ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 1148 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, nella qualità di genitore del minore-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. Simona Marotta, con domicilio eletto presso la Segreteria della VI Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e Centro servizi amministrativi di Napoli, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Istituto comprensivo di Sorrento;
per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE VIII, n. 00370/2015, resa tra le parti, concernente assegnazione di sostegno scolastico;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca e del Centro servizi amministrativi di Napoli;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 d. lgs. 30giugno 2003, n. 196, commi 1, 2 e 5;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2015 il Cons. Gabriella De Michele e udito per la parte appellante l’avvocato Marotta;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania, Napoli, sez. VIII, n. 370/2015 del 21 gennaio 2015, è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con riferimento al numero di ore di sostegno da assegnare ad un alunno affetto da grave disabilità, con diagnosi richiedente al riguardo copertura totale e con assegnazione, invece, di 11 ore soltanto, a fronte di 29 ore settimanali di frequenza.
Il provvedimento che disponeva detta assegnazione (n. 1853/B19 del 24 luglio 2014), oggetto di impugnativa presso il citato Tribunale amministrativo, veniva in un primo tempo in tale sede sospeso, con successiva declaratoria, tuttavia, della cognizione del giudice ordinario, innanzi al quale la causa avrebbe dovuto essere riassunta, nei termini di cui all’art. 11 Cod. proc. amm..
Quanto sopra, in conformità al recente indirizzo della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che con sentenza 25 novembre 2014, n. 25011 aveva indicato l’assegnazione di ore di sostegno come servizio scolastico, previsto dalla legge e conseguente al provvedimento di ammissione alla scuola, con correlativa sussistenza di un diritto soggettivo, ascrivibile alla categoria dei diritti fondamentali. In rapporto a tale configurazione, dopo la formazione del previsto Piano educativo individualizzato (P.E.I.), indicante il numero delle ore di sostegno necessarie al singolo allievo portatore di disabilità, non sarebbe rimasto alcun margine di apprezzamento discrezionale per l’Amministrazione, tenuto conto della possibilità di assunzione di insegnanti di sostegno, anche in deroga ai rapporti numerici prefissati, “in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave”. Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo era ricondotto, pertanto, all’assenza di potestà autoritativa degli organi scolastici preposti, quale “espressione di autonomia organizzativa e didattica”, in situazioni che imponessero a detti organi di assicurare comunque l’assegnazione, a favore dell’alunno disabile, del sostegno integrativo previsto dal P.E.I..
Avverso detta decisione è stato proposto l’atto di appello in esame (n. 1148/15, notificato il 12 febbraio 2015), nel quale si sottolineava, in primo luogo, come alla data di deposito del ricorso (12 settembre 2014) il Piano educativo in questione non fosse ancora stato predisposto, risultando il medesimo datato 7 novembre 2014, con conseguente, ravvisata applicabilità del principio della perpetuatio iurisdictionis, di cui all’art. 5 Cod. proc. civ..
Nel caso di specie, comunque, una volta accertato il diritto dello studente a conseguire una determinata e personalizzata offerta didattica, l’Amministrazione sarebbe stata vincolata ad assicurare l’assistenza necessaria.
L’Amministrazione scolastica appellata, costituitasi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento dell’impugnativa.
DIRITTO
E’ sottoposta all’esame del Collegio una questione di giurisdizione, che investe il complesso rapporto fra la potestà di auto-organizzazione dell’Amministrazione in tema di servizio scolastico e il diritto allo studio degli alunni disabili.
A tale riguardo deve essere disattesa, in via preliminare, l’eccezione dell’appellante Amministrazione, riferita alla prospettata applicabilità dell’art. 5 Cod. proc. civ. in tema di perpetuatio iurisdictionis, che fissa giurisdizione e competenza degli organi giudiziari alla data di proposizione della domanda, anche in presenza di mutamenti della legge o dello stato di fatto esistente, con prosecuzione del giudizio instaurato nella sede originaria.
