determinata nel provvedimento impugnato, sia ricompresa tra il limite minimo e quello massimo previsti dalla disposizione di legge applicata e da quella più favorevole da applicare” a seguito dell’annullamento dovrà il “giudice del rinvio stabilire se, in conseguenza del trattamento più favorevole sopravvenuto, la sanzione in concreto irrogata sia o meno congrua in relazione ai parametri fissati nell’art. 133 cod. pen. e rispettosa dei principi fissati nell’art. 27 Cost., comma 3″.
Procedono sulla stessa linea, quindi, Cass. sez. 3^, 3 aprile 2014 n. 21259 (che, in una ipotesi di patteggiamento per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 1, – che prendeva le mosse da una pena base di sei anni di reclusione e Euro 26.000 di multa per pervenire a due anni e dieci mesi di reclusione e Euro 9000 di multa – osserva in motivazione che “il reato non può che considerarsi, quanto alla sua configurazione normativa, in modo globale, tenendo in conto tutto quel che è necessario normativamente per conformarlo e perseguirlo” per cui “logicamente il fondamentale parametro ermeneutico del favor rei non può confinarsi al precetto, ma deve estendersi anche all’aspetto sanzionatorio”, pervenendo in sostanza a escludere il rilievo della “assenza, nella pronuncia impugnata, di violazione dei limiti edittali imposti dalla normativa ripristinata”), Cass. sez. 4^, 14 maggio 2014 n. 21085 (che in un caso ex art. 444 c.p.p., ritiene illegale la pena applicata “avendo il giudice a quo recepito l’accordo delle parti formatosi..sui termini edittali sensibilmente più severi sanciti dalla legge dichiarata incostituzionale”), Cass. sez. 3^, 22 maggio 2014 n. 26346 (ancora per una ipotesi di patteggiamento per il reato ex articolo 73 comma 1 d.p.r.309/1990), Cass. sez. 4^, 1 luglio 2014 n. 34274 (che in un caso ex art. 73, comma 5, ritiene illegale la pena patteggiata in quanto determinata assumendo la pena base di anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 7.500 di multa), Cass. sez. 4^, 17 giugno 2014 n. 30475 (che, trattando due ipotesi D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, – in una la pena base era stata determinata in un anno di reclusione e Euro 3000 di multa pervenendo poi a sei mesi di reclusione e Euro 1800 di multa, nell’altra la pena base era stata determinata in tre anni e sei mesi di reclusione e Euro 3000 di multa pervenendo a tre anni di reclusione e Euro 2600 di multa – ha ritenuto illegale la pena base in entrambi i casi).
Cass. sez. 4^, 2 luglio 2014 n. 41820, poi, ancora in un caso patteggiato di cui all’art. 73, comma 5, afferma che – essendo stata la pena base determinata in due anni e un mese di reclusione e Euro 5000 di multa – la pena applicata “deve essere ritenuta non più conforme al quadro normativo, scaturendo dall’individuazione della pena da applicare nell’ambito di una cornice edittale significativamente diversa da quella attualmente vigente”; e, richiamati alcuni dei sopra citati arresti prospettanti un altro concetto di legalità della pena (Cass. sez. 3^, 3 aprile 2014 n. 26474, Cass. sez. 3^, 25 febbraio 2014 n. 11110 e Cass. sez. 6^, 4 marzo 2014 n. 13895), giustifica la sua differente impostazione adducendo che detta giurisprudenza “mostra di aver ritenuto in una prima fase che l’accordo concluso tra le parti e ratificato dal giudice in epoca precedente alla modifica normativa non implica l’applicazione di una pena illegale qualora quest’ultima sia stata comminata in misura prossima al minimo edittale” e ciò quando “tale minimo era rimasto normativamente imputato rispetto all’assetto previgente”, e che, però, “a seguito della riconduzione del minimo edittale alla pena di mesi sei di reclusione (oltre la multa)” ulteriori arresti di legittimità “hanno posto l’accento sulla natura di norma più favorevole della disposizione”, con l’effetto di “travolgimento del patto”, in quanto non rispettoso della regola di cui all’art. 2 c.p., comma 4.
