SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 2934 del 2008, proposto dalla REGIONE PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Volpe, Luca Alberto Clarizio e Maddalena Torrente, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2,
contro
IMPRESA EDILE EREDI DI FUZIO NICOLA, GIUSEPPE E FRANCESCO & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Guantario ed Enrico Follieri, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale G. Mazzini, 6,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della Puglia, Sezione Terza di Bari, nr. 3067 del 21 dicembre 2007.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Impresa edile eredi di Fuzio Nicola, Giuseppe e Francesco & C. S.n.c.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 15 novembre 2011, il Consigliere Oberdan Forlenza;
Uditi l’avv. Nino S. Matassa, in sostituzione dell’avv. Volpe, per l’Amministrazione appellante, e gli avv.ti Follieri e Guantario per la società appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso in esame, la Regione Puglia agisce in riassunzione nel giudizio avente n. R.G. 2934/2008, concernente appello avverso la sentenza del T.A.R. della Puglia, sede di Bari, sez. III, 21 dicembre 2007, n. 3067.
Tale giudizio si era già concluso con sentenza di questa Sezione 26 novembre 2009, n. 7428, la quale, in accoglimento dell’appello proposto dalla Regione, aveva dichiarato l’improcedibilità del ricorso di primo grado, proposto dall’Impresa edile eredi di Fuzio Nicola (di seguito, Impresa eredi Fuzio), e tendente ad ottenere la condanna della Regione Puglia al risarcimento dei danni derivanti, tra l’altro, da atti amministrativi illegittimi.
Tuttavia, con sentenza 16 dicembre 2010, n. 25395, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno cassato la predetta sentenza n. 7428/2009, dichiarando (ribadendo) la giurisdizione del giudice amministrativo.
La pronuncia della Suprema Corte si fonda sul presupposto che l’azione risarcitoria proposta dalla Impresa eredi Fuzio “poteva essere proposta congiuntamente a quella di annullamento del nulla osta e dell’autorizzazione definitiva concessi all’impresa concorrente; così come autonomamente e a prescindere da quest’ultima, senza che il Consiglio di Stato potesse declinarla (e/o dichiarare improcedibile l’azione) sul presupposto che era mancata l’impugnazione dei menzionati provvedimenti amministrativi”.
Pertanto, la Regione Puglia, con il presente ricorso, riassume il giudizio, dopo l’intervenuta pronuncia della Cassazione.
2. Per la migliore comprensione della vicenda, occorre ricordare che, con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, l’Impresa eredi Fuzio richiedeva il riconoscimento, a vario titolo, del proprio diritto al risarcimento dei danni, quantificati in euro 84.907.065 per tipizzazione urbanistica di area di sua proprietà nell’ambito del P.R.G. di Andria, che aveva inibito il rilascio a suo favore del nulla osta per la realizzazione di un centro commerciale (poi, medio tempore, ottenuto da altra impresa).
Il risarcimento richiesto conseguiva all’annullamento, con sentenza 30 aprile 1998, n. 284, pronunciata dal TAR per la Puglia:
– del P.R.G. di Andria, in parte qua (limitatamente alle modifiche regionali che sancivano la cancellazione sia della destinazione commerciale sia della destinazione ad attrezzature per il tempo libero del suolo di proprietà Fuzio);
– della decisione della Commissione regionale per il commercio adottata nelle sedute del 27 e 28 settembre 1995 recante l’irricevibilità dell’istanza di Fuzio per carenza della destinazione commerciale del suolo;
– della delibera di Giunta Regionale Puglia n. 5720 del 15 dicembre 1995 recante ratifica della decisione negativa della suddetta Commissione e diniego di nulla osta commerciale in ordine alla istanza presentata dalla ditta Fuzio Nicola.
Sosteneva la ricorrente, con il proprio ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, che la citata sentenza n. 284, avendo eliminato le prescrizioni limitative regionali, avrebbe fatto riespandere la definitiva destinazione del suolo richiesto dalla ditta Fuzio in ordine alla compatibilità urbanistica dell’area, riproponendo l’obbligo della Regione Puglia a pronunciarsi su detta istanza di nulla osta.
Nelle more del giudizio, però, la concorrente ditta Fimco S.p.a. aveva ottenuto l’autorizzazione per la realizzazione di un centro commerciale da ubicarsi in zona limitrofa (deliberazione del Commissario ad acta del Comune di Andria 2 maggio 1997, n. 120), così esaurendo le potenzialità edificatorie della zona con finalità di centro commerciale.
Da qui la richiesta di risarcimento danni per fatto illecito, articolato sulle seguenti voci:
a) deprezzamento del valore di mercato dell’intero suolo al momento dell’approvazione definitiva del P.R.G. con l’inserimento delle prescrizioni regionali poi annullate;
b) mancato guadagno derivante dalla alta probabilità di conseguimento del nulla osta commerciale, viceversa negato dalla Regione Puglia;
c) mancato ricavo d’impresa per l’alta probabilità di edificazione che ne sarebbe conseguita, data la specificità edilizia dell’impresa proprietaria;
d) effetti negativi sul patrimonio dell’impresa a causa del tardivo risarcimento del danno.
La sentenza del TAR n. 3067/2007 (oggetto di appello), pur riducendo nel quantum le pretese risarcitorie, riconosceva la responsabilità extracontrattuale della p.a. e condannava la Regione Puglia al risarcimento dei danni, con esclusione dell’ultima delle voci di danno sopraindicate.
Afferma, in particolare, la sentenza impugnata:
– nel caso di specie, “è evidente l’esistenza di un evento dannoso dell’interesse legittimo pretensivo della ditta Fuzio, costituito dalla perdita della chance del rilascio della richiesta autorizzazione, in concorrenza con altra impresa, per la realizzazione di un centro commerciale integrato”;
– “incidendo su un interesse legittimo tale evento dannoso è qualificabile come ingiusto”;
– tale evento “è inoltre imputabile a colpa dell’amministrazione, atteso che l’adozione e l’esecuzione degli atti illegittimi (approvazione con modifiche del PRG e rigetto della domanda di autorizzazione) è avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio dell’azione amministrativa deve ispirarsi”.
