Consiglio di Stato, Ad. Plen. 24 gennaio 2023, n. 1 – Pres. Maruotti, Est. Lopilato
L’ordinanza che esamina l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio ha valenza decisoria, in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma.
Ciò comporta:
sul piano sostanziale, si applica integralmente la disciplina dell’accesso, anche per quanto attiene alla portata dell’accesso difensivo, nel senso che la documentazione può essere rilasciata «senza verificare la concreta pertinenza degli atti con l’oggetto della controversia principale»;
sul piano processuale, l’ordinanza è autonomamente impugnabile con ricorso al Consiglio di Stato ed è suscettibile di esecuzione coattiva con la proposizione del ricorso per ottemperanza.
Rispetto all’accesso documentale difensivo rimangono tuttavia talune peculiarità.
La prima peculiarità risiede nel fatto che in questo caso si tratta di un accesso difensivo “qualificato” dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla tutela delle situazioni giuridiche che sono state fatte valere in uno specifico processo amministrativo in corso di svolgimento. In questo senso si spiega anche il riferimento alla «connessione», contenuto nel secondo comma dell’art. 116 cod. proc. amm. Si tratta di una “strumentalità in senso ampio”, in quanto la valutazione che deve essere effettuata dal giudice non è soltanto volta a verificare la possibile rilevanza del documento per la definizione del giudizio, ma può servire anche per risolvere in via stragiudiziale la controversia, per proporre una nuova impugnazione ovvero ancora una diversa domanda di tutela innanzi ad altra autorità giudiziaria.
La seconda peculiarità risiede nel fatto che la disposizione in esame consente al giudice di non decidere in ordine all’istanza di accesso con ordinanza, ma di deciderla con la sentenza che definisce il giudizio. Questa previsione si spiega proprio nella logica della «connessione» della domanda con il giudizio in corso, che potrebbe indurre il giudice della causa principale a rinviare, ad esempio, la decisione incidentale sull’accesso al momento di adozione della sentenza, qualora ritenga che quella documentazione non risulti necessaria ai fini della definizione del giudizio. Tale soluzione consente maggiore celerità allo svolgimento del processo senza incidere sulla tutela della parte, in quanto la decisione è solo rinviata alla fase conclusiva del processo stesso.
FATTO
1.- Alcuni avvocati appartenenti all’ufficio “consulenza legale” della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) hanno impugnato, innanzi al Tar per il Lazio, la deliberazione della Consob del 10 dicembre 2020, n. 21621, di approvazione del regolamento del personale, nella parte relativa al mancato adeguamento del trattamento giuridico ed economico, nonché dell’ordinamento delle carriere degli avvocati interni rispetto a quanto previsto dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247 (recante la «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense») e dall’ordinamento delle carriere degli avvocati della Banca d’Italia.
Nell’ambito di tale giudizio, i ricorrenti – nel dedurre che la citata documentazione era necessaria per la loro difesa in giudizio – hanno proposto un’istanza, ai sensi dell’art. 116, comma 2, del cod. proc. amm., volta ad ottenere l’annullamento della nota del 1° luglio 2021, con cui la Consob ha parzialmente respinto la richiesta di accesso, relativa:
- i) alla documentazione e ai verbali;
- ii) alla corrispondenza intercorsa tra le unità organizzative;
iii) alla corrispondenza intercorsa tra la Consob e gli ordini professionali di appartenenza degli avvocati della consulenza legale, l’Avvocatura dello Stato e altri eventuali consulenti esterni dell’Istituto.
Con la nota del 1° luglio 2021, la Consob ha accolto la domanda di accesso limitatamente alla corrispondenza con gli ordini professionali di appartenenza degli avvocati della consulenza legale e la ha invece respinta quanto alla rimanente documentazione, ritenendola afferente ad atti funzionali all’esercizio del potere regolamentare della Consob che sono sottratti all’accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. c), della legge n. 241 del 1990.
2.- Il Tribunale amministrativo, con l’ordinanza del 15 luglio 2022, n. 10020, ha accolto l’istanza, ritenendo prevalenti le esigenze difensive, ed ha ordinato all’Amministrazione di consentire l’accesso ai documenti richiesti.
