Cass., Sez. V, 27 novembre 2024, n. 43160 – Pres. Miccoli, Rel. Cananzi
Va rimessa alle Sezioni Unite la questione se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo sia legittimato e/o abbia interesse a contestare i presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso. Secondo l’orientamento maggioritario il terzo interessato sarebbe legittimato alla sola rivendicazione della effettiva titolarità del bene confiscato, senza alcuno spazio per questioni relative ai presupposti della confisca nei confronti del proposto. Viene evidenziato, in tal senso, che rispetto al terzo sono del tutto indifferenti le sorti della misura di prevenzione, potendo questi aspirare, quale massimo risultato, alla sola restituzione del bene, previa dimostrazione della sua effettiva titolarità. Rispetto al le sorti della misura di prevenzione, il terzo interessato vanterebbe pertanto un mero interesse di fatto, inidoneo a riconoscergli una qualche legittimazione processuale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte di appello di Bari, con il decreto del 9 maggio 2024, depositato il 31 maggio 2024, confermava il provvedimento del Tribunale Sezione Misure di Prevenzione di Bari che in data 21 dicembre 2022 aveva disposto la confisca dei beni nei confronti del proposto, A.A., nonché dei terzi ritenuti intestatari fittizi, B.B., D.D. e C.C.
(rispettivamente moglie, figlia e fratello del proposto), rilevando per il primo la sussistenza della pericolosità, ex artt. 1, lett. b), e 4, lett. b) e c), D.Lgs. n. 159 del 2011.
Va inoltre evidenziato da subito che, ai sensi dell’art. 18, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011, il decreto impugnato confermava solo la confisca, in quanto la proposta genetica non chiedeva applicarsi la misura di prevenzione personale: in sostanza i Collegi di merito hanno applicato e confermato la confisca anche in assenza di richieste di misure di prevenzione personali e prescindendo dal requisito della pericolosità del proposto al momento dell’adozione della misura, evidenziando che detta pericolosità sia comunque accertata con riferimento al momento dell’acquisto del bene, oggetto della richiesta ablatoria (cfr. Sez. 6, n. 46068 del 25/09/2014, Di Biase, Rv. 261082 – 01) e operando quindi il richiesto preliminare giudizio incidentale di pericolosità, presupposto necessario della misura anche nel caso di applicazione disgiunta, che deve essere ancorato a dati e fatti oggettivi, secondo un’interpretazione convenzionalmente orientata a seguito della sentenza CEDU De Tommaso c. Italia (Sez. 2, n. 9517 del 07/02/2018, Baricevic, Rv. 272522 – 01).
2. I motivi dei ricorsi per cassazione, proposti con atti separati nell’interesse di A.A. e di B.B., con unico atto per D.D. e C.C., saranno enunciati a seguire – nei limiti strettamente necessari per la motivazione – secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il ricorso proposto da A.A., a mezzo dei difensori di fiducia, avvocati Francesco Santangelo e Andrea Imperato, consta di tre articolati motivi.
3.1 II primo motivo deduce violazione di legge in riferimento agli artt. 1, comma 1, lett. b), 4, comma 1, lett. b), 16, 24 e 27 D.Lgs. 159 del 2011, artt. 3, 13, 41, 42, 117, comma 1, Cost., art. 2 Protocollo n. 4 Convenzione Edu e art. 1 Protocollo addizionale Convenzione Edu.
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello avrebbe fatto mal governo dei principi fissati dalla sentenza della Corte Edu, con la pronuncia del 27 febbraio 2017 nel caso De Tommaso, e della Corte costituzionale, con la sentenza n. 24 del 2019. In particolare, non avrebbe tenuto in conto che, non essendo la categoria di cui alla lett. b) dell’art. 1 del D.Lgs. cit. sufficientemente tassativizzata, all’epoca della commissione delle condotte attribuite al proposto, costui non poteva ‘regolare la propria condotta’ in previsione dell’applicazione della misura di prevenzione.
La sentenza De Tommaso aveva chiarito come tanto la categoria sub lett. a), come anche quella nel caso in esame applicata, sub lett. b) dell’art. 1, risultassero non sufficientemente determinate e tali da garantire la prevedibilità per il cittadino delle conseguenze delle proprie condotte.
La Corte di appello farebbe improprio riferimento, nel rigettare la censura posta sul punto, a una pronuncia della Corte di cassazione, che a ben vedere renderebbe atto della intervenuta tassativizzazione interpretativa solo successiva alla sentenza De Tommaso-, la stessa Corte costituzionale, con la citata sentenza, rileverebbe come solo alla attualità della propria decisione la norma, che prevede la categoria criminologica applicata a A.A., abbia assunto le caratteristiche rispondenti alla ratio della prevedibilità per il cittadino, in forma di una interpretazione adeguatrice intervenuta medio tempore fra la sentenza De Tommaso e quella della Corte delle leggi.
Tale censura risulterebbe decisiva e destrutturante, rispetto al decreto impugnato, che si riferisce anche all’art. 4, lett. b), D.Lgs. cit. quanto alla pericolosità qualificata, ma solo come rafforzamento dell’argomentare in ordine alla pericolosità generica.
3.2 II secondo motivo reitera la censura per violazione di legge in ordine alle norme citate indicate con il primo motivo, anche con riferimento all’art. 4, lett. c), D.Lgs. cit. e 125 c. 3 cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe valutato che non è intervenuta alcuna sentenza di condanna in ordine ai fatti – relativi a reati cd. lucrogenetici – indicati come integranti la pericolosità ex artt. 4 lett. c) e 1 lett. b) D.Lgs. cit., oltre ad una sola condanna per ricettazione e detenzione di arma comune da sparo.
La Corte territoriale avrebbe disatteso il principio per cui – per la pericolosità generica, a differenza di quella qualificata, come anche per il requisito della abitualità, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale – sia richiesto che gli elementi di fatto non si debbano risolvere in meri indizi, né in emergenze tratte da sentenze di proscioglimento, bensì debbano scaturire da provvedimenti che accertino la sussistenza del fatto e la sua attribuibilità al proposto, anche se ne sia seguito il proscioglimento per cause estintive del reato.
Inoltre, difetterebbe nel decreto impugnato anche una adeguata valutazione quanto alla abitualità richiesta dalla lett. b) dell’art. 1 cit., alla natura lucrogenetica dei delitti e alla correlazione della pericolosità con gli acquisti dei beni oggetto di ablazione.
Tali principi verrebbero disattesi in quanto una sola è la sentenza di condanna irrevocabile, di scarsa rilevanza lucrogenetica, che ha riguardato il proposto, non potendo a tal fine essere valorizzate le condotte solo tentate, in quanto difettose della produzione di reddito, il che riguarda anche la pendenza del procedimento per la tentata estorsione aggravata dall’art. 416-bis 1 cod. pen.