Evidentemente diversa è la situazione in esame, in cui emerge non un’innovazione legislativa, ma un nuovo indirizzo interpretativo del giudice della giurisdizione, con conseguente declaratoria di un diritto ab origine sussistente e non già sopravvenuto, rispetto alla data di proposizione della domanda giudiziale.
Alla luce del diritto vigente, tuttavia, prima di fare incondizionata applicazione della recente regola di diritto, di cui alla citata pronuncia Cass., SS.UU., 5 novembre 2014, n. 25011, vanno esaminate peculiari questioni, attinenti alle procedure di cui trattasi ed incidenti sul riparto di giurisdizione; tali questioni – per le implicazioni generali sottostanti e per l’eventualità di contrasti giurisprudenziali – vanno deferite all’Adunanza plenaria, a norma dell’art. 99, comma 1, Cod. proc. amm..
Con la predetta sentenza n. 25011, infatti, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha modificato radicalmente il proprio precedente indirizzo interpretativo, che affermava in materia la giurisdizione amministrativa: un indirizzo che la stessa Corte definiva “costante”, in quanto ritenuto corrispondente ad attività provvedimentali dell’Amministrazione – in base all’art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1988, n. 80 (ormai abrogato, dopo la dichiarazione di parziale illegittimità, di cui alla sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204) e poi in base all’art. 133 (materie di giurisdizione esclusiva) Cod. proc. amm. – in quanto inerente al pubblico servizio scolastico, con disciplina di settore che avrebbe imposto il “potere-dovere” degli organi preposti “di dare concretezza alle aspettative degli alunni mediante un’equa e ragionevole utilizzazione delle risorse, da ripartire fra gli aventi titolo sulla base di provvedimenti, emanati anche alla luce di superiori scelte discrezionali”, con conseguente cognizione del giudice amministrativo (cfr. Cass. SS.UU. n. 25011 del 2014 cit., con riferimento alle ordinanze 19 gennaio 2007, n. 1144 e 29 aprile 2009, n. 9954, 25 marzo 2009, n. 7103 e – secondo analoga logica di riparto, in materia di barriere architettoniche – 19 luglio 2013, n. 17664 ).
L’attuale, mutato indirizzo si basa su una diversa configurazione della situazione soggettiva protetta dei destinatari del servizio: dall’interesse legittimo (originariamente affermato) al corretto bilanciamento degli interessi pubblici e privati per l’assegnazione di un determinato numero di ore di sostegno, al riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo dello studente portatore di handicap ad un supporto didattico adeguato, in rapporto alle effettive condizioni del medesimo.
Quest’ultima configurazione, tuttavia, non appare sufficiente per giustificare in assoluto la cognizione del giudice ordinario, per il peculiare servizio scolastico di cui trattasi. Sembra ostativa infatti, in via generale, la norma di legge processuale (art. 133, comma 1, lettera c), Cod. proc. amm.) che – come già disposto dall’abrogato art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998 – attribuisce espressamente alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le “controversie in materia di pubblici servizi , relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo”.
Appare indubbio che, nel caso di specie, non si faccia questione dell’esistenza in concreto del diritto dell’alunno alla prestazione di sostegno. Si discutono invece la consistenza e le modalità di effettuazione di tale prestazione, poichè il provvedimento contro cui si agisce in giudizio attribuisce non ventinove, ma solo undici ore di sostegno. In altri termini, è controverso non l’an ma il quantum della prestazione stessa, come stabilita nel provvedimento impugnato, ovvero la concretizzazione del servizio da erogare all’interessato. Si tratta, dunque, non di riconoscere il diritto di un singolo alunno portatore di handicap al sostegno; ma di vagliare se il provvedimento, conseguente all’avvenuto riconoscimento di tale diritto disponga, in punto di valutazione tecnica, correttamente e congruamente rispetto alla legge.