Avverso tale sentenza, vengono proposti i seguenti motivi di impugnazione:
a) violazione art. 100 c.p.c., art. 21 l. n. 1034/21971; artt. 2247, 2255, 2295 c.c.; art. 1346 e 1348 c.c.; art. 1260 ss. c.c.; difetto di interesse e di legittimazione attiva della società ricorrente in primo grado; ciò in quanto la S.n.c. Impresa eredi Fuzio si è costituita solo in data 17 giugno 2003, dopo il decesso del sig. Nicola Fuzio (il quale aveva personalmente attivato il giudizio di annullamento di atti illegittimi, poi deciso dal TAR della Puglia con sentenza n. 284/1998). Orbene, da tale sentenza “non discende nei riguardi del de cuius sig. Nicola Fuzio alcun (diritto di) credito avente natura risarcitoria, sia perché la pretesa risarcitoria non fu esercitata congiuntamente alla pretesa demolitiva degli atti impugnati (…) sia perché nulla in tal senso ha statuito (né poteva statuire) la richiamata sentenza”;
b) violazione art. 163 c.p.c.; nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado per equivocità della causa petendi;
c) inammissibilità del ricorso di primo grado per acquiescenza al comportamento asserito produttivo del danno e mancata osservanza del principio della previa impugnativa dell’atto lesivo; poiché la intervenuta sentenza con la quale il TAR della Puglia (n. 1547/2007) ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso proposto dal sig. Nicola Fuzio avverso l’autorizzazione rilasciata a diverso imprenditore costituisce circostanza che rendeva necessaria la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado “per carenza originaria dell’interesse al ricorso”, ovvero rendeva “obbligata la reiezione del ricorso stesso per interposizione di un comportamento ostativo alla permanenza della continuità della catena eziologica del danno esclusivamente consistente in un comportamento del soggetto avanzante la pretesa risarcitoria”;
d) inammissibilità e infondatezza del ricorso di primo grado come conseguenza del rigetto della impugnativa relativa alle zone D, nelle quali è localizzato l’intervento della soc. FIMCO S.p.a.;
e) inammissibilità e infondatezza del ricorso in primo grado per rinuncia all’appello della sentenza n. 284/1998 del TAR della Puglia, sul punto della legittimità delle zone D;
f) inammissibilità ed improponibilità della domanda in primo grado per intervenuta regolazione privata degli aspetti consequenziali;
g) violazione artt. 13 e 14 l. reg. Puglia n. 32/1995; omessa motivazione;
h) erroneità della sentenza di primo grado e della statuizione risarcitoria come mera derivazione dell’annullamento giurisdizionale del P.R.G. di Andria;
i) erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui assume lo sviamento dell’atto approvativo del P.R.G. di Andria in ragione della posizione del sig. Nicola Fusillo, assessore all’urbanistica, fratello del sig. Vito Fusillo, amministratore della soc. FIMCO S.p.a.;
j) estraneità dell’asserito sviamento al giudicato formatosi sulla sentenza TAR Puglia n. 284/1998; impossibilità di prendere in considerazione in sede di giudizio meramente risarcitorio comportamenti produttivi dell’asserito danno non posti a base di precedente sentenza in giudizio di legittimità; violazione art. 2909 c.c., nonché artt. 20 e 21 l. n. 1034/1971; violazione del giudicato;
k) violazione art. 2056 c.c., nonché artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.;
l) violazione artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c.; art. 61 c.p.c.; art. 17 l. n. 255/2000 e 44 R.D. n. 1054/1924; mancato esperimento di consulenza tecnica e mancato controllo di congruità delle singole voci della pretesa risarcitoria; nonché erroneità della quantificazione della prima voce di danno (deprezzamento del valore di mercato del suolo); omessa motivazione; infondatezza della seconda voce di danno preteso (mancato guadagno) per i comportamenti acquiescenti nei confronti dell’autorizzazione alla struttura di vendita FIMCO e alla rinunzia all’appello sulla zonizzazione D; erronea quantificazione; infondatezza della terza voce di danno (mancato guadagno per edificazione in proprio);
m)mviolazione artt. 2943 e 2947 c.c., nonché art. 1219 c.c.; poiché “l’asserito credito risarcitorio avverso deve ritenersi comunque prescritto”.
Si è costituita in giudizio la Impresa eredi Fuzio, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza, e riproponendo i motivi del proprio appello incidentale avverso la medesima sentenza del TAR della Puglia n. 3067/2007:
– sia nella parte in cui questa non ha accolto integralmente la domanda risarcitoria contro la suddetta Regione per le tre voci di danno indicate sub a), b) e c) ed ha respinto la quarta voce di danno;
– sia, in via subordinata, per la condanna della Regione al risarcimento del danno per inadempimento degli obblighi sorti da contatto amministrativo procedimentale qualificato ovvero per colpevole ritardo nell’adempimento dei propri doveri con riferimento ai provvedimenti annullati con la precedente sentenza n. 284/1998.
All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
3. L’appello della Regione Puglia deve essere accolto, sia in relazione al primo motivo proposto, e precisamente in riferimento alla dedotta inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado per difetto di legittimazione attiva della Impresa eredi Fuzio, sia in relazione alla inammissibilità dei motivi subc), d), e) ed h) dell’esposizione in fatto.
Ai fini dell’esame delle questioni sottoposte alla cognizione del Collegio per il tramite dei motivi di appello, ciò che appare necessario è stabilire:
– quale sia la natura della posizione giuridica della cui lesione il giudice di primo grado ha disposto il risarcimento con la sentenza impugnata;
– se sussista una astratta possibilità di lesione di tale posizione giuridica per il tramite dell’esercizio (o del mancato/negato esercizio) di potere amministrativo e se, nel caso di specie, tale lesione si sia effettivamente verificata;
– se – sussistendo la lesione – l’azione di risarcimento del danno sia esperibile da soggetto diverso dal titolare della posizione di interesse legittimo effettivamente pregiudicato dal potere amministrativo;
– in caso di risposta affermativa a tale domanda, se tale posizione giuridica sia trasmissibile mortiscausa dal titolare della posizione giuridica ai suoi eredi, e, quindi, da questi ultimi con negozio intervivos ad una società in nome collettivo.
4. Orbene, la sentenza impugnata, precisato che nel caso sottoposto a giudizio ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 2043 c.c., afferma (pag. 4) che nel caso di specie “è evidente l’esistenza di un evento dannoso dell’interesse legittimo pretensivo della ditta Fuzio costituito dalla perdita della chance del rilascio della richiesta autorizzazione, in concorrenza con altra impresa, per la realizzazione di un centro commerciale integrato”.
Ciò in quanto con la precedente sentenza n. 284/1998, il TAR per la Puglia aveva annullato il P.R.G. di Andria, in parte qua (limitatamente alle modifiche regionali che sancivano il diniego di approvazione di destinazione a strutture commerciali, nonché ad attrezzature per il tempo libero, di un’area di proprietà del sig. Fuzio, destinazione invece prevista dal P.R.G. come adottato dal Comune di Andria), nonché gli atti di diniego di autorizzazione in ordine all’istanza presentata dal Fuzio per la realizzazione di un centro commerciale.
Orbene, secondo la sentenza del TAR di riconoscimento del risarcimento del danno, nel caso di specie ricorrono:
– una posizione di interesse legittimo pretensivo;
– la lesione di detta posizione;
– il risarcimento del danno da “perdita dichance”, consistente nel mancato ottenimento del “rilascio della richiesta autorizzazione”. In più, la sentenza – nell’escludere che vi sia “un autonomo e distinto danno al diritto di proprietà dei suoli, atteso che la richiamata sentenza n. 284/1998 ha restituito loro l’originaria destinazione urbanistica” – nega conseguentemente ogni ipotesi di sussistenza di interesse legittimo oppositivo e di lesione (e quindi di necessità di risarcimento) del medesimo.
Tali affermazioni della sentenza appellata non sono oggetto di contestazione e sono, dunque, da ritenere ormai elemento intangibile del thema decidendum.
Chiarita, quindi, la natura del danno (secondo la sentenza del TAR), occorre ancora sottolineare che, quanto all’attività posta in essere dall’amministrazione ed all’elemento soggettivo, nonché in ordine al nesso di causalità, la sentenza medesima si limita ad osservare (pag. 5), che “l’evento dannoso è inoltre imputabile a colpa dell’amministrazione, atteso che l’adozione e l’esecuzione degli atti illegittimi (approvazione con modifiche al PRG e rigetto della domanda di autorizzazione) è avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi” (e a tale fine è richiamata la violazione dell’obbligo di astensione da parte di un assessore regionale, in sede di approvazione della delibera impugnata).
5. Occorre inoltre precisare, al fine di una completa rappresentazione del thema decidendum della presente controversia che, successivamente alla sentenza n. 284/1998, sono intervenute:
– la sentenza TAR Puglia, sez. I, 17 febbraio 2000, n. 608, di esecuzione della precedente sent. n. 284/1998. Con il ricorso instaurativo di tale giudizio, il sig. Fuzio richiedeva, sia che fosse assegnato alla Regione Puglia un termine per il rinnovo del procedimento di rilascio di nulla–osta commerciale, presupponendosi che l’intervenuto annullamento consentisse di riesaminare “ora per allora” la richiesta di nulla-osta per l’insediamento del centro commerciale; sia di provvedere all’annullamento del nulla–osta regionale e della autorizzazione comunale, rilasciati alla soc. FIMCO per l’apertura di un centro commerciale al dettaglio nel Comune di Andria;
– la sentenza 16 ottobre 2002, n. 5619, di riforma della precedente, con la quale questo Consiglio di Stato, sez. V, ha rilevato l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il nulla-osta regionale rilasciato dalla Regione Puglia con delibera G.R. 2 maggio 1997, n. 120, sia in relazione al “pur rilevante difetto di interesse al coinvolgimento nell’impugnazione del menzionato nulla-osta” (definito come erroneamente coinvolto nell’attuale procedura di ottemperanza) sia “anche per l’accertato effetto dell’inoppugnabilità di tale nulla osta per l’avvenuto decorso del termine decadenziale per la sua possibile impugnazione”.
