Cass. civ., Sez. II, 10 novembre 2023, n. 31301 – Pres. Di virgilio, Rel. Trapuzzano
Poichè la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione di responsabilità previsti per l’appunto dall’art. 1669 c.c., ma non al fine di superare i limiti temporali entro cui l’ordinamento positivo circoscrive il suo campo applicativo, ovvero senza poter “aggirare” il peculiare regime di prescrizione e decadenza che caratterizza l’azione speciale.
L’art. 1669 c.c. pur presupponendo un rapporto contrattuale (la norma si colloca nell’ambito della disciplina del contratto d’appalto), delinea una responsabilità di natura extracontrattuale in quanto l’obbligazione derivante dalla legge persegue finalità di ordine pubblico, atte alla conservazione e funzionalità degli edifici destinati per loro natura a lunga durata, a tutela dell’incolumità personale e della sicurezza dei cittadini e, quindi, di interessi generali inderogabili.
Nonostante la sua collocazione sistematica, dunque, il bene giuridico alla cui tutela tende la norma in esame trascende il rapporto negoziale in base al quale l’immobile sia pervenuto nella sfera di dominio di un soggetto diverso dal costruttore e che – in ragione della rovina, dell’evidente pericolo di rovina o dei gravi difetti dell’opera – abbia subito un pregiudizio.
Pertanto, la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all’art. 2043 c.c.
Quanto alle interrelazioni con la norma generale in tema di responsabilità extracontrattuale, si osserva che, sussistendo appunto un rapporto di specialità tra l’art. 2043 c.c. – genus – e l’art. 1669 c.c. – species -, laddove ne sussistano i presupposti, l’azione da intraprendere è quella specificamente contemplata in materia di appalto, restando così precluso il ricorso all’azione generale, benchè, “in concreto” (recte in via contingente), per fatto imputabile al danneggiato, sia maturata la decadenza o la prescrizione dell’azione speciale (contra l’interpretazione resa in sede di revocazione da Cass. Sez. un., Sentenza n. 13569 del 02/07/2015, secondo cui la “decadenza” dall’azione di cui all’art. 1669 c.c. – e la conseguente non applicabilità di questa disposizione – non precluderebbero l’esperimento dell’azione generale di responsabilità ex art. 2043 c.c.).
Ed invero, in ordine alla previsione dell’art. 1669 c.c., resta fermo che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale -, ove non ricorrano “in concreto” le condizioni per la sua applicazione (“come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera”), può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore.
Per l’effetto, benchè il riferimento alla locuzione “in concreto” – adoperata dalla citata pronuncia a Sezioni Unite – possa ingenerare equivoci, l’esercizio dell’azione generale spetta solo allorchè, al momento in cui l’avente diritto può far valere la propria pretesa, i presupposti oggettivi delineati dalla norma speciale non sussistano:
a) o per la natura dell’immobile interessato (diverso dagli edifici o da altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata);
b) o per la natura delle deficienze riscontrate (diverse dalla rovina, in tutto o in parte, dall’evidente pericolo di rovina o dai gravi difetti);
c) o per la natura delle cause acclarate (diverse dal vizio del suolo o dalle carenze della costruzione);
d) o per l’insorgenza della carenza costruttiva dopo il decorso del termine di dieci anni dal compimento dell’opera, termine, quest’ultimo, di natura sostanziale, che non ricade negli istituti della decadenza o della prescrizione, determinando piuttosto la durata del rapporto che deriva dall’attuazione dell’intervento programmato e, dunque, rappresentando un elemento costitutivo della fattispecie.
La medesima conclusione vale per l’ipotesi in cui difettino i presupposti soggettivi, ossia la legittimazione attiva per la qualità dei soggetti pretendenti (diversi dai committenti o suoi aventi causa), necessaria allo scopo di esperire l’azione di cui all’art. 1669 c.c.: in tal caso, non ricorre un concorso di norme, sicchè non sono integrati dei validi motivi per precludere la facoltà del danneggiato di spiegare l’azione generale di cui all’art. 2043 c.c., senza che in conseguenza sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità.