La Corte di Cassazione riferisce la cognizione del giudice ordinario agli effetti della formazione, per gli studenti disabili, di un piano educativo individualizzato (P.E.I.), a norma dell’art. 12 (Diritto all’educazione e all’istruzione) della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
Detto art. 12 infatti – dopo avere ribadito i diritti in questione, con particolare riguardo all’integrazione scolastica, quale strumento di “sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione” – prevede, al comma 5, la “formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato . con la partecipazione dell’insegnante operatore operatore psico-pedagogico, individuato secondo criteri stabiliti dal Ministero della pubblica Istruzione”.
Il piano “indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell’alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute, che debbono essere sostenute, sollecitate, progressivamente rafforzate e sviluppate, nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata”.
L’atto così formulato, stando alla recente pronuncia in esame, dovrebbe considerarsi fonte del diritto soggettivo in termini conformi al contenuto dello stesso, senza che l’Amministrazione abbia alcun margine di valutazione discrezionale, tenuto conto anche della sentenza n. 80 del 2010 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 413 e 414 dell’art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008), nella parte in cui veniva imposto un limite massimo al numero degli insegnanti di sostegno, con preclusa possibilità di assunzione in deroga degli stessi. Le norme in questione avrebbero inciso, infatti, su un “nucleo indefettibile di garanzie”, individuato come “limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore”: in base all’attuale quadro legislativo di riferimento, pertanto, “ una volta che il piano educativo individualizzato abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in una situazione di handicap particolarmente grave, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura di quel supporto integrativo, così come individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo, se del caso all’attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnante /alunni, per rendere possibile la fruizione effettiva del diritto, costituzionalmente protetto, dell’alunno disabile all’istruzione, all’integrazione sociale e alla crescita, in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini” (Cass. SS.UU. n. 25011/2014 cit.).
La giurisdizione del giudice ordinario, inoltre, andrebbe affermata anche con riferimento all’art. 28 (Controversie in materia di discriminazione) del d.lgs. n. 150 del 2011 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile, in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione), poichè la negazione del sostegno didattico, nella misura personalizzata prevista, si tradurrebbe, sostanzialmente, in un comportamento discriminatorio.
L’indirizzo interpretativo sopra sintetizzato sembra aprire, in effetti, una riflessione generale sul criterio di riparto della giurisdizione, considerato anche quanto affermato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza 6 luglio 2004, n. 204 che – pur affermando la “pienezza di poteri decisori” del giudice amministrativo – ha ribadito i termini entro cui la legge deve mantenere la giurisdizione amministrativa, cui compete in via generale la cognizione su atti amministrativi, emessi dalla pubblica amministrazione autoritativamente, con contrapposte posizioni di interesse legittimo; quanto sopra, salvo casi eccezionali di giurisdizione esclusiva (ovvero, non limitata alle predette posizioni) quando vi sia “inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo” con “prevalenza delle prime”. Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha posto un argine all’indirizzo del legislatore, che si orientava verso un riparto di giurisdizione semplificato, determinato per materie, con affidamento al giudice amministrativo delle controversie relative ad interi settori (come quello – in un primo tempo genericamente enunciato – dei “pubblici servizi”), in cui emergessero peculiari esigenze di interesse pubblico.
Il fondamentale criterio delimitativo della giurisdizione in funzione della situazione soggettiva protetta, del resto, non contrasta di per sé con i principi comunitari, che spingono verso l’armonizzazione dei sistemi di giustizia amministrativa dell’Unione Europea, anche se manca a livello comunitario la nozione di interesse legittimo. Spetta agli Stati membri, infatti, la qualificazione delle situazioni soggettive protette nel diritto interno e l’indicazione del giudice al riguardo competente.
E’ però comunque richiesto, ad avviso del Collegio, che il riparto di giurisdizione sia ancorato a parametri chiaramente delimitati e facilmente individuabili, per non creare incertezze pregiudizievoli per l’effettività della tutela giurisdizionale.
Va in proposito considerato che il diritto europeo include espressamente, nel principio di effettività della tutela, anche la massima possibile limitazione di ogni margine di incertezza giuridica procedurale (cfr. direttive 2007/66/CE e 89/665/CEE).