3.- La Consob – sul presupposto che l’ordinanza del Tar avesse autonoma valenza decisoria – ha proposto appello, chiedendo sia la sospensione degli effetti dell’ordinanza sia il rigetto della domanda di accesso.
Nel giudizio si sono costituiti i ricorrenti di primo grado, eccependo l’inammissibilità dell’appello, poiché l’ordinanza impugnata del Tar avrebbe natura meramente istruttoria.
4.- La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con l’ordinanza dell’8 settembre 2022, n. 4444, ha accolto la domanda cautelare limitatamente all’ordine di ostensione del parere dell’Avvocatura dello Stato, al fine di assicurare la tutela della riservatezza nei rapporti tra difensore e difeso e l’ha respinta per il resto.
La Sezione, con separata ordinanza del 28 settembre 2022, n. 8367, ha ravvisato un contrasto interpretativo sull’appellabilità dell’ordinanza resa in materia di accesso nel corso del giudizio ed ha rimesso la questione all’esame dell’Adunanza Plenaria, formulando il seguente quesito di diritto: «se, nei confronti delle ordinanze con le quali il giudice di primo grado si pronuncia separatamente su di un’istanza di accesso proposta ai sensi dell’art. 116, comma 2, cod. proc. amm., sia ammesso l’appello dinanzi al Consiglio di Stato, prima ancora che il giudizio di primo grado sia definito con sentenza».
5.- La Consob ha depositato, in vista della camera di consiglio, una memoria con la quale ha fatto presente di avere consentito, senza prestare acquiescenza, l’accesso ai documenti in esecuzione dell’ordine giudiziale e ha ribadito la necessità di qualificare l’ordinanza appellata come ‘decisoria’, anche per garantire una tutela effettiva che eviti un pregiudizio irreversibile conseguente alla ostensione dei documenti stessi.
6.- La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 16 novembre 2022.
DIRITTO
1.- La questione posta all’esame dell’Adunanza Plenaria attiene all’appellabilità dell’ordinanza del Tar che decide in ordine ad una istanza di accesso ai documenti amministrativi presentata nel corso del giudizio.
2.- La soluzione di tale questione impone in via preliminare di esaminare talune questioni generali relative: i) alla disciplina dell’accesso documentale; ii) ai mezzi di impugnazione; iii) ai mezzi di prova.
2.1.- In relazione all’accesso documentale, è configurabile un rapporto giuridico di diritto pubblico costituito dalla titolarità di una posizione giuridica soggettiva che si pone in relazione con un potere della pubblica amministrazione o di un soggetto titolare di pubbliche funzioni, che si esercita mediante l’attività di valutazione della domanda di accesso alla luce degli interessi pubblici e privati protetti dalle disposizioni sostanziali.
Si tratta di un rapporto giuridico strumentale ad altro rapporto, in cui si colloca una «situazione giuridicamente tutelata» e «collegata al documento» del quale è chiesto l’accesso (art. 22, comma 2, lett. b, l. n. 241 del 1990).
L’accesso ai documenti amministrativi può avere natura procedimentale, quando la domanda è proposta, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, al fine di consentire una partecipazione «più responsabile», contribuendo «a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale» (Cons. Stato, Ad. plen., 25 settembre 2020, n. 19).
L’accesso può avere natura autonoma, quando la domanda è proposta, ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, fuori dall’ambito di un procedimento amministrativo in corso.
In questo caso, l’accesso ha una finalità difensiva, nel senso che la conoscenza del documento è strumentale alla tutela di una situazione giuridica, che non presuppone necessariamente la proposizione di un giudizio.
Nel caso in cui la finalità sia di difesa giudiziale, la documentazione può rilevare sia nell’ambito di un processo amministrativo sia nell’ambito di un altro processo.
Il ricorso è proposto innanzi al giudice amministrativo nel rispetto di un rito speciale.
Il comma 1 dell’art. 116 del cod. proc. amm. prevede che contro le determinazioni o il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi «il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato».
Si tratta di un’azione di annullamento del provvedimento espresso o tacito di diniego e di condanna al rilascio dei documenti richiesti.