1.- Con atto di citazione notificato l’11 ottobre 2011, A.A. e B.B. convenivano, davanti al Tribunale di Ancona, la CESA Srl , per sentire accertare la presenza di una serie di difetti di costruzione dell’immobile acquistato dal costruttore, con la conseguente condanna della società convenuta, ai sensi dell’art. 1669 c.c.: 1) al pagamento della somma di Euro 33.330,00, a titolo di riduzione del prezzo di cessione dell’immobile per la violazione della normativa in materia di requisiti acustici passivi; 2) al risarcimento in forma specifica per la violazione della normativa in materia di isolamento termico degli edifici, consistente nell’esecuzione dei lavori descritti nella perizia richiamata o, in alternativa, al risarcimento per equivalente nella misura di Euro 50.674,00 o nella diversa misura di giustizia; 3) al risarcimento in forma specifica per le violazioni afferenti all’esecuzione di opere strutturali ed inerenti ai solai e, quindi, al ripristino a regola d’arte dello stato dei luoghi o, in alternativa, al risarcimento per equivalente nella misura di Euro 2.936,08, oltre IVA, per i solai, e alla somma da accertare in corso di causa, per le altre lesioni dedotte.
Si costituiva in giudizio la CESA Srl , la quale contestava l’ammissibilità e la fondatezza delle domande avversarie ed eccepiva l’intervenuta decadenza e la maturata prescrizione dell’azione ex art. 1669 c.c., con riferimento a tutti i vizi contestati, nonchè la nullità dell’atto introduttivo del giudizio per la genericità ed indeterminatezza della contestazione di parte attrice, con riguardo ai presunti difetti strutturali e alla sostenuta non conformità di alcuni solai.
Quindi, gli attori, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 (secondo la formulazione vigente ratione temporis), modificavano la domanda, invocando, in alternativa all’azione ex art. 1669 c.c., l’azione generale di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. in ordine ai medesimi fatti contestati.
Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 1504/2015, depositata il 30 settembre 2015, rigettava le eccezioni di nullità della citazione e di decadenza dell’azione ex art. 1669 c.c. e, pur ritenendo che tale ultima azione fosse prescritta, escludeva che la prescrizione estintiva fosse maturata per l’azione di responsabilità aquiliana generale proposta, la quale costituiva una mera precisazione della domanda originaria e non già un suo radicale mutamento.
2.- Con atto di citazione notificato il 18 novembre 2015, la CESA Srl proponeva appello, lamentando: 1) la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, con la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1669 e 2043 c.c. e con la inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 2043 c.c.; 2) l’errata valutazione dei fatti e dei documenti di causa, con la correlata intervenuta prescrizione dell’azione ex art. 1669 c.c., con riferimento a tutti i fatti contestati; 3) l’errata valutazione dei fatti e dei documenti di causa, con l’intervenuta decadenza dell’azione ex art. 1669 c.c., con riguardo ai requisiti acustici passivi e ai difetti strutturali; 4) l’errata valutazione dei fatti e dei documenti di causa, quanto alla nullità della domanda sui difetti strutturali, per indeterminatezza dell’oggetto.