Adottano la stessa impostazione pure Cass. sez. 4^, 25 settembre 2014 n. 44181 (che in un caso analogo a quello di Cass. sez. 4^, 2 luglio 2014 n.41820 conformemente afferma che “dato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto, dopo la L. n. 79 del 2014…
quanto al minimo edittale, la valutazione operata dal giudice nell’apprezzare la congruità della pena concordata dalle parti non è più conferente”), Cass. sez. 4^, 9 ottobre 2014 n. 47329 (per cui, in un caso di patteggiamento per fattispecie di cui al quinto comma dell’articolo 73 sussiste illegalità della pena in quanto la nuova normativa ha introdotto una “pena edittale evidentemente più favorevole rispetto a quella che deve presumersi sia stata applicata dalla Corte territoriale” – quest’ultima aveva posto come pena base tre anni e nove mesi di reclusione e Euro 3000 di multa, conducendola poi a una pena finale di un anno e dieci mesi di reclusione e Euro 1400 di multa -) e Cass. sez. 4^, 16 ottobre 2014 n. 46395 (ancora in un caso analogo, secondo la quale ora la cornice edittale “prevede limiti di pena sensibilmente inferiori rispetto a quelli ai quali hanno fatto riferimento le parti nel concludere l’accordo poi ratificato dal giudice” – si trattava di una pena base di tre anni di reclusione oltre la multa, in sede finale divenuta un anno e quattro mesi oltre la multa – per cui “la pena concordata si colloca, per effetto delle sopravvenute modifiche normative, in una diversa fascia del trattamento sanzionatorio relativo al reato in addebito” e non più congrua).
6.1 Questo contrasto consistente in una diversa concezione dell’incidenza della forbice edittale sulla legalità della pena concorre, come già più sopra accennato, a originare (dal momento che, su un piano meramente aritmetico, in relazione agli aumenti per continuazione non è intervenuta alcuna novità) l’ulteriore contrasto, che si intende proporre al vaglio delle Sezioni Unite, attinente agli effetti del restyling normativo dei reati in materia di sostanze stupefacenti nel caso in cui questi costituiscano reati satellite nell’ambito di una fattispecie di continuazione, ponendosi infatti il quesito se la forbice edittale dei reati satellite abbia incidenza per determinare l’aumento di continuazione identificando il calibro di disvalore del reato satellite, oppure se debba valutarsi esclusivamente la forbice edittale del reato più grave, visto il dettato letterale dell’art. 81 c.p., comma 1, (che prevede l’aumento sino al triplo della “pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave”) e in considerazione di una consolidata giurisprudenza nomofilattica che tale aspetto ha pienamente valorizzato.
L’orientamento più tradizionale nel contrasto che si verrà a esporre si avvince infatti alla giurisprudenza discendendente da S.U. 27 marzo 1992 n. 4901, che, dovendo risolvere la questione dell’aumento sulla pena del reato base nel caso in cui il reato satellite non ne condivide la specie di pena, ha affermato che, se vi è appunto continuazione, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satellite non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che incida la “qualità” della pena prevista per i reati satellite.
Plurimi posteriori arresti hanno ribadito questo insegnamento, evidenziando che il trattamento sanzionatorio ex articolo 81 cpv.
c.p. disancora i reati satellite dalle rispettive specifiche pene edittali, e si aggancia al criterio dell’aumento fino al triplo della pena prevista per la violazione più grave, in tal senso costituendo per essi un “nuovo principio di legalità” (così Cass. sez. 1^, 23 giugno 1992 n. 2957) e confermando, con riferimento però alla “qualità”, ovvero alla “specie e natura diversa” delle sanzioni originarie dei reati satellite, che l’originario trattamento sanzionatorio di questi non ha più efficacia nell’ipotesi di continuazione (v. p.es. Cass. sez. 1^, 12 luglio 1994 n. 10333; Cass. sez. 1^, 26 febbraio 1997 n. 1663; Cass. sez. 6^, 12 giugno 1997 n. 11462; S.U. 26 novembre 1997-3 febbraio 1998 n. 15; Cass. sez. 1^, 6 luglio 2000 n. 4862; Cass. sez. 1^, 25 febbraio 2003 n. 32277; Cass. sez. 1^, 4 giugno 2004 n. 28514; Cass. sez. 1^, 2 aprile 1009 n. 15986).