6. Tanto premesso, il Collegio deve innanzi tutto esaminare la sussistenza (o meno) della legittimazione ad agire della società ricorrente in primo grado.
Legittimazione che, per il tramite dei motivi di appello, è in sostanza contestata sotto una pluralità di aspetti, riferiti:
– sia alla trasmissibilità inter vivos – e, ancor prima, mortis causa in capo ai soggetti poi costituenti la società – della posizione giuridica che si ritiene essere stata lesa;
– sia alla sussistenza stessa di un titolo che fondi la legittimazione ad agire in risarcitorio (il che riguarda la verifica della natura e limiti della configurabilità di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo connesso ad esercizio di potere discrezionale).
Ai fini del decidere, appare, dunque, necessaria una preliminare riflessione in ordine alla conformazione dell’interesse legittimo ed alla tutela risarcitoria ad esso assicurata, ribadendo a tali fini quanto già affermato con sentenza 3 agosto 2011, n. 4644, dalle cui considerazioni non vi è motivo di discostarsi.
La Costituzione, come è noto, assicura (art. 24) il diritto alla tutela giurisdizionale sia per i diritti soggettivi sia per gli interessi legittimi, ribadendo (art. 113) che tale tutela giurisdizionale, nei confronti della pubblica amministrazione è tendenzialmente piena ed incondizionata, essendo essa “sempre ammessa” (comma primo) e non potendo essa “essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per particolari categorie di atti” (comma secondo, art. 113).
L’interesse legittimo, dunque, costituisce una posizione sostanziale della quale è titolare un soggetto e che esprime un interesse del soggetto medesimo ad un bene della vita (utilità), in collegamento con l’esistenza e l’esercizio di un potere della pubblica amministrazione (si veda, sul punto, almeno Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204).
Di modo che, allorché tale soggetto si ritenga leso dall’esercizio ovvero dal mancato esercizio del potere amministrativo, egli agisce in giudizio, attraverso l’impugnazione del provvedimento lesivo, non già per il ristabilimento della legittimità amministrativa violata – come pure risalentemente si è sostenuto – ma per la tutela di una situazione sua propria, che intende difendere da una compressione derivante dall’esercizio del potere amministrativo (interesse legittimo cd. oppositivo), ovvero, al contrario, che intende affermare attraverso l’esercizio, negato dall’amministrazione, del potere amministrativo (interesse legittimo cd. pretensivo).
Ciò che, quindi, caratterizza l’interesse legittimo – e che costituisce la differenza essenziale dello stesso dal diritto soggettivo – è la sua inerenza alla esistenza e, soprattutto, all’esercizio del potere amministrativo: l’interesse legittimo, infatti, non è percepibile sul piano, per così dire, “statico”, senza, cioè, che la pubblica amministrazione abbia esercitato o negato di esercitare, nei confronti del soggetto, il potere del quale essa è titolare.
Anzi, è appena il caso di osservare che proprio questa relazione “dinamica”, questa percezione dell’interesse legittimo non come una posizione sostanziale in sé considerabile, ma come posizione volta alla verifica del legittimo esercizio del potere amministrativo, con finalità di conservazione o di acquisizione di utilità giuridicamente rilevanti al proprio patrimonio giuridico, ha fatto spesso dubitare della stessa “sostanzialità” della posizione, essendosi talora ritenuto, che essa si risolva in una sorta di particolare forma di legittimazione ad adire il giudice, fondata non già su una posizione sostanziale, ma su una situazione di fatto, particolare e differenziata, in cui viene a collocarsi un soggetto nei confronti della pubblica amministrazione, rispetto a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento.
Peraltro, proprio questo aspetto “dinamico” di relazione con l’esercizio del potere amministrativo e, corrispettivamente, la connessa esigenza di tutela avverso un esercizio di potere non satisfattorio e ritenuto illegittimo, proprio tale aspetto, dunque, tende a confondere caratteristiche proprie della posizione sostanziale di interesse legittimo, con quelle della condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire.
Non a caso, quindi, allorché si esaminano le tradizionali caratteristiche dell’interesse – che si assume dover essere, secondo una triade d concetti ampiamente e tradizionalmente affermata, “personale, diretto ed attuale” (sostituendosi, in alcuni casi, all’aggettivo “diretto” quello di “concreto”) – si rileva che spesso, al di là delle formali enunciazioni, tali caratteristiche, in tutto o in parte, vengono di volta in volta attribuite ora all’interesse legittimo come posizione sostanziale, ora all’interesse a ricorrere come condizione dell’azione, e quindi come istituto processuale.
Per quel che interessa nella presente sede, occorre affermare che la posizione dell’interesse legittimo presuppone ed esprime necessariamente una relazione intercorrente tra un soggetto che ha (o intende ottenere) una determinata utilità (quella relazione, cioè, che viene riferita ad un “bene della vita”, terminologia fatta propria anche da Cass., Sez. Un., n. 500/1999), e la pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere ad essa attribuito dall’ordinamento giuridico.
Tale relazione, riguardata dalla posizione del privato, può essere:
– sia volta a conseguire un’utilitas consistente nel neutralizzare l’esercizio del potere amministrativo, a tutela di un patrimonio giuridico già esistente che verrebbe compresso dall’esercizio del potere amministrativo medesimo (situazione nella quale ormai si ritiene generalmente ricorrere quella species del genus interesse legittimo definibile quale interesse legittimo oppositivo e nell’ambito della quale la definizione di “bene della vita”, estremamente affine a quella di “bene” ex art. 810 c.c., non è suscettibile di determinare perplessità e/o fraintendimenti);
– sia volta ad ottenere l’esercizio del potere amministrativo negato dall’amministrazione, attraverso il quale si intende conseguire un ampliamento del proprio patrimonio giuridico (cd. interesse legittimo pretensivo), situazione nella quale il concetto di “utilitas”, più che costituire una specificazione del “bene della vita”, si presenta come concetto sostitutivo e più adeguato di questo, al fine di definire il “lato interno” e “sostanziale” della posizione giuridica del privato.
In ambedue le ipotesi, quindi, esiste un rapporto diretto ed immediato tra l’esercizio del potere amministrativo (e ciò in cui esso si sostanzia, cioè il provvedimento amministrativo) e l’interessato all’esercizio del potere medesimo. Tale relazione diretta si concretizza nel fatto che il provvedimento amministrativo ed suoi effetti interessano direttamente (ed univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in senso compressivo o ampliativo.
Il primo riflesso di tale relazione diretta ed immediata è rappresentato dalla cd. partecipazione procedimentale, dalla possibilità, cioè, riconosciuta a titolari di posizioni qualificate (dall’essere interessate all’esercizio del potere) al modo stesso, epifanico, del “farsi” del potere amministrativo, alla costruzione delle determinazioni della pubblica amministrazione, e ciò nella sede che rappresenta plasticamente il confronto e l’interrelazione tra il privato portatore di un interesse legittimo e l’amministrazione titolare di un potere pubblico, sede che è rappresentata, appunto, dal procedimento amministrativo.
Proprio in virtù della relazione diretta ed immediata che deve intercorrere tra potere amministrativo e posizioni di interesse legittimo, l’art. 7 l. n. 241/1990 individua i soggetti che, in quanto titolari di determinate posizioni che saranno interessate dal provvedimento finale, devono essere destinatari della comunicazione di avvio del procedimento, onde essere messi in condizione di partecipare al medesimo, svolgendovi attività riconducibile ad una forma di tutela – anticipata e “procedimentale” – della propria posizione giuridica.
Ed a fronte della chiara individuazione operata dal citato art. 7, il successivo art. 9 individua ancora – quali soggetti distinti dai precedenti – coloro che possono partecipare al processo in quanto vi hanno interesse. E ciò dimostra come, anche nell’ambito del procedimento amministrativo, l’esercizio del potere amministrativo non determina solamente posizioni indifferenziate, tutte riconducibili all’interesse legittimo, e come tali tutte meritevoli dell’identica tutela a questo riconosciuta.
