IL RIPARTO INTERNO DELLA RESPONSABILITÀ TRA CLINICA E MEDICO PRIMA DELLA LEGGE N. 24 DEL 2017

In tema di danni da “malpractice” medica nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev’essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata”.

 

rilevato che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe motivato solo apparentemente sulla mancata graduazione differenziata delle colpe tra casa di cura e medico responsabile, oggetto di specifica domanda sin dal primo grado e poi con motivo di appello relativo all’omissione di pronuncia consumata in prime cure;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione artt. 1298,1299 e 2055 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che, poichè non era stata addebitata alcuna censurabile condotta causativa alla struttura, non poteva porsi tale posizione sullo stesso piano di quella, colposa ed eziologica, del chirurgo, sicchè avrebbe dovuto affermarsi, ai fini interni del regresso, l’esclusiva responsabilità del medico.

Rilevato che:

preliminarmente deve sottolinearsi, in relazione alle eccezioni sollevate in controricorso, che il gravame è rispettoso dei requisiti di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, desumendosi per quanto di utilità la vicenda processuale ed essendo riportato quanto necessario alla specificità delle censure;

nel merito cassatorio, il primo motivo è infondato;

la Corte territoriale ha motivato sul punto in discussione, affermando che, quanto alla graduazione delle colpe, non poteva farsi differenza tra l’esecuzione causalmente rilevante e colposa del medico e la condotta della casa di cura che, in ragione del contratto di spedalità, era garante della prestazione e avrebbe dovuto fare sì che fosse eseguita da persona in grado di porla in essere;

il percorso logico e giuridico è quindi sussistente e decifrabile, sebbene da ricostruire diversamente secondo quanto si sta per spiegare scrutinando il secondo motivo;

il secondo motivo è infondato nei sensi di cui sotto;

1. la corretta identificazione del contenuto e dei limiti dell’azione di rivalsa, piuttosto che di regresso, esercitata dalla struttura sanitaria nei confronti del medico in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 24 del 2017 non può prescindere da un preliminare quanto funzionale esame critico degli ordinari presupposti e della corretta qualificazione di tale rimedio nel diritto delle obbligazioni e dell’illecito;

2. la rivalsa, anche in campo sanitario – a differenza del diritto di regresso, che propriamente presuppone la nascita di una obbligazione, avente il medesimo titolo, in capo ai condebitori solidali a seguito dell’integrale adempimento dell’obbligazione da parte di uno di essi – viene comunemente, sebbene non correttamente, ricondotta al presupposto di un’attribuzione ovvero ripartizione della responsabilità per inadempimento, imputata al debitore e al suo ausiliario, in via solidale;

3. l’analisi dell’istituto prescinde, naturalmente, dalle ipotesi in cui sia ravvisabile, nel singolo caso di specie, una responsabilità autonoma e indipendente della struttura rispetto alla condotta colpevole del sanitario (come accade, per fare un esempio, nell’ipotesi di infezioni nosocomiali contratte nel corso del ricovero dal paziente);

4. la più frequente ricostruzione dell’istituto, oggi peraltro smentita testualmente dal disposto della L. n. 24 del 2007, art. 7, comma 1, – la struttura sanitaria che, nell’adempimento della “propria” obbligazione, si avvalga dell’opera degli esercenti la professione sanitaria, risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. – sovrappone, erroneamente, una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio ex art. 1228 c.c., dell’ente impersonale (che si serve di ausiliari quale strumento di attuazione dell’obbligazione contrattuale verso il paziente) pur sempre fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario (il che ne esclude la configurabilità in termini di responsabilità oggettiva: se non è accertata la colpa dell’ausiliario, la domanda risarcitoria sarà rigettata (salva, per quanto poc’anzi specificato, una autonoma responsabilità “organizzativa” della struttura stessa), con la responsabilità indiretta per fatto altrui (concordemente ritenuta di tipo oggettivo) dell’imprenditore per i fatti dei propri dipendenti, disciplinata dall’art. 2049 c.c.;

si tratta dunque di fattispecie astratte radicalmente differenti per morfologia ed effetti;

nel primo caso (art. 1228 c.c.) l’attività dell’ausiliario è incardinata nel programma obbligatorio originario che è diretto a realizzare, e per la cui realizzazione il debitore contrattuale si è necessariamente avvalso dell’incaricato, essendogli naturalisticamente preclusa, ipso facto, attesa la natura giuridica di ente, ogni possibilità di adempimento “diretto” (ciò che esclude altresì la configurabilità, nella specie, dell’istituto dell’adempimento dell’obbligo altrui, da parte del sanitario, ex art. 1180 c.c.): si se vuole, ma solo descrittivamente, si tratta dell’emersione di obblighi protettivi rispetto al contesto contrattuale – a prescindere, cioè, da una distinta responsabilità autonoma, anche aquiliana, dell’incaricato;

nel secondo caso (art. 2049 c.c.), la condotta pregiudizievole non si traduce propriamente nella mancata o inesatta esecuzione in un contenuto obbligatorio del committente verso un creditore, quanto piuttosto nello svolgimento di mansioni dannose per un terzo privo di una pregressa relazione qualificata con il debitore, ferma la naturalistica alterità dei soggetti imputabili dell’illecito (il preponente, il preposto): e proprio per ciò si richiede la preposizione e l’occasionalità necessaria (Cass., Sez. U., 16/05/2019, n. 13246) per la configurazione di una responsabilità (concordemente ritenuta oggettiva) del “dominus”;

come accennato nell’incipit di questo p.4, la sopravvenuta L. n. 24 del 2007, al di là dei peculiari contenuti delle singole disposizioni espressione della discrezionalità regolatoria del legislatore, costituisce, nella cornice della specialità della materia, indice ermeneutico d’indirizzo a supporto della ricostruzione qui esposta e che muove dalle appena indicate premesse;

4.1. questa Corte ha chiarito (Cass., 05/07/2017, n. 16512) che, poichè nella fattispecie di cui all’art. 2049 c.c. i due soggetti, il padrone ed il commesso, rispondono per titoli distinti ma uno solo di essi è l’autore del danno, non si verifica l’ipotesi del concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’art. 2055 c.c. Non essendo configurabile alcun apporto propriamente causale del preponente alla verificazione del danno, ferma la corresponsabilità solidale nei confronti del danneggiato, il preponente responsabile – in estensione della tutela del terzo – per il fatto altrui, può agire in regresso contro l’effettivo autore del fatto per l’intero e non “pro quota”;

è stato in particolare affermato che, sebbene la norma di cui all’art. 2055 c.c., comma 2, non detti alcuna disciplina del regresso nell’ipotesi di concorso tra responsabili senza colpa e colpevoli, deve riconoscersi che, dovendo escludersi in tal caso la possibilità di ripartire l’onere del risarcimento tra i coobbligati in proporzione a distinte colpe e quindi di attribuire al responsabile per fatto altrui (come il committente), per definizione estraneo alla produzione dell’evento dannoso, una qualsiasi porzione dell’onere nei rapporti interni col responsabile diretto del fatto dannoso, il responsabile mediato o indiretto, che ha risarcito il danno in ragione della solidarietà verso il danneggiato, potrà logicamente esercitare l’azione di regresso, nei confronti dell’autore immediato del danno, per l’intera somma pagata (Cass., 05/09/2005, n. 17763; conforme Cass., 01/12/2016, n. 24567 e Cass., 08/10/2008, n. 24802, ma già Cass. 12/02/1982, n. 856);

nè in specie contraddice questa ricostruzione Cass. 27/07/2011, n. 16417, che si occupa del diverso caso dell’azione di regresso proposta dai corresponsabili solidali del commesso, nella misura determinata dalla gravità della colpa di quest’ultimo, nei confronti del committente;

quanto sopra spiega perché in questa ipotesi vi sia regresso per l’intero, e la necessità di differenziare la fattispecie di cui all’art. 1228 c.c.;

ciò proprio perché, in questo secondo e differente caso, la responsabilità di chi ha volontariamente incaricato l’ausiliario, e organizzato attraverso questo incarico l’esecuzione della propria obbligazione per i fini negoziali perseguiti, è, appunto, per fatto proprio, e non altrui;

5. sulla base di tali premesse, in tema di responsabilità medica, appaiono prospettabili, in astratto, tre diverse soluzioni, al fine di identificare i limiti quantitativi dell’azione di rivalsa:

a) danno da “malpractice” medica addebitato alla sola struttura, senza diritto di rivalsa nei confronti del medico, quando la condotta degli ausiliari si ritenga inserita, senza deviazioni, nel percorso attuativo dell’obbligazione assunta, collocandosi “tout court” nell’area del rischio dell’impresa sanitaria (in proposito, sia pur senza esplorare il tema, Cass., 04/03/(OMISSIS), n. 4400, discorre opportunamente d’immedesimazione organica del medico nella struttura ospedaliera, sia pure, nell’ipotesi, di natura pubblica). Tale soluzione, che troverebbe un suo giuridico fondamento nei sistemi di responsabilità cd. “no cumul” (inammissibilità del cumulo tra responsabilità contrattuale e aquiliana, considerata quest’ultima “assorbita” nell’impegno contrattuale), non pare peraltro predicabile in un ordinamento che non esclude il cumulo, con conseguente possibilità di apprezzamento della condotta del medico come rilevante sul piano risarcitorio in quanto integrante, in tesi, un illecito extracontrattuale, se non autonomamente contrattuale, non assorbito dalla sua integrale riconducibilità nei confini del programma terapeutico obbligatorio assunto dalla struttura nei confronti del paziente. Infatti, quest’opzione è smentita, sia pur indirettamente, dalla novella del 2017, che disciplina in modo esplicito (art. 9) la rivalsa della struttura nei confronti del sanitario responsabile a titolo aquiliano, sia pur entro ben precisi limiti al contempo come logico – non operanti, nel caso di struttura privata, per l’esercente la professione sanitaria che “presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale ovvero che si avvalga della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente” (art. 9, comma 6, ultimo periodo e art. 10, comma 2, della legge citata);

b) danno da “malpractice” addebitata, in sede di rivalsa, al solo sanitario nel caso di colpa esclusiva di quest’ultimo nella produzione dell’evento di danno – soluzione oggi significativamente esclusa in modo testuale dalla menzionata riforma del 2017, che non prevede, peraltro, effetti retroattivi  – con diritto di rivalsa integrale per l’intero importo risarcitorio corrisposto al danneggiato dalla struttura, facendo così ricadere, sia pur indirettamente, l’intera obbligazione risarcitoria sull’operatore sanitario, al pari di quanto legittimamente predicabile in una corrispondente vicenda di corresponsabilità solidale di tipo contrattuale tra coobbligati;

c) danno da “malpratice” ripartito tra struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest’ultimo, salvo i casi, del tutto eccezionali, di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute: si pensi al sanitario che esegua senza plausibile ragione un intervento di cardiochirurgia fuori della sala operatoria dell’ospedale (per utili spunti in tal senso, sia pure in sicuramente diversa, la già citata Cass., Sez. U., 16/05/2019, n. 13246, in cui è affermato che lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni e agito per finalità esclusivamente personali o egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purchè la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata e in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo o illecito, non ne integrino uno sviluppo oggettivamente anomalo);

6. è convincimento del Collegio che l’ultima delle soluzioni prospettate risulti la più conforme a diritto;

7. dovendo escludersi l’ipotesi che il giudizio di rivalsa integri gli estremi di un’ordinaria azione da inadempimento del contratto che lega la struttura sanitaria al medico, posto che, come ricostruito, tale profilo contrattuale non risulta assorbente rispetto alle implicazioni della responsabilità medica verso terzi, i criteri generali della relativa quantificazione non possono che essere ricondotti, sia pure in modo complessivamente analogico, al portato degli artt. 1298 e 2055 c.c., a mente dei quali il condebitore in solido che adempia all’intera obbligazione vanta il diritto di rivalersi, con lo strumento del regresso, sugli altri corresponsabili, secondo la misura della rispettiva responsabilità In presenza di un unico evento dannoso astrattamente imputabile a più soggetti, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, per ritenere tutti i soggetti tenuti ad adempiere all’obbligo risarcitorio è sufficiente, per costante giurisprudenza di questa Corte, in base ai principi sul concorso di concause nella produzione dell’evento, che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno (da ultimo, Cass. 6 dicembre 2017, n. 29218);

7.1. al riguardo va ulteriormente premesso che, secondo il costante orientamento di questa Corte in tema di responsabilità solidale dei danneggianti, l’art. 2055 c.c., comma 1, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorchè le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone e anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma dev’essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come – ovvero si astrae dalla – identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass., 1701/2019, n. 1070, Cass., 16/12/2005, n. 27713);

per sovrapponibili ragioni è stato affermato che, quando un medesimo danno è provocato da più soggetti per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell’art. 2055 cod. civ., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perchè, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità aquiliana, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo risarcitorio, è sufficiente – in base ai principi che regolano il nesso di causalità e il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento, dei quali l’art. 2055, c.c., costituisce un’esplicitazione – che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (Cass., 30/03/2010, n. 7618, Cass., 09/11/2006, n. 23918);

8. ciò posto, in linea di principio, la misura del regresso in parola varia a seconda della gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Dell’art. 2055 c.c., il comma 3 detta, peraltro, una presunzione “iuris tantum” di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori solidali, che impone al “solvens” di provare la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro: “l’interesse sarà dell’attore se pretenda il rimborso di una somma superiore alla metà; sarà del convenuto se intende opporsi ad una richiesta pari alla metà, opponendo la propria totale assenza di colpa ovvero il grado inferiore di questa, poichè trattasi di fatto impeditivo della presunzione di pari concorso di colpa” (Cass., 10/02/2017, n. 3626);

9. dal suo canto, l’art. 1298 c.c., detta la regola secondo la quale l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori in parti che si presumono eguali, “se non risulti diversamente”;

10. in questa cornice, e riprendendo le premesse poc’anzi poste, va rimarcato come il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente “isolata” dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante, mentre il già citato art. 1228 c.c., fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (“cuius commoda eius et incommoda”) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse;

11. ne consegue che, se la struttura si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche (utilità) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati (danno): la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243), realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass., 06/06/ 2014, n. 12833);

12. ne consegue, anche in questa chiave, l’impredicabilità di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico, in quanto, diversamente opinando, l’assunzione del rischio d’impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d’insolvibilità del medico così convenuto dalla stessa;

13. tale soluzione deve incontrare un limite laddove si manifesti un evidente iato tra (grave e straordinaria) “malpractice” e (fisiologica) attività economica dell’impresa, che si risolva in vera e propria interruzione del nesso causale tra condotta del debitore (in parola) e danno lamentato dal paziente;

14. per ritenere superata la presunzione di divisione paritaria “pro quota” dell’obbligazione solidale evincibile, quale principio generale, dagli artt. 1298 e 2055 c.c., non basta, pertanto, escludere la corresponsabilità della struttura sanitaria sulla base della considerazione che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorre considerare il duplice titolo in ragione del quale la struttura risponde solidalmente del proprio operato, sicchè sarà onere del “solvens” dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni;

15. tale conclusione è stata di recente avvalorata, sia pure “parte qua”, da questa stessa Corte, la quale ha specificato che l’accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario non fa venire meno i presupposti nè della responsabilità della struttura ai sensi dell’art. 1228 c.c. (posto che l’illecito dell’ausiliario è requisito costitutivo della responsabilità del debitore), nè della responsabilità della stessa struttura ai sensi dell’art. 1218 c.c., spettando alla struttura l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, “onere che va tenuto fermo anche in relazione ai rapporti interni tra condebitori solidali proprio al fine di verificare se la presunzione pro quota paritaria possa dirsi superata” (Cass. 05/07/2017, n. 16488);

16. in assenza di prova (il cui onere grava sulla struttura sanitaria adempiente) in ordine all’assorbente responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile “malpractice”, dovrà, pertanto, farsi applicazione del principio presuntivo di cui sono speculare espressione l’art. 1298 c.c., comma 2 e l’art. 2055 c.c., comma 3;

17. infine va ribadito che, nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, la graduazione delle colpe può essere domandata anche in vista della rivalsa seppure non ancora esercitata (Cass., 20/12/2018, n. 32930, Cass., 25/07/2006, n. 16939, Cass., 05/10/2004, n. 19934);

18. per completezza d’indagine, va infine osservato come la responsabilità della struttura sanitaria destinata a scaturire “ex se” da un’attività che impone – dovendo conformarsi a criteri di organizzazione e gestione certamente distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico – l’adozione di uno stringente “standard” operativo, vada a modellarsi secondo criteri di natura oggettiva, a differenza di quanto invece predicabile con riferimento all’attività del singolo sanitario, ai sensi dell’espressa disposizione di cui alla L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 1 ove si discorre di responsabilità scaturente “dalle condotte dolose o colpose di quest’ultimo”, in assenza delle quali (e salvo quanto sopra evidenziato), nessun addebito potrà essere legittimamente mosso alla struttura, a conferma della bontà della ricostruzione teorica che la vede responsabile “per fatto proprio” dell’agire dei suoi dipendenti;

19. Può formularsi il seguente principio di diritto: “in tema di danni da “malpractice” medica nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev’essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata”;

20. nella fattispecie in scrutinio, la struttura sanitaria (privata) ricorrente, che ha pacificamente pagato la danneggiata in corso di giudizio, non deduce nè di aver provato ma neppure di aver allegato specificatamente l’imprevedibile e del tutto dissonante “malpractice” medica nei termini ricostruiti, sicchè la censura va rigettata;

21. spese compensate attesi i profili di novità delle ricostruzioni nomofilattiche esposte.