6.2 Su questa linea, in riferimento specifico ai reati in materia di stupefacenti, si sono quindi collocate alcune recenti pronunce.
Cass. sez. 6^, 6 marzo 2014 n. 12727 è tra esse quella che più approfonditamente ha esaminato la questione, ed è stata quindi la radice delle conformi sentenze successive. Secondo tale arresto, allora, in riferimento a reati D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, con funzione satellitare rispetto a un reato più grave (nel caso in esame, si trattava di un reato associativo), rimane comunque valida “la considerazione unitaria del reato continuato agli effetti della determinazione della pena secondo la quale, una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satelliti non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista”. Viene richiamata l’antecedente – già citata – giurisprudenza, per sostenere che, individuata la violazione più grave, i reati satellite perdonò la loro autonomia sanzionatoria e il relativo trattamento sanzionatorio “confluisce nella pena unica irrogata per tutti i reati concorrenti”, in quanto costituisce pena legale “non solo quella stabilita dalle singole fattispecie incriminataci, ma anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio quali sono, appunto, tra le altre, quelle concernenti il reato continuato”. Perciò, nonostante nel caso considerato l’unitario aumento per la continuazione “sia stato frazionato in relazione ai singoli reati”, ciò non scioglie “l’unitarietà dell’incremento stabilito per la continuazione mantenendo la sua completa autonomia rispetto alla pena edittale” dei reati satelliti. A ciò si aggiunge, sempre secondo questa pronuncia, l’avere la sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale fatto venir meno il trattamento sanzionatorio uniformante per ogni tipo di stupefacente per violazione dell’art. 77 Cost., comma 2, “cosicchè non può ascriversi neanche sotto tale aspetto assiologico alla recentissima decisione costituzionale una incidenza sulla dosimetria della pena in tema di continuazione” per i reati in materia di stupefacenti, onde la determinazione dell’incremento continuativo “non ha ragione di essere riesaminata”.
Cass. sez. 6^, 12 marzo 2014 n. 25807 ritiene, poi, che quanto alla legalità della pena nessun rilievo può assumere “l’applicazione dell’aumento di un mese per la continuazione interna, dovendosi escludere il riesame della determinazione del relativo incremento, la cui unitarietà non può essere sciolta poichè nell’istituto della continuazione i meno gravi episodi criminosi perdono la loro autonomia sanzionatorio e la dosimetria del relativo trattamento confluisce nella pena unica irrogata per tutte le fattispecie concorrenti”, richiamando Cass. sez. 6^, 6 marzo 2014 n. 12727; a questa si connette pure Cass. sez. 6^, 25 marzo 2014 n. 21608, escludendo appunto “l’esigenza di una rimodulazione della pena, in relazione alla scissione delle previsioni edittali tra droghe pesanti e droghe leggere…dato che…un dovere di rideterminazione della pena, con distinzione tra tali due diverse tipologie di sostanze stupefacenti, non opera quando i fatti siano avvinti dalla continuazione, perchè, una volta individuata la violazione più grave, i reati meno gravi perdono la loro autonomia sanzionatoria, dovendosi dunque applicare un’unica pena per tutte le fattispecie concorrenti”.
Nella medesima ottica, Cass. sez. 3^, 30 aprile 2014 n. 27066, quanto alla determinazione degli aumenti al reato più grave, afferma che al riguardo “non hanno inciso nè le modifiche normative nè la declaratoria di incostituzionalità…sulla legalità della pena” in quanto “una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satelliti non esplica più alcuna efficacia, dovendosi solo aumentare la pena prevista per la violazione più grave, senza che rilevino i limiti legali della pena prevista per i singoli reati satelliti”.
6.3 L’impostazione incentrata in tale risoluto modo sul reato più grave, nel senso di svuotare di ogni caratteristica realmente incidente il trattamento sanzionatorio il reato satellite, è stata espressamente messa in dubbio da altri recenti arresti, sempre in relazione ai reati in materia di stupefacenti.