Ulteriore riflesso della relazione diretta ed immediata tra soggetto titolare di interesse legittimo e pubblica amministrazione è rappresentato dal potere di agire in giudizio per la tutela del proprio interesse legittimo compromesso dall’esercizio o dal mancato esercizio (provvedimento negativo) del potere amministrativo.
Il giudizio amministrativo, nella sua forma di giudizio impugnatorio di atti, tende ad assicurare al soggetto che si ritiene leso un vantaggio, che, attraverso l’eliminazione del provvedimento lesivo, consiste o nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico (situazione tipica allorché si è in giudizio per la tutela di c.d. interessi legittimi oppositivi), ovvero nel conseguire (o tentare di conseguire) attraverso l’esercizio del potere amministrativo un ampliamento del proprio patrimonio giuridico (con margini di minore o maggiore certezza, a seconda che tale ampliamento derivi dall’esercizio di potere discrezionale o vincolato, e che dunque si riflettono sulla caratterizzazione ontologica dell’ “utilitas”).
Ma, in ambedue le ipotesi, l’effetto proprio della sentenza costitutiva di annullamento si produce direttamente sul patrimonio giuridico del soggetto che ha instaurato – volente o nolente – una particolare relazione con la pubblica amministrazione, vuoi perché è l’amministrazione stessa che, unilateralmente e procedendo ex officio, ha intercettato la sua situazione giuridica, vuoi perché, al contrario, è stato il soggetto, attraverso una propria iniziativa di avvio procedimentale, a postulare l’esercizio (poi negato) del potere amministrativo.
Alla luce di quanto sin qui esposto, può allora affermarsi che le caratteristiche di “personale” e “diretto”, che devono assistere l’interesse legittimo, svolgono, sul piano sostanziale, anche il ruolo di definire l’ambito della (possibile) titolarità della posizione giuridica, il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell’ordinamento giuridico.
Nell’ambito della situazione dinamica in cui si pone l’esercizio del potere amministrativo, dunque, l’interesse è “personale” in quanto esso si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, non è trasferibile né è consentito al soggetto ampliarne o comunque modificarne l’ambito di titolarità (inter vivos o mortis causa); ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l’esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell’atto e/o per avere nei confronti dell’atto una posizione opposta (speculare) a quella del destinatario diretto).
Da ciò consegue che non possono esservi posizioni di interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione in esercizio del potere amministrativo conferitole dall’ordinamento, che non siano quelle (e solo quelle) che sorgono per effetto dello stesso statuto normativo del potere, nell’ambito del rapporto giuridico di diritto pubblico, (pre)configurato normativamente. Allo stesso tempo, non può esservi titolarità di interesse legittimo che trovi la propria fonte in rapporti giuridici di diritto privato (quale che ne sia la fonte, contrattuale o meno) intercorrenti con il titolare (in modo personale e diretto) della predetta posizione di interesse legittimo.
La “personalità” dell’interesse legittimo, che ne determina la “intrasferibilità”, definisce anche il confine stesso della posizione tutelabile e, dunque, ove ne ricorrano i presupposti, “risarcibile”.
Fermo quanto si dirà più specificamente in seguito, ogni possibile riparazione della posizione di interesse legittimo non può che definirsi se non in relazione al titolare della medesima al momento dell’esercizio o del mancato/rifiutato esercizio del potere amministrativo.
In altre parole, se non è possibile ipotizzare una “circolazione” della posizione di interesse legittimo, non è allo stesso modo possibile ipotizzare la circolazione delle forme di tutela del medesimo, con il connesso potere di agire in giudizio, sia al fine di ottenere tutela ripristinatoria, sia al fine di ottenere tutela risarcitoria.
Laddove, dunque, gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all’interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità, l’ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l’azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice.
In definitiva, può affermarsi che il rapporto intercorrente tra un soggetto ed un bene della vita (utilità) costituisce il cd. “lato interno” della posizione sostanziale di interesse legittimo, laddove la relazione intercorrente tra soggetto e pubblica amministrazione, avente riferimento al medesimo bene, costituisce il cd. lato esterno di tale posizione (una particolare forma di “rapporto giuridico”).
Come si è detto, è l’esistenza della posizione giuridica così strutturata che determina una pluralità di situazioni, quali la partecipazione procedimentale (definibile anche come tutela anticipata della posizione nel procedimento). È tale posizione giuridica, nei sensi sopra descritti, che legittima al ricorso avverso l’atto amministrativo lesivo, se ed in quanto, attraverso l’annullamento dell’atto, si conserva o consegue (o si può conseguire, anche attraverso il riesercizio del potere amministrativo) quella utilità d cui si è, o si ritiene di dovere diventare, o si intende diventare, “titolare”.
Ma l’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico, come si è già avuto modo di osservare, devono derivare direttamente dall’esercizio del potere amministrativo. Tale situazione risulta evidente in ambedue le specie di interesse legittimo, in quanto:
– nell’interesse legittimo oppositivo, la sfera giuridica collegata all’esercizio del potere amministrativo è direttamente risultante dalla stessa tipologia del potere amministrativo esercitato e dalle finalità di interesse pubblico che l’amministrazione intende perseguire; essa, dunque, si può dire che è individuata dalla stessa amministrazione, allorché il procedimento amministrativo è avviato ex officio (senza, normalmente, intercettare la presenza di controinteressati). Sul piano processuale, tale situazione da luogo a impugnazione di provvedimenti amministrativi e, normalmente, a sentenze di annullamento cd. autoesecutive;
– nell’interesse legittimo pretensivo, invece, la sfera giuridica che si collega all’esercizio del potere amministrativo ampliativo della medesima non può che essere quella del soggetto che, trovandosi in una determinata situazione, postula, in virtù di una pluralità di presupposti (normativamente previsti ed in fatto riscontrati), l’esercizio del potere amministrativo, nell’ambito di un procedimento con avvio ad istanza di parte. È a tale situazione che corrisponde spesso anche la presenza di ulteriori posizioni sostanziali (di interesse legittimo oppositivo rispetto all’emanazione dell’atto postulato) proprie dei c.d. controinteressati. Sul piano processuale, il giudizio impugnatorio ha ad oggetto provvedimenti negativi (o cd. silenzi-inadempimento), al fine di ottenere – anche, se necessario, per il tramite del giudizio di ottemperanza – l’esercizio già negato (o non ottenuto) del potere amministrativo.
Alla luce di quanto esposto, appare dunque possibile affermare che, laddove, a seguito di un procedimento amministrativo conseguente ad una istanza proposta dal soggetto interessato, l’amministrazione emani un provvedimento negativo, neghi cioè al soggetto istante il provvedimento (autorizzatorio, concessorio) da questi richiesto, è l’interesse legittimo pretensivo del richiedente insoddisfatto ad essere stato leso (ovviamente, laddove l’atto sia illegittimo) ed è quindi l’istante insoddisfatto l’unico soggetto legittimato a richiedere, attraverso il ricorso impugnatorio del provvedimento medesimo, la tutela giurisdizionale.
Allo stesso modo, nel caso di provvedimenti che incidono sul patrimonio giuridico preesistente dell’interessato, non può che essere tale soggetto il conseguente titolare della posizione di interesse legittimo, fondante legittimazione attiva ed interesse ad agire in giudizio, onde ottenere tutela del bene della vita dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo.
7. Le categorie ricostruttive della posizione di interesse legittimo ricevono nuova e diversa consistenza alla luce della dualità delle “tecniche di tutela” apprestate per detta posizione, essendosi affiancata alla tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento dell’atto illegittimo ovvero dalla declaratoria di illegittimità del cd. silenzio inadempimento, l’ulteriore forma di tutela rappresentata dal risarcimento del danno patito dalla posizione medesima, e che non trova riparazione (in tutto o in parte) né con l’eliminazione dell’atto dal mondo giuridico, né attraverso la reiterazione dell’esercizio del potere amministrativo.
Innanzi tutto, si è già detto come la “personalità” dell’interesse legittimo determina che ogni possibile riparazione della medesima non può che definirsi se non in relazione al titolare della medesima al momento della manifestazione del potere amministrativo.
Ciò comporta, come è ovvio, immediate conseguenze in ordine alla “delimitazione” delle condizioni dell’azione consistenti in legittimazione ed interesse ad agire.
La natura “dinamica” dell’interesse legittimo determina che esso si manifesta solo in riferimento all’attivazione del potere amministrativo e persista non solo fino al “compimento” del medesimo per il tramite del provvedimento amministrativo, ma anche fin dove è riconosciuta al suo titolare (individuato, anche temporalmente, nei modi sopra descritti) la tutela giurisdizionale.
Ma, come si è detto, la “cristallizzazione” della titolarità dell’interesse legittimo in capo al soggetto che ne è titolare comporta che non vi possono essere né trasmissione della stessa titolarità, né conseguente diversa legittimazione ad agire
Ciò non comporta che, nelle ipotesi in cui in pendenza di termine per il ricorso giurisdizionale avverso provvedimento amministrativo il titolare dell’interesse legittimo venga a mancare, i suoi aventi causa non siano legittimati all’impugnazione dell’atto.
Quanto alla tutela ripristinatoria, occorre distinguere tra casi in cui il “contatto” tra interessato e potere amministrativo è intervenuto in riferimento ad aspetti del suo patrimonio giuridico in cui sono possibili fenomeni di successione, da casi in cui tale contatto attiene a profili personali, e non trasmissibili, dello stesso patrimonio giuridico.
Tale distinzione non consegue, necessariamente, a quella tra interesse legittimo oppositivo ed interesse legittimo pretensivo (e in qualche misura evidenzia i limiti di una classificazione troppo generale).
Così come è ammissibile il ricorso degli aventi causa del proprietario del suolo espropriato, venuto a mancare in pendenza del termine decadenziale per ricorrere, altrettanto non può dirsi per gli eredi del soggetto/pubblico dipendente trasferito di autorità: pur trattandosi, in entrambe le ipotesi, di interessi legittimi tradizionalmente classificabili come “oppositivi”.
Allo stesso modo, mentre è ammissibile il ricorso proposto dagli aventi causa del proprietario cui è stato negato il permesso di costruire avverso tale atto di diniego, non può ritenersi altrettanto ammissibile il ricorso degli aventi causa di un soggetto escluso dalla partecipazione ad un pubblico concorso: ed in queste ipotesi – sempre secondo tradizionali classificazioni – si è sempre in presenza di interessi legittimi pretensivi.
In definitiva, nelle ipotesi ora descritte, la trasmissibilità della posizione afferente al patrimonio giuridico “intercettata” dal potere amministrativo – che si presenta per lo più quale diritto soggettivo – determina anche l’assunzione della titolarità della posizione di interesse legittimo; rende possibile l’esercizio del potere di azione (ai fini dell’instaurazione del giudizio) e spiega anche la piena ammissibilità dei fenomeni di successione processuale, ex art. 110 c.p.c.
Diversamente opinando, si otterrebbe che eventi esterni (come il decesso del titolare) determinerebbero un vulnus di tutela non solo dell’interesse legittimo, ma (anche e soprattutto) del diritto soggettivo ad esso preesistente.
Riguardato il fenomeno da altra angolazione, può affermarsi che è l’inerenza della posizione giuridica ad un “bene”, ai sensi dell’art. 810 c.c. (del quale si vuole tutelare la consistenza da potere amministrativo ovvero esaltarne la potenzialità attraverso l’esercizio del medesimo), che determina – ai limitati fini dell’esercizio dell’azione ripristinatoria – la titolarità dell’interesse legittimo e, dunque, legittimazione ed interesse ad agire
Laddove, invece, il “bene della vita” si presenta come mera utilitas, come possibilità di ottenere un “risultato utile” dall’esercizio del potere amministrativo, senza che ciò intercetti ambiti già definiti del patrimonio giuridico del soggetto istante, non può ammettersi alcuna possibilità di esercizio del potere di azione (di annullamento) a tutela dell’interesse legittimo pretensivo. E ciò proprio perché vi è intrasmissibilità di detta posizione giuridica e non vi è alcuna (corrispondente) circolazione di altra, distinta situazione soggettiva.
8. Considerazioni differenti ed ulteriori devono essere sviluppate per la tutela risarcitoria.
Tale forma di tutela – oggi riconosciuta dal Codice del processo amministrativo (artt. 7 e 30) – è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale (sent. 6 luglio 2004, n. 204), non già come una nuova materia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma “uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione”.
Ha aggiunto la Corte che “l’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato (…) ma anche e soprattutto essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri e certamente il superamento della regola (…) che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l’eventuale risarcimento del danno”.
La stessa Corte Costituzionale, con la successiva sentenza 11 maggio 2006, n. 191 – riconosciuta la legittimità di un sistema che “riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione” – ha affermato che “è irrilevante la circostanza che la pretesa risarcitoria abbia (…) o non abbia intrinseca natura di diritto soggettivo, avendo la legge, a questi fini, inequivocabilmente privilegiato la considerazione della situazione soggettiva incisa dall’illegittimo esercizio della funzione amministrativa”.
Per un verso, quindi, la tutela risarcitoria attribuita al giudice amministrativo non necessariamente riguarda interessi legittimi (rientrando in questo caso nella giurisdizione generale di legittimità, ex art. 7, co. 4, c.p.a.) ma anche diritti soggettivi, nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva (art. 7, co. 5, c.p.a.); per altro verso, essa si presenta – pur nella ormai riconosciuta possibilità di proposizione diretta della domanda risarcitoria (Cass., Sez. Un. nn. 13659 e 13660/2006, n. 30254/2008; ora art. 30, co. 3, c.p.a.), – come condizionata dalle possibilità di tutela ripristinatoria tradizionalmente offerta dall’ordinamento giuridico.
In linea generale, ciò consegue alla natura stessa della tutela risarcitoria che, in quanto forma di riparazione per equivalente di un danno non altrimenti ristorabile, sconta ontologicamente una sorta di “succedaneità” rispetto a forme più piene di tutela
Più in particolare, essa è iscritta nelle stesse norme dell’art. 30, laddove (comma 3, secondo periodo), si prevede che “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
Alla luce di tale disposizione, è del tutto evidente che non è possibile riconoscere alcuna tutela risarcitoria a quei danni che, pur ritenuti sussistenti, ben avrebbero potuto in primis ottenere completa tutela attraverso il normale esercizio dell’azione di annullamento, e, quindi, l’eliminazione dell’atto illegittimo e la (eventuale, ove possibile e necessaria) reiterazione dell’esercizio del potere amministrativo.
Occorre, dunque, affermare che:
– per un verso, l’azione di annullamento ben può accompagnarsi o comunque “anticipare” l’azione risarcitoria, e la domanda a quest’ultima connessa troverà accoglimento nella misura in cui – annullato l’atto – residuino profili ulteriori di danno non riparati con la pronuncia costitutiva;
– per altro verso, l’azione risarcitoria autonoma, scontando la rinuncia all’azione di annullamento, presenta margini di accoglimento, subordinati alla verifica della sussistenza di profili di danno non riparabili avverso altri strumenti di tutela, in primis attraverso la (non proposta) domanda di annullamento dell’atto.
Tali profili di danno da ultimo indicati finiscono, nella sostanza, per coincidere con i medesimi profili (non riparati) che il giudice avrebbe considerato in caso di proposizione della domanda di risarcimento in via cumulativa con la domanda di annullamento, o in via successiva a quest’ultima.
Né l’azione risarcitoria ex art. 30 può essere utilizzata per richiedere il risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione, poiché a tanto provvede l’art. 112, comma 3, c.p.a., per un verso prevedendo uno specifico tipo di azione di ottemperanza, per altro verso – ancora una volta – presupponendo, prima di dare ingresso all’azione risarcitoria, l’impossibilità (anche per fatti sopravvenuti) di altre forme di “soddisfazione” della posizione giuridica lesa.
Mentre l’azione autonoma di risarcimento ex art. 30 si riferisce a profili di danno conseguenti in via originaria all’esercizio illegittimo del potere (e non riparati dalla pronuncia di annullamento), l’azione ex art. 112, co. 3, c.p.a. si riferisce (nel suo primo aspetto) alla necessità di assicurare una forma di soddisfazione al soggetto che non può trarre, per ragioni diverse (e comunque estranee al giudizio cognitorio concluso), piena soddisfazione dallo stesso giudicato di annullamento.
Orbene, alla luce di quanto esposto, occorre affermare che, anche con riferimento all’azione risarcitoria, la “cristallizzazione” della titolarità dell’interesse legittimo in capo al soggetto che ne è titolare comporta che non vi possono essere né trasmissione della stessa titolarità, né. conseguente diversa legittimazione ad agire
Ma proprio perché innanzi al giudice amministrativo possono proporsi domande di risarcimento del danno non necessariamente riferite ad interessi legittimi, e tuttavia perfettamente rientranti nella giurisdizione di questo giudice (sent.. nn. 204/2004 e 191/2006 cit.), occorre tenere ben distinti i casi in cui chi agisce (o succede nel processo) chiede il risarcimento del danno subito da una sua posizione giuridica preesistente al contatto con il potere amministrativo, dai casi in cui la domanda risarcitoria attiene ad una “perdita di chance” individuale.
In quest’ultimo caso, la domanda non si fonda su alcuna preesistente posizione che si assume lesa, ma essa deriva esclusivamente da un non corretto esercizio (in senso ampliativo) del potere amministrativo, lesivo quindi di un interesse legittimo pretensivo sorto proprio in occasione dell’esercizio di detto potere, nei sensi innanzi rappresentati.
In definitiva:
– mentre nel primo caso non vi è alcuna difficoltà ad ammettere la legittimazione all’azione da parte di aventi causa del titolare dell’interesse legittimo (perché, in realtà, tale legittimazione non consegue ad alcun trasferimento di titolarità di tale posizione), e ciò sia che essi intendano proporre una azione autonoma di risarcimento, sia che propongano azione risarcitoria successiva all’annullamento dell’atto (a seguito di azione proposta dal dante causa), sia, infine, che succedano in uno di tali rapporti processuali;
– nel secondo caso tale legittimazione non può che essere esclusa, proprio in ragione della personalità (e intrasmissibilità) dell’interesse legittimo.
Diversamente opinando, si perverrebbe al risultato di concedere, in sede risarcitoria, una tutela maggiore di quella concedibile in sede ripristinatoria, riconoscendo una legittimazione, più ampia se non diversa, in sede risarcitoria rispetto alla ripristinatoria.
9. Nel caso di specie, l’azione di risarcimento del danno è stata proposta dalla empresa Eredi Fuzio, che risulta – come esposto dalla stessa appellata (v. pag. 5 memoria 22 giugno 2009) – dalla regolarizzazione della comunione ereditaria tra gli eredi di Fuzio Nicola, con ricorso notificato il 25 ottobre 2006 (ovviamente, dopo il decesso del sig. Fuzio Nicola).
Alla luce dei principi sopra esposti, il Collegio deve rilevare il difetto di legittimazione attiva della società, sia in quanto tale difetto di legittimazione era già riscontrabile in capo ai singoli aventi causa del sig. Fuzio Nicola (non essendo trasmissibile la posizione di interesse legittimo pretensivo), sia in quanto non poteva esservi alcun ulteriore trasferimento di posizione giuridica ad una costituenda società.
A tali fini, non rileva quanto osservato dall’appellata, e cioè essere essa stata parte del giudizio di appello proposto avverso la sentenza n. 284/1998 “di annullamento degli atti amministrativi, presupposti del giudizio risarcitorio, di cui il Consiglio di Stato prendeva atto nella sentenza n. 7926 del 27 dicembre 2006” (giudizio poi conclusosi dando atto delle rinunce).
Posto che l’esercizio in tempi diversi dell’azione di annullamento e di quella risarcitoria, rende autonomi i due giudizi, con la conseguenza che l’eventuale, intervenuto riconoscimento della legittimazione nel primo giudizio non spiega alcun effetto (vincolante per il giudice) nel secondo giudizio, come questo Collegio ha avuto modo di osservare, mentre è ammissibile – nei limiti sopra esposti – la successione nella posizione processuale del giudizio di annullamento, poiché la trasmissibilità della posizione afferente al patrimonio giuridico “intercettata” dal potere amministrativo – che si presenta per lo più quale diritto soggettivo (in questo caso il diritto di proprietà del suolo oggetto di pianificazione urbanistica) – determina anche l’assunzione della titolarità della posizione di interesse legittimo (pretensivo), e ciò fin tanto che il giudizio non definisce la natura, il contenuto e gli esiti delle due posizioni giuridiche, non altrettanto può dirsi in relazione alla legittimazione alla azione risarcitoria.
Ciò in quanto la “perdita di chance” individuale, collegata come essa è alla “personalità” dell’interesse legittimo al momento in cui esso è intercettato dall’esercizio del potere amministrativo, afferisce ad una posizione giuridica non trasmissibile, e che, dunque, non può formare oggetto né di trasferimento mortis causa, né di conferimento in società, per il tramite di regolarizzazione della comunione incidentale ereditaria in società in nome collettivo.
Nel caso di specie, il dante causa non era titolare di un diritto di credito (come intende, invece, sostenere l’appellata (v. pagg. 8 ss. memoria, dove si discute di “credito risarcitorio”), poiché non era intervenuto né alcun accertamento, nei confronti del dante causa, di una lesione di una sua posizione di interesse legittimo, né tantomeno alcuna quantificazione della somma.
È appena il caso di ricordare che la pronuncia di annullamento, nel mentre assicura la tutela ripristinatoria dell’interesse legittimo leso dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo, non contiene alcun accertamento dell’illiceità della condotta dell’amministrazione, non potendosi apoditticamente attribuire alla verificata illegittimità degli atti adottati, anche una “automatica” produttività di danno ingiusto e, come tale, postulante il risarcimento (sempre che, come si è sopra chiarito, tale danno non abbia già trovato il suo ristoro con l’annullamento dell’atto ed il riesercizio del potere).
Poiché, dunque, non vi era alcun “diritto di credito” nel patrimonio del de cuius e poiché non è trasmissibile la posizione di interesse legittimo pretensivo, della quale lo stesso era titolare, non può riconoscersi legittimazione attiva agli aventi causa del medesimo, in ordine all’azione di risarcimento del danno.
10. Quanto sin qui esposto, appare sufficiente a sorreggere la declaratoria di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Tuttavia, il Collegio ritiene che sussista anche la fondatezza dei motivi di cui alle lettere c), d) ed e) dell’esposizione in fatto, con i quali, in sostanza, si contesta la sussistenza stessa di un titolo che fondi la legittimazione ad agire in risarcitorio
Come si è già detto, ciò rende necessaria:
– sia, in generale, la verifica della natura e limiti della configurabilità di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo connesso e/o derivante da esercizio di potere discrezionale;
– sia, in particolare, la sussistenza delle condizioni, ora richieste dall’art. 30 c.p.a., ma già presenti nel sistema processuale amministrativo, per la proponibilità di una domanda risarcitoria.
Giova, innanzi tutto, ricordare che la sentenza impugnata, onde procedere al riconoscimento del risarcimento del danno in favore della parte appellata, osserva solamente che “l’evento dannoso è inoltre imputabile a colpa dell’amministrazione, atteso che l’adozione e l’esecuzione degli atti illegittimi (approvazione con modifiche al PRG e rigetto della domanda di autorizzazione) è avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi” (e a tale fine è richiamata la violazione dell’obbligo di astensione da parte di un assessore regionale).
Orbene, in linea generale, come ha affermato la Corte di Cassazione (Sez. Un., 23 marzo 2011, n. 6594), “la giurisdizione amministrativa è dunque ordinata ad apprestare tutela – cautelare, cognitoria ed esecutiva – contro l’agire della pubblica amministrazione, manifestazione di poteri pubblici, quale si è concretato nei confronti della parte, che in conseguenza del modo in cui il potere è stato esercitato ha visto illegittimamente impedita la realizzazione del proprio interesse sostanziale o la sua fruizione.
Dei poteri che al giudice amministrativo è stato dato di esercitare per la tutela degli interessi sacrificati dall’agire illegittimo della pubblica amministrazione, dal D.Lgs. n. 80 del 1998, in poi, ha iniziato a far parte anche il potere di condanna al risarcimento del danno, in forma di completamento o sostitutiva: risarcimento che è perciò volto a contribuire ad elidere le conseguenze di quell’esercizio del potere che si è risolto in sacrificio illegittimo dell’interesse sostanziale del destinatario dell’atto”.
Sempre secondo la Suprema Corte:
“la attrazione della tutela risarcitoria nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo può verificarsi esclusivamente qualora il danno, patito dal soggetto che ha proceduto alla impugnazione dell’atto, sia conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.) della illegittimità dell’atto impugnato; pertanto, qualora si tratti di atto o provvedimento rispetto al quale l’interesse tutelabile è quello pretensivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, perché vittima di danno ricollegabile con nesso di causalità immediato ediretto al provvedimento impugnato, è colui che si è visto, a seguito di una fondata richiesta, ingiustamente negare o adottare con ritardo il provvedimento amministrativo richiesto; qualora si tratti di atto o provvedimento amministrativo rispetto al quale l’interesse tutelabile si configura come oppositivo, il soggetto che può chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo è soltanto colui che è portatore dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio, che vengono direttamente pregiudicati dall’atto o provvedimento amministrativo contro il quale ha proposto ricorso. Soltanto in queste situazioni la tutela risarcitoria si pone come tutela consequenziale e comporta, quindi, la concentrazione della fase del controllo di legittimità dell’azione amministrativa e quella della riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, dinanzi all’unico giudice amministrativo”.
Anche in coerenza con quanto affermato dalla Corte di Cassazione, questo Consiglio di Stato deve rilevare che, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il danno è risarcibile soltanto laddove esso consiste in un danno/evento ingiusto, tale essendo quello consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva.
Deve trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela e che inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale.
Tale danno ingiusto deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato, e, nel caso in cui la posizione di interesse legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, esso deve concernere l’ingiusto diniego o la ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto, allorché vi sono fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe dovuto ottenerlo.
Secondo questo Consiglio di Stato (sez. V, 2 febbraio 2008, n. 490) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.
In tal senso, la giurisprudenza ha ancorato il risarcimento del danno cd. “da perdita di chance” a indefettibili presupposti di certezza dello stesso, escludendo il caso in cui l’atto, ancorché illegittimo, abbia determinato solo la perdita di una “eventualità” di conseguimento del bene della vita. Ed infatti, in tale ultimo caso, risulta pienamente esaustiva la tutela ripristinatoria offerta dall’annullamento e dalle sue conseguenze (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004, n. 5440; sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1014; sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4628; Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007, n. 15947).
In ogni caso, non si è ritenuto configurabile un danno risarcibile per equivalente, allorché, per effetto dell’annullamento del provvedimento amministrativo (nel caso considerato, aggiudicazione), vi sia ripetizione della attività amministrativa, e quindi il ripristino della chance del concorrente (Cons. Stato, sez. V, 28 agosto 2009, n. 5105).
Quanto al requisito soggettivo della colpa, questa deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni ad essa imputabili (anche alla luce del potere discrezionale concretamente esercitato), delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3827).
In definitiva, può affermarsi che, nelle ipotesi di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, la prova dell’esistenza del medesimo interviene in base ad una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua “certezza”, la quale presuppone:
– in primis, l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale della quale possa assumersi essere intervenuta una lesione; e laddove vi è esercizio di potere tale posizione sostanziale è l’interesse legittimo;
– in secondo luogo, l’esistenza di una lesione, che sussiste sia laddove questo possa essere a tutta evidenza e concretamente riscontrato, sia laddove vi sia “una rilevante probabilità del risultato utile” frustrata dall’agire illegittimo dell’amministrazione.
Quanto a questo secondo aspetto, l’esame della sussistenza del danno da perdita di chance interviene:
– o attraverso la constatazione in concreto della sua esistenza, ottenuta attraverso elementi probatori (ad esempio, con riferimento alle gare d’appalto, si è in presenza di un contratto eseguito o in esecuzione, che avrebbe dovuto essere certamente eseguito da una diversa impresa, in luogo di quella beneficiaria di aggiudicazione illegittima);
– o attraverso una articolazione di argomentazioni logiche, che, sulla base di un processo deduttivo rigorosamente sorvegliato, inducono a concludere per la sua sussistenza;
– ovvero ancora attraverso un processo deduttivo secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, del c.d. “più probabile che non” (Cass. civ., n. 22022/2010), e cioè “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010).
Nel caso dei procedimenti amministrativi volti ad attribuire maggiori “potenzialità” all’interessato ed al suo patrimonio giuridico (come nell’ipotesi di procedimenti di concorso, ovvero come nel caso di specie relativo a pianificazione urbanistica) la posizione giuridica sostanziale assurge sicuramente ad interesse legittimo (pretensivo).
Tali situazioni giuridiche, tuttavia, possono ricevere tutela – sol che il titolare la richieda onerandosi del rispetto delle norme procedurali previste – eminentemente sul piano ripristinatorio, mediante annullamento del provvedimento illegittimo e, prima ancora, mediante l’adozione di provvedimenti cautelari da parte del giudice.
Ciò in quanto, nell’interesse legittimo pretensivo, come si è già avuto modo di affermare, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione) non è un “bene” già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un’utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4644, cit.).
È del tutto evidente che l’illegittimo esercizio del potere comporta un vulnus per la posizione giuridica di interesse legittimo. Ma tale vulnus – afferendo, a tutta evidenza, ad una situazione dinamica di possibilità di conseguimento di una utilitas – non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio, per mezzo, cioè, dell’annullamento dell’atto, che consente il riesercizio del potere amministrativo, e quindi il ristabilirsi della “chance di conseguimento dell’utilità finale”.
E ciò con la sola eccezione – come affermano le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 6594/2011 cit.; ma in tal senso già la sent. n. 500/1999) – di ipotesi di istanze obiettivamente fondate, tali definibili sulla base della situazione concreta dell’istante, dell’assetto normativo applicabile al caso di specie, e del concreto modus agendi, in ipotesi analoghe, della pubblica amministrazione.
Peraltro, nelle ipotesi nelle quali, per effetto dell’annullamento dell’atto, è possibile un nuovo esercizio di potere amministrativo, la giurisprudenza esclude la possibilità di accordare tutela risarcitoria (Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854; 24 gennaio 2011, n. 462).
A maggior ragione, il mero interesse procedimentale, l’interesse alla correttezza della complessiva gestione del procedimento da parte dell’amministrazione secondo le regole che lo governano, si pone come situazione meramente strumentale alla tutela di una posizione di interesse legittimo. Pertanto, esso non solo non è risarcibile in sé (in quanto, diversamente opinando, si costruirebbe l’interesse legittimo come generica pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa), ma rifluisce nella più generale considerazione dell’interesse legittimo pretensivo (al quale è strumentale), e degli strumenti di tutela per questo esperibili.
Il risultato interpretativo ora esposto non costituisce, peraltro, una “singolarità” dell’interesse legittimo e delle sue possibilità di tutela risarcitoria.
Al contrario, esso sembra trovare indiretta conferma nella giurisprudenza, anche del giudice civile, in tema di responsabilità precontrattuale, dove (peraltro con ben più accentuato fondamento) uno dei potenziali contraenti confida nella positiva conclusione del contratto (e quindi potrebbe dirsi – volendo utilizzare un linguaggio tipicamente riferito all’interesse legittimo – confida nel conseguimento dell’utilitas rappresentata dalla positiva conclusione del contratto, così come, analogamente, il candidato confida nella positiva – per sé – conclusione del concorso, ovvero il proprietario nella positiva conclusione del procedimento di pianificazione urbanistica che attribuisce al suo immobile nuove potenzialità edificatorie).