Nella situazione in esame, le argomentazioni del giudice della giurisdizione vanno raffrontate con l’esistenza di un atto amministrativo (il P.E.I.) indubbiamente frutto di discrezionalità tecnica per quanto attiene al riconoscimento ed alla specificazione dei diritti dello studente disabile: si impone pertanto un’attenta riflessione circa l’iter procedurale ricognitivo di tali diritti, da rapportare ai parametri generali di individuazione del giudice competente.
Sotto il primo profilo, centrali appaiono le disposizioni della legge n. 104 del 1992, a partire dall’art. 12 sulla predisposizione dei Piani educativi individualizzati (P.E.I.), che costituiscono un momento intermedio del percorso attraverso cui l’Amministrazione è chiamata a realizzare l’integrazione scolastica, come strumento di “sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione”.
Tale percorso risulta disciplinato, oltre che dal citato articolo 12 della legge n. 104 del 1992, dai successivi articoli 13 (Integrazione scolastica), 14 (Modalità di attuazione dell’integrazione) e 15 (Gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica). L’ultima disposizione, in particolare, apre la via a vari tipi di gruppi di lavoro che dovrebbero svolgere funzioni complementari: GLH (Gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica), GLHI, detti anche GLIS (Gruppi di lavoro e di studio di Istituto), GLI (Gruppi di lavoro per l’Inclusione), mentre a livello di distretto socio-sanitario operano CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione) e CTS (Centri Territoriali di Supporto); sono inoltre previsti GLHO (Gruppi di Lavoro Operativi sui singoli allievi), GLIR (gruppi di lavoro Interistituzionali Regionali) e GLIP (Gruppi di lavoro Interistituzionali Provinciali), tutti supportati da normative primarie e secondarie che ne circoscrivono i compiti.
In tale ottica, l’iter procedimentale unitario parte dalla conclusione dell’anno scolastico, quando i Gruppi di Lavoro per l’Inclusione (GLI) rilevano i bisogni educativi speciali (BES) presenti nella scuola, raccolgono e coordinano le proposte formulate dai singoli GLH operativi ed elaborano una proposta di Piano annuale per l’Inclusività, da inviare agli Uffici scolastici regionali, ai GLIP e ai GLIR con la richiesta di organico di sostegno.
Nel mese di settembre, in relazione alle risorse effettivamente assegnate alla scuola, il medesimo Gruppo provvede ad un adattamento del Piano, in base al quale il dirigente scolastico procede all’assegnazione definitiva delle risorse. E’ a questo punto che i singoli GLHO completano la redazione del PEI per gli alunni disabili di ciascuna classe.
La complessa fase di auto-organizzazione sopra descritta appare conforme all’intento di erogare le risorse in rapporto ai bisogni e non viceversa, al fine del perseguimento effettivo degli obiettivi primari indicati dalla legge. Resta comunque salva la possibilità di adattamento dei singoli piani educativi anche nel corso dell’anno scolastico e compete, quindi, all’Amministrazione reperire le risorse, anche umane, necessarie per le finalità preordinate.
Anche la qualificazione dello stato di “gravità” della singola patologia va rilevato dal P.E.I., con specifico riferimento agli obiettivi pedagogico-didattici, previsti dalla programmazione ivi contenuta.
Per ciascun allievo disabile viene così predisposto un percorso differenziato, idoneo a consentire lo sviluppo delle relative potenzialità per un reale perseguimento delle finalità del servizio scolastico, da garantire nelle “classi di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” (art. 12, comma 2, della legge n. 104 del 1992).
La situazione di “gravità” appare pertanto rapportabile al grado di difficoltà che il soggetto interessato può incontrare per raggiungere gli obiettivi programmati, in funzione non solo delle relative “capacità” (fisiche o intellettive), ma anche delle “potenzialità”, che possono svilupparsi attraverso il servizio scolastico, quando il percorso evolutivo dello studente sia strettamente connesso alla presenza dell’insegnante di sostegno, nella misura ritenuta congrua dagli organi competenti.