Cass. sez. 4^, 28 febbraio 2014 n. 25211, a proposito di reati in materia di stupefacente (cinque, di cui due attinenti a cocaina, marijuana e hashish e tre ad hashish) avvinti da continuazione con il più grave reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, con un aumento di quattro anni di reclusione complessivo, richiamato l’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n.32/2014) che ha recuperato un trattamento sanzionatorio largamente differenziato per i reati concernenti le “droghe leggere” rispetto a quelli concernenti “droghe pesanti”, premesso che dunque per questi ultimi non sorge problema, per gli altri invece si pone la questione della incidenza sugli aumenti alla pena del reato più grave. Per “verificare l’applicabilità del mutamento del trattamento sanzionatorio… per la reviviscenza di una legge anteriore più favorevole, anche all’istituto della continuazione” ritiene di dover richiamare la giurisprudenza di legittimità relativa “all’entrata in vigore proprio della legge Fini-Giovanardi che, con riferimento al minimo edittale previsto dalle ipotesi delittuose di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, avente ad oggetto le c.d. droghe pesanti, aveva apportato un abbassamento di due anni (da otto a sei anni di reclusione)”, in particolare rievocando un arresto (Cass. sez. 4^, 21 aprile 2006 n. 22824) per cui non era applicabile nel giudizio di legittimità la legge penale più favorevole poichè nel reato continuato, ai fini del computo della pena, non assume concreta rilevanza quella stabilita per i reati satellite, essendo per questi l’aumento di pena determinato solo in relazione alla pena del reato più grave e sulla base di una valutazione di equità, che tiene conto della gravità del reato secondo i parametri ex art. 133 c.p., e non necessita di apposita motivazione: da tale principio la sentenza in esame decide di discostarsi, “non perchè si metta in discussione la correttezza dell’interpretazione” dell’art. 81 cpv.
c.p., quanto alla riferibilità per l’aumento a titolo di continuazione alla pena fissata per il reato ritenuto più grave, bensì riguardo alla “valutazione di equità” che “non può prescindere, nell’attribuire al fatto considerato nel suo complesso una maggiore o minore gravità, dalla gravità dei reati satellite desunta oggettivamente dalla pena per essi prevista. E’, dunque, ineccepibile che è la pena della violazione, ritenuta più grave, come recita la norma, ad essere aumentata, ma è altrettanto certo che tale aumento, attesa una forbice molto ampia fino al triplo, non può non considerare la minore o maggiore gravità dei reati ritenuti in continuazione, per attribuire maggiore o minore gravità al reato continuato, con conseguente congruo aumento della pena base”. Va quindi effettuata tale verifica, dal momento che, con il ripristino della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, in ipotesi di contestazione di più episodi di detenzione a fine di spaccio dei diversi tipi di droga, devono “diversificarsi i corrispondenti aumenti di pena” a titolo di continuazione. Un aumento minimo “legittimamente potrebbe condurre ad una valutazione di congruità di quella quantificazione, in quanto ritenuta adeguata al caso e che sarebbe stata tale anche con riferimento al precedente minimo edittale”, non potendo il giudice di legittimità appropriarsi la valutazione discrezionale della quantificazione della pena rimessa al giudice di merito; ma ciò non toglie che, “in presenza di un aumento cospicuo titolo di continuazione, vada rivisto il trattamento sanzionatorio, almeno con riferimento al diverso minimo edittale, più favorevole, per i reati in continuazione”.
