LA CASSAZIONE SULLA NOZIONE DI CONTRATTO CHE APPLICA UN’INTESA ANTICORRENZIALE E SULLE CONSEGUENZE DELL’ALTERAZIONE DELL’EURIBOR ANCHE LADDOVE LE PARTI NON SIANO STATE CONSAPEVOLI DELL’INTESA

Cass. civile, Sez. III, 3 maggio 2024, n. 12007

 

1. Affinché possa ritenersi che, in un contratto (cd. “a valle” dell’intesa), sia fatta “applicazione” di una illecita intesa (o pratica non negoziale) restrittiva della concorrenza esistente “a monte”, occorre quanto meno che uno dei contraenti sia a conoscenza dell’esistenza di quella determinata intesa (o pratica non negoziale) con un determinato oggetto e un determinato scopo e intenda avvalersi del risultato oggettivo della stessa. In mancanza, il contratto non potrebbe in alcun modo ritenersi, di per sé, una consapevole o volontaria “applicazione” di intese illecite dirette ad alterarlo (cioè, un contratto cd. “a valle” di siffatte intese illecite, nel senso fatto proprio dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 41994 del 2021).Ciò, con riguardo ai contratti di mutuo stipulati da istituti bancari, richiederebbe, dunque, l’allegazione e la prova che la banca stipulante, al momento della conclusione del contratto, fosse o direttamente partecipe di quell’intesa o, almeno, fosse consapevole della sussistenza di una intesa tra altre banche volta ad alterare il valore dell’Euribor o di una effettiva pratica non negoziale in tal senso ed abbia inteso avvalersi dei risultati di questa.

2. Anche se le parti del singolo contratto non siano consapevoli delle intese o pratiche illecite di terzi volte ad alterare il parametro esterno costituito dall’Euribor, qualora tali intese o pratiche abbiano effettivamente raggiunto, in concreto, il risultato dell’effetto manipolativo perseguito, applicando ugualmente quel parametro, nel suo valore “falsato”, il concreto regolamento di interessi resta alterato, a danno di uno dei contraenti. In tal caso, ad evitare gli effetti distorsivi del mercato derivanti dalle intese o pratiche illecite volte ad alterare l’Euribor, sono, tuttavia, sufficienti i rimedi negoziali dell’ordinamento interno. In particolare, qualora sia stipulato un contratto che faccia riferimento, per un parametro quantitativo rilevante del regolamento negoziale quale l’oggetto del corrispettivo o una penale, ad un determinato valore “esterno”, che le parti sanno essere determinato in virtù di specifici e noti meccanismi operativi concreti e che viene ufficializzato da determinati organismi istituzionali sovranazionali e, in particolare, europei (parametro che costituisce, quindi, un “dato oggettivo di agevole e pubblico riscontro calcolato in modo unitario su scala europea”), il dato di riferimento deve intendersi richiamato nel regolamento negoziale in virtù di tali sue oggettive caratteristiche, onde, laddove quel parametro venga meno (nel senso che non sia più disponibile, perché, ad esempio, non più rilevato e reso pubblico), esso, ovviamente, non potrà essere utilizzato per la determinazione del contenuto delle obbligazioni oggetto del contratto. lo stesso laddove il parametro esterno richiamato nel contratto, invece di venire oggettivamente meno, perché in radice non più esistente, divenga sostanzialmente inidoneo a costituire l’espressione della volontà negoziale delle parti (eventualmente anche solo per un determinato periodo), perché alterato nella sua sostanza, a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi, che siano tali da privarlo in radice delle caratteristiche per le quali le parti lo avevano richiamato nel contratto, quale presupposto del loro regolamento di interessi: in siffatta situazione, l’oggetto della clausola contrattuale, se il valore “genuino” e non alterato del dato di riferimento esterno non sia ricostruibile, sarà di impossibile determinazione e la clausola stessa dovrà ritenersi viziata da parziale nullità (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), limitatamente al periodo in cui manchi il predetto dato.

 

Cass. civile 3 maggio 2024, n. 12007