Il procedimento descritto sembra dare luogo, in effetti, ad un accertamento costitutivo, che implica due fasi prodromiche parallele antecedenti a quella esecutiva del P.E.I: una di accertamento, da condurre con specifici criteri tecnico-discrezionali, circa la sussistenza di una situazione di handicap, con determinazione della relativa gravità, in rapporto alla singola persona interessata ed una di corrispondente identificazione del fabbisogno, con erogazione delle risorse necessarie. Solo successivamente – quando il diritto soggettivo sia in concreto affermato e costituito – deve essere materialmente erogato il servizio pubblico ‘personalizzato’, in base ai mezzi resi disponibili (nella specie: assegnazione delle ore di sostegno scolastico in misura commisurata agli obiettivi di formazione prefissati), restando salva la possibilità di adattamento del piano nel corso dell’anno scolastico.
Dette fasi appaiono difficilmente scindibili sul piano della tutela giurisdizionale (con opportuna devoluzione di tale questione all’Adunanza Plenaria), per quanto riguarda sia l’accertamento dei presupposti, sia il concreto dimensionamento della prestazione e la relativa erogazione, a quest’ultimo riguardo con corrispondente fase auto-organizzativa dell’Amministrazione; tutte le determinazioni da assumere – e gli eventuali vizi di legittimità delle stesse – potrebbero apparire riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 133, comma 1, lettera c), Cod. proc. amm. (per quanto concerne le “controversie in materia di pubblici servizi relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo”) La più volte citata sentenza Cass., SS.UU. n. 25011 del 2014, invece, sembra indirizzata a scindere il momento conclusivo del complesso iter procedimentale descritto, ipotizzando la mera negazione di un servizio di sostegno scolastico, riconosciuto necessario ed esattamente delimitato nel P.E.I., ma ritenuto dall’Amministrazione non compatibile con le risorse in concreto disponibili; è indubbia, tuttavia, la sussistenza di situazioni soggettive protette anche in rapporto all’adeguatezza delle valutazioni operate nel medesimo P.E.I., ovvero alla coerente e adeguata predisposizione delle misure organizzative conseguenti da parte dell’Amministrazione.
Nella situazione descritta, si può senz’altro riconoscere che il disabile interessato sia portatore – in base al Piano educativo che lo riguarda (una volta perfezionato) – di un diritto soggettivo perfetto; ciò non esclude tuttavia il carattere autoritativo del provvedimento, che determina la concreta erogazione del servizio, in misura che potrebbe risultare insufficiente, rispetto agli interessi ed alle esigenze dell’alunno.
È noto d’altra parte che si possono configurare interessi legittimi anche in rapporto ad atti vincolati: la stessa Corte di Cassazione, nella richiamata sentenza n. 25011 del 2014, sottolinea che “la categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi”, con piena “idoneità del giudice amministrativo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa”, come del resto riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 140 del 2007).
Per il settore in esame, inoltre, il discostamento dell’Amministrazione dalle indicazioni del P.E.I., nelle vicende concrete sottoposte a giudizio, appare recessivo rispetto all’ampia gamma di contestazioni, che usualmente investono la formazione del Piano, o il suo mancato aggiornamento, o la non corretta programmazione delle risorse a livello locale. Ne derivano seri dubbi sulla possibilità che i vizi denunciati – a carattere prioritario per il perseguimento del bene della vita, oggetto di interesse pretensivo – possano venire adeguatamente tutelati davanti al giudice ordinario, in via di mero accertamento incidentale della legittimità dei provvedimenti, ricognitivi ed attuativi del diritto in questione; non può non tenersi conto, inoltre, della specializzazione del giudice amministrativo in tema di giudizio sugli atti discrezionali, nonché della nota evoluzione della giurisprudenza amministrativa, in tema di sindacato sull’esercizio della discrezionalità tecnica (a partire dalle pronunce del Consiglio di Stato, VI, 4 dicembre 2009, n. 694 e, 13 ottobre 2003, n. 6201, con successiva giurisprudenza ormai consolidata).
Deve altresì essere considerato il grado di tutela, che il giudice amministrativo è in grado di assicurare, in via non meramente formale, ma pienamente satisfattiva in rapporto al bene della vita perseguito, attraverso la radicale rimozione del provvedimento illegittimo e non con mera, momentanea disapplicazione del medesimo. Solo il giudice amministrativo ha peraltro piena cognizione, circa la legittimità dell’intero procedimento, con possibilità non solo di rimuovere dal mondo giuridico atti, che si assumano incongrui rispetto alla concreta situazione dei soggetti destinatari, ma anche di determinare con forza di giudicato parametri non elusivi, per assicurare l’effettività della tutela (assicurando non la mera declaratoria di un diritto, ma la concreta individuazione degli eventuali vizi, non reiterabili, nei correlativi atti dell’Amministrazione, dalla fase discrezionale a quella vincolata).
E’ ormai superata, del resto, la concezione degli interessi legittimi come “diritti affievoliti”, che sussistono solo in presenza di poteri concessori o ablatori dell’Amministrazione e non in rapporto a diritti soggettivi, direttamente attribuiti dalla legge e non “degradabili”(poiché ascrivibili alla categoria dei diritti fondamentali, come nel caso di specie), o comunque per il carattere vincolato ex lege degli atti dell’Amministrazione (cfr. al riguardo fra le tante, in diverse fattispecie, non sempre con univocità di indirizzo: Cass. SS.UU., sentenze nn. 11131 del 28 maggio 2015, 13568 del 2 luglio 2015, 1132 del 21 gennaio 2014, 11 luglio 2014, n. 15941, 20 luglio 2011, n. 15867, 19 maggio 2008, n. 12641, 20 maggio 2005, n. 10603; ordinanze 25 gennaio 2013, n. 1776 e 16 dicembre 2010, n. 25398).
La giurisdizione ordinaria può ritenersi bene affermata, pertanto, solo quando l’intervento autoritativo sia escluso, o effettivamente esaurito, senza che l’Amministrazione sia ulteriormente chiamata ad effettuare vigilanza o controlli nell’interesse pubblico, esercitando comunque un potere, anche se vincolato ex lege.
In tale contesto, il Collegio ritiene di rimettere all’Adunanza plenaria – ferma restando, fino alla pronuncia di quest’ultima, la misura cautelare già emessa – la definizione dei parametri in base ai quali debba riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo, per quanto qui interessa a norma dell’art. 133, comma 1, lettera c), Cod. proc. amm.; in particolare, si chiede di valutare se, in tema di sostegno scolastico, la giurisdizione del giudice amministrativo possa ritenersi piena, o, come avviene in linea di principio per altri settori (come quello dei contratti ad evidenza pubblica), limitata alla fase procedurale che si completa con la formazione del P.E.I., con devoluzione al giudice ordinario delle controversie riferite alla successiva fase esecutiva del Piano stesso.
Una soluzione, quest’ultima, che sembra tuttavia porsi in contrasto con i principi di semplificazione e concentrazione delle competenze giudiziarie in settori unitari, tenuto conto della interdipendenza, nella procedura in esame, del momento valutativo e di quello che, per superiori ragioni di interesse pubblico, deve ritenersi vincolato. Anche nella fase vincolata, peraltro, la concreta erogazione del servizio sembra interpretabile non come adempimento di un obbligo, ma come espressione di un potere-dovere, al quale si affiancano costanti poteri di verifica dell’Amministrazione ed a cui si contrappongono – per quanto attiene alla correttezza del procedimento amministrativo – posizioni di interesse legittimo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52, commi 1,2 e 5 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di diffusione del provvedimento, all’annotazione di cui ai commi 1, 2 e 5 della medesima disposizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati: