L’evento lesivo può incidere in vari modi sull’attività di lavoro dell’infortunato. E se tutti devono avere una adeguata risposta risarcitoria, è anzitutto necessario avere le idee chiare sull’inquadramento dogmatico delle varie fattispecie che è possibile enucleare.
Si può dare il caso:
1) che la vittima conservi il reddito, ma lavori con maggior pena. E’ questo il danno da lesione della cenestesi lavorativa, e cioè la compromissione della sensazione di benessere connessa allo svolgimento del proprio lavoro. Ora, non par dubbio che il danneggiamento della cenestesi lavorativa si presterà di regola a essere risarcito attraverso un appesantimento del risarcimento del danno biologico, in via di personalizzazione cioè, a meno che la maggiore usura, la maggiore penosità del lavoro non determinino l’eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, nel qual caso, evidentemente, il pregiudizio andrà risarcito come danno patrimoniale (Cass. n. 20312 del 2015);
2) che la vittima abbia perso in tutto o in parte il proprio reddito: non il lavoro, badate bene, ma il reddito, il che significa che non ne produce al momento e non sarà più in grado di produrne in futuro: qui siamo evidentemente di fronte a un danno patrimoniale da lucro cessante, da liquidare in base al reddito perduto;
3) che la vittima abbia perso il lavoro ma possa svolgerne altri, compatibili con la propria formazione professionale: anche questo è un danno patrimoniale, da liquidare tenendo conto e del periodo di inoccupazione e della verosimile differenza (ove sussistente) tra reddito perduto e presumibile reddito futuro;
4) che la vittima un lavoro non l’aveva, e non potrà più averlo a causa della invalidità: anche questo è una danno patrimoniale da lucro cessante, da liquidare in base al reddito che verosimilmente il soggetto leso, ove fosse rimasto sano, avrebbe percepito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione agli artt. 1226 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella determinazione del danno extra patrimoniale in favore di E.C.. La Corte territoriale, pur facendo riferimento ai criteri contenuti nelle tabelle milanesi che computano nel valore base la componente del danno morale, erroneamente avrebbe personalizzato il danno nella misura massima del relativo parametro. La personalizzazione, al contrario, andrebbe riferita a situazioni assolutamente particolari non ricorrenti nel caso di specie, in cui il deficit permanente del 13% era lievemente superiore alle cd micropermanenti.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1223,1226 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella determinazione del danno patrimoniale in favore di E.C.. Si assume che la circostanza che il padre del danneggiato fosse un carabiniere non può costituire una presunzione in ordine alla predisposizione del figlio per la carriera militare che richiede, invece, il superamento di prove selettive. Sotto altro profilo la lieve percentuale invalidante non sarebbe tale da compromettere una lunga serie di attività lavorative, soprattutto di carattere sedentario, con retribuzioni anche più elevate rispetto alle mansioni manuali.
Con il terzo motivo si deduce la violazione delle medesime disposizioni riguardo al danno non patrimoniale in favore dei genitori di E.C.. In particolare, la configurabilità di una compromissione di tipo esistenziale sarebbe compatibile con lesioni particolarmente serie e non con quelle in concreto riscontrate.
Preliminarmente va esaminata l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dai controricorrenti. Il termine di sessanta giorni per la notifica del ricorso per cassazione scadeva il giorno 10 luglio 2017, mentre il ricorso era stato notificato in forma digitale in quella data, ma alle ore 21.30. L’eccezione trova fondamento nell’orientamento di questa Corte secondo cui il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e il destinatario – che si fonda sull’esigenza di non far ricadere sul notificante incolpevole le conseguenze negative del ritardo nel compimento di attività del procedimento notificatorio sottratte al suo controllo – non si applica in riferimento al disposto dell’art. 147 c.p.c., espressamente richiamato, per le notificazioni eseguite con modalità telematica, dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 septies conv., con modif., dalla L. n. 221 del 2012. Questa norma, nel prevedere che le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21, ha inteso disciplinare espressamente i tempi per il corretto ed efficace svolgimento dell’attività notificatoria a tutela del diverso interesse di non costringere i professionisti alla continua verifica, a qualsiasi ora del giorno e della notte, dell’arrivo di atti processuali (Cass. Sez. 3 – n. 21915 del 21/09/2017, Rv. 645734 – 01 e negli stessi termini, Cass. Sez. 6 – n. 30766 del 22/12/2017, Sez. L – n. 21445 del 30/08/2018). Pertanto, il ricorso per cassazione, notificato dal difensore, a mezzo di posta elettronica certificata, alle 21.30 dell’ultimo giorno utile avrebbe dovuto ritenersi perfezionato alle ore 7 del giorno successivo.
Le parti avevano fatto presente, a riguardo, che la questione di costituzionalità dell’art. 147 c.p.c. era al vaglio della Consulta per l’udienza del 19 marzo 2019 e con la memoria ex art. 380 bis, Unipol aveva chiesto di differire la trattazione in attesa della decisione della Corte Costituzionale.
A tal proposito deve darsi atto che, con sentenza n. 75/2019, depositata in data 9 aprile 2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies (conv. in L. n. 221 del 2012) “nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta”. L’eccezione, pertanto, va disattesa poichè la Corte Costituzionale ha uniformato la disciplina della notifica in proprio a mezzo PEC, a quella del deposito telematico, con conseguenza che deve considerarsi tempestiva la notifica eseguita via PEC l’ultimo giorno utile, all’unica condizione che la ricevuta di accettazione del messaggio PEC di notifica venga generata entro la fine del giorno di scadenza del termine.
Il primo motivo è fondato. In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari.
Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
Va ribadito che la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d’una lesione della salute, o costituisce una conseguenza “normale” del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora sarà compensata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. “personalizzazione”: così già Sez. 3, Sentenza n. 17219 del 29.7.2014).
Le conseguenze della menomazione, sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti “dinamico-relazionali”, che sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno non patrimoniale.
Al contrario, le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili per tutti coloro che abbiano patito quel tipo di lesione, ma sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa delle peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico.
Ma ciò, non perchè abbiano inciso, sic et simpliciter, su “aspetti dinamico relazionali”: non rileva, infatti, quale aspetto della vita della vittima sia stato compromesso, ai fini della personalizzazione del risarcimento; rileva, invece, che quella conseguenza sia straordinaria e non ordinaria, perchè solo in tal caso essa non sarà ricompresa nel pregiudizio espresso dal grado percen’tuale di invalidità permanente, consentendo al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione (così già, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 21939 del 21/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014).
Questa Corte ha già stabilito che soltanto in presenza di circostanze “specifiche ed eccezionali”, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).
Nel caso di specie la menomazione concreta è rappresentata da una distocia della spalla che ha determinato postumi permanenti nella misura del 13% e cioè una invalidità qualificata in misura prossima al tetto dei danni biologici di lieve entità (cd micropermanenti). In presenza di tali presupposti è stata riconosciuta una personalizzazione di oltre il 40% in difetto di una specifica motivazione, che avrebbe dovuto essere adottata sulla base dei principi espressi in premessa, al fine di giustificare, in primo luogo, la ragione per la quale quel pregiudizio non risultava già assorbito nel danno biologico liquidato e, in secondo luogo, i criteri sottesi ad una personalizzazione così significativa, riferita ad una menomazione comunque, lieve.
Di ciò dovrà farsi carico il giudice di rinvio nel considerare che le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un “fatto costitutivo” della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dagli originari attori (ovviamente con ogni mezzo di prova, e quindi anche attraverso l’allegazione del notorio, delle massime di comune esperienza e delle presunzioni semplici, come già ritenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la nota sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), senza potersi, peraltro, risolvere in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).
Anche il secondo motivo è fondato, sotto due profili. In primo luogo, non è chiaro se il danno riconosciuto in appello è stato valutato in termini di incapacità lavorativa specifica o generica. Sotto tale ultimo profilo la Corte territoriale non ha considerato che il danno alla capacità lavorativa generica rientra nell’alveo di quello biologico.
Infatti, tale pregiudizio non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia, in quanto modo di essere del soggetto, in una menomazione all’efficienza psicofisica (Cass. n. 1816 del 25 agosto 2014) e il danno va valutato unitariamente, in termini di cenestesi lavorativa, tenendo in considerazione quanto dedotto da questa Corte con riferimento al primo motivo di ricorso.
La nozione di incapacità lavorativa generica fu elaborata dalla giurisprudenza in un’epoca in cui il danno biologico non aveva cittadinanza nell’ordinamento e l’unico danno ritenuto risarcibile era quello patrimoniale. Essa servì, quindi, a evitare il rigetto della domanda risarcitoria allorchè le conseguenze lesive non avessero influito sul lavoro svolto dalla vittima ovvero nell’ipotesi in cui la vittima non svolgesse lavoro alcuno.
Una volta emersa la nozione di danno biologico, l’utilità della categoria è venuta meno, considerato che la sussistenza di un danno alla salute legittima il leso a domandare il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali a detta lesione connessi, nessuno escluso.
In realtà, l’evento lesivo può incidere in vari modi sull’attività di lavoro dell’infortunato. E se tutti devono avere una adeguata risposta risarcitoria, è anzitutto necessario avere le idee chiare sull’inquadramento dogmatico delle varie fattispecie che è possibile enucleare.
Si può dare il caso:
1) che la vittima conservi il reddito, ma lavori con maggior pena. E’ questo il danno da lesione della cenestesi lavorativa, e cioè la compromissione della sensazione di benessere connessa allo svolgimento del proprio lavoro. Ora, non par dubbio che il danneggiamento della cenestesi lavorativa si presterà di regola a essere risarcito attraverso un appesantimento del risarcimento del danno biologico, in via di personalizzazione cioè, a meno che la maggiore usura, la maggiore penosità del lavoro non determinino l’eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, nel qual caso, evidentemente, il pregiudizio andrà risarcito come danno patrimoniale (Cass. n. 20312 del 2015);
2) che la vittima abbia perso in tutto o in parte il proprio reddito: non il lavoro, badate bene, ma il reddito, il che significa che non ne produce al momento e non sarà più in grado di produrne in futuro: qui siamo evidentemente di fronte a un danno patrimoniale da lucro cessante, da liquidare in base al reddito perduto;
3) che la vittima abbia perso il lavoro ma possa svolgerne altri, compatibili con la propria formazione professionale: anche questo è un danno patrimoniale, da liquidare tenendo conto e del periodo di inoccupazione e della verosimile differenza (ove sussistente) tra reddito perduto e presumibile reddito futuro;
4) che la vittima un lavoro non l’aveva, e non potrà più averlo a causa della invalidità: anche questo è una danno patrimoniale da lucro cessante, da liquidare in base al reddito che verosimilmente il soggetto leso, ove fosse rimasto sano, avrebbe percepito.
Sotto tale profilo la prova della presumibile attività futura va supportata da presunzioni gravi, precise e concordanti e anche sotto tale aspetto le conclusioni del giudice di appello non sono rigorose, anche perchè non considerano le attività lavorative compatibili con la menomazione fisica riscontrata.
La decisione impugnata è censurabile perchè la Corte territoriale erra nel riferire la presunzione all’attività svolta dal padre del danneggiando, operando un evidente salto logico. Al contrario, avrebbe dovuto verificare se, sulla base della relazione del consulente tecnico d’ufficio, era stata espressa una concreta incidenza sulla capacità lavorativa specifica e, in particolare, rispetto a quali tipologie di attività lavorative.
Infine, qua. rito al criterio di liquidazione pari al triplo della pensione sociale, adottato dalla Corte territoriale, va osservato la liquidazione del danno biologico, va operata con criteri equitativi ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., eventualmente anche applicando criteri predeterminati e standardizzati come le cosiddette “tabelle”, valutabili come parametri uniformi per la generalità delle persone, salvo personalizzare il risultato al caso concreto. Al contrario, per la determinazione del danno patrimoniale non può essere utilizzato il criterio del triplo della pensione sociale, di cui al D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 4 convertito dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, trattandosi di norma eccezionale, utilizzabile esclusivamente nell’ambito dell’azione diretta contro l’assicuratore per la liquidazione del danno patrimoniale (Sez. 3, Sentenza n. 18161 del 25/08/2014 (Rv. 632224 – 01).
E pure in siffatto ambito, la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale (oggi, assegno sociale). Il ricorso a tale ultimo criterio, ai sensi dell’art. 137 Cod. Ass., può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell’infortunio godeva di un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (Cass. Sez. 3 – n. 25370 del 12/10/2018 – Rv. 651331 – 01).
Il terzo motivo, relativo alla entità del danno non patrimoniale liquidato ai genitori, è assorbito.
I controricorrenti hanno formulato un’eccezione di giudicato per la mancata impugnazione della sentenza da parte dei sanitari della fondazione. Compete al giudice del rinvio definire gli effetti dell’accoglimento del ricorso sulla posizione dei litisconsorti diversi dalla ricorrente e dalla Fondazione, in considerazione degli specifici profili dedotti dall’assicuratore.
I controricorrenti hanno depositato, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2 documentazione tesa ad ottenere la liquidazione di spese e compensi relativi al procedimento incidentale per la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado ad istanza di Unipol Sai del 10 luglio 2017. La documentazione attiene alla redazione degli atti difensivi depositati mediante modalità telematica, l’attività di assistenza alle parti e le spese generali con richiesta di distrazione, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore degli avvocati antistatari, Michele Liguori e Conte Tiziana.
La produzione è rituale, trattandosi di documentazione relativa al procedimento incidentale ai sensi dell’art. 373 c.p.c. nell’ambito del quale gli odierni controricorrenti si sono costituiti, documentando la comparsa di costituzione e risposta e l’esito della decisione adottata dalla Corte territoriale con ordinanza del 23 novembre 2017. Si tratta di documentazione che non era possibile allegare anteriormente al deposito del controricorso in quanto di formazione successiva allo stesso (Cass. 11 dicembre 2017, n. 29615 ed altre).
Peraltro, posto che il ricorso viene accolto con rinvio le competenze relative a tale fase del giudizio saranno prese in esame dalla Corte d’Appello sulla base della documentazione prodotta (Cass. n. 16121 del 2011 e Cass. n. 3341 del 2009).
Ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto limitatamente al primo e secondo motivo; la sentenza va cassata con rinvio.