Esigono poi la verifica degli aumenti per la continuazione in ipotesi di reati satellite attinenti a droghe leggere con riferimento ai ripristinati minimi edittali pure Cass. sez. 4^, 2 marzo 2014 n. 16245 e Cass. sez. 4^, 12 marzo 2014 n. 24606, ma approfondisce di nuovo la questione Cass. sez. 4^, 25 marzo 2014 n. 22257, che, in ipotesi di reati ex articolo 73 d.p.r. 309/1990 avvinti dalla continuazione, previo riferimento al principio di legalità della pena, giunge ritenere che “per almeno una frazione…della risposta sanzionatorio-rieducativa, costituita della pena in concreto inflitta” la lex mitior impone (non l’obbligo del giudice di rinvio a ridurre la pena, bensì) la rivalutazione, per cui “non può essere elusa, quale che ne sia il risultato, la necessità di riponderare il punto concernente la determinazione della pena… avuto riguardo all’aumento per la continuazione”. Richiamati arresti difformi per cui “nel reato continuato, ai fini del computo della pena, non assume concreta rilevanza la pena stabilita per i reati-satellite, essendo l’aumento di pena per questi determinato solo in relazione alla pena del reato più grave e sulla base di una valutazione di equità” non necessitante apposita motivazione, la sentenza in esame afferma che detto orientamento, non condiviso, “sconta il pedaggio genetico di aver posto a fondamento del ragionamento” S.U. 27 marzo 1992 n. 4901, che risolveva la questione del computo della pena nel reato continuato in relazione ai reati satellite sanzionati con pena qualitativamente diversa, nel senso che, “una volta ritenuta la continuazione tra più reati, il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satelliti non esplichi più alcuna efficacia proprio per la ragione che, individuata la violazione più grave, essi vanno a comporre una sostanziale unità, disciplinata e sanzionata diversamente mediante le regole dettate all’uopo dal legislatore”, il che farebbe “perdere notevole consistenza alla pretesa violazione del principio di legalità, dovendosi ogni norma incriminatrice leggere, per quanto riguarda l’aspetto punitivo, come se essa contenesse un’eccezione derogativa della sanzione per il caso che la violazione contemplata vada a comporre un reato continuato”. Ma ciò non avrebbe incidenza, trattandosi di considerazioni aventi “altro scopo rispetto a quello qui al vaglio”, cioè affermare che la continuazione non incide sulla qualità della pena prevista per i reati accessori: “qui il fulcro del ragionamento, invece, investe territorio logico-argomentativo affatto diverso, occorrendo chiedersi (e al quesito il Collegio assegna risposta affermativa) se il vaglio in concreto del disvalore penale del fatto, al quale non può dirsi estraneo il trattamento penale edittale riservato dalla legge, finalizzato a quantificare l’aumento a titolo di continuazione, debba tener conto del mutato o più favorevole giudizio di rimproverabilità, scaturito da legge successiva o…dalla reviviscenza di norma più favorevole, quale conseguenza del giudizio caducatolo della Corte Costituzionale”, Successivamente Cass. sez. 4^, 2 aprile 2014 n. 19267, in una ipotesi di continuazione con reati satellite D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, relativi a droghe leggere per ciascuno dei quali era stato assegnato un aumento di un mese e quindici giorni alla pena base per il più grave reato associativo, ritiene che la cornice edittale di riferimento per i reati satellite ha subito un mutamento tale che “non possa non attribuirsi rilievo sia pure ai limitati fini… della commisurazione dell’aumento di pena per la continuazione…, quanto meno nel senso di richiedere un rinnovato esercizio del potere discrezionale” del giudice di merito entro i limiti e secondo i parametri ex art. 81 c.p.. Richiamato un contrario precedente (Cass. sez. 4^, 21 aprile 2006 n. 22824), la sentenza osserva che il mutamento della forbice edittale è ben più netto di quello ivi considerato “e tale con ogni evidenza da ridimensionare parecchio non solo il trattamento sanzionatorio in astratto previsto per tali fattispecie ma con esso, inevitabilmente, anche lo stesso loro disvalore su penale”. Invero, “se è indubitabile che per effetto del cumulo giuridico cui il reato continuato è assoggettato, secondo il meccanismo sanzionatorio previsto per il concorso formale…, una volta individuata la violazione più grave i reati meno gravi perdono la loro autonomia sanzionatoria e il relativo trattamento sanzionatorio confluisce nella pena unica irrogata per tutti i reati concorrenti”, non può “nemmeno dubitarsi che ai fini della determinazione della complessiva pena unica…resti comunque necessaria, ai sensi dell’art. 133 c.p., la ponderazione della gravità non unicamente del reato base ma anche degli altri reati unificati dal vincolo della continuazione”; ponderazione che, “ancorchè per implicito,…non può non ritenersi condizionata dal diverso quadro normativo di riferimento”, che all’epoca della determinazione degli aumenti per i reati satellite “esprimeva per tali fattispecie un giudizio di (dis)valore nettamente più grave e deteriore”. Se resta dunque ovviamente escluso che ciò “possa avere diretta incidenza sul meccanismo di calcolo della pena (se non nei limiti di cui all’art. 81 c.p., comma 3, trattandosi pur sempre di calibrare solo un aumento, per ciascuno dei reati satellite, della pena stabilita per la violazione più grave), occorre tuttavia che ne risultino, sia pure per implicito, considerate le eventuali refluenze sul giudizio di disvalore della fattispecie ai fini della complessiva ponderazione della pena unitaria secondo il meccanismo del cumulo giuridico, richiedendo questa ai sensi dell’art. 133 c.p., la considerazione della gravità del reato che, in ipotesi di reato continuato, è parametro da riferire necessariamente non solo al reato più grave, ma anche ai reati satellite”. Si esprime pertanto un “consapevole dissenso” da un contrario arresto sulla medesima tematica.