La Corte di appello non avrebbe, inoltre, valutato che le condotte si limitano all’arco temporale 2015-2016, cosicché non è provata la dedizione abituale, né la pericolosità ex art. 4 lett. b) D.Lgs. cit. può trarsi dalla citata tentata estorsione. Difatti non sarebbe rilevante l’analisi della attendibilità della persona offesa – operata in proprio dalla Corte territoriale facendo riferimento agli esiti del giudizio abbreviato, che ha riguardato altri imputati, e non all’istruttoria dibattimentale in corso riguardo al proposto – per giunta in difetto di misura cautelare personale.
Infine, viene anche denunciato il difetto di correlazione fra la proposta, avanzata solo per la pericolosità generica, e la decisione che ha riguardato sia quest’ultima che la pericolosità qualificata.
3.3 Il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 24 e 26 D.Lgs. 159 del 2011 e 125, comma 3, cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente che quanto ai due immobili confiscati, ubicati in P alla via (Omissis), entrati nella disponibilità dei coniugi A.A. ben prima del periodo di pericolosità, che aveva inizio nel 2014, la Corte di appello non avrebbe verificato se le rate del mutuo in tale periodo fossero o meno sostenibili dalle disponibilità familiari, limitandosi ad affermare che le stesse – versate a seguito della rinegoziazione da parte della terza B.B., coniuge del proposto – risultavano ammontare a un importo complessivo maggiore rispetto a quelle versate prima del 2014.
Tale circostanza risulterebbe non corretta, per quanto argomentato dal consulente di parte, con il cui elaborato il decreto non si confronterebbe, non verificando come l’importo delle rate di mutuo risultasse congruo rispetto ai redditi familiari leciti. Da ciò deriverebbe l’illegittimità della confisca, anche per l’intero dei beni.
4. I ricorsi proposti con unico atto nell’interesse di C.C.Do e D.D., a mezzo del difensore di fiducia, avvocato Giacomo Grasso, constano di dieci articolati motivi.
4.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle società GP Gamma Service Srl e Ricicla Srl, relativamente a C.C.
La Corte di appello non avrebbe valutato le doglianze difensive in ordine alla circostanza che le società avevano acquisito gli immobili confiscati grazie alla produzione di reddito proprio, non dovendo ricorrere a quello prodotto dal proposto.
4.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla pericolosità del proposto, alla circostanza che la stessa sia fondata su elementi di fatto e sia attuale. La costituzione della società Gamma Srl avveniva il 4 settembre 2013, quindi prima del periodo di ritenuta pericolosità, il che avveniva anche per la Ricicla Srl, in data 16 maggio 2013, quest’ultima per altro fondata da soci diversi da A.A.
Il decreto impugnato risulterebbe, quindi, viziato in quanto dalle indagini di polizia giudiziaria emergeva che i soci fondatori delle società avessero la disponibilità finanziaria per la costituzione delle società, dal che la fallacia dell’argomento della Corte di appello di ritenere costoro intestatari fittizi del proposto.
4.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla GP Gamma Service Srl
I ricorrenti rappresentano che E.E., socio fondatore della GP Gamma Service a seguito del versamento di 9500,00 Euro – mentre il proposto A.A. versava 500,00 Euro – risultava tutt’altro che un intestatario fittizio, in quanto incapace e incompetente, essendo invece gestore di imprese dal 2011 al 2015, poi dal 2016, quanto a una impresa ancora attiva, nonché gestore di una attività di rivendita di veicoli dal 2015 al 2018, attività tutte che lo rendevano produttore di reddito lecito, per altro tratto anche dalla pensione dei genitori e della moglie.
Anche C.C., acquistata la quota del E.E. nella GP Gamma Service, in data 6 settembre 2017, divenendo titolare del 100% del capitale, risultava produttore di redditi quale dipendente della SOGET e, a seguire, della Ricicla Srl, sia quale dipendente che perché rappresentante legale.
La sorte della Gamma e della Ricicla – confiscate – risulterebbe irragionevolmente diversa rispetto alla società Immobiliare Giandò, analogamente costituita prima del 2011 – quindi prima del periodo di pericolosità – e con capitale interamente versato, requisiti condivisi anche dalle due società sottoposte a misura ablatoria.
4.4 Il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla confisca dei beni intestati a D.D., figlia del proposto.
La Corte di appello avrebbe ignorato i motivi di impugnazione, a cominciare dalla circostanza che l’immobile in T era stato acquisito a seguito di vendita dalla zia F.F., che a sua volta l’aveva acquistato nel 2008.
Non sarebbe spiegato – difettando una motivazione sul punto – come tale bene sia nella disponibilità effettiva di A.A.
4.5 Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sempre in relazione a D.D., in quanto la confisca dell’appartamento in T veniva motivata solo in ragione della paternità del proposto, trascurando che la terza acquistò il 18 febbraio 2016 l’immobile dalla zia F.F. per 88 mila euro, accollandosi il mutuo acceso dalla venditrice, ancora attivo oltre 86 mila euro.
Il motivo censura l’argomento che il mutuo non fu mai effettivamente accollato e, dunque, fosse la spia di una condotta fraudolenta in favore del proposto: le rate, osserva la ricorrente, furono sempre e comunque pagate – anche dopo il proprio acquisto – dagli zii F.F. e C.C. per 571,00 Euro al mese.
4.6 Il sesto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle disponibilità economiche di C.C.Do e F.F. adeguate a sostenere il mutuo della abitazione ceduta alla nipote, non risultando neanche accertato in che misura i ratei fossero pagati dall’una o dall’altro.
4.7 Il settimo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle aporie della proposta del Pubblico ministero, oggetto di censura e non valutate dal Tribunale: avendo gli investigatori accertato che l’immobile era stato locato, la circostanza comprovava in sé che la terza intestataria fosse percettrice di redditi leciti.
4.8. L’ottavo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla assenza di una rigorosa dimostrazione della disponibilità diretta o indiretta dei beni della società GP Gamma Service Srl, ravvisandosi la non applicabilità della presunzione di fittizietà nel caso in esame, in caso di intestazione a congiunti, in quanto si tratta di acquisizioni anteriori al biennio.
Né risulterebbe decisivo che nella disponibilità del proposto sia stata trovata una carta bancomat, intestata alla società, non risultando adeguatamente provato che gli acquisti siano stati effettuati dal proposto e non da E.E.
4.9. Il nono motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione relativamente agli immobili acquisiti dalla GP Gamma Service Srl il 15 luglio 2015 in S, al prezzo di 100 mila Euro e in R, il 27 luglio 2015, per quello di circa 94 mila euro, non sussistendo la prova che il proposto abbia reimpiegato il denaro nella GP Gamma Service.
4.10 Il decimo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla Ricicla Srl, ritenendosi non veritiere e non adeguate le dichiarazioni dei dipendenti della stessa a comprovare la disponibilità sostanziale della società da parte del proposto, proponendo il ricorrente plurime ipotesi ricostruttive in ordine alle dichiarazioni di uno dei dipendenti.
5. Il ricorso proposto nell’interesse di B.B., coniuge del proposto, a mezzo del difensore di fiducia avvocato Francesco Santangelo, consta di tre articolati motivi.
5.1 Il primo motivo reitera le doglianze mosse con il primo motivo proposto nell’interesse di A.A., aggiungendo che tale doglianza relativa alla ricorrenza dei presupposti soggettivi per l’applicazione della misura di prevenzione, essendo la pericolosità perimetrata ‘ora per allora’, va a riflettersi anche sull’interesse della ricorrente alla restituzione.
5.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge quanto all’onere probatorio spettante all’accusa in ordine alla fittizietà dell’intestazione.
La Corte di appello avrebbe del tutto omesso di valutare i motivi di appello, come pure non si sarebbe confrontata con la circostanza che la presunzione di fittizietà – ex art. 26, comma 2, D.Lgs. 159 del 2011 – risulta non operante nel caso di specie, in quanto i beni intestatati a B.B. furono acquisiti ben prima del biennio anteriore al periodo di pericolosità, né risulta adeguatamente motivato da parte del Tribunale il periodo di effettiva convivenza della terza con il proposto, la riconducibilità degli acquisti al periodo di pericolosità e di convivenza, l’assenza di adeguata capacità economica, elementi rilevanti ai sensi dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 159 del 2011.
5.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge, rappresentando come l’anteriorità dell’acquisto degli immobili in P – rispetto al periodo di pericolosità – e l’accensione di un mutuo avrebbero richiesto la verifica della sostenibilità della relativa rata – per altro rinegoziata – nel periodo di pericolosità sociale, in rapporto al reddito della terza interessata e alle disponibilità familiari, circostanza non valutata dalla Corte di merito. Anche non corretta sarebbe la deduzione che la rata, dopo la rinegoziazione, sarebbe stata accresciuta, in vero essendo accaduto il contrario, dunque rendendosi più agevole il pagamento, cessato il 9 giugno 2016.
6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Francesca Ceroni, ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi, rilevando l’infondatezza dei primi motivi dei ricorsi di A.A. e B.B., richiamando l’orientamento di Sez. 2, n. 25042 del 28/04/2022, Amandonico, Rv. 283559 – 01 relativamente al consolidato orientamento tassativizzante della categoria di pericolosità generica ex art. 1 lett. b), D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, da applicarsi anche alle condotte antecedenti la sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale; quanto al secondo motivo del ricorso di A.A., lo stesso sarebbe infondato, in quanto la Corte di appello ha fatto buon governo dei principi in materia, distinguendo fra giudizio di prevenzione e giudizio di cognizione, dando anche ragione in modo dettagliato e coerente della ritenuta pericolosità qualificata del proposto; per il resto, il ricorso sarebbe orientato al merito, non confrontandosi con l’argomentata motivazione. Anche aspecifica risulterebbe la censura, oggetto del terzo motivo del ricorso di A.A. e B.B., per la quale l’ablazione sarebbe illegittima, in quanto l’acquisizione era avvenuta prima del periodo di manifestazione della pericolosità sociale del proposto, senza confrontarsi con il rilievo per il quale il residuo mutuo, rinegoziato nel 2016, rappresentava larga parte di quello contratto nel 2010, ed era rimasta indimostrata la liceità delle risorse finanziarie utilizzate per onorare la rata mensile; inoltre il motivo difetta di autosufficienza quando invoca la consulenza di parte senza allegarla. Anche privo di autosufficienza, oltre che indirizzato al merito, risulterebbe il secondo motivo del ricorso di B.B. Analoghi vizi investirebbero anche i ricorsi di C.C.Do e D.D.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ritiene di dover rimettere i ricorsi alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., per la soluzione del seguente quesito di diritto: “Se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo sia legittimato e/o abbia interesse a contestare i presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso”.
2. Il menzionato quesito è certamente rilevante in relazione al caso in esame, in particolare con riferimento alle doglianze mosse dalla terza intestataria B.B., che con il primo motivo di ricorso ha contestato la possibilità di dichiarare la pericolosità sociale del proposto, specificamente rappresentando come abbia interesse all’accoglimento delle doglianze – quanto all’indicato presupposto soggettivo – poiché dallo stesso ne deriverebbe la restituzione dei beni confiscati, nel caso di specie due immobili ubicati in P, della quale la B.B. risulta intestataria.
Per altro, così come risulta anche dal provvedimento impugnato, la ricorrente B.B. già con il primo motivo di appello aveva formulato tale doglianza (si veda, in particolare, pag. 3 del decreto in esame).
3. La questione indicata, che risulta oggetto del contrasto giurisprudenziale del quale si darà atto a seguire, riguarda l’ampiezza del diritto di difesa riconoscibile al terzo interessato nell’ambito del procedimento di prevenzione, tema che assume sempre maggiore significatività con l’accrescersi nel tempo delle categorie di soggetti destinatari di misure di prevenzione personale e patrimoniale, a seguito delle modifiche ampliative apportate all’art. 4, al quale rinvia l’art. 16 D.Lgs. n. 159 del 2011, cd. Codice antimafia.
D’altro canto, va evidenziato come tale Codice, all’art. 23, commi 2 e ss., attribuisca il ruolo di parte anche al terzo interessato – che risulti proprietario o comproprietario dei beni sequestrati, o che vanti diritti reali o personali di godimento, nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro – tanto che nei trenta giorni successivi all’esecuzione del sequestro il terzo deve essere citato dal Tribunale per intervenire nel procedimento, in occasione di una udienza in camera di consiglio, ove può svolgere, a mezzo di un difensore, le proprie deduzioni, nonché “chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca” (così l’art. 23, comma 3, D.Lgs. n. 159 del 2011).
Pertanto, definire l’ampiezza del diritto di difesa del terzo, esercitabile fin dal primo grado in ordine “a ogni elemento utile” in relazione alla confisca, risulta rilevante al fine di delineare l’interesse che il terzo può far valere in sede di impugnazione.
Allo stato attuale, in ordine alla legittimazione e all’interesse del terzo a proporre censure quanto alla sussistenza del presupposto soggettivo della misura di prevenzione, si riscontra il contrasto fra due orientamenti nella giurisprudenza di legittimità, nonché la sussistenza di un orientamento intermedio, variamente articolato.
4. Il primo orientamento, maggioritario, limita l’ampiezza del diritto di difesa del terzo, che sia stato ritenuto intestatario fittizio del bene.
Secondo tale impostazione il terzo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a proporre qualsivoglia questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, quali la condizione di pericolosità dello stesso, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, trattandosi di doglianze che solo il proposto può avere interesse a far valere (in questo senso, fra le molte altre, da ultimo Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2024, Granato, Rv. 286441 – 01; Sez. 6, n. 17519 del 27/02/2024, Ingrassia, Rv. 286418 – 01; Sez. 6, n. 5094 del 09/01/2024, Grizzaffi, Rv. 286058 – 01; Sez.l, n. 35669 del 11/05/2023, Jelmoni, Rv. 285202 – 01; Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep.2021, leardi, Rv. 280249; Sez.6, n. 7469 del 4/6/2019, dep.2020, Hudorovic, Rv. 278454; Sez.2, n. 31549 del 6/6/2019, Simply soc. coop., Rv. 277225-04; Sez. 2, n. 18569 del 12/03/2019, Pisani, n.m./ Sez. 1, n. 5050 del 10/12/2019, dep. 2020, Lafluer, Rv. 278469 – 02, in motivazione; Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli, Rv. 266141 – 01; in tema di sequestro ex art. 321 cod. proc. pen. e interesse del terzo, nello stesso senso Sez. 3, n. 23713 del 23/04/2024, Ruggiero, Rv. 286439 – 01, per cui il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’assenza di collegamento concorsuale con l’indagato; conf. Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, Pica, Rv. 276700 – 01; Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, Tessarolo, Rv. 268070 – 01).
Sono, altresì, conformi a tale orientamento maggioritario in tema di misure di prevenzione innumerevoli pronunce non massimate, che l’ampia latitudine di quelle citate esonera dall’enunciazione in dettaglio.
Sez. 2 Granato, cit., fa derivare il menzionato principio dalla considerazione che il terzo intestatario del bene possa ottenere il più favorevole dei risultati e, cioè, la revoca della confisca, solo dimostrando che la titolarità del bene è reale e non meramente fittizia. Una volta fornita la prova di tale dato, per il terzo sono del tutto indifferenti le sorti della misura di prevenzione – personale e reale -disposta nei confronti del proposto, proprio perché si tratta di una vicenda processuale inidonea a produrre effetti negativi nei suoi confronti.
L’argomento che se si consentisse al terzo di interloquire anche sui presupposti applicativi della misura ne deriverebbe indirettamente un risultato positivo, nel caso in cui – pur non avendo egli fornito la prova dell’effettiva titolarità del bene – la misura verrebbe ugualmente caducata, viene a essere superato dalla considerazione che, in mancanza di prova dell’effettiva titolarità del bene, ove pure venisse accolto il ricorso del terzo avente ad oggetto i presupposti soggettivi e oggettivi della misura personale e patrimoniale, la conseguenza sarebbe la revoca della confisca, ma con restituzione al soggetto ritenuto effettivo titolare del bene, vale a dire il proposto.
Ne conseguirebbe, osservano le pronunce in precedenza richiamate, che il terzo non otterrebbe alcun risultato concretamente utile (in tal senso, Sez. 1, Jelmoni, cit.).
In sostanza, il terzo sarebbe portatore di un mero interesse di fatto all’esito della procedura che, tuttavia, non può costituire il fondamento della legittimazione processuale, individuabile solo a fronte di interesse giuridicamente tutelato.
Inoltre, essendo tutti gli aspetti inerenti i presupposti applicativi della misura estranei alla sfera soggettiva del terzo intestatario, ammettere la possibilità che quest’ultimo ne contesti la sussistenza, si sostanzierebbe in una lesione del fondamentale principio secondo cui la legittimazione ad agire deve essere individuata in relazione alla titolarità del diritto oggetto del giudizio, non potendosi consentire al terzo di farsi latore di una sorta di intervento ad adiuvandum in favore del proposto.
Tale orientamento si confronta anche con l’opposta tesi, per la quale l’interposizione fittizia, riconducibile all’istituto civilistico della simulazione relativa del contratto, non individua di per sé una condotta illecita.
A fronte di tale tesi – che verrà dettagliata a seguire – l’orientamento in esame invita a sviluppare fino in fondo l’argomentazione, dovendosi sottolineare come proprio la disciplina civilistica dettata dall’art. 1414 cod. civ. preveda che, se le parti hanno inteso concludere un contratto diverso da quello apparente, tra le stesse ha effetto il contratto dissimulato. Ne consegue che, nei rapporti interni tra terzo simulato proprietario e reale titolare del bene, prevale non già il dato formale insito nella fittizia intestazione, bensì il dato reale. Il che, riportando il tutto nell’ambito di interesse delle misure di prevenzione, determina che l’unico soggetto legittimato a chiedere la restituzione del bene – anche nell’ambito del rapporto interno con il fittizio intestatario – è il titolare reale dello stesso, non potendo il terzo agire in giudizio per far valere quello che è un diritto altrui.
Va, altresì, evidenziato come, aderendo interamente alle argomentazioni fin qui illustrate, sia stata anche posta l’attenzione – così Sez. 5, Ingrassia, cit. al par. 4 e ss. – sulla nozione di interesse ad impugnare nel procedimento penale. A differenza di quanto accade per le impugnazioni civili, che presuppongono un processo di tipo contenzioso, l’interesse in sede penale non è basato sul concetto di soccombenza, quanto, piuttosto, su una prospettiva utilitaristica, consistente nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251693; Sez. U, n. 42 del 03/12/1995, dep. 1996, Tampini, Rv. 203093).
Da ciò conseguirebbe il limite ai temi deducibili dal terzo, essendo l’unico aspetto del contendere che lo coinvolge direttamente attinente alla confutazione della prospettazione accusatoria secondo la quale, a dispetto del dato formale, l’utilità considerata dalla confisca dovrebbe ricondursi alla sostanziale disponibilità del proposto, dovendo escludersi la sussistenza dell’interesse ad impugnare del terzo laddove non reclami la titolarità del bene da confiscare, e ciò in quanto, in caso di accoglimento del ricorso, non potrebbe mai ottenere la restituzione del bene che ha pacificamente riconosciuto essere del proposto (così anche Sez.6, Grizzaffi, cit. par. 3).
Anche è stato rilevato, a sostegno di tale orientamento – così Sez. 5., leardi, cit. – come lo stesso risulti conforme ai principi generali che regolano i requisiti di ammissibilità delle impugnazioni: ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., invero, l’impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi… “non ha interesse”. L’interpretazione sistematica di tale norma sulle impugnazioni, coordinata con le norme che le disciplinano in materia di misure di prevenzione (artt. 10 e 27 D.Lgs. 159 del 2011), implica l’esistenza di un interesse concreto che sussiste solo in relazione alla contestazione della fittizietà dell’intestazione, atteso che, in caso di accoglimento, la restituzione dei beni non spetterebbe al proposto, bensì al terzo intestatario.
Tale conclusione non viene inficiata, osserva Sez. 5, leardi, cit., dalla previsione, espressamente disciplinata dal c.d. Codice Antimafia, dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale anche in caso di morte del proposto (art. 18, commi 2 e 3, D.Lgs. 159/2011). Vertendosi in tema di disposizione speciale, insuscettibile di interpretazione estensiva, in tal caso la divaricazione tra intestazione formale e disponibilità effettiva dei beni confiscati viene meno con la morte del proposto, e i terzi intestatari dei beni, nell’impossibilità del proposto di contestarne i requisiti, hanno un interesse concreto ad impugnare anche i profili concernenti i presupposti oggettivi e soggettivi della misura di prevenzione patrimoniale, in quanto “il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa” (comma 2) o, comunque, la richiesta può essere proposta “nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare”(comma 3), e dall’accoglimento dell’impugnazione conseguirebbe la restituzione dei beni ai medesimi terzi intestatari.
Condividendo anche tale ultima argomentazione, Sez. 1, Jelmoni, cit. ha pure evidenziato come la carenza di interesse del terzo intestatario, che abbia dedotto anche l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, emergerebbe in ogni caso ove, affrontando le questioni dal terzo proposte in ordine logico, risultasse in giudizio la fittizietà della titolarità dei beni: in sostanza, stabilita nei suoi diretti confronti la estraneità alla titolarità proprietaria dei beni di cui si tratta, la delibazione delle ulteriori questioni non potrebbe avere per lui utilità concreta.
Sez. 6, Grizzaffi, cit., al par. 3.2 ha anche evidenziato come riconoscere una più ampia legittimazione al terzo intestatario, condurrebbe anche a sostenere che nella sovrapponibile ipotesi di confisca ex art. 240-bis cod. pen., caduta su beni intestati a terzi, questi ultimi possano ritenersi legittimati a contestare i profili della responsabilità inerenti al ‘reato spia’ e, se del caso, ad impugnare anche sotto questo versante, pur quando non censurato dall’imputato.
Inoltre, tale ultima pronuncia si confronta anche con l’orientamento intermedio nella sua formulazione più restrittiva, che si illustrerà a seguire: la legittimazione del terzo non sussiste neanche in relazione ai profili oggettivi giustificanti la misura ablatoria, sia in sede penale che di prevenzione.
Tale difetto di legittimazione consegue alla constatazione che il profilo della perimetrazione temporale non può essere differenziato da quello della pericolosità sociale, vertendosi in tema di due momenti inscindibili di un unico giudizio, al quale rimane estraneo il terzo.
D’altro canto, in modo simmetrico, si osserva, è stato ritenuto inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto, che si limiti a dedurre l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva del bene in capo al terzo intestatario, mentre è stato ritenuto ammissibile il ricorso, sempre del proposto, che, senza negare l’esistenza del rapporto fiduciario, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all’ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l’applicazione del provvedimento (così, Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, Loiero, Rv. 281389-01, e Sez. 1, n. 50463 del 15/06/2017, Mangione, Rv. 271822).
5. Il secondo orientamento, minoritario, sostiene che, in tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto.
5.1 Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, Loiero, Rv. 281389 – 01, che si è confrontata con doglianze mosse, sia dal proposto che da una terza interessata, anche avverso il perimetro cronologico della pericolosità sociale, ha concluso per la legittimazione a proporre tale censura anche da parte della terza intestataria, richiamando, quale parametro di riferimento, la nozione di interesse ad impugnare, sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante. Tale nozione, osserva Sez. 1 Loiero, trova origine in Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953 – 02, che hanno chiarito come la sussistenza dell’interesse ad impugnare debba fondarsi sulla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non sulla effettiva fondatezza della pretesa azionata.
La pronuncia del caso Loiero ha aggiunto che il proposto non aveva negato l’esistenza del rapporto fiduciario, ma aveva affermato di aver contribuito con risorse lecite all’acquisizione del bene intestato al coniuge, dal che l’interesse sussistente, così richiamando l’orientamento affermato da Sez. 1, Mangione, cit.
Quanto alla terza interessata, costei rivendicava l’effettiva ‘contitolarità’ dei beni sequestrati, oltre a contestare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione nei confronti del proposto, dal che la ritenuta legittimazione ad impugnare di quest’ultima, in ragione dell’orientamento, condiviso dalla pronuncia in esame, proposto da Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, La Porta, Rv. 272608-01.
5.2 Tale ultima pronuncia si è confrontata con un caso in cui la Corte di appello aveva escluso la legittimazione del terzo, applicando l’orientamento maggioritario in precedenza illustrato.
Sez. 5 La Porta ha argomentato per un verso rilevando la specificità delle misure di prevenzione rispetto al sequestro e alla confisca penale – la giurisprudenza richiamata dal decreto impugnato riguardava tali ultimi provvedimenti – e per altro ha riconosciuto che ben possa il terzo contestare l’esistenza dei presupposti per l’emanazione della misura di prevenzione nei confronti del proposto, sia in relazione al presupposto soggettivo della pericolosità sociale, sia in ordine al requisito della sproporzione di valore fra i beni e la capacità economica di fonte lecita, o anche lamentare l’omessa valutazione della lecita provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto del bene.
La sentenza in esame, in sostanza, riconosce la sussistenza di un interesse del terzo a censurare i presupposti oggettivi e soggettivi della misura di prevenzione, sempre che vi sia, però, la contestuale rivendicazione della proprietà dei beni e la contestazione della loro fittizia intestazione a suo favore.
In particolare, Sez. 5 la Porta osserva: il terzo “… contesta il presupposto dell’incisione, ad opera del provvedimento, della sua sfera di affermata titolarità formale e sostanziale del bene. Certamente, se egli dimostra di essere il solo vero ed effettivo proprietario, tanto basta a escludere la legittimità della confisca; però il terzo, che si afferma proprietario non interposto, possiede anche la legittimazione e l’interesse a cercare di demolire gli altri presupposti della confisca (pericolosità sociale del proposto e provenienza illecita dei beni). Se l’interesse è indubbio (diversamente dall’ipotesi in cui il terzo riconosca la sua posizione di mero interposto), sussiste nondimeno anche la legittimazione ad impugnare, che va commisurata, secondo i principi generali, in relazione alla forma e al contenuto del provvedimento aggredito, e non può essere selettivamente disaggregata sulla base dei motivi di censura”.
Rileva la pronuncia in esame che l’orientamento interpretativo prevalente “risentirebbe di una considerazione ex post della sorte dei motivi di impugnazione secundum eventum litis, che invece debbono essere valutati ex ante nella loro attitudine distruttiva della pretesa fatta valere, e che quindi, nel rispetto del fondamentale diritto di difesa, possono essere anche articolati su “piani concorrenti e/o graduati”.
A tale argomento viene anche aggiunto quello oggetto di valutazione critica da parte di Sez. 5 Granato, cit., relativamente all’atto simulato. Infatti, la sentenza La Porta afferma che non si può ritenere che l’intestazione simulata di un bene costituisca di per sé una situazione illecita, se non è preordinata al conseguimento di fini contrari alla legge, se il reale proprietario dissimulato non è un soggetto socialmente pericoloso o autore di gravi delitti e se i beni non hanno provenienza illecita, come del resto conferma la disciplina civilistica della simulazione ex art. 1414 e segg. cod. civ.
5.2 Rileva questo Collegio che, in presenza di una simulazione, potrebbe sussistere un interesse del terzo anche a dolersi dei presupposti soggettivi e oggettivi della applicazione della confisca di prevenzione, in quanto il venire meno di tali presupposti rende sostanzialmente irrilevante – ai fini della misura di prevenzione reale – la natura reale o fittizia della intestazione, che in tale ultimo caso integra una simulazione – non più illecita, come ipotizzato, bensì – lecita.
D’altro canto, il giudice della prevenzione è chiamato a dichiarare la nullità degli atti di disposizione fittizia ex art. 26, comma 1, D.Lgs. cit. solo in caso di confisca, in quanto diversamente il regolamento dei reciproci interessi delle parti dell’accordo simulatorio è governato dalla disciplina civilistica.
Proprio con riferimento all’art. 26 cit. e alle presunzioni di fittizietà previste al comma 2, è stato autorevolmente affermato come le stesse si riferiscano esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità e non riguardano anche gli atti dei suoi successori (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 16/03/2017, De Angelis, Rv. 270084 – 01).
In tal senso, seppur il principio è affermato in ordine al fenomeno successorio, il legame esistente fra pericolosità del proposto e regime delle presunzioni induce a una riflessione quanto alla legittimazione del terzo intestatario a potersi dolere dei presupposti soggettivi e oggettivi, posti alla base della misura reale di prevenzione. È proprio da tali presupposti – in uno alla relazione parentale e alla convivenza – che consegue l’applicazione delle citate presunzioni, con un onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca. Infatti, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere la sussistenza di una presunzione di “disponibilità” di tali beni da parte del prevenuto – senza necessità di specifici accertamenti – in assenza di elementi contrari (cfr. Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli, Rv. 266142 – 01).
È stato chiaramente affermato il diverso riparto dell’onere della prova per gli ‘altri’ terzi, rilevandosi come, ai fini della confisca di cui all’art. 24 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – a differenza di quanto previsto per i beni nella titolarità del coniuge, dei figli e dei conviventi, nei confronti dei quali la disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti – la disponibilità da parte del proposto di beni formalmente intestati a soggetti ulteriori richiede che siano acquisiti specifici elementi di prova del carattere fittizio dell’intestazione, quindi con pieno onere di prova per l’accusa (Sez. 6, n. 10063 del 11/01/2023, Mancuso, Rv. 284608 – 01; nello stesso senso, Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015, dep. 2016, Trubchaninova, Rv. 266247 – 01).
Inoltre, Sez. 5, n. 37297 del 23/06/2022, Stanek, Rv. 283798, a proposito dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 159 del 2011 – a mente del quale “le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto…” con il proposto – ha chiarito che tale norma non pone un limite né soggettivo né temporale alle investigazioni che possono essere svolte al fine dell’eventuale proposta di applicazione di una misura di prevenzione.
Osserva Sez. 5 Stanek che la norma indica i soggetti ‘sospetti’ nei confronti dei quali vanno indirizzate le investigazioni, rispetto ai quali – nei termini chiariti dalla giurisprudenza da ultimo richiamata – l’accertamento giudiziale della disponibilità in capo al proposto dei beni formalmente a loro intestati opera con maggior onere probatorio. A tal proposito le Sezioni Unite hanno fatto espresso riferimento alla “ampia estensione dei poteri di indagine funzionali all’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. cit., che consente un’attività investigativa a forma libera, non soggetta a limitazioni temporali, sia da parte degli organi titolari del potere di proposta, sia attraverso le iniziative eventualmente disposte ex officio dal Tribunale durante il corso del procedimento di prevenzione: attività, questa, che può essere svolta nei confronti di coloro che possono assumere la qualità di terzo intestatario e nei confronti di tutti coloro per i quali è possibile accertare i presupposti della operatività delle presunzioni previste dall’art. 26 D.Lgs. cit.” (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016 -dep. 2017, De Angelis, Rv. 270081, in motivazione).
In sostanza, a fronte dell’esistenza sia delle presunzioni che, per quanto relative, comunque, determinano un maggior onere probatorio per il terzo, sia di poteri di indagine ‘indirizzati’ e ad iniziativa plurima, non limitati né soggettivamente né cronologicamente, potrebbe porsi il tema della necessità di una maggiore ampiezza del diritto di difesa del terzo congiunto, esteso anche ai profili ulteriori, fondanti la misura di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti del proposto.
5.3 In conclusione, l’orientamento interpretativo in esame rileva come, in tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendichi l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto (nello stesso senso, Sez. 5, n. 10407 del 12/12/2018, dep. 2019, Rispoli, n.m.).
Va, altresì, evidenziato che integra questo orientamento una recente pronuncia, in tema di sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen., che afferma che il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre alla fittizietà dell’intestazione, anche l’oggettiva confiscabilità del bene in difetto del fumus commissi delicti e del periculum in mora, potendo l’assenza dei presupposti della confisca avvalorare la tesi della natura non fittizia, ma reale dell’intestazione (Sez. 6, 15673 del 13/03/2024, Pezzi, Rv. 286335 – 01).
La pronuncia si discosta dall’orientamento maggioritario, “non solo e non tanto perché (esso) confonde il piano della legittimazione ad agire con quello del vaglio della fondatezza della pretesa azionata in giudizio, ma soprattutto perché sconta una lettura atomistica dei presupposti della misura ablatoria, che non tiene conto dell’interdipendenza dei differenti presupposti oggettivi e soggettivi della confisca che assumono rilevanza anche nella prospettiva del terzo che li contesti unitamente alla interposizione fittizia del bene”.
Osserva Sez. 6 Pezzi che, contrariamente a quanto affermato nella tesi maggioritaria, laddove il terzo fornisca elementi idonei ad escludere i presupposti oggettivi della confisca, ne risulta inevitabilmente avvalorata anche la fondatezza dei motivi relativi alla intestazione dei beni, atteso che la fittizietà dell’intestazione trova il suo principale supporto proprio nella pericolosità criminale del proposto con riguardo alle misure di prevenzione e, più in generale, nella presunzione dell’origine delittuosa della ricchezza confiscabile ex art. 240-bis cod. pen.
Anche questa pronuncia sviluppa l’argomentazione di Sez. 5 La Porta, cit.: ove manchi la confiscabilità del bene per difetto dei presupposti del fumus di reato o del periculum in mora, anche il soggetto intestatario troverà maggiore supporto alla tesi della natura non fittizia ma reale della intestazione dei beni.
Invero, le stesse presunzioni di legge sulla natura fittizia della intestazione dei beni nei rapporti tra stretti congiunti (vedi art. 26, comma 2, D.Lgs. 6 settembre 2011, n.159) valgono solo sul presupposto della sussistenza della illiceità criminale dell’origine dei beni, e sarebbero prive di ragionevole fondamento ove si trattasse di operazioni commerciali e negoziali avulse da un contesto criminale.
Riprende Sez. 6 Pezzi, poi, l’argomento già richiamato per cui la interposizione fittizia, oggetto di accordo simulatorio, non è di per sé illegale e, contrariamente a quanto affermato nella già citata sentenza della Sez. 6 Morelli, non fa venire meno la legittimazione ad agire ed il correlato diritto a rivendicare la restituzione da parte di colui che nei rapporti con i terzi abbia assunto la titolarità giuridica del
bene, essendo l’accordo simulatorio efficace solo nei rapporti interni tra le parti e non anche nei confronti dei terzi (cfr. art. 1415 cod. civ.), fatta salva la diversa disciplina prevista nel caso di accordo avente una causa illecita (ex art. 1417 cod. civ.).
6. Un terzo orientamento, che può ritenersi intermedio, prevede due diverse declinazioni, che sostanzialmente si sono progressivamente evolute.
6.1 La prima declinazione di tale orientamento restringe l’ambito delle questioni per le quali vi è ‘interesse’ del terzo, sostanzialmente aderendo alla impostazione maggioritaria, consentendo la contestazione di un unico limitato profilo oggettivo, quanto al presupposto della confisca di prevenzione.
Infatti, richiamando Sez. 1, n. 13375 del 20/09/2017, dep. 2018, Brussolo, Rv. 272703, n.m., in un solco più ristretto, ma comunque meno rigoroso dell’orientamento maggioritario, si colloca Sez. 5, n. 8984 del 19/01/2022, Celentano, n.m., che ammette il terzo intestatario “a documentare la datazione del suo acquisto per espungerla dall’area temporale della pericolosità del proposto; pericolosità che, dunque, viene in esame soltanto in via mediata e non già come motivo principale di censura consentito al ricorrente che sia terzo intestatario fittizio”.
In sostanza, la sentenza Celentano opta per una soluzione, riconducibile all’orientamento maggioritario, che quindi consenta al terzo di ‘attaccare’ non l’accertamento della pericolosità sociale, né i confini cronologici della stessa, bensì esclusivamente il secondo elemento della correlazione cronologica pericolosità/ data di acquisizione, appunto la datazione dell’acquisizione del bene da parte del terzo (l’orientamento viene condiviso, nell’ambito di una più ampia ritenuta inammissibilità del ricorso del terzo, da Sez. 5, n. 513 del 14/10/2022, dep. 2023, Brandimarte, n.m.; viene richiamato da Sez. 1, n. 7709 del 16/11/2023, dep. 2024, Celentano, n.m., pronuncia a seguito del giudizio di rinvio, come principio affermato dalla precedente sentenza rescindente n. 8984 cit.; contra Sez. 6 Grizzaffi, cit., che non condivide tale possibile ‘apertura’, controbattendo sul punto, in quanto il profilo della perimetrazione temporale non può essere differenziato da quello della pericolosità sociale, del quale rappresenta un momento essenziale e imprescindibile).
6.2 La ulteriore evoluzione giurisprudenziale ‘intermedia’ sul tema, invece, riconosce l’interesse del terzo a censurare i presupposti oggettivi della confisca ex art. 240-6/s cod. pen e della confisca di prevenzione, escludendo solo quelli soggettivi, riguardanti la responsabilità penale dell’imputato e la pericolosità sociale del proposto.
Sez. 1, n. 19094 del 15/12/2020, dep. 2021, Flauto, Rv. 281362-01, in tema di confisca ex art. 240-bis cod. pen., ma anche con estensioni dell’argomentazione alle misure di prevenzione, aderendo parzialmente a Sez. 5 La Porta, ha affermato che il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre la fittizietà dell’intestazione, anche la mancanza dei presupposti legali per la confisca, tra cui la ragionevolezza temporale tra acquisto del bene e commissione del reato che legittima l’ablazione.
Va precisato che il caso in esame riguardava in fase di esecuzione la sola doglianza del terzo, che era rimasto estraneo alla fase di cognizione.
Tale pronuncia richiama, in primo luogo, il principio di effettività della tutela giurisdizionale da assicurare al terzo, sancito dalle fonti convenzionali e costituzionali, a fronte di procedure tese alla ablazione della proprietà.
In sede convenzionale le decisioni Corte Edu del 7.4.2000 nel caso Avrora Maloetazhonoe Stroitelstvo contro Russia, del 5 marzo 2019 nel caso Uzan e altri contro Turchia, del 16.4.2019 nel caso Bokova contro Russia e, in riferimento al sistema italiano, la sentenza del 5 gennaio 2010, nel caso Bongiorno e altri contro Italia, in materia di misure di prevenzione: le pronunce richiedono tutte che si assicuri adeguata tutela della condizione del terzo, con pienezza di contraddittorio quale condizione legittimante l’ablazione del diritto di proprietà e necessaria dimostrazione delle condizioni di legge per la confisca in capo all’accusa.
Nel caso Bongiorno la Corte Edu, al paragrafo 49, al fine di qualificare come insussistente la violazione dell’art. 1 Prot. Add., evidenziava come fosse intervenuto il coinvolgimento dei pretesi intestatari solo formali dei beni fin dal procedimento di prevenzione, e fosse riscontrata l’ampiezza delle facoltà difensive loro riconosciute: “… la Corte constata che la procedura relativa all’applicazione delle misure di prevenzione si è svolta in contraddittorio dinanzi a tre successive giurisdizioni: Tribunale, Corte d’Appello e Corte di cassazione. In particolare, i ricorrenti hanno avuto la possibilità, tramite il loro avvocato di fiducia, di sollevare le eccezioni e di presentare i mezzi di prova da loro ritenuti necessari per la tutela dei propri interessi, il che prova che i diritti della difesa sono stati rispettati….”.
A fronte di tale lettura convenzionale, osserva la pronuncia di legittimità relativa all’intervento del terzo in sola sede di esecuzione, come sia da evitare il ‘frazionamento delle facoltà difensive’ con attribuzione al terzo della sola facoltà dì introdurre elementi tesi ad incrinare la prospettata fittizietà della intestazione del bene, dovendo invece riconoscersi cittadinanza alle doglianze rivolte a contestare i presupposti oggettivi della confisca: nel caso in esame, quello della ragionevolezza temporale, si badi, mai censurato in sede di cognizione dall’imputato, a fronte della acquisizione del bene al patrimonio del terzo nell’ anno 1979 e alla consumazione dei reati oggetto di condanna penale nell’anno 2012.
Sez. 1 Flauto chiarisce, comunque, affermando un principio generale, che spetta al terzo, anche se i presupposti oggettivi siano stati già oggetto di contraddittorio su iniziativa dell’imputato/proposto, poterli contestare: altrimenti si “finisce con il presumere la fittizietà della titolarità, non ancora definitivamente accertata” (affermazione quest’ultima propriamente attribuibile alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. e non alla confisca di prevenzione, ove ex art. 26, commi 2 e 3, D.Lgs. 159 del 2011 la presunzione relativa è prevista per legge nei casi specificamente previsti).
Diversamente l’effettività della tutela giurisdizionale non può spingersi – per la sentenza Flauto – fino alla sindacabilità della colpevolezza dell’imputato quanto al reato spia ex art. 240-bis cod. pen. ovvero della pericolosità sociale del proposto, trattandosi di diritto di difesa esclusivo di tali ultimi soggetti, con esclusione dei casi, ex art. 18, commi 2 e 3, D.Lgs. cit.., di decesso del proposto.
Fa proprio questo stesso orientamento, sempre in tema di incidente di esecuzione, per il terzo rimasto estraneo al giudizio di cognizione, anche Sez. 2, n. 25529 del 3/06/2022, Gatto, n.m.
7. Va, altresì, evidenziato come la Corte Edu – sentenza del 17 giugno 2014 – Ricorso n. 29797/09 – Cacucci e Sabateiii c. Italia (cfr. par. 44) – seppur riferendosi alla previgente disciplina in tema di prevenzione (art. 2-ter della legge n. 575 del 1965), quanto alla confisca del bene appartenente formalmente al terzo, ha affermato che “il diritto… al rispetto dei suoi beni implica l’esistenza di una garanzia giurisdizionale effettiva”, richiamando la citata sentenza della Corte Edu nel caso Bongiorno (par. 48).
Nel caso concreto, la Corte dei diritti rilevava non solo il rispetto della garanzia del contraddittorio e dei tre gradi di giudizio, ma anche come i terzi avessero potuto contestare “il sequestro e la confisca dei loro beni, sostenendo, tra l’altro, una violazione del principio ne bis in idem e presentando argomenti per dimostrare l’assenza di pericolosità sociale” del proposto e “l’origine legale dei fondi con i quali avevano acquistato i beni” (par.45), cosicché l’ingerenza nel diritto dei terzi al rispetto dei loro beni non doveva essere considerata sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito. Non essendo tema del decidere l’ampiezza del diritto di difesa, la Corte Edu non si è espressa sulla necessità di garantire una ampia contestazione al terzo, che nel caso concreto, però, era stata assicurata.
8. Va anche richiamato, infine, l’ambito normativo unionale, che è stato disciplinato dalla Direttiva n. 42 del 2014 relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea.
La recente approvazione in sede unionale della Direttiva 2024/1260 del 24 aprile 2024, che potenzia l’applicazione della confisca in ambito eurounitario, dettaglia la normativa richiesta agli Stati membri e, soprattutto, prevede la novità, rispetto alla precedente direttiva, della confisca di patrimonio ingiustificato collegato a condotte criminose (art. 16), categoria nella quale potrebbe rifluire la confisca di prevenzione.
In tale contesto viene anche disciplinato uno statuto dettagliato per i terzi interessati.
Infatti, al considerando 28, la Direttiva indica la possibilità della confisca dei beni – intestati fittiziamente a terzi – proponendo elementi sintomatici della consapevolezza del terzo: esemplificando, “il fatto che il trasferimento sia stato effettuato a titolo gratuito o contro il pagamento di un importo in denaro significativamente sproporzionato rispetto al valore di mercato, che il bene sia stato trasferito a parti strettamente collegate o che sia rimasto sotto il controllo effettivo dell’indagato o imputato. I trasferimenti a parti strettamente collegate all’indagato o imputato potrebbero includere trasferimenti a familiari o a persone fisiche che abbiano accordi giuridici o qualsiasi altro stretto rapporto d’affari con l’indagato o l’imputato, oppure trasferimenti a persone giuridiche nelle quali l’indagato o imputato, o un suo familiare, siede negli organi amministrativi, direttivi o di vigilanza”.
Oltre alla riaffermazione che la Direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla Cedu e della Carta europea dei diritti, come interpretate nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – rispetto richiesto anche nella attuazione concreta da parte degli Stati membri dell’esaminanda normativa (cfr. considerando 45) – l’atto normativo unionale prevede esplicitamente la necessità che siano assicurati ai terzi estranei al processo penale “specifiche garanzie e mezzi di ricorso al fine di salvaguardare i diritti fondamentali di tali persone nell’attuazione delle sue disposizioni, nel rispetto del diritto a un giudice imparziale, del diritto a un ricorso effettivo e della presunzione di innocenza sanciti dagli articoli 47 e 48 della Carta” (considerando 46).
Inoltre, la Direttiva prevede che l’interessato – nozione nella quale rientra il terzo destinatario di confisca disposta nei confronti del proposto, ex art. 3, n. 10), lett. c) – abbia l’effettiva possibilità di contestare il provvedimento di confisca, con impugnazione dinanzi a un organo giurisdizionale e le contestazioni “dovrebbero comprendere anche i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili sulla base dei quali i beni in questione sono considerati come derivanti da condotte criminose” (considerando 48).
L’esercizio del diritto di difesa per il terzo – come delineati dal considerando ora citato – con riferimento ai fatti e agli elementi di prova sulla relazione fra condotte criminose e beni confiscati, potrebbe evocare la possibilità della contestazione, da parte del terzo, se non altro dei presupposti oggettivi della confisca di prevenzione.
D’altro canto, tale considerando costituisce una chiave ermeneutica dell’art.24 della Direttiva, che regola i mezzi di ricorso e dispone che “(g)li Stati membri provvedono affinché le persone interessate dai provvedimenti di congelamento di cui all’articolo 11 e dai provvedimenti di confisca di cui agli articoli da 12 a 16 godano del diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale al fine di salvaguardare i propri diritti”. In particolare, il comma 2 di tale norma richiede agli Stati di assicurare i diritti di difesa, compresi il diritto di accesso al fascicolo, il diritto a essere ascoltati su questioni di diritto e di fatto e, se del caso, il diritto all’interpretazione e alla traduzione”, anche alle persone interessate dalla confisca per patrimonio ingiustificato collegato a condotte criminose, ai sensi dell’articolo 16 cit.
9. In ragione del contrasto interpretativo sopra delineato e della speciale importanza della questione, anche in prospettiva unionale e convenzionale, per il suo esteso ed immediato impatto sui processi in corso, ritiene questo Collegio di rimettere i ricorsi in esame alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rimette i ricorsi alle Sezioni Unite.
Conclusione
Così deciso in Roma, in data 7 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2024.