Cass. civile, Sez. III, Ord. 26 novembre 2024, n. 30461
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.
Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti. La liquidazione del danno biologico, nel caso di premorienza del danneggiato, va effettuata proporzionalmente e non già assegnando un maggior valore alla invalidità iniziale ed uno minore a quelle finale, ossia prossima al decesso.
Il danno da invalidità temporanea è diverso dalla premorienza, né può implicitamente ritenersi incluso a cagione della formula omnicomprensiva con cui il danno
biologico è definito, posto che quel criterio tabellare liquida il danno da premorienza, cioè quello permanente che, data la morte, viene ovviamente a cessare. e che va liquidato sull’effettivo periodo vissuto e cioè sulla effettiva durata della malattia, ossia della invalidità permanente. Il danno da invalidità temporanea va liquidato a parte.
Se è stato chiesto il rimborso di spese mediche che dovevano ancora essere effettuate per poter far fronte allo stato di invalidità, al momento della domanda non
può pretendere che tali spese vengano documentate come effettivamente già affrontate: non lo erano, erano spese future e le spese future non possono che essere provate
mediante un preventivo o mediante una stima effettuata dal CTU. L’oggetto di tale prova non cambia a seguito della interruzione del processo. Defunto il danneggiato, al suo posto è subentrato l’erede, che però occupa processualmente la stessa posizione del dante causa: il danneggiato aveva dimostrato che avrebbe dovuto spendere quella data somma, e quella dimostrazione è valsa anche per il suo successore nel processo.
In sostanza, ciò che conta è la regola probatoria al momento della domanda.
In questa posizione probatoria subentra l’erede del danneggiato, che non è onerato di una prova diversa ed ulteriore, ossia di dimostrare che ha effettivamente speso quella somma, poiché la sua posizione non è nuova ed autonoma rispetto a quella del suo dante causa. Altro discorso ovviamente è quello relativo al fatto che la morte
del danneggiato in corso di causa, ha inciso sulla durata di quelle spese future e dunque sul loro ammontare: aspetto che, però, non era motivo di indagine.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- F.F., il 13.5.2013, ha avvertito capogiri e perdita di coscienza. Accompagnato dalla moglie A.A., si è presentato al Pronto Soccorso dell’Istituto Humanitas Mater Domini di C, dove, fatta diagnosi di sincope NDD, è stato dimesso con la prescrizione di misurare pressione e fare elettrocardiogramma.
Il giorno dopo, seguite queste indicazioni, il F.F., sempre accompagnato dalla moglie, è tornato in ospedale, dove ha nuovamente perso conoscenza, ma è stato nuovamente dimesso. Tuttavia, mentre si avviava ad uscire dalla clinica, è caduto su una scala mobile interna, rompendosi il rachide cervicale.
A causa di tale episodio egli è rimasto invalido al 90%, immobilizzato in un letto, per circa otto anni, fino a quando, nel 2021, è deceduto.
2.- Nel 2015, la moglie, in proprio e quale rappresentate del F.F., che, come si è detto, a causa di quella caduta è rimasto invalido ed incapace, ha agito nei confronti della clinica Humanitas chiedendo un risarcimento dei danni subiti sia dal lei che dal marito.
La clinica si è costituita, ha negato responsabilità, ha chiamato in causa sia i medici che hanno visitato il marito, sia la società produttrice della scala mobile.
I chiamati si sono costituti a loro volta, ed hanno chiamato in causa, almeno alcuni di loro, le rispettive assicurazioni la Allianz e la Unipol.
Il Tribunale di Busto Arsizio ha riconosciuto sia la responsabilità dei medici, per avere dimesso il paziente, sia quella della clinica, ed ha liquidato un milione e mezzo circa per il F.F. e 300 mila Euro circa per la moglie.
Inoltre, ha stabilito che la somma dovuta dalla clinica fosse per il 50% a carico di due dei medici convenuti, C.C. e E.E., che dovevano ripartirsela, il primo al 40%, il secondo al 60%.
Questa decisione è stata impugnata, con appello principale, dalla clinica e, con appello incidentale adesivo, dai due medici.
Nel corso dell’appello è deceduto il F.F. e la causa è stata riassunta nei confronti della moglie.
La Corte di Appello ha sostanzialmente confermato la decisione di primo grado, salvo a ridurre l’ammontare del risarcimento a 650 mila euro, variando la percentuale posta a carico dei medici.
