Sul piano funzionale, chance patrimoniale e chance non patrimoniale partecipano della stessa natura.
2. La diversità morfologica tra chance patrimoniale e chance non patrimoniale da responsabilità sanitaria va individuata nella diversità della situazione preesistente:
– preesistenza negativa (chance non patrimoniale);
– preesistenza positiva (chance patrimoniale);
3. Tale preesistenza postula, nella chance patrimoniale, una situazione positiva (titoli, professionalità, curricula, esperienze pregresse, attitudini specifiche ecc.); in quella non patrimoniale, una situazione di salute (già) patologica (i.e. “negativa”).
4. Entrambe le forme di chance presuppongono:
– Una condotta colpevole dell’agente;
– Un evento di danno (la lesione di un diritto);
– Un nesso di causalità tra la condotta e l’evento;
– Una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non;
– Un nesso di causalità tra l’evento e le conseguenze dannose.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso (pagg. da 12 a 27) assume la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione agli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost., artt. 1218,2697,2727,2729 e 2043 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. per avere la Corte d’Appello di Milano escluso erroneamente il nesso di causalità tra l’intervento di timectomia e la lesione aortica mortale patita da V.M., con motivazione perplessa e/o apparente e in contrasto con i principi giuridici in tema di responsabilità contrattuale medica, segnatamente operando inversione dell’onere della prova e trascurando di applicare il criterio di vicinanza della prova e del “più probabile che non”.
Il secondo mezzo (pagg. da 27 a 37) deduce violazione degli artt. 112,115,116 e 132 cod. proc. civ., art. 111 Cost., nonchè degli artt. 1218,1223,2236,2697,2727 e 2729 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la Corte di Appello erroneamente escluso il nesso di causalità tra tardivo ed inadeguato reintervento ed il decesso di V.M., con motivazione apparente ed in contrasto con i principi in tema di responsabilità contrattuale medica, segnatamente operando inversione dell’onere della prova, omettendo di applicare il criterio di vicinanza della prova e del “più probabile che non”.
Il terzo motivo (pagg. da 37 a 44) deduce violazione degli artt. 112,115 e 132 cod. proc. civ., art. 111 Cost., nonchè degli artt. 1218,1223,2697 e 2727 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per avere la Corte di Appello erroneamente escluso il nesso causale tra l’inadempimento sanitario da tardivo ed inadeguato reintervento e la perdita delle chance terapeutiche per V.M., con conseguente motivazione apparente in contrasto sia con l’espletata consulenza tecnica di ufficio che con i principi giuridici in tema di responsabilità contrattuale medica.
Il quarto mezzo (pagg da 44 a seguire) deduce violazione degli artt. 112,115 e 132,163 e 183 cod. proc. civ., art. 111 Cost., nonchè degli artt. 1218,2697 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per avere la Corte di Appello erroneamente dichiarato l’inammissibilità della domanda di risarcimento dei danni da lesione dell’autodeterminazione di V.M. per carente consenso informato ed erroneamente dichiarato l’infondatezza della domanda di ristoro dei danni da lesione della salute di V.M. da carente consenso informato, con motivazione apparente, nonchè con omesso esame di un fatto decisivo e controverso ed in contrasto con i principi giuridici in tema di responsabilità contrattuale medica.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati (salvo quanto si chiarirà per i profili comuni al secondo ed al terzo mezzo), in quanto connessi e prospettanti entrambi questioni relative alla sussistenza del nesso causale tra i due successivi interventi chirurgici cui venne sottoposta, nell’arco di meno di 24 ore, V.M..
I due motivi sono in parte inammissibili, in considerazione della loro formale prospettazione quale vizio di sussunzione, ma in realtà avanzando entrambi una richiesta di rivalutazione del fatto (in quanto tale preclusa, alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: Sez. U n. 08053 del 07/04/2014 e più di recente Cass. n. 23940 del 12/10/2017), ed in parte infondati, in quanto la sentenza d’appello ha, con motivazione logica e coerente, adeguatamente ancorata alle risultanze della consulenza tecnica di ufficio e non incrinata dai motivi del ricorso, escluso che vi fosse nesso causale tra la condotta dei sanitari dell’Azienda Sanitaria (OMISSIS) ed il decesso della V., affermando che (pagg. da 13 a 16 della motivazione) non poteva ritenersi individuabile nesso causale tra l’operazione di timectomia, con necessaria “cruentazione del distretto” e la lesione aortica, potendo questa individuarsi quale lesione di origine ignota comunque non accertabile, il cui accadimento doveva ritenersi complicanza dell’intervento del tutto rara ed inusuale e “non oggettivamente dimostrabile nella sua morfologia per mancanza di riscontro topografico della lesione all’angio TC, mancata descrizione macroscopica della precisa sede in sede chirurgica ed autoptica mancanza di una prova istologica di meiopragia della parete aortica, insufficiente descrizione degli interventi”.
L’insussistenza di ragioni di accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso (anche, con riferimento a questo secondo mezzo, in considerazione di quanto si esporrà in relazione al terzo), comporta la necessità di esaminare il terzo mezzo prospettato dai ricorrenti (il quarto affronta tematica in gran parte avulsa dai precedenti del valido e consapevole consenso informato da parte della V.).
La decisione del detto terzo motivo di ricorso presuppone la risoluzione delle problematiche questioni in ordine alle possibilità di sopravvivenza della V. nel caso in cui fosse stata tempestivamente diagnosticata l’emorragia interna in atto e fosse stata disposta una nuova operazione prima delle ore 24 del 17/03/2006, non più solo sul versante del nesso causale tra condotta dei sanitari e decesso della V., bensì in relazione alla cd. perdita delle chance terapeutiche.
Il detto mezzo attiene, quindi, alla vigilanza del personale medico sul decorso postoperatorio (dopo la prima operazione di timectomia) ed il secondo intervento operatorio, effettuato sulla V. dopo che ella era uscita dalla sala operatoria, con prognosi sostanzialmente favorevole, ed era stata riportata in corsia.
Il terzo motivo di ricorso censura in particolare la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che anche se, come prospettato dai consulenti tecnici di ufficio, il secondo intervento operatorio fosse iniziato alle 22.30 anzichè alle 24 del (OMISSIS), le possibilità di sopravvivenza della V. sarebbero state sostanzialmente non apprezzabili in termini statistici e scientifici (pag. 24 della sentenza d’appello).
La sentenza in scrutinio ha, pertanto escluso che vi fosse lesione risarcibile, anche i termini di cd. perdita di chance, ossia di possibilità di conseguire un risultato diverso, nel caso di specie consistente nella possibilità di allungamento della vita della V., che, in quanto sottopostasi ad intervento elettivo di asportazione di un tumore benigno, avrebbe potuto ancora vivere, in discrete condizioni di salute, diversi anni (dieci, nella prospettazione di parte ricorrente); in breve il motivo attiene alla perdita di chance terapeutiche.
Sul profilo della perdita di chance si osserva quanto segue.
1) La delicatezza e la complessità della questione della perdita di chance trova la sua sintesi più felice nel pensiero di un celebre filosofo ed economista, il quale, dopo aver premesso come “the natural interpretation of “chance” is subjective”, definirà poi la chance come “the measure of our ignorance”.
2) Il modello teorico di riferimento della perdita di chance (la cui matrice essenzialmente giurisprudenziale è conseguenza di un significativo silenzio normativo, fatte naturalmente salve le imponenti elaborazioni dottrinali sul tema) è stato e tuttora resta (come si legge nelle numerose pronunce di legittimità e di merito che affrontano la questione) il danno patrimoniale, dibattuta essendone la sola forma – e cioè quella di danno emergente piuttosto che di lucro cessante.
3) Come già di recente affermato da questa stessa Corte (Cass. n. 05641 del 09/03/2018), il duplice paralogismo che ha accompagnato l’evoluzione storica della teoria della chance perduta si risolve nel ricostruirne, da un canto, i tratti caratterizzanti in termini di danno patrimoniale, dall’altro, nell’avere sovrapposto uno degli elementi essenziali della fattispecie dell’illecito – il nesso causale – con il suo oggetto – il sacrificio della possibilità di un risultato migliore – tanto da indurre autorevole dottrina a contestarne in radice la legittimità della sua stessa esistenza e della relativa teorizzazione.
4) Il modello “patrimonialistico” della chance non appare, di per sè, del tutto sovrapponibile alla perdita della possibilità di conseguire, per il soggetto che si dichiari danneggiato da una condotta commissiva (o più spesso omissiva) colpevole, un risultato migliore sul piano non patrimoniale, sebbene appiano tracciabili le linee di talune coordinate comuni.
5) La chance patrimoniale presenta, in apparenza, le stimmate dell’interesse pretensivo (mutuando tale figura dalla dottrina amministrativa, sia pur soltanto in parte qua, attese le evidenti differenze morfologiche tra l’interesse legittimo e la chance: mentre il primo incarna l’aspirazione – e la pretesa – alla legittimità dell’azione amministrativa e preesiste, dunque, all’azione amministrativa stessa, la chance viene in rilievo quando essa è stata perduta e cioè quando l’attività amministrativa, ormai esauritasi, è irrimediabilmente viziata e il vizio ha cagionato un danno risarcibile), e cioè postula la preesistenza di una situazione “positiva”, i.e. di un quid su cui andrà ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa (il partecipante ad un concorso è portatore di conoscenze e preparazione che preesistono all’intervento “soppressivo” del preposto all’esame; l’azienda che prende parte ad una gara ad evidenza pubblica è portatrice di professionalità e strutture operative che preesistono all’intervento “eliminativo” dell’ente pubblico che ha bandito la gara per poi impedirne illegittimamente la partecipazione).
6) La chance “non pretensiva”, rappresentata anch’essa (e segnatamente nel sottosistema della responsabilità sanitaria), sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente, diverge strutturalmente dalla prima, volta che l’apparire del sanitario sulla scena della vicenda patologica lamentata dal paziente coincide sincronicamente con la creazione di una chance, prima ancora che con la sua (eventuale) cancellazione colpevole, e si innesta su di una preesistente situazione “non favorevole” (una situazione, cioè, patologica) rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un quid inteso come “un pregresso positivo”, e positivamente identificabile ex ante (il paziente è portatore di una condizione di salute che, prima dell’intervento del medico, rappresenta un pejus, e non un quid in positivo, sul piano della chance, allo stato inesistente senza l’intervento medico).
7) Oltre che sul piano concettuale, la distinzione rileva anche su quello degli effetti (i.e., sull’aspetto risarcitorio), dovendo il giudice di merito inevitabilmente tener conto, in una dimensione strettamente equitativa, di tale diversità nella liquidazione del danno. Se, difatti, in sede di accertamento del valore di una chance patrimoniale è spesso possibile il riferimento a valori oggettivi (il giudice amministrativo, in alcune sue passate decisioni, ha adottato il parametro del 10% del valore dell’appalto all’atto del riconoscimento di una perdita di chance di vittoria da parte dell’impresa illegittimamente esclusa), diverso sarà il criterio di liquidazione da adottare per la perdita di una chance a carattere non patrimoniale, rispetto alla quale il risarcimento non potrà essere proporzionale al risultato perduto, ma commisurato, in via equitativa, alla possibilità perduta di realizzarlo.
8) Per integrare gli estremi del danno risarcibile, la perdita di chance (giusta l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte in tema di danno non patrimoniale: Sez. U n. 26792 del 11/11/2008) dovrà peraltro attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà, consistenza, rispetto ai quali il valore statistico/percentuale – se in concreto accertabile – potrà costituire al più criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto, onde distinguere la concreta possibilità dalla mera speranza (la sottrazione di un biglietto della lotteria appare irrilevante a fini risarcitori), senza che ciò costituisca (come erroneamente opinato talvolta in dottrina) una “contraddizione in termini costituita dalla possibilità di istituire un nesso causale fondato sul più probabile che non con un evento di danno rappresentato da una possibilità non probabile”, essendo evidente, in tale ricostruzione, la confusione concettuale tra l’analisi del nesso eziologico e quella dell’evento di danno lamentato.
8) L’ulteriore paralogismo in cui talvolta incorre la giurisprudenza di legittimità e di merito, oltre che parte della dottrina specialistica, è costituito dalla “contrazione” (che si risolve in una vera e propria elisione in parte qua) dell’analisi degli elementi destinati ad integrare diacronicamente la fattispecie dell’illecito, sovrapponendosi, da un canto, l’accertamento dell’elemento causale a quello dell’evento di danno (a cagione dell’equivocità del lessico usato per definire la chance), ed errandosi poi nell’identificazione stessa di quell’evento, sovente ricondotto al concetto di chance pur non avendone, di essa – specie in tema di responsabilità sanitaria – carattere alcuno.
9) La connotazione della chance – intesa, al pari di ogni altra conseguenza della condotta illecita, non come regola (a)causale, ma come evento di danno – in termini di possibilità perduta di un risultato migliore e soltanto eventuale non esclude nè elide, difatti, la necessaria e preliminare indagine sulla relazione eziologica tra la condotta e l’evento (in senso difforme, non condivisibilmente, Cass. n. 21619 del 16/10/2007): è priva di consistenza, pertanto, l’obiezione secondo cui l’ineludibile incertezza dell’evento non potrebbe non riverberare i suoi effetti sulla ricostruzione del nesso causale che, viceversa, sostanziandosi in una relazione probabilistica tra fatti (destinata a sfociare in un giudizio di accertamento sul piano processuale), si pone su di un piano del tutto speculare rispetto a quello rappresentato dall’incertezza eventistica (i. e. dal sacrificio della possibilità di un risultato migliore).
10) Evapora così la distinzione (che appare sovente motivo di confusione concettuale e applicativa) tra chance cd. “ontologica” e chance “eziologica”, volta che quest’ultima sovrappone inammissibilmente la dimensione della causalità con quella dell’evento di danno, mentre la prima evoca una impredicabile fattispecie di danno in re ipsa che prescinde del tutto dall’esistenza e dalla prova di un danno-conseguenza risarcibile.
11) L’attività del giudice dovrà, pertanto, muovere dalla previa disamina della condotta (e della sua colpevolezza) e dall’accertamento della relazione causale tra tale condotta e l’evento di danno (la possibilità perduta, ovverossia il sacrificio della possibilità di conseguire un risultato migliore), senza che i concetti di probabilità causale e di possibilità (e cioè di incertezza) del risultato realizzabile possano legittimamente sovrapporsi, elidersi o fondersi insieme: la dimostrazione di una apprezzabile possibilità di giungere al risultato migliore sul piano dell’evento di danno non equivale, in altri termini, alla prova della probabilità che la condotta dell’agente abbia cagionato il danno da perdita di chance sul piano causale.
12) Sul piano della corretta individuazione del diritto leso, la chance, pur mostrando i caratteri della fattispecie “a consistenza variabile” nella sua dimensione cronologica (variabile, cioè, a seconda del tempo in cui la si consideri), non può comunque rappresentare una entità concettualmente distinta dal “risultato finale”, poichè la condotta dell’agente è pur sempre destinata a rilevare sul piano della lesione del diritto alla salute (e/o del diritto di autodeterminazione) del paziente, cui appare riconducibile pur se in una diversa accezione, che corrisponde ad una anticipazione di tutela dello stesso bene giuridico, meritevole di ricevere una autonoma considerazione.
13) La domanda giudiziale che configuri una ipotesi di danno da perdita di chance di sopravvivenza (fatto valere dai congiunti della vittima iure hereditario), e un danno da perdita di chance di godere del rapporto parentale fatto valere dai parenti iure proprio, ripete, pertanto, il suo autonomo fondamento (e la autonomia del conseguente petitum processuale) in ragione della incertezza sull’anticipazione dell’evento morte.
14) Le stesse pretese si tramutano, di converso, in domanda di risarcimento tout court del danno da perdita anticipata del rapporto parentale, ove sia certo e dimostrabile, sul piano eventistico, che la condotta illecita abbia cagionato l’anticipazione dell’evento fatale, costituendo, in tale ipotesi, un evidente paralogismo l’evocazione della fattispecie della chance – fondato sull’equivoco lessicale indotto dalla locuzione “perdita della possibilità di vivere meglio e più a lungo”, mentre l’evento di danno è specularmente costituito dalla perdita anticipata della vita e dall’impedimento a vivere il tempo residuo in condizioni migliori e consapevoli.
15) La chance si sostanzia, in definitiva, nell’incertezza del risultato, la cui “perdita”, ossia l’evento di danno, è il precipitato di una chimica di insuperabile incertezza, predicabile alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo rapportate alle condizioni soggettive del danneggiato. Tale evento di danno sarà risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante – che pur sempre attiene al “bene salute” – sempre che esso sia stato allegato e (con particolare riguardo al diritto all’autodeterminazione, inteso anche in termini di possibilità di “battersi” consapevolmente per un possibile esito più favorevole dell’evolversi della malattia) provato in giudizio nella sua già ricordata dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza, e non già soltanto in base alla pura e semplice relazione causale tra condotta ed evento, in guisa di danno in re ipsa.
16) Pertanto, nei casi in cui l’evento di danno sia costituito non da una possibilità – sinonimo di incertezza del risultato sperato – ma dal (mancato) risultato stesso, non di chance perduta par lecito discorrere, bensì di altro e diverso evento di danno (in ambito sanitario, la perdita anticipata della vita, rigorosamente accertata come conseguenza dell’omissione sul piano causale).
17) Applicando tali criteri alla responsabilità sanitaria (segnatamente in ambito oncologico), sulla premessa che l’illecito da chance perduta si dipana secondo la tradizionale scansione:
– CONDOTTA COLPOSA (omessa, erronea o ritardata diagnosi);
– LESIONE DI UN DIRITTO (il diritto alla salute e/o all’autodeterminazione, entrambi costituzionalmente tutelati);
– EVENTO DI DANNO (sacrificio della possibilità di un risultato migliore);
– CONSEGUENZE DANNOSE RISARCIBILI (valutabili in via equitativa) possono formularsi le seguenti ipotesi:
A) La condotta (commissiva o più spesso omissiva) colpevolmente tenuta dal sanitario ha cagionato la morte del paziente, mentre una diversa condotta (diagnosi corretta e tempestiva) ne avrebbe consentito la guarigione, alla luce dell’accertamento della disposta CTU. In tal caso l’evento (conseguenza del concorso di due cause, la malattia e la condotta colpevole) sarà attribuibile interamente al sanitario, chiamato a rispondere del danno biologico cagionato al paziente e del danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari.
B) La condotta colpevole ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita ed una peggiore qualità della stessa per tutta la sua minor durata, in base all’accertamento compiuto dal CTU. In tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell’evento di danno costituito dalla perdita anticipata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance – senza, cioè, che l’equivoco lessicale costituito dal sintagma “possibilità di un vita più lunga e di qualità migliore” incida sulla qualificazione dell’evento, caratterizzato non dalla “possibilità di un risultato migliore”, bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze fisiche e spirituali.
C) La condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sull’esito finale, rilevando di converso, in pejus, sulla sola (e diversa) qualità ed organizzazione della vita del paziente (anche sotto l’aspetto del mancato ricorso a cure palliative): l’evento di danno (e il danno risarcibile) sarà in tal caso rappresentato da tale (diversa e peggiore) qualità della vita (intesa altresì nel senso di mancata predisposizione e organizzazione materiale e spirituale del proprio tempo residuo), conseguente alla lesione del diritto di autodeterminazione, purchè allegato e provato (senza che, ancora una volta, sia lecito evocare la fattispecie della chance).
D) La condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata, sulla qualità della vita medio tempore e sull’esito finale. La mancanza, sul piano eziologico, di conseguenze dannose della pur colpevole condotta medica impedisce qualsiasi risarcimento.
E) La condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo. Tale possibilità – i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) – sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta – se provato il nesso causale, secondo gli ordinari criteri civilistici tra la condotta e l’evento incerto (la possibilità perduta) – ove risultino comprovate conseguenze pregiudizievoli (ripercussioni sulla sfera non patrimoniale del paziente) che presentino la necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza.
18) L’incertezza del risultato, va ribadito, è destinata ad incidere non sulla analisi del nesso causale, ma sulla identificazione del danno, poichè la possibilità perduta di un risultato sperato (nella quale si sostanzia la chance) è la qualificazione/identificazione di un danno risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante (comunque afferente al diritto alla salute), e non della relazione causale tra condotta ed evento, che si presuppone risolta positivamente prima e a prescindere dall’analisi dell’evento lamentato come fonte di danno. In tali sensi, pertanto, la chance risulta un diminutivo astratto dell’illecito, inteso come sinonimo di possibilità priva di misura (ma non di contenuto), da risarcirsi equitativamente, e non necessariamente quale frazione eventualmente percentualistica del danno finale.
19) Pertanto, ove risulti provato, sul piano eziologico, che la condotta imperita del sanitario abbia cagionato la morte anticipata del paziente, che sarebbe (certamente o probabilmente) sopravvissuto più a lungo e in condizioni di vita (fisiche e spirituali) diverse e migliori per un periodo specificamente indicato dal CTU (sia pur con gli inevitabili margini di approssimazione), non di “maggiori chance di sopravvivenza” sarà lecito discorrere, bensì di un evento di danno rappresentato, in via diretta ed immediata, dalla minore durata della vita e dalla sua peggiore qualità (fisica e spirituale).
20) Viene in tal guisa scongiurato il rischio di confondere il grado di incertezza della chance perduta con il grado di incertezza sul nesso causale. Il nesso di causalità sarà difatti escluso, al di là ed a prescindere dall’esistenza della possibilità di un risultato migliore, dalla presenza di fattori alternativi che ne interrompano la relazione logica con l’evento (quale il sopravvenire di altra patologia determinante di per sè sola dell’exitus o di altri eventi ascrivibili alla condotta di terzi o dello stesso danneggiato).
21) Sarà altresì esclusa ogni rilevanza causale della condotta, sul piano probabilistico, in tutti i casi di incertezza – ad esempio, nell’ipotesi di cd. multifattorialità dell’evento – sul rapporto di derivazione eziologica tra la condotta stessa e l’evento, pur nella sua astratta configurabilità in termini di possibilità perduta, qualora la multifattorialità non sia rappresentata (come talvolta, ma erroneamente, si è ipotizzato) da un accertato concorso di causa umana e causa naturale (ciò che consente il frazionamento del risarcimento “differenziale” in applicazione dei principi che regolano la causalità giuridica: Cass. n. 15991 del 21/07/2011 e successive conformi), bensì da un concorso di cause la cui disamina si risolva, nelle conclusioni del CTU, in termini di insanabile incertezza causale rispetto all’evento.
22) Non può pertanto condividersi l’assunto secondo il quale il danno da perdita di chance resterebbe occultato, “in una sorta di effetto matrioska”, nelle viscere del danno alla salute, dalle quali riemerge quando non si riesca a raggiungere la prova del nesso casuale rispetto alla lesione di quest’ultimo. Premesso che, nell’un caso come nell’altro, il diritto leso è pur sempre quello alla salute, sia pur nelle sue rispettive, differenti dimensioni, la risarcibilità della perdita di chance non si pone in alcun modo come conseguenza di una insufficiente relazione causale con il danno (come erroneamente ipotizzato nella sentenza n. 21619 del 16/10/2007 di questa stessa Corte), ma come incertezza eventistica conseguente al previo accertamento di quel nesso con la condotta omissiva.
23) A quanto sinora esposto consegue che, provato il nesso causale secondo le ordinarie regole civilistiche, rispetto ad un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze, il risarcimento di quel danno sarà dovuto integralmente. Sul medesimo piano d’indagine, che si estende dal nesso al danno, ove quest’ultimo venisse morfologicamente identificato, in una dimensione di insuperabile incertezza, con una possibilità perduta, tale possibilità integra gli estremi della chance, la cui risarcibilità consente (come scelta, hic et nunc, di politica del diritto, condivisa, peraltro, anche dalla giurisprudenza di altri Paesi di Common e di Civil law) di temperare equitativamente il criterio risarcitorio del cd. all or nothing, senza per questo essere destinata ad incidere sui criteri di causalità, nè ad integrarne il necessario livello probatorio.
IN SINTESI:
a) Sul piano funzionale, chance patrimoniale e chance non patrimoniale partecipano della stessa natura.
b) La diversità morfologica tra chance patrimoniale e chance non patrimoniale da responsabilità sanitaria va individuata nella diversità della situazione preesistente:
– Preesistenza negativa (chance non patrimoniale);
– Preesistenza positiva (chance patrimoniale);
c) Tale preesistenza postula, nella chance patrimoniale, una situazione positiva (titoli, professionalità, curricula, esperienze pregresse, attitudini specifiche ecc.); in quella non patrimoniale, una situazione di salute (già) patologica (i.e. “negativa”).
d) Entrambe le forme di chance presuppongono:
– Una condotta colpevole dell’agente;
– Un evento di danno (la lesione di un diritto);
– Un nesso di causalità tra la condotta e l’evento;
– Una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non;
– Un nesso di causalità tra l’evento e le conseguenze dannose.
A quanto sopra esposto, con riferimento al terzo motivo del ricorso in esame, consegue che non sussiste, nel caso di specie, alcun margine di apprezzabilità di perdita di chance, avendo la CTU espletata in primo grado compiuto, come risulta dalla motivazione della sentenza di appello, una valutazione “in termini di possibilità di sopravvivenza della stessa ( V.) assolutamente generica ed ipotetica anche in considerazione dell’elevata mortalità di eventi astrattamente confrontabili con quello in esame, la disseccazione acuta dell’aorta, che può portare ad una percentuale di mortalità del 15-20% in reparti ad altissima specializzazione come sono quelli di cardiochirurgia”. La sentenza della Corte territoriale, laddove ha concluso che la possibilità per V.M. di sopravvivere alla situazione ingravescente anche se fosse stata curata con assistenza di specialisti diversi e differenti apparecchiature, tenuto pure conto delle sue condizioni generali assolutamente scadute ben prima che si verificassero i ritardi terapeutici, e dei rischi del trasferimento presso altra struttura sanitaria con procedura d’urgenza, con concreto pericolo di arresto cardiaco, fosse talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini statistici e scientifici probabilistici e ancor meno, equitativamente quantificata, si sottrae alle critiche proposte con il terzo motivo di ricorso, avendo coerentemente e logicamente escluso la sussistenza di una perdita di chance.
Il quarto motivo di ricorso attiene alla mancanza di un valido consenso informato da parte di V.M..
Il mezzo è inammissibile, come già ritenuto dalla Corte territoriale, con riferimento al profilo dell’autodeterminazione e delle conseguenze risarcitorie, non risultando proposta idonea domanda dalla citazione introduttiva del giudizio in prime cure.
Sul diverso versante della diversa determinazione della paziente qualora avesse ricevuto idonee informazioni si rileva che, come prospettato dal giudice di merito, non sono state neppure allegate circostanze idonee a ritenere che, se correttamente informata, la V. avrebbe negato il proprio consenso (Cass. n. 20885 del 22/08/2018: “L’inadempimento dell’obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori – anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all’informazione – a condizione che sia allegata e provata, da parte dell’attore, l’esistenza di pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in sé considerato, sempre che essi superino la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e non siano futili, ovvero consistenti in meri disagi o fastidi”).
Il ricorso, deve, pertanto, essere integralmente rigettato.
Le spese di lite di questo giudizio di legittimità possono essere compensate, ricorrendo novità delle questioni trattate in tema di perdita di chance ed in considerazione dell’intervento recente della Corte Costituzionale sul punto (Corte Cost. n. 77 del 19 aprile 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, recante Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni).
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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