Cass. sez. 4^, 27 maggio 2014 n.36244 è particolarmente apprezzabile sotto l’aspetto sistemico, per l’inquadramento nei principi basilari dell’ordinamento, anche sovranazionali, e per il richiamo di giurisprudenza particolarmente significativa (cui ora può aggiungersi S.U. 29 maggio 2014 n. 42858). La pronuncia, dato atto che occorre rispettare i “principi relativi alla successione di leggi nel tempo dettati dall’art. 25 Cost., art. 7, par. 1, Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo e art. 2 c.p. occorrendo, in particolare, tenere presente l’interpretazione della Corte EDU del predetto art. 7, par. 1, della citata Convenzione Europea, secondo cui il medesimo è comprensivo anche del diritto dell’imputato di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato che prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza (sentenza Scoppola C/Italia; Corte cost. 210/2013)” e che si è “altresì ritenuto che, a seguito di declaratoria di incostituzionalità di norma concernente la determinazione della pena, anche in caso di sentenza passata in giudicato è possibile rimodulare il trattamento sanzionatorio ad opera del giudice dell’esecuzione (sez. 1, n. 977 del 2011, Rv. 252062: conf., Sez. 1, n. 19361 del 24/02/2012 Cc. – dep. 22/05/2012 – Rv. 253338; si veda anche Sez. Un. n. 18821 del 24/10/2013 Cc. – dep. 07/05/2014 – imp. Ercolano)”, per cui “Il concreto effetto del recente intervento della Corte Costituzionale può, in estrema sintesi, così riassumersi: nel caso di reati (commessi nell’arco temporale caratterizzato dalla vigenza della L. n. 49 del 2006) concernenti le droghe pesanti, dovrà essere applicata la norma dichiarata incostituzionale (ossia l’art. 73 comma 1, nella formulazione della Legge del 2006, c.d. Fini- Giovanardi) in quanto la stessa prevedeva una pena (reclusione da 6 a 20 anni) inferiore nel minimo a quella (reclusione da 8 a 20 anni) della precedente Legge del 1990, c.d. Iervolino-Vassalli, ed era pertanto più favorevole per l’imputato; nel caso di reati concernenti le droghe leggere deve invece essere applicata la Legge Iervolino-Vassalli in quanto la pena per tali ipotesi prevista (reclusione da 2 a 6 anni) è inferiore a quella (reclusione da 6 a 20 anni) stabilita dalla Legge del 2006″, annulla la sentenza di merito disponendo che “Il giudice del rinvio procederà a nuova valutazione ai fini della determinazione degli aumenti di pena applicati – a titolo di continuazione con il reato associativo – per tali reati, con riferimento ai limiti edittali previsti per le droghe leggere dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, nella formulazione precedente alle modifiche apportate con le disposizioni ritenute incostituzionali”, a nulla rilevando “che per detti reati-fine sia stato ritenuto sussistente il vincolo della continuazione con il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74” dovendosi ritenere, come già affermato (si richiamano Cass. sez. 4^, 28 febbraio 2014 n. 25211 e Cass. sez. 4^, 12 marzo 2014 n. 16245), “la necessità, in caso di più episodi di detenzione a fine di spaccio di tali diversi tipi di stupefacente, già ritenuti in continuazione, di diversificare i corrispondenti aumenti di pena”.
Cass. sez. 4^, 17 giugno 2014 n. 30475, a fronte di aumenti per la continuazione relativi a reati satellite in materia di droghe leggere, li ha definiti sanzione “illegale” (in un caso consistita in tre mesi di reclusione e in un altro in un anno). Richiamati vari precedenti di questa Suprema Corte relativi al reato continuato, “con particolare riguardo al tema del rapporto tra determinazione della pena per il reato continuato e sanzione edittale prevista per i singoli reati uniti dal vincolo della continuazione” – nel senso che per la individuazione della violazione più grave il giudice deve riferirsi alla pena edittale prevista per ciascun reato e individuare la violazione punita più severamente dalla legge in rapporto alle circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, la pena base non può essere inferiore a quella prevista come minimo per uno qualsiasi dei reati unificati ed è comunque quella prevista per la violazione più grave -, la pronuncia osserva che “l’ulteriore sviluppo di tali principi è che, se per la individuazione del reato più grave deve certamente farsi riferimento alla pena edittale, ciò nondimeno anche la sanzione edittale prevista in relazione a ciascun reato-satellite può assumere rilevanza ai fini della determinazione della pena da applicare in aumento in ragione dei principi generali, ai quali la disciplina del reato continuato non deroga, enunciati, in tema di applicazione della pena, dagli artt. 132 e 133 c.p.“, onde non potrebbe escludersi “anche l’illegalità della pena irrogata in aumento per i reati-satellite, ancorchè in virtù del cumulo giuridico la pena per il reato satellite venga a trasformarsi in una porzione omogenea della pena aumentata per il reato più grave, posto che nelle sentenze di merito non è stato specificato il quadro edittale di riferimento per la determinazione degli aumenti di pena”.
Prosegue sulla stessa linea, pur prospettando uno stemperamento delle contrapposte tesi, Cass. sez. 4^, 1 luglio 2014 n. 44791, che prende atto dell’insorgenza di contrasto nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, sussistendo un orientamento per cui “la necessità di dare applicazione alla lex mitior non si riflette nell’annullamento della sentenza impugnata allorquando i reati per i quali non è stata applicata la norma più favorevole all’imputato costituiscono reati- satellite” perchè questi nella continuazione non hanno autonomia sanzionatoria, “senza che rilevino i limiti legali della pena prevista per i singoli reati satelliti”, e un diverso orientamento che “afferma l’opposto principio, rilevando che i mutati e più favorevoli limiti edittali impongono una nuova valutazione in ordine alla pena da irrogare e, nel giudizio di legittimità, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, fermo restando che, all’esito della rinnovata disamina, il giudice può ritenere la sanzione precedentemente inflitta equamente commisurata al caso concreto”.
Rileva allora l’arresto in esame che “la tesi della assoluta autonomia sanzionatoria del reato continuato, che sarebbe dimostrata dal fatto che perde di rilievo la cornice edittale del reato satellite, appare non persuasiva ove intesa in termini radicali; ed altrettanto deve dirsi per la tesi antagonista”. Ma in effetti la pronuncia aderisce a quest’ultima, in primo luogo osservando che “l’entità della pena da infliggere per il reato satellite risente delle circostanze eventualmente accessorie a tale reato” poichè la giurisprudenza di legittimità insegna che nel reato continuato le circostanze si valutano riguardo a ciascuna violazione e non in relazione al complesso, per cui “la circostanza aggravante o diminuente ha effetto sulla pena, solo se si riferisce alla violazione più grave, mentre ha effetto sulla misura dell’aumento (derivante dalla continuazione) allorquando venga riconosciuta in relazione ad altro illecito”. In secondo luogo, la sentenza rimarca che anche la determinazione della pena per il reato satellite “non è indifferente alla cornice edittale…perchè il giudice non è in condizione di apprezzare la gravità del fatto a prescindere dalla scala valoriale espressa dalle pene definite dal legislatore”. In terzo luogo, viene rilevato che “non deve essere considerata la sola entità della pena, potendo venire in gioco la stessa composizione dell’addebito. Si pensi all’ipotesi in cui il reato base sia rappresentato dalla detenzione di sostanze stupefacenti di diversa specie; la reviviscenza della legge c.d. Jervolino-Vassalli comporta la riconsiderazione della fattispecie, risultando una pluralità di reati (in rapporto all’appartenenza delle sostanze alle coppie Tabelle 1^ – 3^ o Tabelle 2^ – 4^) laddove si riteneva esistente una unicità di illecito”. Conclude quindi l’arresto affermando il principio che in tema di stupefacenti la continuazione tra i reati “può determinare l’annullamento della sentenza impugnata qualora sia possibile ritenere che la pena infinta possa essere rideterminata dal giudice del rinvio per effetto dell’applicazione del principio di prevalenza della legge penale più favorevole al reo”.
7. In conclusione, ritiene questo Collegio che sia insorto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità e che questo debba essere devoluto, per la sua soluzione, alle Sezioni Unite.
Occorrerebbe, invero, chiarire se la giurisprudenza formatasi in ordine alla necessità di identificare la tipologia di pena da infliggere al reato satellite – che rimane indiscutibilmente quella prevista per il reato più grave – sia sufficiente a dirimere anche le modalità di determinazione della quantità dell’aumento da praticare. Si pone infatti il quesito se, anche in fattispecie come quella in esame – in cui non si tratta (soltanto) di successione di legge penale, bensì, essendo un caso investito dalla sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, della reviviscenza di una normativa, vale a dire della necessità di rimuovere pienamente e realmente ogni effetto di un trattamento sanzionatorio costituzionalmente illegittimo (non apparendo condivisibile, si nota per inciso, ritenere che l’aver il giudice delle leggi caducato la uniformante impostazione della legge Fini-Giovanardi per contrasto con l’art. 77 Cost., comma 2, venga a costituire una sorta di incostituzionalità “minore” che non inficia di per sè il trattamento sanzionatorio uniformante, come argomentato dall’arresto capostipite e principale che esclude l’incidenza della sentenza n. 32 sulla tematica in questione) -, sia sufficiente determinare l’aumento in modo equitativo e genericamente correlato ai parametri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., ovvero se sia invece necessario approfondire la modalità della determinazione dell’aumento stesso. In particolare, se siano da considerare a priori le caratteristiche del fatto reato secondo gli artt. 132 e 133 c.p., per poi individuarne equitativamente la pena “satellite” da aggiungere alla pena base, oppure se, per calibrare il reato satellite nella sua offensività e nelle correlate colpevolezza e capacità a delinquere di chi l’ha commesso, incida l’originario trattamento sanzionatorio, come indice di disvalore della pena legale originaria individuata, in caso di autonomia, per tale fattispecie criminosa dal legislatore. E qualora dovesse tenersi in conto la pena legale originaria (costituiscono, si nota per inciso, tracce favorevoli al suo rilievo nei commi terzo e quarto dell’articolo 81 c.p.), occorrerebbe altresì chiarire il concetto di pena legale: se questa, cioè, attinge la sua legalità da un rapporto astratto con la forbice edittale allo stato vigente, che la rende a essa (sempre che sia motivata adeguatamente e comunque in proporzione alla severità) numericamente compatibile (analogamente all’insegnamento della nota giurisprudenza sulla legittimità della pena finale indipendentemente dalle modalità erronee del percorso per raggiungerla: cfr. da ultimo Cass. sez. VI, 15 luglio 2014 n.32242; Cass. sez. 6^, 7 maggio 2013 n. 20275; Cass. sez. II, 19 febbraio 2013 n. 22136; Cass. sez. II, 19 febbraio 2013 n.12991) ovvero se trattasi di un rapporto concreto, che relativizza alla cornice edittale la pena determinata e ne impone quindi una rivisitazione se la cornice viene a mutare.
In conclusione, per le ragioni sopra esposte questo Collegio rimette il ricorso alle Sezioni Unite.