3.- Ricorre per cassazione, con ricorso principale, la vedova del danneggiato, A.A., che propone quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria, cui ha fatto seguito il controricorso dell’ISTITUTO CLINICO MATER DOMINI Casa di Cura Privata Spa, che ha altresì proposto ricorso incidentale basato su cinque motivi, ed illustrato da memoria, ed il controricorso del dott. E.E., con ricorso incidentale, basato su due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ricorso principale
1.- Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 2909 c.c. e 342 c.p.c.
Sostiene la ricorrente di avere eccepito in secondo grado l’intervenuto giudicato sul danno non patrimoniale, almeno su parte di esso. Il giudice di primo grado aveva liquidato tale danno su una invalidità del 90%, ed, a fronte di tale liquidazione, i convenuti avevano appellato soltanto due aspetti di essa che la liquidazione dovesse farsi sull’85% e non sul 90%, e che era stata riconosciuta una personalizzazione non fondata su alcuna prova.
Per il resto, invece, non vi era stata impugnazione e dunque l’accertamento del primo grado doveva ritenersi fermo.
La Corte di Appello ha replicato che invece l’appello investiva l’intera liquidazione del danno non patrimoniale, devolvendo quindi al giudice di secondo grado la relativa cognizione.
Il motivo è infondato.
Mentre la ricorrente non riporta la parte dell’appello che sarebbe stata limitata a quei soli aspetti del danno non patrimoniale, quella parte tuttavia risulta dall’atto di appello alle pagine 39-42 che contengono, in due motivi (terzo e quarto), la contestazione sia della percentuale di invalidità riconosciuta (terzo motivo di appello) che della personalizzazione (quarto motivo). A tali richieste il giudice di appello si è attenuto, riducendo l’ammontare del risarcimento secondo quanto chiesto in appello. Non è andato ultra petita, né ha violato il giudicato, ma ha risposto esattamente ai motivi di impugnazione.
2.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 2043, 2059, 1223, 1226 c.c.
La questione posta con tale motivo riguarda la liquidazione del danno biologico per il caso di premorienza. Si è detto che il danneggiato è morto durante il procedimento di appello. Il che ha comportato che il danno biologico non poteva più essere liquidato sulla base della sua aspettativa di vita, ma piuttosto sulla base dell’effettivo vissuto (9 anni).
Per operare tale liquidazione il giudice di appello ha utilizzato le tabelle milanesi, che, per il caso di premorienza, prevedono un valore decrescente di risarcimento, sul presupposto che l’invalidità permanente incide in maniera maggiore all’inizio, e minore alla fine.
Secondo la ricorrente questo criterio è illogico ed è già stato giudicato come illegittimo da questa Corte, dovendosi invece propendere per una liquidazione proporzionale e non già decrescente.
Il motivo è fondato.
È principio di diritto che ‘Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto “iure successionis” va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti’ (Cass. 41933/ 2021; Cass. 15112/ 2024).
La liquidazione del danno biologico, tenuto conto della premorienza del danneggiato, va dunque effettuata proporzionalmente e non già assegnando un maggior valore alla invalidità iniziale ed uno minore a quelle finale, ossia prossima al decesso.
Irrilevante, a tal fine, il richiamo fatto dalla controricorrente clinica Mater Domini alla decisione di questa Corte n. 26300 del 2021 (p. 24) che invece è relativa alla perdita del rapporto parentale e non attiene al caso della premorienza della vittima.
3.- Il terzo motivo prospetta violazione degli articoli 2043, 2059, 1223 e 1226 c.c.
La ricorrente lamenta la circostanza della omessa liquidazione del danno da invalidità temporanea.
Sostiene che la ricorrente che, poiché la liquidazione è avvenuta dopo la morte dell’attore, e dunque dopo che il giudizio è stato riassunto nei confronti della erede, la Corte di Appello ha liquidato il danno biologico da premorienza, facendo applicazione, come si è visto al motivo precedente, delle relative tabelle milanesi, che però non comprendono, nel danno da premorienza appunto, la voce della invalidità temporanea, che quindi è rimasta esclusa dal risarcimento.
La controricorrente clinica obietta che, invece, le tabelle comprendono quella voce e riporta (p. 28) la relazione illustrativa da cui si ricaverebbe tale inclusione, ed in cui si legge che “la tabella che segue, (è) funzionale alla quantificazione del danno non patrimoniale risarcibile nell’ipotesi in cui un soggetto, che subisca una certa menomazione invalidante a seguito di un evento lesivo, deceda prima della liquidazione del pregiudizio sofferto per una causa esterna ed indipendente dalla lesione subita”.
Il motivo è fondato.
La ricorrente qui chiede la liquidazione del danno da invalidità temporanea, non quello da premorienza ritiene dunque che non si potesse rigettare il primo dei due con l’argomento che la sua liquidazione è compresa nella liquidazione del secondo dei due. Si tratta di due voci di danno diverse aver liquidato la premorienza non significa aver liquidato il danno da invalidità temporanea.
Dalla decisione impugnata emerge che, dopo il decesso del danneggiato, la Corte di Appello ha provveduto a liquidare il danno biologico per il caso di premorienza, che però, attenendosi alle tabelle, non include quello da invalidità temporanea né tale voce può ritenersi inclusa sulla base del passo sopra riportato, che evidentemente non menziona il danno da invalidità temporanea, né può implicitamente quel danno ritenersi incluso a cagione della formula omnicomprensiva con cui il danno biologico è definito, posto che quel criterio tabellare liquida il danno da premorienza, cioè quello permanente che, data la morte, viene ovviamente a cessare, e che va liquidato sull’effettivo periodo vissuto e cioè sulla effettiva durata della malattia, ossia della invalidità permanente.
Resta dunque escluso il danno da invalidità temporanea, che va liquidato a parte.
4.- Il quarto motivo prospetta violazione degli articoli 2043, 2059, 1223, 1226 e 112 c.p.c
Attiene al danno morale soggettivo.
La ricorrente si duole del fatto che tale pregiudizio non sia stato liquidato, e ciò sulla base di un criterio di giudizio infondato che il danno morale non può costituire duplicazione di quello biologico e che rileva solo se risulta da una personalizzazione, ossia se emerge da una particolare ripercussione del danno sulla sfera del danneggiato.
La tesi della ricorrente è che il danno morale va invece liquidato autonomamente, senza che ciò costituisca duplicazione.
Il motivo è fondato.
La Corte di Appello non ha liquidato il danno morale, ed anzi ha ritenuto che una sua liquidazione costituisca duplicazione del risarcimento del danno biologico.
È accaduto questo prima della interruzione del processo il danno morale era chiesto dal danneggiato in vita e dunque da chi era parte del giudizio. Era stato liquidato in primo grado. Ma su tale liquidazione era stato proposto appello dalla convenuta clinica ospedaliera. Il giudice di secondo grado ha osservato come tale doglianza fosse fondata, ed infatti ha scritto “anche il quinto motivo di appello era astrattamente fondato, dal momento che il giudice di prime cure ha riconosciuto come voce autonoma di danno il danno morale effettuando una inammissibile duplicazione risarcitoria senza, oltretutto, che nel caso di specie vi fosse un adeguato supporto probatorio” (p. 23 della sentenza).
Il giudice di secondo grado si esprime al passato, in quanto, morto il danneggiato, egli deve procedere ad una liquidazione del danno non più proiettata verso il futuro, ma basata sugli anni effettivamente vissuti dalla vittima, e lo fa applicando i criteri del danno da premorienza, dunque, limitandosi al risarcimento della invalidità permanente che quei criteri prevedono, e senza tener conto del danno da invalidità temporanea, come detto al precedente motivo, né del danno morale.
Dunque, il danno morale non è stato liquidato. E doveva essere preso in considerazione.
La tesi, infatti, secondo cui si tratta di una duplicazione del danno biologico è infondata.
È principio di diritto consolidato che il danno morale è una voce autonoma di danno, che ovviamente va accertato e liquidato solo se verificatosi effettivamente, ma che non costituisce una duplicazione illegittima del danno biologico, né può ritenersi rilevante solo ove sia provata una personalizzazione del danno, ossia solo ove il danno abbia avuto conseguenze singolari ed eccezionali sulla vittima. Il danno morale è una voce di danno come il biologico, che può prodursi senza che si produca quest’ultimo (una ingiuria o una reputazione che determinano sofferenza interiore ma nessuna conseguenza sulla salute).
Di conseguenza va ribadito il principio di diritto secondo cui “In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti”. (Cass., 901/ 2018).
I ricorsi incidentali
I ricorsi incidentali sono due uno della clinica e l’altro del dott. E.E.
Quello di quest’ultimo è basato su due motivi che coincidono con due dei cinque motivi del ricorso incidentale della clinica, ed è per questo che può farsene scrutino unitario.
1.- Con il primo motivo di ricorso incidentale l’ISTITUTO CLINICO MATER DOMINI Casa di Cura Privata prospetta violazione degli articoli 2697, 1218, c.c. e 40 e 41 c.p. , nonché 112, 115 e 116 c.p.c.
La questione posta con tale motivo attiene al rimborso delle spese mediche.
Sia il giudice di primo grado che quello di secondo hanno ritenuto provate tali spese in ragione, oltre che di un preventivo depositato dai danneggiati attori in giudizio, altresì di un giudizio del CTU secondo cui la somma richiesta doveva ritenersi congrua.
Secondo la casa di cura, qui ricorrente incidentale, poiché il risarcimento è stato liquidato a spese fatte, ossia dopo che il paziente è deceduto, la prova avrebbe dovuto essere diretta e documentale, ossia avrebbe dovuto basarsi su documentazione (fatture, ricevute) di quanto speso, non essendo sufficiente un preventivo seguito da parere del CTU.
Si cita a tal proposito la giurisprudenza di questa Corte secondo cui quando, per l’appunto, le spese mediche sono liquidate ex post devono essere direttamente documentate.
Questo motivo di ricorso incidentale coincide con il primo motivo di ricorso incidentale del dott. E.E., che, prospettando violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., denuncia anche esso questo errore non c’è prova delle spese effettivamente effettuate, né della necessità che si dovessero fare, perché non vi era necessità di assistenza continua. Il motivo denuncia altresì difetto di motivazione.
Questi due motivi sono infondati.
Per meglio comprendere la ragione per la quale essi non convincono, pur ponendo un problema concreto, occorre ricordare la vicenda processuale relativamente a tale aspetto.
Quanto è stato chiesto il rimborso delle spese mediche, esse dovevano ancora essere effettuate, e cioè si trattava di spese richieste in quanto future, vale a dire che il danneggiato avrebbe dovuto, da lì in poi, effettuare, per poter far fronte al suo stato di invalidità.
Dunque, al momento della domanda, non si poteva pretendere che le spese mediche venissero documentate come effettivamente già affrontate non lo erano, erano spese future, e le spese future non potevano che essere provate mediante un preventivo o mediante una stima effettuata dal CTU, come del resto è avvenuto.
L’oggetto di tale prova non è cambiato a seguito della interruzione del processo.
Come si è detto, durante il giudizio di appello, è morto il danneggiato ed al suo posto è subentrato l’erede (la moglie), che però occupa processualmente la stessa posizione del dante causa il danneggiato aveva dimostrato che avrebbe dovuto spendere quella data somma, e quella dimostrazione è valsa anche per il suo successore nel processo.
In sostanza ciò che conta è la regola probatoria al momento della domanda.
In quel momento il rimborso delle spese è rimborso di danni futuri, che possono provarsi con preventivi o con una stima del CTU. In questa posizione probatoria subentra l’erede del danneggiato, che non è onerato di una prova diversa ed ulteriore, ossia di dimostrare che ha effettivamente speso quella somma, poiché la sua posizione non è nuova ed autonoma rispetto a quella del suo dante causa. Il criterio per cui la spesa effettuata si prova con prova diretta del fatto che è stata effettuata vale, per l’appunto, per le spese già effettuate al momento della domanda di risarcimento.
Altro discorso ovviamente è quello relativo al fatto che la morte del danneggiato in corso di causa, ha inciso sulla durata di quelle spese future. E dunque sul loro ammontare aspetto di cui però qui non si fa questione.
2.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c.
Questo motivo è connesso al quarto motivo del ricorso principale.
Attiene infatti al danno morale del coniuge.
Secondo il ricorrente incidentale, la Corte di Appello ha riconosciuto il danno morale al coniuge del danneggiato in primis, ma lo ha fatto pur dopo avere ammesso che il danno morale è una duplicazione inammissibile di quello biologico.
Ed ha reso dunque una motivazione contraddittoria.
Inoltre, avrebbe dovuto seguire la regola, pure ammessa in motivazione, secondo cui il danno morale, in quella circostanza costituiva, per l’appunto, una ingiustificata duplicazione.
Il motivo è infondato.
Come si è detto, nell’esame del quarto motivo del ricorso principale, il giudice di merito non ha affatto liquidato il danno morale. Lo ha escluso, proprio ritenendo che esso costituisse una duplicazione illegittima di quello biologico.
Dunque, alcuna contraddizione è insita nella motivazione.
Di conseguenza vale qui quanto detto al quarto motivo del ricorso principale, sulla autonoma risarcibilità di quella voce di danno.
3.- Il terzo motivo di ricorso prospetta violazione degli articoli 2697, 1218, 1223, c.c. e 115, 116 e 112 c.p.c.
Esso attiene alla personalizzazione del danno.
I giudici di merito l’hanno riconosciuta nella misura del 5%. Ciò sulla base del fatto che lo stato di invalidità in cui era ridotta la vittima gli impediva di dedicarsi alla banda comunale ed all’insegnamento, pur non professionale, della musica.
Con questo motivo si contesta dunque la personalizzazione, facendo presente come in realtà i pregiudizi che hanno fondato la maggiorazione del risarcimento, andassero piuttosto considerati come ripercussioni normali e non straordinarie del fatto illecito.
Il motivo è fondato.
Il risarcimento del danno può essere maggiorato in ragione della particolare e più grave incidenza che esso ha avuto, solo ove, per l’appunto, si siano verificate ripercussioni anomale particolari (Cass. 5865/ 2021). Non può invece riconoscersi la personalizzazione se la ripercussione prodotta dal fatto illecito rientra in ciò che normalmente accade, ossia in un pregiudizio che è conseguenza tipica di quel fatto. Da tale punto di vista, l’impossibilità di coltivare un passatempo, sia pure di durevole impegno, non è conseguenza anomala o straordinaria, è piuttosto una conseguenza tipica della invalidità permanente, e non può dare luogo ad un aumento del risarcimento.
4.- Il quarto motivo prospetta violazione degli articoli 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.
La questione posta con tale motivo attiene alla liquidazione del danno “riflesso” del coniuge.
Il Tribunale ha ritenuto che, essendo la vittima “primaria” invalida al 90%, il pregiudizio subito dal congiunto è pari a quello da perdita del rapporto parentale, ossia è come se la moglie avesse del tutto perso il marito, essendo costui in uno stato di quasi totale inabilità.
Questa valutazione è stata confermata in appello, dove il relativo risarcimento è stato liquidato con il sistema delle tabelle milanesi, non a punti, ma con previsione di un minimo e di un massimo entro il quale è dato al giudice di scegliere la somma adeguata (ante 2022).
Il ricorrente incidentale contesta questo metodo di risarcimento ed adduce una giurisprudenza di questa Corte che lo ha ritenuto inadeguato.
Questo motivo è ugualmente coltivato dal ricorrente incidentale dott. E.E., con il secondo motivo di ricorso da costui proposto, che prospetta pure esso violazione degli articoli 1223, 1226, 2059 c.c.
Entrambi i motivi sono fondati.
È principio di diritto che ‘In tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabellÈ (Cass. 10579/ 2021; Cass. 26300/ 2021; Cass. 37009/ 2022; Cass. 5948/ 2023).
Dunque, la liquidazione del danno parentale rimessa ad una scelta discrezionale tra un minimo ed un massimo contrasta con il predetto principio di diritto e va cassata.
5.- Il quinto motivo di ricorso incidentale della casa di cura, in realtà, non è un motivo di censura. Con esso la ricorrente casa di cura si limita a chiedere che, ove vi sia riforma nelle percentuali di invalidità o di risarcimento, i medici tenuti alla manleva, lo siano nella diversa conseguente misura.
Vanno dunque accolti il secondo il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri. Vanno accolti altresì il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale dell’Istituto di cura, ed il secondo motivo del ricorso incidentale del dott. E.E., rigettati gli altri.
La decisione va dunque cassata con rinvio anche per le spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri, nonché il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale dell’Istituto di cura, ed il secondo motivo del ricorso incidentale del dott. E.E., rigettati gli altri.
Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
Conclusione
Così deciso in Roma il 14 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2024.