Si costituivano nel giudizio d’impugnazione A.A. e B.B., i quali resistevano all’appello e ne chiedevano il rigetto.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Ancona, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che la pronuncia risarcitoria richiesta poteva essere resa anche sulla scorta dell’art. 2043 c.c., azione che differiva da quella regolata dall’art. 1669 c.c. solo per il diverso regime probatorio e per i differenti termini di prescrizione (e decadenza); b) che la richiesta di condanna ex art. 2043 c.c. non aveva determinato, nè un ampliamento del petitum, nè un mutamento della causa petendi, in quanto erano rimasti immutati i fatti dedotti e, in specie, i difetti lamentati; c) che la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. costituiva una figura speciale di responsabilità extracontrattuale, rispetto a quella generale disciplinata dall’art. 2043 c.c., sicchè poteva farsi applicazione della figura generale di responsabilità ex art. 2043 c.c. allorchè non fosse stato possibile applicare la norma speciale di cui all’art. 1669 c.c.; d) che doveva essere disatteso l’assunto della parte appellante, secondo cui l’impossibilità di applicazione dell’art. 1669 c.c. non sarebbe stata integrata laddove l’inerzia dell’avente diritto avesse determinato la decadenza o la prescrizione dell’azione, in modo che all’improponibilità dell’azione sarebbe seguita la preclusione della facoltà di fruire (con un regime meno agevole per l’attore) dell’azione generale per illecito aquiliano; e) che, per converso, ove l’avente diritto alla proposizione dell’azione ex art. 1669 c.c. – che, tra l’altro, avrebbe invertito, a suo favore, l’onere della prova – non si fosse avvalso della facoltà di spendere tale azione, o non lo avesse fatto tempestivamente, egli avrebbe avuto comunque la possibilità di far valere i propri diritti, avvalendosi del regime probatorio meno agevole regolato dall’art. 2043 c.c..
Nelle more del giudizio d’appello il giudizio di primo grado proseguiva ed era definito con sentenza n. 2032/2019, depositata il 6 dicembre 2019, che quantificava i danni nella misura complessiva di Euro 25.605,00, sentenza non impugnata che diveniva irrevocabile.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la CESA Srl Hanno resistito con controricorso A.A. e B.B..
4.- Con ordinanza interlocutoria n. 35871/2021, depositata il 22 novembre 2021, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.
5.- La ricorrente ha presentato memoria illustrativa.
1.- Si premette che l’evocato passaggio in giudicato della sentenza definitiva sul quantum debeatur, essendo questa condizionata al permanere della precedente sentenza non definitiva sull’an, non fa venir meno l’interesse all’impugnazione già proposta contro quest’ultima sentenza (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19745 del 25/07/2018; Sez. 1, Sentenza n. 13915 del 18/06/2014; Sez. U, Sentenza n. 2204 del 04/02/2005).
2.- Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1669 e 2043 c.c., per avere la Corte di merito sussunto i fatti nell’ambito dell’art. 2043 c.c., interpretando detta norma erroneamente e scavalcando correlativamente la portata precettiva ed ermeneutica dell’art. 1669 c.c..
Obietta la ricorrente che la Corte distrettuale (così come il Tribunale) avrebbe giustificato la posizione di parte attrice, ritenendo che le azioni di cui agli artt. 1669 e 2043 c.c. sarebbero interscambiabili e rimettendo liberamente la scelta dell’una o dell’altra alla parte committente, cosicchè sarebbe stato violato il principio di specialità che governa i presupposti di integrazione delle due fattispecie.
Aggiunge l’istante che, qualora su edifici o immobili di lunga durata, nel corso del decennio dal loro compimento, si presentino vizi importanti di costruzione o pericolo di rovina o gravi difetti, allora il committente dovrebbe invocare l’art. 1669 c.c., rispettando i limiti temporali previsti, ossia sia il termine di decadenza sia il termine di prescrizione, e non potendo ricorrere allo strumento generale di cui all’art. 2043 c.c. per eludere tali decadenze e prescrizioni.
3.- Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 161 c.p.c. nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sotto il profilo della carenza di motivazione o della motivazione apparente, per avere la Corte territoriale, in prima battuta, dato compiutamente conto del proprio percorso argomentativo-motivazionale e, in un secondo momento, omesso di dare contezza della scelta attuata, in considerazione del differenziato dibattito giurisprudenziale esistente sulla quaestio dei rapporti tra le norme di cui agli artt. 1669 e 2043 c.c..
Osserva, sul punto, l’istante che la Corte del gravame non avrebbe affatto indicato le ragioni di diritto poste a fondamento della propria ricostruzione, volta a superare l’indiscusso principio a mente del quale può farsi applicazione della figura generale di cui all’art. 2043 c.c. solo quando non sia possibile applicare la norma di cui all’art. 1669 c.c., e non già allorchè l’avente diritto non spenda l’azione speciale o non lo faccia tempestivamente.
4.- I due motivi – che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica – sono fondati nei termini che seguono.
4.1.- Anzitutto, è necessario muovere dall’inquadramento sistematico dell’azione regolata dall’art. 1669 c.c..
Pur presupponendo un rapporto contrattuale (la norma si colloca nell’ambito della disciplina del contratto d’appalto), la fattispecie delineata dall’invocata norma ne supera i confini e si configura come ipotesi di responsabilità extracontrattuale, che esige l’accertamento del contributo causale del soggetto passivo all’attività da cui è disceso il danno (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23470 del 01/08/2023; Sez. 2, Sentenza n. 18891 del 28/07/2017; Sez. 2, Sentenza n. 18522 del 21/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 4319 del 04/03/2016; Sez. 2, Sentenza n. 17874 del 23/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 3406 del 16/02/2006).
Cosicchè l’obbligazione derivante dalla legge persegue finalità di ordine pubblico, atte alla conservazione e funzionalità degli edifici destinati per loro natura a lunga durata, a tutela dell’incolumità personale e della sicurezza dei cittadini e, quindi, di interessi generali inderogabili (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18032 del 03/08/2010; Sez. 2, Sentenza n. 3040 del 06/02/2009; Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 31/01/2008; Sez. 3, Sentenza n. 567 del 13/01/2005; Sez. 2, Sentenza n. 12406 del 10/10/2001; Sez. 2, Sentenza n. 81 del 07/01/2000; Sez. 3, Sentenza n. 1151 del 17/04/1968).
Nonostante la sua collocazione sistematica, dunque, il bene giuridico alla cui tutela tende la norma in esame trascende il rapporto negoziale in base al quale l’immobile sia pervenuto nella sfera di dominio di un soggetto diverso dal costruttore e che – in ragione della rovina, dell’evidente pericolo di rovina o dei gravi difetti dell’opera – abbia subito un pregiudizio.
Pertanto, la norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all’art. 2043 c.c. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8520 del 12/04/2006; Sez. 3, Sentenza n. 8 del 09/01/1990; Sez. 3, Sentenza n. 2415 del 14/04/1984; Sez. 2, Sentenza n. 1136 del 23/03/1977).
4.2.- Quanto alle interrelazioni con la norma generale in tema di responsabilità extracontrattuale, si osserva che, sussistendo appunto un rapporto di specialità tra l’art. 2043 c.c. – genus – e l’art. 1669 c.c. – species -, laddove ne sussistano i presupposti, l’azione da intraprendere è quella specificamente contemplata in materia di appalto, restando così precluso il ricorso all’azione generale, benchè, “in concreto” (recte in via contingente), per fatto imputabile al danneggiato, sia maturata la decadenza o la prescrizione dell’azione speciale (contra l’interpretazione resa in sede di revocazione da Cass. Sez. U, Sentenza n. 13569 del 02/07/2015, secondo cui la “decadenza” dall’azione di cui all’art. 1669 c.c. – e la conseguente non applicabilità di questa disposizione – non precluderebbero l’esperimento dell’azione generale di responsabilità ex art. 2043 c.c.).
Ed invero, in ordine alla previsione dell’art. 1669 c.c., resta fermo che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale -, ove non ricorrano “in concreto” le condizioni per la sua applicazione (“come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera”), può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore (Cass. Sez. U, Sentenza n. 2284 del 03/02/2014; Sez. 1, Sentenza n. 8520 del 12/04/2006).
E’, infatti, in generale ammissibile la coesistenza di due azioni diversificate quanto a presupposti applicativi e regime probatorio, sicchè deve riconoscersi alla parte la facoltà di agire in giudizio, non avvalendosi delle facilitazioni probatorie stabilite per una sola di esse.
Per l’effetto, benchè il riferimento alla locuzione “in concreto” – adoperata dalla citata pronuncia a Sezioni Unite – possa ingenerare equivoci, l’esercizio dell’azione generale spetta solo allorchè, al momento in cui l’avente diritto può far valere la propria pretesa, i presupposti oggettivi delineati dalla norma speciale non sussistano: a) o per la natura dell’immobile interessato (diverso dagli edifici o da altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata); b) o per la natura delle deficienze riscontrate (diverse dalla rovina, in tutto o in parte, dall’evidente pericolo di rovina o dai gravi difetti); c) o per la natura delle cause acclarate (diverse dal vizio del suolo o dalle carenze della costruzione); d) o per l’insorgenza della carenza costruttiva dopo il decorso del termine di dieci anni dal compimento dell’opera, termine, quest’ultimo, di natura sostanziale, che non ricade negli istituti della decadenza o della prescrizione, determinando piuttosto la durata del rapporto che deriva dall’attuazione dell’intervento programmato e, dunque, rappresentando un elemento costitutivo della fattispecie (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30607 del 27/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 25435 del 26/10/2017; Sez. 2, Sentenza n. 19823 del 19/09/2014), ipotesi cui allude espressamente la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite.
La medesima conclusione vale per l’ipotesi in cui difettino i presupposti soggettivi, ossia la legittimazione attiva per la qualità dei soggetti pretendenti (diversi dai committenti o suoi aventi causa), necessaria allo scopo di esperire l’azione di cui all’art. 1669 c.c.: in tal caso, non ricorre un concorso di norme, sicchè non sono integrati dei validi motivi per precludere la facoltà del danneggiato di spiegare l’azione generale di cui all’art. 2043 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27385 del 26/09/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 21719 del 27/08/2019; Sez. 3, Sentenza n. 1748 del 28/01/2005; Sez. 3, Sentenza n. 3338 del 07/04/1999).
Sicchè, in forza dell’art. 2043 c.c., la legittimazione ad agire contro l’appaltatore ed eventuali soggetti corresponsabili si estende, non solo al committente ed ai suoi aventi causa (ivi compreso l’acquirente dell’immobile), ma anche a qualunque terzo che lamenti di essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo di rovina.
Il quadro d’insieme così delineato importa che il ricorso all’art. 2043 c.c. postula la carenza dei presupposti strutturali (oggettivi o soggettivi) dell’azione speciale regolata dall’art. 1669 c.c. ex ante (o a monte), nel momento in cui il diritto si origina, e non già delle condizioni contingenti ex post (o a valle), nel momento in cui la pretesa si esercita.
Solo in questo senso è ammissibile il concorso tra azione speciale e azione generale, allo scopo di eliminare ogni “zona franca”: la titolarità di un’azione risarcitoria a regime speciale, caratterizzata dall’operare di una presunzione di colpa, coesiste, in linea di principio, con la possibilità per il danneggiato di fondare la propria azione sull’art. 2043 c.c., senza le facilitazioni di prova poste a suo favore dai regimi speciali, con la conseguenza che, “ove non risulti applicabile” la norma speciale, permane la possibilità di applicazione di quella generale.
E ciò conformemente al generale principio a mente del quale, ove sia fissata una integrale e completa disciplina della responsabilità risarcitoria per determinati fatti e comportamenti, esaurendone tutte le ipotesi, resta preclusa ogni possibilità di invocare i principi generali della responsabilità per fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., senza che in conseguenza sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (con riferimento alla speciale responsabilità aquiliana processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 12029 del 16/05/2017; Sez. 3, Sentenza n. 17523 del 23/08/2011; Sez. 1, Sentenza n. 28226 del 26/11/2008; Sez. 3, Sentenza n. 16308 del 24/07/2007; Sez. 2, Sentenza n. 3573 del 12/03/2002; Sez. 3, Sentenza n. 253 del 12/01/1999).
E così, più in generale, con riferimento alle previsioni normative speciali di responsabilità aquiliana ex artt. 2047 e ss. c.c., non è esclusa una concorrente operatività della clausola generale di responsabilità per colpa ex art. 2043 c.c., ma solo con riferimento ai profili non espressamente contemplati dalle fattispecie speciali ivi descritte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4303 del 13/02/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8206 del 24/03/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 9661 del 26/05/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 31066 del 28/11/2019; Sez. 3, Sentenza n. 24211 del 14/11/2006).
Viceversa, ove tali profili sussistano e siano stati enunciati in modo sufficientemente chiaro, essi integrano le fattispecie contemplate dalle norme speciali, con la conseguenza che le diverse regole di imputazione della responsabilità previste da detti articoli, essendo più favorevoli per l’attore danneggiato, poichè implicanti un’inversione dell’onere della prova, non legittimano l’operatività del regime probatorio più gravoso di cui all’art. 2043 c.c..
Il fatto che nelle emarginate evenienze – e solo entro i predetti limiti – sia esperibile l’azione generale di responsabilità aquiliana – per un verso – non determina una sostanziale elusione del principio riassunto nel brocardo latino specialis derogat generali, stante che nelle indicate ipotesi difettano le condizioni (recte i presupposti oggettivi e soggettivi) affinchè la norma speciale possa essere invocata, e – per altro verso – non legittima alcun assorbimento (o assimilazione o indebita sovrapposizione) di azioni, posto che nell’azione speciale ex art. 1669 c.c. vige un regime di presunzione di colpa iuris tantum, che impone al danneggiante di fornire la prova liberatoria (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15321 del 12/06/2018; Sez. 3, Sentenza n. 1026 del 17/01/2013; Sez. 6-2, Ordinanza n. 16815 del 03/10/2012; Sez. 1, Sentenza n. 15488 del 06/12/2000; Sez. 2, Sentenza n. 12106 del 28/11/1998; Sez. 2, Sentenza n. 5624 del 07/11/1984; Sez. 3, Sentenza n. 3550 del 28/10/1969; Sez. 2, Sentenza n. 1853 del 11/06/1968). Mentre nell’azione generale ex art. 2043 c.c. è il danneggiato a dover dimostrare, in ossequio ai principi generali dettati dall’art. 2697 c.c., oltre alla condotta del costruttore, all’evento lesivo e al nesso eziologico, la colpa del danneggiante.
In questa prospettiva, le due norme si correlano alla stregua di circonferenze concentriche (e non già di cerchi secanti o tangenti), in cui (sempre usando l’immagine delle circonferenze concentriche) la “area” di operatività della prescrizione generale è solo quella residuale esterna al raggio d’azione della disposizione speciale.
Ne deriva che, in presenza dei presupposti dell’azione speciale, non può essere richiamata la responsabilità generale in chiave derogatoria; è, invece, la norma speciale a derogare a quella generale.
4.3.- Conseguentemente, non è configurabile, a carico del costruttore, per i medesimi eventi, una concorrente responsabilità per fatto illecito a norma dell’art. 2043 c.c., rispetto al quale la norma dell’art. 1669 c.c. si pone in funzione chiaramente derogatoria (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3029 del 20/06/1978).
Non basta a giustificare tale paventata sovrapposizione il differente regime probatorio delle due azioni, che – rappresentando un aspetto inerente al quomodo – non può legittimare un’invasione del campo applicativo dell’azione speciale – di cui sia integrato l’an per il suo potenziale esercizio – a cura dell’azione generale, in chiave surrogatoria.
Sulla scorta della prospettata impostazione, poichè la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione di responsabilità previsti per l’appunto dall’art. 1669 c.c., ma non al fine di superare i limiti temporali entro cui l’ordinamento positivo circoscrive il suo campo applicativo, ovvero senza poter “aggirare” il peculiare regime di prescrizione e decadenza che caratterizza l’azione speciale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20450 del 17/07/2023; Sez. 2, Sentenza n. 19823 del 19/09/2014).
E’ necessario, infatti, evitare che siano raggiunti scopi elusivi ovvero impedire che, inutilmente esperita o esperibile l’azione speciale, l’interessato ottenga, per altre vie, il risultato negato in primis: ossia che, all’esito della prescrizione della pretesa, si possa rimediare ricorrendo all’azione generale.
Deve, per l’effetto, escludersi che, per le ipotesi previste dall’art. 1669 c.c. – ossia allorchè ne siano integrati i relativi presupposti oggettivi e soggettivi -, possa configurarsi una responsabilità extracontrattuale ai sensi della stessa norma ed un’altra ai sensi dell’art. 2043 c.c., al solo scopo di permettere di riconoscere, qualora vi sia dolo o colpa, il più ampio termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3072 del 09/07/1977).
Nè la soluzione adottata determina un vuoto di tutela che si pone in tensione con i parametri costituzionali, posto che – a fronte della pretesa al conseguimento del bene della vita in tesi leso – l’ordinamento appresta una specifica azione, la cui perenzione discende da un’inerzia ascrivibile alla parte danneggiata (e che, peraltro, postula che la controparte sollevi la relativa eccezione).
Tanto più che il termine di prescrizione di un anno ex art. 1669 c.c., comma 2, non decorre dall’integrazione del fatto illecito – ossia dalla verificazione della rovina, del pericolo di rovina o dei gravi difetti – bensì dalla denunzia, quale atto condizionante la decorrenza del termine prescrizionale interdipendente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18078 del 19/10/2012; Sez. 2, Sentenza n. 14561 del 30/07/2004; Sez. 2, Sentenza n. 903 del 14/02/1989), denunzia che – a sua volta – deve essere inoltrata, a pena di decadenza, entro un anno dalla scoperta, che ancora si intende verificata quando il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera (spesso attraverso una relazione di consulenza tecnica), non essendo sufficiente, di regola, per il decorso del termine suddetto, la constatazione di segni esteriori di danno o di pericolo (ovvero manifestazioni di scarsa rilevanza o semplici sospetti), salvo che si tratti di manifestazioni indubbie come cadute o rovine estese (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13707 del 18/05/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 777 del 16/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 4249 del 22/02/2010; Sez. 1, Sentenza n. 2460 del 01/02/2008; Sez. 3, Sentenza n. 567 del 13/01/2005; Sez. 2, Sentenza n. 11740 del 01/08/2003).
Ad analoghe conclusioni si perviene con riferimento al rapporto di sussidiarietà sostanziale ex art. 2042 c.c. tra azioni tipiche e azione generale di arricchimento senza giusta causa, secondo cui l’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si sia prescritta (Cass. Sez. 3, Ordinanza interlocutoria n. 5222 del 20/02/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 30614 del 27/11/2018; Sez. 6-L, Ordinanza n. 29916 del 29/12/2011; Sez. L, Sentenza n. 12265 del 10/06/2005; Sez. 2, Sentenza n. 1849 del 19/03/1980).
5.- In definitiva, il ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione.
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione:
“Poichè la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione di responsabilità previsti dall’art. 1669 c.c., e non già al fine di superare i limiti temporali entro cui l’ordinamento positivo appresta la tutela specifica, ovvero senza poter “aggirare” il peculiare regime di prescrizione e decadenza che connota l’azione speciale”.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.