Il processo si conclude con l’adozione di una sentenza in forma semplificata, che è appellabile con ricorso al Consiglio di Stato (art. 116, commi 4 e 5, cod. proc. amm.) e che, in caso di mancata esecuzione, può essere oggetto di una azione di ottemperanza (art. 112 cod. proc. amm.).
2.2.- In relazione ai mezzi di impugnazione, le decisioni appellabili sono quelle espressamente o implicitamente previste dal legislatore.
Le decisioni espressamente appellabili sono le sentenze adottate dai Tribunali amministrativi regionali (artt. 91 e 100 cod. proc. amm.) e le ordinanze cautelari adottate dai medesimi Tribunali (art. 62 cod. proc. amm.).
Le decisioni implicitamente appellabili sono quelle che, a prescindere dalla forma esteriore, hanno un contenuto decisorio idoneo ad incidere su situazioni giuridiche e suscettibili di passare in giudicato ovvero di risolvere «in contraddittorio tra le parti una specifica controversia» (cfr. la fondamentale ordinanza di questa Adunanza Plenaria 24 gennaio 1978, n. 1, che ha rilevato come l’art. 125 della Costituzione abbia previsto l’istituzione nella Regione di «organi di giustizia amministrativa di primo grado», con la conseguente regola della impugnabilità delle loro pronunce).
2.3.- In relazione ai mezzi istruttori, il codice del processo amministrativo prevede, in attuazione del modello dispositivo con metodo acquisitivo, che: i) spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni (artt. 63, comma 1, e 64, comma 1), senza la necessità che le richieste istruttorie, rivolte direttamente al giudice, siano notificate alle altre parti; ii) il giudice può disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili nella disponibilità della pubblica amministrazione (artt. 63, comma 1, e 64, comma 2), nonché l’ispezione e l’esibizione di documenti in possesso di terzi (art. 63, comma 2); iii) il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento e può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo (art. 64, comma 4).
Le ordinanze istruttorie, rilevando solo all’interno del giudizio, non sono appellabili, in quanto «non possono mai pregiudicare la decisione della causa» e, di regola, possono essere modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate (art. 177 cod. proc. civ., applicabile anche al processo amministrativo, per il rinvio esterno di cui all’art. 39 cod. proc. amm.).
3.- Sulla base di quanto esposto, va esaminata la questione dell’appellabilità dell’ordinanza che ha deciso sull’istanza di accesso ai documenti, depositata nel corso del processo.
3.1.- Nel suo testo originario, l’art. 25 della legge n. 241 del 1990 non disciplinava l’istanza di accesso depositata nel corso del processo amministrativo.
L’art. 17, comma 1, lett. b), della legge 11 febbraio 2005, n. 15, ha poi modificato il comma 4 del medesimo articolo 25, disponendo che in pendenza del giudizio amministrativo «il ricorso può essere proposto con istanza presentata al Presidente e depositata presso la segreteria della Sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio».
Il comma 2 dell’art. 116 cod. proc. amm. – nell’abrogare tacitamente l’art. 25, comma 4, così modificato – ha previsto che: «in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della Sezione cui è assegnato il ricorso principale previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati». La stessa norma ha disposto che: «l’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio».
3.2.- Sulla portata applicativa di tale disposizione, si sono formati tre diversi orientamenti.
Un primo orientamento ritiene che si tratti di una vera e propria domanda di accesso ai documenti amministrativi, con qualificazione dell’ordinanza come avente natura decisoria (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2019, n. 3936; Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2018, n. 3028).
Tale ricostruzione valorizza la previsione che impone la notificazione dell’istanza all’Amministrazione e ai controinteressati.
Essa comporta che: i) sul piano sostanziale, si applica integralmente la disciplina dell’accesso, anche per quanto attiene alla portata dell’accesso difensivo, nel senso che la documentazione può essere rilasciata «senza verificare la concreta pertinenza degli atti con l’oggetto della controversia principale» (Cons. Stato, sez. V, n. 3936 del 2019, cit.); ii) sul piano processuale, l’ordinanza è autonomamente impugnabile con ricorso al Consiglio di Stato ed è suscettibile di esecuzione coattiva con la proposizione del ricorso per ottemperanza.
Un secondo orientamento – che la Sezione remittente condivide – ritiene che si tratti di una istanza istruttoria, con qualificazione dell’ordinanza come avente anch’essa natura istruttoria (Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1878; Cons. Stato, sez. III, 21 ottobre 2015, n. 806; Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2013, n. 3579).
Tale ricostruzione valorizza il riferimento, contenuto nell’art. 116, alla «connessione» dell’istanza con il giudizio in corso, che presuppone sempre un rapporto di “strumentalità in senso stretto” della documentazione richiesta per la definizione del giudizio principale e tiene conto dell’esigenza di evitare il «rischio di impugnazioni autonome su ordinanze istruttorie che in seguito potrebbero rivelarsi comunque superflue, qualora l’esito del giudizio di primo grado fosse favorevole a prescindere» (Cons. Stato, sez. VI, ord. n. 8367 del 2022, cit.).
Essa comporta che: i) sul piano sostanziale, non si applica la disciplina dell’accesso; ii) sul piano processuale, si applica il regime delle ordinanze istruttorie, con esclusione della loro appellabilità, con la possibilità della loro modifica e revoca da parte del giudice che le ha adottate (art. 177 cod. proc. civ. e art. 39 cod. proc. amm.) e con la possibilità, in caso di mancata esecuzione, di trarre argomenti di prova dal comportamento dell’amministrazione (art. 64, comma 4, cod. proc. amm.).
Un terzo orientamento, intermedio, ritiene che vadano distinte due tipologie di ordinanze: i) la prima ha natura decisoria ed è appellabile, quando è adottata applicando la normativa in materia di accesso ai documenti «senza passare al vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio in corso» (Cons. Stato, sez. VI, 14 agosto 2020, n. 5036; si v. anche Cons. Stato, sez. III, 7 ottobre 2020, n. 5944; Cons. Stato, IV, 27 ottobre 2011, n. 5765; Cons. Stato, sez. III, 25 giugno 2010, n. 4068); ii) la seconda ha natura istruttoria e non è appellabile, quando è adottata avendo riguardo alla rilevanza della documentazione ai fini della decisione.
4.- L’Adunanza Plenaria ritiene che vada seguito l’orientamento per primo esposto, sia pure con alcune puntualizzazioni.
La tesi della “natura istruttoria” dell’ordinanza non può essere seguita per le ragioni poste a sostegno della tesi della “natura decisoria”, che verranno indicate oltre.
La tesi della “natura variabile” dell’ordinanza non può essere seguita, perché la natura decisoria o meno di un provvedimento giudiziale va stabilita sulla base di criteri normativi.
La tesi della “natura decisoria”, con conseguente appellabilità dell’ordinanza, va seguita per le seguenti ragioni.
In primo luogo – sulla base del criterio di interpretazione letterale – l’art. 116 cod. proc. amm. prevede, al comma 2, che: i) «il ricorso di cui al comma 1» può essere proposto con istanza in pendenza di giudizio, il che evidenzia – per il rinvio effettuato all’accesso richiesto con ricorso autonomo – la sostanziale unitarietà del rimedio; ii) l’istanza deve essere notificata all’Amministrazione e agli eventuali controinteressati, che potrebbero anche essere diversi dalle parti già evocate in giudizio, il che evidenzia come il rispetto delle regole del contraddittorio sia coerente con la logica della natura decisoria dell’ordinanza.
In secondo luogo – sulla base del criterio di interpretazione storica – le norme vigenti, rispetto a quelle contenute nell’art. 17 della legge n. 15 del 2005, non qualificano più l’ordinanza in esame come «ordinanza istruttoria».
In terzo luogo – sulla base del criterio di interpretazione sistematica – il codice del processo amministrativo ha disciplinato distintamente la fase dell’istruttoria e l’istanza di accesso in corso del giudizio, con la conseguenza che non si possono sovrapporre gli istituti in esame (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 19 del 2020, cit., sulle differenze tra l’accesso documentale e le esigenze istruttorie, anche nel processo civile).
