Cass. civile, Sez. I, 22 dicembre 2023, n. 35881
Nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un’apertura di credito, poichè il meccanismo di imputazione del pagamento degli interessi, di cui all’art. 1194, comma 2, c.c., trova applicazione solo in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quando eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell’affidamento, è onere del cliente che esperisce l’azione di ripetizione di interessi non dovuti e si dolga della falsa applicazione del predetto criterio di imputazione, provare, trattandosi di fatto costitutivo della domanda di accertamento negativo del debito, non solo che il conto gode di affidamento, ma, allegando e dimostrando il limite di questo, che le rimessi sul medesimo effettuate ai fini di ripristinare la provvista nei limiti dell’affidamento.
1. Intesa San Paolo Spa ricorre per cassazione avverso la superiore sentenza della Corte d’Appello di Catania che, in riforma dell’impugnata decisione di primo grado, avente ad oggetto i rapporti debito credito tra le parti nascenti da un pregresso contratto di conto corrente e dalla concessione di un mutuo chirografario, ha accolto il gravame della A.A. & C. s.n.c. avverso detta pronuncia inteso, segnatamente, a contestare l’operata applicazione, alle rimesse da questa effettuate sul conto corrente, dell’art. 1194 c.c. nella parte in cui esso prevede che i pagamenti, per i quali non vi sia un diverso accordo tra le parti, siano imputati prima agli interessi che al capitale, nonchè la mancata considerazione, ai fini della quantificazione del debito residuo nascente dal mutuo fatto valere in via riconvenzionale dalla banca, dell’avvenuto rilascio in favore di questa di una cambiale già azionata dalla banca in executivis.
L’assunto decisorio sviluppato dal decidente d’appello ha valorizzato, quanto alla prima contestazione, sul filo dell’orientamento già enunciato dai precedenti in materia di questa Corte, la circostanza che il conto corrente fosse pacificamente affidato e che, non avendo l’appellante provato il limite dell’affido, le rimesse ivi operate dovessero considerarsi come ripristinatorie con l’effetto di rendere inapplicabile il diverso principio fatto proprio dal primo giudice; e quanto alla seconda contestazione, il fatto che la banca, nell’agire in via riconvenzionale, non avesse proceduto al deposito della cambiale a mente dell’art. 66 L. camb. in ragione del che la domanda doveva reputarsi improcedibile.
Il mezzo proposto si vale di sei motivi, illustrati pure con memoria, resistiti dall’intimata con controricorso e memoria, a conclusione della quale ha instato, per il caso di avversaria condanna alle spese, per la distrazione delle stesse a proprio favore.
2. Il primo motivo di ricorso, mercè il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c. con riferimento alla dichiarata inapplicabilità dell’art. 1194 c.c. risultando detta contestazione nuova dato che la relativa eccezione era stata formulata solo in appello e non essendo stato mai documentato che il rapporto fosse affidato; il secondo motivo di ricorso, mercè il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1194 c.c. anche in relazione all’art. 117 TUB non essendo stato mai provato nel corso del giudizio di primo grado che il rapporto fosse affidato, sicchè le rimesse operate su di esso non potevano avere natura ripristinatoria; ed il terzo motivo di ricorso, mercè il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. risultando la decisione impugnata viziata sotto i denunciati profili posto che non era stata dimostrato che il rapporto fosse affidato e che non era stata mai formulata alcuna contestazione circa l’inapplicabilità dell’art. 1194 c.c., esaminabili congiuntamente, in quanto tutti riproducenti la medesima contestazione, sono fondati e meritano pertanto di essere accolti.
3. Per vero il ragionamento operato dal decidente d’appello, allorchè ha ritenuto di accogliere la domanda introduttiva sul rilievo che le rimesse effettuate dall’appellata avessero natura ripristinatoria e quindi sfuggissero all’applicazione del principio di imputazione enunciato dall’art. 1194 c.c., comma 2 si mostra viziato nello snodo decisivo in cui devolve alla banca l’onere probatorio in punto alla natura invece solutoria di dette rimesse.
Giova qui ricapitolare brevemente che, secondo quanto si insegna ormai stabilmente da SS.UU. 24418/2010 in avanti, come pure ha ricordato il decidente, il principio di cui all’art. 1194 c.c., secondo cui ogni pagamento deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale, salvo un diverso accordo con il creditore, postula che il credito sia liquido ed esigibile, atteso che solo questo, per sua natura, produce interessi ex art. 1282 c.c., sicchè è inapplicabile al rapporto di conto corrente bancario, nella cui struttura unitaria le operazioni di prelievo e versamento non integrano distinti ed autonomi rapporti di debito e credito reciproci tra banca e cliente, per i quali, nel corso dello svolgimento del rapporto, si possa configurare un credito della banca rispetto a cui il pagamento del cliente debba essere imputato agli interessi. La regola conosce tuttavia eccezione se al conto acceda un’apertura di credito, ex art. 1842 c.c., poichè in tal caso, sempre sul filo degli enunciati di SS.UU. 24418/2010, si impone la distinzione tra rimesse ripristinatorie, che sono dirette a ricostituire la provvista, e rimesse solutorie, che sono invece dirette a ripianare lo scoperto e, in caso di conto affidato, lo splafonamento oltre i limiti dell’affido. In questa seconda ipotesi, poichè si è in presenza di veri e propri pagamenti in quanto diretti a determinare l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, il principio dell’imputazione dettato dall’art. 1194 c.c., comma 2, si rende pienamente applicabile, donde il precetto, segnatamente enunciato con riferimento al caso del conto affidato – ma come bene hanno avvisato le SS.UU. 24418/2010 la situazione non cambia nel caso di conto semplicemente scoperto – secondo cui “nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un’apertura di credito il meccanismo di imputazione del pagamento degli interessi, di cui all’art. 1194 c.c., comma 2, trova applicazione solo in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quanto eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell’affidamento, sicchè non può mai configurarsi una siffatta imputazione, quando l’annotazione degli interessi avvenga sul conto corrente che presenti un passivo rientrante nei limiti dell’affidamento, avendo la relativa rimessa una mera funzione ripristinatoria della provvista” (Cass., Sez. I, 15/02/2021, n. 3858).
Questo chiaro enunciato riverberà i suoi riflessi anche sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, essendosi infatti affermato che “ove al conto acceda un’apertura di credito, grava sul cliente che esperisce l’azione di ripetizione di interessi non dovuti l’onere di allegare e provare l’erronea applicazione del criterio di imputazione di cui all’art. 1194 c.c. (secondo cui ogni pagamento deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale) alle rimesse operate, in ragione della natura ripristinatoria delle stesse, trattandosi di fatto costitutivo della domanda di accertamento negativo del debito, con la conseguenza che non è configurabile un onere a carico della banca di dedurre e dimostrare quali rimesse abbiano carattere solutorio” (Cass., Sez. I, 20/06/2022, n. 19812).
4. Ora, poste queste premesse, venendo al caso che ne occupa, è innegabile l’error in iudicando in cui è incorso il decidente nell’aver fatto carico alla banca di provare il limite dell’affidamento. Se, come si è detto, è onere del correntista, che si dolga della falsa applicazione dell’art. 1194 c.c. provare in quanto elemento costitutivo della propria domanda di indebito il carattere ripristinatorio dei propri versamenti, esso non può dirsi assolto, come crede il giudice d’appello, sulla scorta della mera pacificità del fatto che il rapporto fosse affidato, perchè questo non basta per ritenere che la rimessa effettuata dal cliente avesse natura ripristinatoria ed escludesse di conseguenza l’applicabilità del principio di imputazione di cui all’art. 1194 c.c. Considerato, per vero, che la natura ripristinatoria o meno della rimessa dipende, nel caso di conto affidato, dal fatto se sia, per effetto di essa, ripristinata la provvista, è onere ulteriore del correntista provare, mediante l’ulteriore allegazione del limite dell’affidamento, che la rimessa effettuata ripristina la provvista nei limiti dell’affidamento, diversamente – ove, per intenderci, la rimessa sia diretta a colmare lo splafonamento – non potendosene riconoscere la natura ripristinatoria.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto a cui si atterrà il giudice del rinvio: “Nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un’apertura di credito, poichè il meccanismo di imputazione del pagamento degli interessi, di cui all’art. 1194 c.c., comma 2, trova applicazione solo in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quanto eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell’affidamento, è onere del cliente che esperisce l’azione di ripetizione di interessi non dovuti e si dolga della falsa applicazione del predetto criterio di imputazione, provare, trattandosi di fatto costitutivo della domanda di accertamento negativo del debito, non solo che il conto gode di affidamento, ma, allegando e dimostrando il limite di questo, che le rimesse sul medesimo erano effettuate ai fini di ripristinare la provvista nei limiti dell’affidamento”.
5. Il quarto motivo di ricorso, mercè il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c. con riferimento alla domanda riconvenzionale, risultando la circostanza del mancato deposito della cambiale in cancelleria eccezione nuova e come tale inammissibile per essere stata sollevata per la prima volta in appello; e il quinto motivo di ricorso, mercè il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. sempre con riferimento alla medesima domanda avendo la Corte d’Appello pronunciato ultrapetita posto che la circostanza in tal senso da essa enfatizzata non aveva mai formato oggetto di tempestiva eccezione da parte avversaria, esaminabili congiuntamente in quanto afferenti al medesimo tema decisionale, sono infondati e non meritano seguito.
6. Si impone qui, infatti, la regolazione della vicenda alla luce del precedente specifico costituito da Cass. 12677/2014, che, prendendo le distanze dai precedenti di segno contrario, sul filo degli orientamenti più estesamente maturati nella giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte circa la normale rilevabilità d’ufficio delle eccezioni, ha inteso enunciare il principio, al quale si intende assicurare qui la debita continuità, secondo cui “l’eccezione d’inosservanza degli oneri di cui all’art. 66 Legge cambiale è eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, restando limitato l’ambito delle eccezioni in senso stretto ai casi specificamente previsti dalla legge e a quelli in cui la manifestazione di volontà della parte integra la fattispecie difensiva”.
Dunque, attesa la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di che trattasi, nessun addebito, sia pure in disparte dall’attendibilità o meno della sua tempestiva allegazione, può muoversi alla decisione impugnato per aver dato atto, riformando di conseguenza la decisione impugnata in parte qua, che la domanda riconvenzionale fosse stata azionata ancorchè a presidio di essa la banca disponesse pure dell’azione cambiaria e non avesse ottemperato all’obbligo impostole perciò dall’art. 66 L. camb.
7. Il sesto motivo di ricorso, mercè il quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 66 e 94 L. camb. sempre con riferimento alla domanda riconvenzionale, non avendo la Corte d’Appello rilevato, a conforto della superiore inapplicabilità della preclusione sancita dalla prima delle norme richiamate, l’avvenuta prescrizione dell’azione cambiaria, è inammissibile postulando la cognizione del rilievo un’indagine di merito a cui non è compito di questa Corte dare seguito, avuto riguardo ai limiti entro in cui si esercita il sindacato giurisdizionale affidatole dall’ordinamento processuale.
8. In conclusione vanno accolti i primi tre motivi di ricorso, rigettati il quarto ed il quinto e dichiarato inammissibile il sesto.
9. Segue nei limiti dei motivi accolti la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.
Accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso; rigetta il quarto ed il quinto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il sesto motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Catania che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.