Ebbene, in questi casi, civilisticamente disciplinati – che pure sono fondati sul ben più pregnante affidamento ingenerato in uno dei potenziali contraenti dal comportamento dell’altra parte, e per i quali non è ovviamente prevista alcuna altra forma di tutela, e segnatamente quella ripristinatoria – la giurisprudenza àncora il risarcimento del danno al cd. “danno emergente per spese sostenute” (oltre alle eventuali occasioni contrattuali perse, in ordine alle quali occorre fornire prova rigorosa); e ciò in quanto questo si colloca nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 1977, n. 73; Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2008, n. 6264).
Esula, dunque, dalla ricostruzione del danno risarcibile, ogni profilo di “lucro cessante” (cui occorre riportare il danno da perdita di chance).
11. A fronte di quanto esposto, occorre innanzi tutto osservare come la sentenza impugnata ometta ogni considerazione in ordine al riscontro dell’esistenza di un danno ingiusto determinato da condotta colpevole dell’Amministrazione, per il tramite dell’adozione di propri atti, limitandosi essa meramente ad osservare che “l’evento dannoso è inoltre imputabile a colpa dell’amministrazione, atteso che l’adozione e l’esecuzione degli atti illegittimi (approvazione con modifiche al PRG e rigetto della domanda di autorizzazione) è avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi”.
Tale motivazione, come appare evidente, non è ex se idonea a sorreggere una pronuncia di accertamento della sussistenza di un danno ingiusto imputabile all’Amministrazione e la conseguente condanna di quest’ultima al suo risarcimento.
Infatti, la mera enunciazione di profili di illegittimità dell’atto annullato non può costituire, in difetto del riscontro degli ulteriori aspetti fondanti la responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., criterio sufficiente per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.
Il Collegio ritiene, in proposito, di dover ribadire che, ai fini dell’accertamento della responsabilità aquiliana della p.a., non è sufficiente da un lato individuare il profilo dell’interesse legittimo del quale si assume essere intervenuta la lesione, e dall’altro lato, sottolineare gli aspetti di illegittimità degli atti oggetto di annullamento.
Occorre a ciò aggiungere, inoltre, come in ogni giudizio teso all’accertamento della predetta responsabilità, la verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo e, soprattutto, il nesso di causalità intercorrente tra condotta ed evento.
Non vi è infatti motivo di adottare, nei confronti della pubblica amministrazione, criteri di giudizio diversi da quelli richiesti dalla norma, ordinariamente applicabili nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento.
Per le ragioni esposte, risulta, dunque, fondato il motivo di appello sub h) dell’esposizione in fatto.
12. Fermo quanto sin qui enunciato, il Collegio rileva come, nel caso di specie, non vi siano ragioni per riconoscere la presenza di una posizione giuridica oggetto di lesione.
Innanzi tutto, occorre rilevare come, nel corso del giudizio, si sia verificata una sorta di “sovrapposizione” tra posizioni giuridiche soggettive, tutte facenti capo al sig. Fuzio, il che ha inciso sulla configurazione stessa della condotta lesiva e del nesso di causalità. Ed infatti:
– in primo luogo, il sig. Fuzio era titolare di una posizione di interesse legittimo pretensivo ad ottenere una migliore destinazione delle aree di sua proprietà, posizione peraltro insorta solo nel corso del procedimento di pianificazione;
– in secondo luogo, e solo una volta ottenuta tale più favorevole zonizzazione, il sig. Fuzio era (sarebbe stato) titolare di un interesse legittimo pretensivo ad ottenere i titoli autorizzativi dell’attività edilizia consentita (centro commerciale).
Mentre la sentenza n. 284/1998 ha esaustivamente tutelato la prima posizione giuridica, mediante l’annullamento dell’atto con il quale la Regione non ha approvato la migliore destinazione impressa ai suoli di proprietà Fuzio da parte del potere pianificatorio del Comune, appare del tutto evidente come la seconda di dette posizioni (altrettanto tutelata con l’annullamento dei primi atti di diniego), si assume in realtà lesa solo per effetto di un ulteriore diniego del titolo edilizio: quest’ultimo diniego non (più) fondato sulla mancanza di destinazione urbanistica del suolo (come nel caso esaminato dalla sentenza n.284/1998), bensì sulla diversa ipotesi dell’intervenuto esaurimento delle potenzialità di destinazione della zona a centro commerciale
Erroneamente, quindi, la sentenza collega l’ “evento danno” ad “una condotta positiva della Regione Puglia, individuabile nella delibera G.R. n. 2951 del 26 giugno 1995, che ha disposto la cancellazione della destinazione d’uso del suolo della ricorrente a strutture commerciali e attrezzature per il tempo libero”, nonché nella delibera di Giunta Regionale di “ratifica della decisione negativa della Commissione per il commercio e diniego di nulla osta commerciale”.
Infatti, la tutela ripristinatoria offerta al Fuzio con l’annullamento di tali atti era interamente riparatoria della lesione subita dal suo interesse legittimo pretensivo, ben potendo egli procedere a richiedere il titolo edilizio.
E poiché ciò che impedisce il conseguimento dell’utilitas (permesso di costruire) non è la illegittima mancata approvazione della zonizzazione ed il conseguente diniego di permesso, bensì il fatto (nuovo e sopravvenuto) della saturazione dell’area, appare evidente, per un verso, il difetto di corretta identificazione della condotta causativa di danno; per altro verso, un non corretto esame del nesso di causalità tra condotta della p.a. e produzione dell’evento lesivo.
Di tanto si è reso conto lo stesso Fuzio, allorché ha impugnato il provvedimento autorizzatorio rilasciato alla società FIMCO, ma, come si è già ricordato, tale ricorso è stato giudicato inammissibile per tardività (Cons. Stato, sez. V, n. 5619/2002 cit.).
Ne consegue che:
– per un verso non è alla sentenza n. 284/1998, ed all’annullamento di atti da essa disposto, che occorre fare riferimento per fondare la successiva azione risarcitoria (come lamentato con il motivo sub h) dell’esposizione in fatto);
– per altro verso, l’impossibilità di conseguire il titolo autorizzatorio è determinata da una saturazione della zona, conseguente all’adozione di atti che, ove illegittimi, avrebbero preteso l’attivazione di una tempestiva tutela da parte del Fuzio, che invece avverso gli stessi è insorto tardivamente, come accertato con sentenza passata in giudicato (sent. n. 5619/2002 cit.), come dedotto con il motivo di appello sub e) dell’esposizione in fatto;
– per altro verso ancora, quanto alla destinazione dell’area FIMCO a centro commerciale, l’impugnazione della stessa è stata oggetto di rinuncia da parte del Fuzio (sent. n. 7926/2006 cit.).
Infine, occorre osservare che, anche per altro verso, non è dato rinvenire, nel caso in esame, alcuna lesione di interesse legittimo pretensivo derivante da perdita di chance.
Ed infatti, la potenzialità edificatoria del suolo di proprietà Fuzio, lungi dall’essere preesistente o già definita da strumentazione urbanistica, sarebbe sorta solo in caso di approvazione del P.R.G.
Ma ciò – ove anche fosse intervenuto – non rendeva il Fuzio destinatario ab origine, con ragionevole certezza, di un provvedimento autorizzatorio alla realizzazione di un centro commerciale, sia in quanto l’area di sua proprietà non era l’unica ad avere tale destinazione, a fronte di una realizzazione di centri commerciali sottoposta a limiti di saturazione della zona di ubicazione, sia in quanto l’assentibilità dei titoli idonei avrebbe dovuto formare oggetto di ulteriore, autonoma verifica – in distinto procedimento – da parte della pubblica amministrazione.
Come si è già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. V, n. 490/2008 cit.) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.
Nel caso di specie, dunque, alla luce degli elementi considerati, difettano le condizioni stesse per configurare una posizione di interesse legittimo pretensivo, alla quale una illegittima attività della pubblica amministrazione avrebbe apportato lesione.
13. Per tutte le ragioni esposte, l’appello della Regione Puglia deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Tale declaratoria di inammissibilità comporta, di conseguenza, la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’Impresa eredi Fuzio.
14. Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Regione Puglia (n. 2934/2008 r.g.):
a) accoglie l’appello principale;
b) in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado;
c) dichiara inammissibile l’appello incidentale;
d) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.