Del resto, la domanda di accesso ai documenti va rivolta all’Amministrazione e non al giudice, con impugnazione dell’eventuale provvedimento di rigetto nel rispetto del termine perentorio di trenta giorni, il che comporta che le istanze di accesso rivolte al giudice nel corso del processo vanno considerate vere e proprie istanze istruttorie.
In quarto luogo – sulla base dei criteri di interpretazione conforme a Costituzione – è necessario assicurare il diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.; art. 1 cod. proc. amm.) dei controinteressati e della stessa pubblica amministrazione, qualora nel corso del processo sia emessa una ordinanza che accolga il ricorso ex art. 116, comma 2, cod. proc. amm. e consenta l’ostensione dei documenti richiesti.
Se non si permettesse, infatti, l’immediata appellabilità si potrebbe determinare, a seguito dell’ordine di esibizione e del conseguente obbligo della sua esecuzione, un pregiudizio irreversibile per il diritto alla riservatezza privata dei controinteressati e per le prerogative pubbliche dell’autorità che detiene i documenti.
Si tenga conto, inoltre, che, potendo la pubblica amministrazione e i controinteressati non coincidere con le parti del processo principale, se non si assegnasse valenza decisoria all’ordinanza le suddette parti oltre a subire il pregiudizio sopra indicato potrebbero anche non essere legittimate a proporre impugnazione autonoma avverso la sentenza che definisce la controversia.
Infine – sempre sulla base del criterio di interpretazione conforme a Costituzione – il principio del doppio grado di giudizio (art. 125 Cost.) impone, in presenza di provvedimenti aventi contenuto decisorio, di consentire alle parti di proporre appello (cfr. Corte cost. n. 8 del 1982; Cons. Stato, Ad. plen. n 1 del 1978, cit.).
5.- Sulla base di quanto esposto, deve ritenersi che l’ordinanza che esamina l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio ha valenza decisoria, in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma.
Rispetto a quest’ultimo rimangono tuttavia talune peculiarità.
La prima peculiarità risiede nel fatto che in questo caso si tratta di un accesso difensivo “qualificato” dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla tutela delle situazioni giuridiche che sono state fatte valere in uno specifico processo amministrativo in corso di svolgimento. In questo senso si spiega anche il riferimento alla «connessione», contenuto nel secondo comma dell’art. 116 cod. proc. amm. Si tratta di una “strumentalità in senso ampio”, in quanto la valutazione che deve essere effettuata dal giudice non è soltanto volta a verificare la possibile rilevanza del documento per la definizione del giudizio, ma può servire anche per risolvere in via stragiudiziale la controversia, per proporre una nuova impugnazione ovvero ancora una diversa domanda di tutela innanzi ad altra autorità giudiziaria.
La seconda peculiarità risiede nel fatto che la disposizione in esame consente al giudice di non decidere in ordine all’istanza di accesso con ordinanza, ma di deciderla con la sentenza che definisce il giudizio. Questa previsione si spiega proprio nella logica della «connessione» della domanda con il giudizio in corso, che potrebbe indurre il giudice della causa principale a rinviare, ad esempio, la decisione incidentale sull’accesso al momento di adozione della sentenza, qualora ritenga che quella documentazione non risulti necessaria ai fini della definizione del giudizio. Tale soluzione consente maggiore celerità allo svolgimento del processo senza incidere sulla tutela della parte, in quanto la decisione è solo rinviata alla fase conclusiva del processo stesso.
6.- L’Adunanza Plenaria, pertanto, afferma il seguente principio di diritto: “l’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, secondo comma, cod. proc. amm., è appellabile innanzi al Consiglio di Stato”.
7.- Si rimettono gli atti alla Sezione remittente per la definizione del secondo grado del giudizio, con decisione anche in ordine alle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, pronunciando sull’appello indicato in epigrafe, afferma il principio di diritto riportato in motivazione e rimette, per la definizione del secondo grado del giudizio, la trattazione della causa alla Sesta Sezione del Consiglio di Stato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2022, con l’intervento dei magistrati: