LE SEZIONI UNITE ESCLUDONO L’APPLICABILITA’ DELL’ART 230 BIS C.C. AD UNA IMPRESA GESTITA IN FORMA SOCIETARIA, DI QUALUNQUE TIPO ESSA SIA

L’impresa familiare di cui all’art 230 bis c.c. è un istituto autonomo cui si può riconoscere natura speciale, ma non eccezionale, creato ex novo nell’ambito della riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975 n. 151) con una norma di chiusura dei rapporti patrimoniali.

 

Il Collegio, aderisce alla tesi della incompatibilità dell’impresa familiare con la disciplina delle società di qualunque tipo, già sostenuta da una parte della giurisprudenza di legittimità (tra tutte Cass. sez. lavoro, 6 agosto 2003, n. 11881).

 

Ciò che si palesa irriducibile ad una qualsiasi tipologia societaria è la disciplina patrimoniale concernente la partecipazione del familiare agli utili ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità di lavoro prestato, anche al di fuori dell’impresa: e non, quindi, in proporzione alla quota di partecipazione.

Ancora più confliggente, ad avviso del Collegio, con  le regole imperative del sottosistema societario appare, poi, il riconoscimento di diritti corporativi al familiare del socio: tale da introdurre un inedito metodo collegiale maggioritario – integrato con la presenza dei familiari dei soci – nelle decisioni concernenti l’impiego degli utili, degli incrementi e altresì la gestione straordinaria e degli indirizzi produttivi e financo la cessazione dell’impresa stessa (disciplina in insanabile contrasto con le modalità di assunzione delle decisioni, all’interno di una società, riservate ai soci e agli amministratori, univocamente non attribuite a soggetti estranei alla compagine sociale).

 

 

23676_Cassazione Civile 6 noveembre 2014 (472.38 Kb)