Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
1) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;
2) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva,
ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;
3) se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
1. La vicenda processuale e sostanziale
1.1. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dalla società Diddi s.r.l., odierna appellante, avverso la nota della Azienda USL Toscana Centro del 2 gennaio 2019, recante il diniego dell’istanza di accesso agli atti, presentata in data 6 dicembre 2018, avente per oggetto i documenti riguardanti l’esecuzione del “Servizio Integrato Energia per le Pubbliche Amministrazioni”, svolto dal R.T.I. composto dal CNS – Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa (capogruppo, di seguito anche: “CNS”) e dalle società Prima Vera – Exitone – Termotecnica Sebina – SOF.
1.2. A supporto della richiesta di accesso, l’appellante esponeva di essere titolare di uno specifico interesse, qualificato e differenziato, avendo partecipato alla gara per l’affidamento del servizio in oggetto, nella qualità di mandante del R.T.I. costituito con altre società, classificandosi al secondo posto della graduatoria, relativa al lotto n. 5, concernente la Regione Toscana.
La dichiarata finalità dell’accesso era quella di verificare se l’esecuzione del contratto si stesse svolgendo nel rispetto del capitolato tecnico e dell’offerta migliorativa presentata dall’aggiudicataria: l’accertamento di eventuali inadempienze dell’appaltatore avrebbe determinato l’obbligo dell’amministrazione di procedere alla risoluzione del contratto e al conseguente affidamento del servizio alla medesima appellante, secondo le regole dello “scorrimento della graduatoria”, ex art. 140 dell’abrogato codice dei contratti pubblici di cui d.lvo n. 163/2006 (applicabile ratione temporis nella vicenda in esame).
L’istanza si basava espressamente sull’allegazione di uno specifico interesse qualificato, senza compiere alcun riferimento alla disciplina dell’accesso civico di cui al decreto legislativo n. 33/2013, o ai suoi presupposti sostanziali.
Il contestato atto di diniego di accesso, opposto dall’amministrazione, è incentrato sulla seguente essenziale motivazione:
“la documentazione richiesta concerne una serie di dati inerenti ad aspetti relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito dalla gara in oggetto, e perciò ricompresi nel concetto più generale di atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, con la conseguente applicazione dei limiti stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, tra i quali quelli connessi alla necessaria titolarità, in capo al richiedente l’accesso, di un interesse qualificato.
Secondo l’amministrazione, la società richiedente non avrebbe dimostrato la concreta esistenza di una posizione qualificata, idonea a giustificare l’istanza di accesso.
In ogni caso, a parere dell’amministrazione, l’istanza di accesso non può essere accolta nemmeno in base alla disciplina dell’accesso civico generalizzato, poiché tale normativa non trova applicazione nel settore dei contratti pubblici.
1.3. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante contro il diniego di accesso, asserendo che:
– nella fattispecie concreta non emerge la sussistenza dei presupposti della risoluzione per inadempimento dell’appaltatore o di recesso dal contratto, tali da giustificare il ricorso all’interpello previsto dal citato art. 140;
– conseguentemente, “l’istanza formulata dalla ricorrente – per il contenuto con cui è formulata – si traduce in un’indagine esplorativa tesa alla ricerca di una qualche condotta inadempiente dell’attuale aggiudicataria, di per sé inammissibile, non risultando da alcuna fonte di provenienza delle amministrazioni interessate, né avendo la ricorrente altrimenti fornito alcun elemento o indicato concrete circostanze in tal senso, la sussistenza di qualsivoglia inadempimento di C.N.S. nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali”;
– il contestato diniego resterebbe comunque legittimo, anche volendo qualificare l’istanza come esercizio del “diritto di accesso civico generalizzato”, ai sensi dell’art. 3 del d. lgs 4 marzo 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016;
– infatti, l’accesso civico generalizzato è totalmente inoperante nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in base alla previsione dell’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33/2013, secondo cui “restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II, nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241”, e dal successivo art. 5 bis, comma 3, a mente del quale “il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”;
– ne deriva che “non solo permane, in via generale, la disciplina delle forme di accesso agli atti diverse da quella introdotta dal d.lgs. 33/2013 (neppure richiamato dal pur successivo d.lgs. 50/2016), ma che l’accesso c.d. civico è escluso ove esso sia subordinato dalla legge vigente “al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”;
– pertanto, “per quanto riguarda dati, informazioni e documenti inerenti la fase esecutiva, successiva all’aggiudicazione del contratto di appalto, caratterizzata come noto da rapporti paritari, l’interesse della ex partecipante alla gara può configurarsi solo nel rispetto delle condizioni e dei limiti dell’accesso ordinario; nella fattispecie esso va escluso, attesa la palese assenza di qualsivoglia prospettiva di risoluzione del rapporto contrattuale e di un interesse attuale della ricorrente al subentro, neanche ipotizzabile sulla base degli elementi acquisiti in giudizio. Diversamente si deve ritenere laddove l’accesso abbia ad oggetto dati e documenti (es. offerte tecniche ed economiche, piano finanziario) della fase pubblicistica della procedura di affidamento”.
1.4. La società appellante contesta analiticamente la decisione impugnata, deducendo, in primo luogo, che, quale concorrente classificatasi al secondo posto nella procedura selettiva dell’affidatario del servizio, è portatrice dell’aspettativa giuridicamente riconosciuta ad un possibile scorrimento della graduatoria. In tale veste, è titolare di un interesse qualificato e differenziato, rilevante al fine di legittimare, ai sensi della legge n. 241/1990, l’ordinario esercizio del diritto di accesso ai documenti relativi all’esecuzione del contratto, detenuti dall’amministrazione, idonei ad attestare il regolare adempimento delle prestazioni da parte dell’operatore economico esecutore dell’appalto.
Aggiunge che questo interesse specifico, evidentemente, non potrebbe collegarsi alla preventiva – acclarata – esistenza di un inadempimento determinante la risoluzione del contratto, dal momento che l’accesso è finalizzato proprio ad accertare tale circostanza, ignota all’operatore economico interessato all’affidamento del contratto.
Ad ulteriore supporto del ricorso, l’appellante evidenzia che lo stesso TAR per la Toscana, con le sentenze n. 422 del 25 marzo 2019 e n. 611 del 26 aprile 2019, le ha riconosciuto il diritto di accesso civico generalizzato in relazione ai documenti afferenti alla fase esecutiva di un contratto pubblico.
Entrambe le pronunce, che hanno annullato i dinieghi di accesso opposti, rispettivamente, dal comune di Abbadia San Salvatore e dal comune di Scandicci, pongono l’accento sull’argomento sistematico secondo cui il comma 6 dell’art. 5 bis del d.lvo n. 33/2013 “rimette alla Autorità nazionale anticorruzione la predisposizione di linee guida recanti indicazioni operative che specifichino i casi in cui l’accesso civico deve ritenersi recessivo rispetto all’esigenza di protezione di dati sensibili di carattere personale o industriale. Tale disposizione presuppone che l’istituto dell’accesso civico operi anche nelle materie di competenza dell’ANAC e, quindi, anche nel settore degli appalti pubblici”.
Infine, la parte appellante ribadisce che la propria richiesta di accesso dovrebbe essere accolta in base alla disciplina dell’accesso civico generalizzato. A supporto di tale tesi deduce che l’art. 53, comma 1, del vigente codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016, ai sensi del quale “salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”, non opera un rinvio “fisso” alla legge generale in materia di trasparenza, che impedirebbe, in radice, l’applicabilità delle regole in materia di accesso civico. La disposizione esprime, semmai, la volontà del legislatore di sottoporre l’accesso ai documenti di gara alle norme ordinarie in materia di trasparenza, nella loro evoluzione storica, salvo quanto espressamente previsto dallo stesso codice degli appalti. Da ciò deriverebbe la piana applicabilità della nuova disciplina dell’accesso civico generalizzato, che costituisce il cardine della nuova trasparenza amministrativa, anche oltre i confini segnati dall’impianto della legge n. 241/1990.
In ogni caso, la norma prevista dal codice dei contratti pubblici, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., non opera alcuna distinzione tra i documenti della fase ‘pubblicistica’ di selezione del contraente e quelli della fase esecutiva dell’appalto.
1.5. Con memoria del 29 ottobre 2019, la parte appellante ha segnalato il possibile contrasto interpretativo ravvisabile tra la giurisprudenza della III e quella della V Sezione del Consiglio di Stato (alla luce delle rispettive sentenze n. 3780/2019 del 5 giugno 2019 e n. 5502/2019 del 2 agosto 2019), quanto all’applicabilità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato nella materia delle procedure di evidenza pubbliche disciplinate dal codice n. 50/2016, sollecitando la rimessione della relativa questione interpretativa all’Adunanza Plenaria, ex art. 99, comma 1, c.p.a..
1.6. Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’appello, l’Azienda USL Toscana Centro ed il CNS. – Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa.
La prima ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva, sostenendo che quale amministrazione aderente alla “convenzione madre” stipulata da CONSIP per l’affidamento dei contratti, non avrebbe alcuna competenza in ordine alla eventuale aggiudicazione a favore del secondo classificato, in applicazione della regola dello scorrimento della graduatoria, conseguente alla risoluzione dell’originario appalto.
Il CNS ha replicato analiticamente all’appello, sviluppando diverse tesi argomentative.
In particolare, ha ribadito che:
– la società appellante non è titolare di alcun interesse differenziato, il quale la legittimerebbe ad esercitare il diritto di accesso ordinario;
– la disciplina dell’accesso civico generalizzato è inapplicabile al settore degli appalti.
Ha aggiunto che, in ogni caso, a fronte di una richiesta di accesso puntualmente riferita ai presupposti sostanziali della normativa ordinaria, racchiusa nella legge n. 241/1990, l’amministrazione, una volta appurata la carenza del presupposto essenziale della sussistenza di un interesse differenziato, dovrebbe necessariamente respingere l’istanza, senza alcuna possibilità di “riqualificarla” diversamente secondo i parametri dell’accesso civico generalizzato, che prescindono dall’accertamento di un qualificato interesse conoscitivo.
Secondo l’appellata, anche il giudice, chiamato a decidere in ordine alla sussistenza del diritto di accesso vantato dal ricorrente, dovrebbe limitarsi a compiere un accertamento circoscritto dall’originaria richiesta formulata all’amministrazione, incentrata sull’esigenza di tutelare l’aspettativa all’eventuale scorrimento della graduatoria.
2. Le questioni preliminari
2. In linea preliminare, il collegio ritiene che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva prospettata dall’Azienda appellata sia priva di consistenza.
Infatti, nel presente giudizio, che riguarda esclusivamente il diritto di accesso ai documenti reclamato dalla società ricorrente, e non già la pretesa sostanziale ad una nuova aggiudicazione, conseguente all’accertamento di eventuali inadempimenti dell’appaltatore, è senz’altro parte necessaria l’amministrazione detentrice dei documenti oggetto della richiesta, autrice del diniego impugnato.
Pertanto, il ricorso è stato correttamente proposto, in primo e in secondo grado, contro l’Azienda USL Toscana Centro.
3. Il merito della controversia e le questioni di diritto rilevanti per la decisione
3.1. Nel merito, è controversa la sussistenza del diritto della società appellante, seconda classificata nella graduatoria redatta all’esito del procedimento di gara indetto da Consip s.p.a., per l’aggiudicazione del “Servizio Integrato Energia per le Pubbliche Amministrazioni” – lotto n. 5, relativo alla regione Toscana, ad avere accesso ai documenti inerenti alla fase esecutiva del servizio, attualmente nella disponibilità dell’Azienda USL Toscana Centro.
3.2. La parte motivava la richiesta di accesso facendo leva sul proprio interesse a subentrare nell’affidamento, ai sensi dell’art. 140, comma 1, dell’abrogato codice dei contratti pubblici (applicabile ratione temporis), qualora si accerti che il soggetto affidatario sia incorso in condotte inadempienti giustificatrici della risoluzione del contratto.
L’amministrazione respingeva l’istanza, sul rilievo duplice rilievo che.
A) l’art. 24, comma 3, della l. n. 241/1990 sancisce l’inammissibilità delle istanze di accesso strumentali allo svolgimento di un controllo di carattere generalizzato sull’operato della P.A., quale si sarebbe configurata nella specie l’iniziativa ostensiva in mancanza, in capo alla parte istante, di una situazione giuridica differenziata cui l’istanza potesse essere funzionalmente ricollegata);
B) la pretesa ostensiva non avrebbe potuto trovare ricetto nel quadro regolatorio apprestato dall’art. 5, comma 2, d.lvo n. 33/2013, il quale, attribuendo la facoltà di “accesso civico” a “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto”, affermerebbe un principio di trasparenza dell’azione amministrativa affrancato da limitazioni connesse alla “legittimazione soggettiva del richiedente”, come espressamente sancito dal comma 3, a mente del quale “l’esercizio del diritto di cui ai commi 1 e 2 non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente”); infatti, secondo l’amministrazione, nel particolare settore dei contratti pubblici riprenderebbero quota le “specifiche condizioni, modalità o limiti” cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente”, secondo quanto previsto dall’art. 5 bis, comma 3, d.lvo cit., in correlazione con l’art. 53, comma 1, d.lvo n. 50/2016 (e con il previgente art. 13, comma 1, d.lvo n. 163/2006), ai sensi del quale “salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
3.3. Il Collegio ritiene che, per la definizione della presente controversia, sia necessario risolvere tre questioni di rilevanza generale, in ordine alle quali si sono manifestati orientamenti interpretativi contrastanti.
Appare utile, al riguardo, un intervento nomofilattico risolutivo dell’Adunanza Plenaria, anche al fine di fornire univoci indirizzi di condotta alle amministrazioni, alle stazioni appaltanti e agli operatori economici.
In sintesi, i tre quesiti che il collegio intende porre all’Adunanza Plenaria riguardano i seguenti temi:
a) la sussistenza, o meno, della titolarità del diritto di accesso ordinario, basato sull’art. 22 della legge n. 241/1990, in capo all’operatore economico, il quale, facendo valere il proprio interesse strumentale allo scorrimento della graduatoria o alla ripetizione della gara, intenda conoscere i documenti afferenti all’esecuzione di un contratto pubblico, al fine di verificare l’esistenza dei presupposti per la sua risoluzione;
b) la sussistenza, o meno, del dovere dell’amministrazione di accogliere un’istanza di accesso, formalmente basata sulla disciplina ordinaria di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990, o sui suoi presupposti sostanziali, qualora, in difetto del requisito dell’interesse differenziato in capo al richiedente, siano comunque riscontrabili, in concreto, tutti i presupposti per l’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013;
c) l’applicabilità, o meno, della disciplina del diritto di accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013 nel settore dei contratti pubblici dei lavori, servizi o forniture, con particolare riguardo alla fase esecutiva delle prestazioni.
4. Il diritto di accesso ordinario ai documenti relativi all’esecuzione del contratto: il requisito dell’interesse differenziato
4.1. La titolarità del diritto di accesso ordinario è attribuita dall’art. 22, comma 1, lettere a) e b) l. n. 241/1990 agli “interessati”, per tali intendendosi, secondo la pertinente definizione legislativa, “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Secondo la pronuncia impugnata, fanno difetto, nella fattispecie in esame, quali necessari connotati qualificanti la posizione soggettiva del richiedente l’accesso, la concretezza ed attualità dell’interesse legittimante, la cui assenza conferirebbe all’istanza de qua, non la finalità (legittima, secondo la disciplina dell’accesso) di accedere ai documenti necessari all’acquisizione di un completo quadro conoscitivo in ordine alla vicenda amministrativa che fa da sfondo o sulla quale si innesta una “situazione giuridicamente tutelata” puntualmente delineata, ma quella, di natura meramente “esplorativa”, intesa a fare eventualmente emergere i presupposti costitutivi di una situazione giuridica in ordine alla cui attuale e concreta esistenza non si disponga di (né, comunque, si alleghino) sufficienti elementi dimostrativi.
Sebbene, infatti, la posizione della società appellante non possa non dirsi “differenziata” – sia dal punto di vista soggettivo, agendo essa in forza della sua qualità di seconda classificata nella graduatoria redatta a conclusione della procedura di gara de qua, sia dal punto di vista oggettivo, essendo nell’istanza compiutamente individuati i documenti alla cui acquisizione essa si rivolge – cionondimeno, siffatta astratta differenziazione della sua posizione sembrerebbe non tradursi, in concreto, nella prospettazione di una situazione giuridica collegata ai documenti oggetto dell’istanza di accesso da un interesse conoscitivo “concreto ed attuale”, ma, semmai, di una aspettativa di carattere meramente ipotetico ed assertivo.
Deve infatti rilevarsi che, secondo l’interpretazione invalsa in ordine ai presupposti legittimanti l’accesso ordinario, la situazione giuridica suscettibile di legittimare l’istanza ostensiva, sia nella sua configurazione “finale” (nella specie, connessa all’affidamento del servizio a seguito dello scioglimento del rapporto contrattuale con l’impresa aggiudicataria), sia in quella “procedimentale” (intesa, nella fattispecie in esame, alla sollecitazione ed al controllo delle modalità di esercizio da parte della P.A. del suo potere di risoluzione del contratto con l’aggiudicataria e di “interpello” della seconda classificata), deve quantomeno correlarsi ad una attuale e concreta prospettazione dei suoi presupposti costitutivi (relativi, nella specie, al “grave inadempimento” dell’impresa affidataria): presupposti che, essendo finalizzati a conferire i necessari requisiti di “concretezza” ed “attualità” all’interesse legittimante, devono preesistere all’istanza di accesso (proprio perché si tratta di verificarne, dal punto di vista dell’Amministrazione destinataria dell’istanza e in via succedanea nella sede giudiziale, la ammissibilità e fondatezza), e non (eventualmente) emergere successivamente al soddisfacimento dell’azionato interesse conoscitivo.
4.2. Nella suindicata direzione interpretativa milita il precedente di questo Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3398 dell’11 giugno 2012, laddove statuisce nel senso che “nel caso di specie, l’interesse azionato che fonderebbe l’accesso non risulta concreto, poiché non ne viene precisata e specificata la natura; la circostanza di essere il secondo graduato nella procedura di gara per l’affidamento del contratto, non giustifica certo una richiesta generalizzata di accesso di tutti gli atti attinenti alla fase esecutiva (…). Il Collegio deve, conclusivamente, precisare che, con riferimento agli atti attinenti alla fase esecutiva del rapporto, manca in radice un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, come correttamente ha evidenziato il TAR, in palese assenza di una prospettiva di risoluzione del rapporto e in assenza di un interesse al subentro, peraltro neppure rappresentabile in termini di certezza (trattandosi di facoltà discrezionale rimessa alla stazione appaltante stessa); ciò esclude la configurabilità di un interesse della seconda classificata a conoscere la correttezza o meno dell’esecuzione contrattuale da parte dell’aggiudicatario della gara, attesa la sua estraneità al rapporto contrattuale in essere e ai possibili esiti della sua esecuzione (ex art. 1372 c.c.)”.
4.3. Ebbene, deve osservarsi che, con riferimento alla fattispecie in esame, la parte appellante non indica elementi concreti da cui possa desumersi che l’impresa controinteressata si è resa responsabile di una situazione di “grave inadempimento” suscettibile di attivare le valutazioni di competenza della stazione appaltante in ordine all’esercizio del potere risolutorio e quelle, consequenziali, inerenti all’assunzione dell’iniziativa di “interpellare” la seconda classificata ai fini dell’affidamento del servizio oggetto di gara.
Da questo punto di vista, invero, non sembrerebbe potersi riconoscere alcuna rilevanza, proprio perché non sorretta da alcuna concreta allegazione probatoria, oltre che intrinsecamente generica, alla deduzione secondo cui “sta emergendo un quadro di assoluto e completo inadempimento da parte di CNS, rispetto alle prestazioni pattuite. Questo quadro emerge dagli accessi che sono stati concessi da quegli enti che hanno compreso che era loro stesso interesse permettere una verifica esterna delle prestazioni promesse in gara dall’esecutore”: ciò tanto più a fronte delle contestazioni formulate in primo grado sul punto dalle parti resistenti (anche sulla scorta della nota di Consip prot. n. 13873 del 2 maggio 2018, laddove si afferma che “per quanto a propria conoscenza, il servizio in oggetto è regolarmente reso dall’aggiudicatario e le singole Amministrazioni che hanno emesso i relativi ordinativi di fornitura non hanno formulato a Consip contestazioni sulle modalità di svolgimento del servizio stesso”).
Peraltro, la carenza nell’istanza dei suindicati requisiti legittimanti l’accesso sembra evincersi anche dal fatto che, mediante l’ostensione dei documenti richiesti, la parte appellante si prefigge di acquisire contezza di eventuali profili di difformità tra le previsioni del Capitolato tecnico e del progetto migliorativo presentato dall’impresa aggiudicataria, da un lato, e le concrete modalità di esecuzione del servizio da parte della stessa, dall’altro lato: profili di difformità della cui effettiva realizzazione non viene tuttavia fornito, come già evidenziato, alcun elemento di prova, ma nemmeno indicata la pregnanza ai fini della integrazione della fattispecie di “grave inadempimento” suscettibile di legittimare l’attivazione da parte della stazione appaltante del rimedio risolutorio (e non, eventualmente, la sola applicazione di eventuali penali, come ammesso del resto che è talvolta avvenuto dalla stessa Azienda appellata nella memoria difensiva depositata nel primo grado di giudizio).
4.4. Sull’opposto versante interpretativo, tuttavia, non può farsi a meno di evidenziare che la seconda classificata, proprio in virtù di tale posizione, non è assimilabile ad un quisque de populo, ai fini dell’attivazione dell’iniziativa ostensiva: quella posizione, infatti, funge da presupposto attributivo di un “fascio” di situazioni giuridiche, di carattere oppositivo o sollecitatorio, finalizzate alla salvaguardia di un interesse tutt’altro che emulativo, in quanto radicato sulla valida – anche se non pienamente satisfattiva – partecipazione alla gara.
In siffatto contesto, ed anche in considerazione dell’idoneità dell’accesso ad integrare un autonomo “bene della vita”, distinto dalle utilità conseguibili mediante le iniziative attivabili a seguito del suo utile esperimento, l’interesse dell’impresa seconda classificata ad avere accesso agli atti della fase esecutiva, in vista della sollecitazione dell’eventuale potere risolutorio e di quello consequenziale di “interpello” della stazione appaltante, potrebbe non presentare tratti significativamente divergenti, anche ai fini della sua giuridica tutelabilità, rispetto all’incontestabile interesse ostensivo della medesima concorrente a conoscere i documenti relativi all’offerta presentata dalla aggiudicataria, indipendentemente dalla già acquisita conoscenza dei vizi del procedimento di gara, in vista della eventuale impugnazione del provvedimento di aggiudicazione: in entrambi i casi perseguendosi l’interesse al subentro nella posizione di affidataria della commessa e distinguendosi essi solo in relazione alla natura del potere di sostituzione della prima graduata spettante all’Amministrazione, siccome vincolato in un caso e discrezionale nell’altro.
Peraltro, si deve considerare che, anche nel caso di annullamento del provvedimento di aggiudicazione, l’attribuzione dell’appalto alla seconda classificata non costituisce affatto un esito scontato, né inevitabile. Si pensi alle ipotesi di vizi afferenti la fase di valutazione dell’anomalia dell’offerta, il cui accertamento giurisdizionale prelude alla rinnovazione del sub-procedimento di anomalia, notoriamente connotato in chiave tecnico-discrezionale. Pertanto, la distanza concettuale tra le due fattispecie si assottiglia ulteriormente, correlativamente manifestando l’incongruenza di un trattamento giuridico differenziato delle stesse, in punto di ammissibilità dell’accesso.
4.5. In conclusione, ed in considerazione del fatto che l’illustrato punto di diritto potrebbe dare luogo a contrasti giurisprudenziali, ritiene la Sezione, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., di rimettere il ricorso all’Adunanza Plenaria affinché dirima la prima questione interpretativa dubbia, attinente alla configurabilità in capo alla concorrente seconda graduata di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva, in vista dell’accertamento dei presupposti per la risoluzione del contratto e la conseguente eventuale sollecitazione del potere di interpello spettante alla stazione appaltante.
Non si può trascurare, d’altro canto, l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha ripetutamente sottolineato la rilevanza dell’interesse strumentale dell’operatore economico che aspiri all’affidamento di un contratto pubblico.
Tale indirizzo, espresso con riguardo alla legittimazione al ricorso, incide certamente anche sulla definizione del diritto alla conoscenza dei documenti utili alla soddisfazione di tale interesse strumentale.
5. L’accesso civico generalizzato nel settore dei contratti pubblici e la qualificazione dell’istanza di accesso proposta dal richiedente
5.1. Qualora si ritenesse che il concorrente secondo graduato sia privo di un interesse differenziato che lo legittima all’esercizio del diritto di accesso ordinario, ai sensi della legge n. 241/1990, nei riguardi degli atti afferenti alla fase esecutiva dell’appalto, diventerebbe necessario affrontare una seconda questione, anch’essa di evidente rilievo generale, concernente l’applicabilità del nuovo istituto dell’accesso civico generalizzato, disciplinato dall’art. 5 del decreto legislativo n. 33/2013, come novellato dal d.lvo n. 97/2016, nella materia dei contratti pubblici, tanto nella fase di scelta del contraente, quanto nella successiva fase di esecuzione delle prestazioni.
Il diritto di accesso civico generalizzato, infatti, si caratterizza proprio perché del tutto sganciato dal collegamento con una posizione giuridica differenziata. L’operatore economico, al pari di qualsiasi altro soggetto, potrebbe esercitare tale diritto anche al semplice scopo di verificare la correttezza dell’operato dell’amministrazione, indipendentemente dall’esigenza di proteggere una particolare situazione giuridica soggettiva.
5.2. La questione assume un rilievo centrale nella presente vicenda, poiché sia il contestato provvedimento di diniego, sia l’impugnata sentenza del TAR giungono alla conclusione secondo cui l’accesso civico generalizzato non può trovare applicazione nella materia dei contratti pubblici.
Prima di entrare nel merito di tale questione, peraltro, è necessario affrontare un ulteriore profilo della vicenda, focalizzato dalle difese del Consorzio appellato.
Come già esposto in narrativa, la richiesta di accesso dell’appellante non ha in alcun modo richiamato la disciplina dell’accesso civico e i suoi presupposti sostanziali. Tuttavia, l’amministrazione ha motivato il diniego anche in relazione alla normativa di cui al decreto n. 33/2013. A sua volta, anche la sentenza impugnata ha ampiamente argomentato il rigetto del ricorso in base alla prospettata lettura restrittiva dell’ambito operativo dell’accesso civico, ritenuto inapplicabile nel settore dei contratti pubblici.
Si tratta allora di chiarire se, a fronte di una istanza di accesso specificamente incentrata sulla disciplina ordinaria della legge n. 241/1990, e puntualmente motivata con riguardo all’asserita titolarità di un interesse qualificato e differenziato, l’amministrazione possa (o debba) riqualificare la richiesta come esercizio del diritto di accesso civico, valutandola senza considerare la concreta sussistenza di un interesse differenziato.
Al riguardo, sotto il profilo processuale, il collegio ritiene opportuno chiarire, intanto, che la questione debba essere esaminata in questa sede di appello, poiché essa riguarda un profilo centrale della conformazione del diritto di accesso, che il giudice conosce in sede di giurisdizione esclusiva e che non risulta affrontato dalla decisione del TAR.
Tale questione di carattere preliminare, in ogni caso, è ritualmente riproposta nella sede di appello dal Consorzio controinteressato (cfr. memoria del 5 novembre 2019).
Trattandosi di difesa riferita alla contestazione dei presupposti sostanziali del diritto di accesso reclamato dall’istante, in relazione ad un profilo non esaminato dal TAR non era infatti necessario il veicolo dell’appello incidentale.
A maggiore ragione, la prospettazione della difesa del controinteressato non richiedeva nemmeno la proposizione di un ricorso incidentale avverso la determinazione di rigetto dell’istanza di accesso ai documenti, poiché essa non ha espressamente affermato di qualificare la richiesta come esercizio dell’accesso civico generalizzato, ma si è limitata ad asserire che, in ogni caso, la pretesa conoscitiva è infondata anche secondo i parametri di cui al decreto n. 33/2016.
In questo quadro, pertanto, è necessario chiarire se l’amministrazione prima e il giudice dopo abbiano il potere, o il dovere, di riqualificare l’istanza di accesso presentata dal richiedente, secondo i parametri della indifferenziata legittimazione soggettiva attiva dell’accesso civico.
In punto di fatto, la parte appellante, facendo leva sulla sua qualità (differenziata) di impresa partecipante alla gara e collocatasi in seconda posizione nella graduatoria conclusiva, nel perseguimento della suindicata finalità di subentrare all’impresa aggiudicataria nello svolgimento del servizio in oggetto, sembra avere inteso (implicitamente) invocare le pertinenti disposizioni della l. n. 241/1990 e non quelle, caratterizzate dal carattere “adespota” dell’interesse legittimante l’accesso, regolatrici del accesso civico (esercitabile, come si è visto, da “chiunque”).
5.3. Alla soluzione della questione nel senso del carattere non preclusivo della qualità “differenziata” spesa dalla richiedente l’accesso, ai fini della applicazione (in via subordinata) della normativa in tema di accesso civico, potrebbe indurre, in primo luogo, il rilievo secondo cui compete all’Amministrazione – ed, in seconda battuta, al giudice – inquadrare sub specie iuris la domanda del privato, di cui sia univocamente identificabile il contenuto sostanziale (recte, nella specie, la ragione e l’oggetto della pretesa ostensiva): sì che, anche la presenza nell’istanza di accesso di espresse indicazioni normative (nel caso concreto, comunque, assenti) non potrebbe reputarsi suscettibile di vincolare le sue determinazioni (né, di riflesso, le valutazioni del giudice), dovendo aversi di mira l’obiettivo primario di verificare la fondatezza dell’istanza alla luce del complessivo tessuto ordinamentale, in vista del soddisfacimento dell’interesse ostensivo finale del richiedente (sempre che, naturalmente, l’istanza non contenga univoche indicazioni volitive del richiedente nel senso dell’applicazione dell’una o dell’altra disciplina regolatrice dell’accesso).
Del resto, e con diretto riferimento al caso di specie, la stessa Amministrazione, esprimendosi – con la nota impugnata in primo grado – in senso negativo in ordine alla duplice possibile prospettazione della pretesa ostensiva, ha ritenuto che entrambe fossero enucleabili, senza incorrere in forzature interpretative o qualificatorie, dall’istanza della parte appellante. Lo stesso Ente, pertanto, ha attribuito all’oggetto dell’istanza un contenuto ampio, ovvero comprensivo delle due possibili configurazioni del diritto di accesso, che non potrebbe essere ricusato in sede giudiziale dall’Amministrazione appellata, se non incorrendo nel divieto di venire contra factum proprium (non potendo invece invocarsi in tema di accesso, almeno qualora si ritenga che venga in rilievo una posizione di diritto soggettivo del richiedente, l’irretrattabilità del provvedimento, anche in punto di definizione contenutistica dell’istanza del cittadino, se non nelle forme dell’autotutela).
5.4. In secondo luogo, proprio in virtù del fatto che, dal punto di vista della qualificazione dell’interesse ostensivo, la disciplina in tema di accesso civico, in considerazione della sua maggiore latitudine applicativa, appare avere carattere “contenitivo” (secondo il rapporto tra “più” e “meno”) rispetto alla più restrittiva disciplina in tema di accesso ordinario, potrebbe a ragion veduta sostenersi che l’eventuale insufficienza di quello dedotto dal richiedente, al fine di legittimare l’accoglimento della domanda di accesso secondo la (più rigorosa) disciplina di cui alla l. n. 241/1990, renda inevitabile, in un’ottica di ricostruzione sostanzialistica del contenuto della domanda di accesso (nel segno del favor per la più ampia applicazione del principio di trasparenza, diretta emanazione di quelli costituzionali di buon andamento ed imparzialità), la verifica della sua fondatezza alla stregua della disciplina più “liberista”.
Peraltro, in via generale, se una domanda del cittadino difetti di un requisito per poter trovare soddisfacimento alla stregua di una determinata fattispecie normativa, o comunque non lo possieda col grado di intensità all’uopo richiesto, ciò non esclude che essa possa essere esaminata secondo una diversa fattispecie tipica, che quel requisito non contempli affatto.
5.5. In senso opposto, tuttavia, potrebbe sottolinearsi che l’accesso civico è testualmente finalizzato (cfr. art. 5, comma 2, d.lvo n. 33/2013, così come novellato dall’art. 6, comma 1, d.lvo n. 97 del 25 maggio 2016) allo “scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”: siffatta connotazione finalistica dell’accesso de quo, quindi, impronterebbe “in positivo” l’istituto, inducendo ad escluderne l’applicazione ogniqualvolta il promotore dell’iniziativa ostensiva abbia espressamente fatto valere una legittimazione di carattere “egoistico” (ovvero dichiarato di agire, come nella specie, a tutela di un interesse di carattere individuale).
5.6. Questa Sezione è consapevole che sulla questione sono prevalentemente registrabili precedenti giurisprudenziali intesi a risolvere in senso negativo la questione della possibilità di “conversione”, in sede di ricorso giurisdizionale, del “titolo” dell’accesso, eventualmente rappresentato ab initio all’Amministrazione sub specie di accesso documentale o ordinario (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1406 del 28 marzo 2017 e Sez. V, n. 1817 del 20 marzo 2019).
Tuttavia, a prescindere dal fatto che non risulta che nella specie l’istanza di accesso sia stata univocamente formulata ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241, assumendo rilievo identificativo della stessa il solo obiettivo ostensivo perseguito, e ben potendo ritenersi la specifica qualità della parte richiedente, e la motivazione dell’accesso, esplicitate al solo scopo di escludere il carattere meramente emulativo della domanda ostensiva, ritiene la Sezione che
anche tale aspetto della controversia renda opportune le pertinenti indicazioni interpretative dell’Adunanza Plenaria, alla quale quindi, unitamente al presente ricorso, deve essere rivolto il seguente ulteriore quesito: se sia consentito al giudice verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’accesso civico qualora il richiedente abbia speso una sua eventuale qualità differenziata e questa, tuttavia, non attinga i requisiti di legittimazione delineati dalla l. n. 241/1990, con particolare riguardo all’ipotesi in cui l’Amministrazione, nella motivazione dell’atto di diniego, si sia espressa, in senso sfavorevole per il cittadino, anche in ordine al primo profilo.
Tutta la nuova normativa in materia di trasparenza, del resto, è incentrata sull’idea della massima collaborazione tra l’amministrazione e i cittadini.
La soluzione formalista, che conduca alla reiezione dell’accesso per il mancato richiamo alla disciplina dell’accesso civico si porrebbe in totale contraddizione con questi principi.
D’altro canto, il rigetto non attribuirebbe all’amministrazione alcun concreto vantaggio, poiché il richiedente potrebbe poi reiterare l’istanza, fondandola sul decreto n. 22/2013. Questa duplicazione di istanze e procedimenti comporterebbe costi non solo per il privato, ma anche per la stessa amministrazione.
Si deve aggiungere che la “conversione” dell’istanza non sembra comportare pregiudizi per i terzi, dal momento che la disciplina del decreto n. 33/2013 risulta, nel suo complesso, decisamente più garantista degli interessi privati che possono essere posti in pericolo dall’esercizio del diritto di accesso.
6. Il rapporto tra accesso civico generalizzato, accesso ordinario e disciplina speciale dell’accesso nei contratti pubblici
6.1. Qualora l’Adunanza Plenaria dovesse risolvere in senso affermativo il (secondo) quesito sottopostole, assumerebbe infine rilievo dirimente, ai fini dell’esito della controversia, la complessa questione interpretativa inerente alla natura del rapporto tra la disciplina sul accesso civico e la disciplina dell’accesso ordinario, nella specifica materia dell’accesso agli atti relativi alle procedure di evidenza pubblica ed alla fase esecutiva del rapporto contrattuale con l’impresa aggiudicataria.
6.2. La giurisprudenza è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che i due sistemi normativi coesistano, nell’attuale complessivo regime della trasparenza dell’attività amministrativa, siccome finalizzati a regolare due istituti autonomi, muniti di propri elementi caratterizzanti.
I due distinti tipi di accesso restano unificati dalla comune matrice riequilibratrice del rapporto tra P.A. e cittadini, tradizionalmente improntato alla preminenza della prima rispetto ai secondi di cui costituiva espressione il superato principio della “chiusura” dei meccanismi decisionali dell’Amministrazione a fronte della aspirazione di conoscenza e controllo degli amministrati. L’accesso civico si caratterizza per la liberazione del relativo potere di impulso da ogni restrizione di carattere soggettivo, benché il suo concreto esercizio deve fare i conti con i limiti posti dall’art. 5, commi 1 e 2, d.lvo n. 33/2013, i quali prevedono il rifiuto dell’accesso laddove “necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi” pubblici e privati espressamente contemplati. L’accesso ordinario resta caratterizzato da una più rigorosa disciplina dei relativi presupposti soggettivi, cui fa da contraltare la sua maggiore potenzialità operativa: basti considerare che, ai sensi dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, anche in presenza di interessi – pubblici e privati – “antagonisti”, “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
Con recente sentenza (Sez. V, n. 1817 del 20 marzo 2019), il Consiglio di Stato ha infatti chiarito che “si tratta di istituti che – lungi dal configurare un unico diritto – concretano un insieme di sistemi di garanzia, tra loro diversificati, corrispondenti ad altrettanti livelli soggettivi di pretesa alla trasparenza da parte dei soggetti pubblici (arg. ex art. 5, comma 11 d.lgs. n. 33/2013, che prefigura, scolpendo la salvezza della disciplina codificata dalla l. n. 241/1990) un regime di convivenza di plurime “forme di accesso”). Onde il “sistema” dell’accesso alle informazioni pubbliche si presenta articolato e frastagliato, esibendo una multiformità tipologica, resa ancora più articolata dalla presenza di discipline speciali e settoriali, connotate di proprie peculiarità e specificità”.
Con il medesimo precedente, è stato altresì evidenziato che l’accesso civico o generalizzato, a differenza dell’accesso documentale “classico”, “sotto il profilo oggettivo, realizza il massimo della “estensione” (in quanto riferito non solo a documenti, ma anche a meri dati e anche ad elaborazioni informative), graduata tra l’accesso generico (che legittima l’ostensione di informazioni che già avrebbero dovuto essere, in quanto tali, pubblicate) e l’accesso universale (e “totale”, che non soffre di limitazioni contenutistiche”, mentre “sul piano dell’”intensità”, si tratta – nondimeno – di pretese meno incisive di quelle veicolate dall’accesso documentale (posto che – in presenza di controinteressi rilevanti – lo scrutinio di necessità e proporzionalità appare orientato dalla massimizzazione della tutela della riservatezza e della segretezza, in danno della trasparenza)”.
La suddetta impostazione sistematica, va aggiunto, trova il suo avallo legislativo espresso nel disposto dell’art. 5, comma 1, d.lvo n. 33/2013, a mente del quale “restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II, nonché le diverse forme di accesso degli interessati previste dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
6.3. Tuttavia, a fronte della suindicata ricostruzione dei rapporti tra le due discipline (cui deve aggiungersi, per quanto di interesse in relazione allo specifico oggetto della controversia, quella speciale di cui all’art. 53 del codice n. 50/2016), non può omettersi di menzionarne un’altra, di segno alternativo, secondo la quale il d.lvo n. 33/2013, come novellato dal d.lvo n. 97/2016, avrebbe rivisitato, in chiave liberalizzante, l’unitaria materia dell’accesso, la quale troverebbe quindi la sua attuale regolamentazione in un quadro normativo composito, dal punto di vista della fonte produttiva, che costituirebbe la risultante di un complesso processo di abrogazione-coordinamento-integrazione, affidato essenzialmente all’interprete e frutto dell’”atterraggio” (non compiutamente disciplinato in tutti i suoi risvolti applicativi dal legislatore attraverso appositi sistemi di raccordo) delle nuove (ed, in certo senso, dirompenti) disposizioni di cui al d.lvo n. 97/2016 sul terreno normativo “classico” di cui alla originaria l. n. 241/1990.
Secondo tale diverso approccio sistematico, il d.lvo n. 33/2013 non avrebbe esautorato del tutto la previgente l. n. 241/1990 né espunto dall’ordinamento le specifiche forme di accesso dalla stessa disciplinate: e tuttavia queste, unitamente all’istituto di nuovo conio dell’accesso civico, concorrerebbero alla configurazione di un diritto unitario, pur connotato dalla molteplicità delle sue concrete manifestazioni attuative, la cui ratio complessiva ed aggiornata riposerebbe nella necessità di apprestare strumenti penetrativi differenziati nelle maglie informative della P.A., al fine di meglio calibrare la forza del principio di trasparenza in ragione della diversità delle situazioni in cui venga concretamente invocato e della eterogeneità degli interessi di volta in volta coinvolti.
6.4. L’adesione all’uno o all’altro indirizzo ermeneutico non ha rilievo puramente teorico, ma si correla ad un diverso metodo interpretativo nella risoluzione delle frequenti quanto complesse situazioni di convergenza, nella regolamentazione di una specifica fattispecie, delle molteplici fonti normative che concorrono nella disciplina della materia: ispirato ad una più netta definizione della linea di confine tra l’una e l’altra in un caso (di cui è riflesso anche la già richiamata tendenza giurisprudenziale a precludere ogni possibilità di “conversione” dell’istanza da un modello all’altro), più proclive ad ammettere forme di osmosi e comunicazione tra i diversi modelli normativi vigenti in subiecta materia nell’altro.
Del resto, che tra le due discipline non possa essere eretta, in sede applicativa, una barriera invalicabile trova riscontro nello stesso testo legislativo più recente, laddove si dispone (cfr. art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013) che “il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”: ciò a dimostrazione del fatto che il legislatore riformatore del 2016 ha inteso preservare, anche nell’orbita applicativa dell’accesso civico, i limiti propri dell’accesso ordinario (in maniera del resto – verrebbe fatto di dire – del tutto logica e coerente, non potendo non applicarsi i limiti propri dello strumento ostensivo “forte”, nel senso illustrato, all’operatività di quello “debole”, nel senso della sua connaturata cedevolezza a fronte dell’incombente esigenza di proteggere gli interessi confliggenti).
Per concludere sul punto, deve solo precisarsi che, come si vedrà, di tale diversità di approccio ermeneutico costituisce manifestazione anche il modo in cui la giurisprudenza ha affrontato, in maniera non uniforme, la specifica questione oggetto della presente controversia.
6.5. Prima di procedere oltre, occorre evidenziare che proprio il carattere “generale” (e, in quanto tale, suscettibile di generare continui problemi di coordinamento applicativo) delle due discipline dell’accesso, nessuna delle quali, cioè, ancorata ad uno specifico ambito “tematico”, impone di interpretare la suindicata clausola di salvezza, recata dall’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013, in termini che non diano luogo ad una sorta di interpretatio abrogans, di cui farebbe le spese proprio la disciplina più recente in tema di accesso: effetto che fatalmente conseguirebbe laddove si ritenesse che, tra le “specifiche condizioni, modalità o limiti” fatti salvi dal legislatore, sia inclusa la limitazione soggettiva del diritto di accesso disciplinato dalla l. n. 241/1990, ancorata alla necessaria e specifica qualificazione del soggetto richiedente.
Consegue da tale rilievo che la necessità, ai fini ostensivi, di tale qualificazione soggettiva permane nei casi in cui non il d.lvo n. 33/2013 debba trovare applicazione alla concreta fattispecie esaminata, ma, tout court ed in base al rapporto di reciproca esclusione applicativa tra le due discipline in materia di accesso (basato, come si è detto, sulla loro distinta autonomia), quella recata dalla l. n. 241/1990: ciò vuoi perché il richiedente l’accesso faccia valere un “titolo” legittimante differenziato (laddove si ritenga tale qualità come un discrimen ai fini della individuazione della disciplina applicabile), vuoi perché (laddove non si ritenga decisiva quella qualità ai fini della individuazione della disciplina applicabile) la sola disciplina recata dalla l. n. 241/1990 si riveli idonea a garantire il soddisfacimento pieno dell’interesse ostensivo fatto valere, vuoi, infine, perché siano ravvisabili specifiche disposizioni che – questa volta in relazione a specifiche materie e/o fattispecie – prevedano espressamente l’applicazione esclusiva ed indifferenziata (comprensiva cioè, inevitabilmente, di quella limitazione soggettiva) della l. n. 241/1990.
6.6. Tale è (apparentemente) il caso – con diretta attinenza all’oggetto della controversia – della materia delle procedure di evidenza pubblica e del relativo segmento esecutivo, in relazione alle quali vige il disposto dell’art. 53, comma 1, del codice n. 50/2016 (ex art. 13 d.lvo n. 163/2006), già richiamato, a mente del quale “salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Deve al riguardo premettersi che il congiunto ed indistinto riferimento alle “procedure di affidamento” ed a quelle di “esecuzione” non sembrerebbe consentire di fare leva sulla diversa natura giuridica delle posizioni delle parti nell’ambito di ciascuna di esse – di segno pubblicistico nelle prime e privatistico-paritario nelle seconde – al fine di sostenere, come ha fatto il giudice di primo grado, la sussistenza di diversi criteri regolatori del diritto di accesso: del resto, la notoria natura “trasversale” dell’istituto dell’accesso, di cui costituisce riflesso processuale l’attribuzione in via esclusiva al giudice amministrativo delle relative controversie, non consente di operare “distinguo” incentrati sulla natura della situazione giuridica “di provvista”, di cui si affermi titolare il richiedente.
7. La portata della disciplina contenuta nell’art. 53 del codice dei contratti pubblici
7.1. La giurisprudenza – sia di primo che di secondo grado, alla luce delle già citate pronunce di questa e della V Sezione del Consiglio di Stato – non è univocamente orientata in ordine alla valenza dispositiva della norma citata e comunque, più in generale, al rapporto tra d.lvo n. 33/2013 e l. n. 241/1990 con precipuo riferimento alla materia de qua.
Premesso che le soluzioni interpretative recepite con le predette più recenti sentenze (quella di questa Sezione favorevole all’applicazione del novellato d.lvo n. 33/2013 nella materia dei contrati pubblici e della loro esecuzione, quella della V Sezione di contrario avviso) si associano al diverso peso dato, nella rispettiva tessitura ermeneutica, al dato letterale ed a quello funzionale-costituzionale (il primo prevalente nell’impostazione della V Sezione, il secondo nella lettura data da questa Sezione), si ritiene di proporre all’Adunanza Plenaria una soluzione che, senza devitalizzare i due criteri interpretativi, ne operi la reductio ad unitatem, con il risultato finale – è d’uopo anticiparlo – di ribadire (ed ulteriormente corroborare sul piano motivazionale) la tesi esposta con la sentenza di questa Sezione n. 3780/2019.
7.2. Ebbene, nell’ottica della ricostruzione dei rapporti inter-temporali tra le citate discipline, una prima tesi sostiene che il d.lvo n. 33/2013 (recte, le modifiche ad esso apportate, in chiave introduttiva dell’istituto del accesso civico, dal d.lvo n. 97/2016) avrebbe determinato l’abrogazione, quale lex posterior, del citato art. 53, comma 1.
In senso contrario, viene sottolineato che resterebbe da dimostrare la ragione per la quale il legislatore non si sia fatto carico di disporre l’abrogazione espressa della norma, tanto più necessaria alla luce del suo carattere speciale (ratione materiae), ma anzi abbia espressamente sancito, in via generale (e non settoriale), la sopravvivenza delle disposizioni che subordinano l’accesso al “rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”.
A tali argomentazioni, di segno contrario alla prevalenza abrogatrice del d.lvo n. 33/2013 (recte, del d.lvo n. 97/2016), viene opposta quella che ipotizza che l’art. 53, comma 1, non sarebbe interessato da un evento abrogativo in senso stretto, discendente dal d.lvo n. 97/2016, ma recherebbe un rinvio esterno di carattere “mobile”, tale da imporre l’adeguamento del termine della relatio ai mutamenti legislativi verificatisi nel tempo: tra i quali, appunto, quello decisivo, se non “epocale”, rappresentato dalle modifiche apportate al d.lvo n. 33/2013 dal d.lvo n. 97/2016.
Tale tesi, secondo cui non potrebbe attribuirsi all’art. 53 l’effetto di cristallizzare, in relazione all’accesso nella materia cui esso si riferisce, la disciplina recata dalla l. n. 241/1990, deve tuttavia essere meglio articolata.
Poiché, infatti, secondo la ricostruzione prevalente (e testualmente legittimata dal d.lvo n. 97/2016: cfr. il già richiamato art. 5, comma 1, d.lvo n. 33/2013), l’attuale disciplina del diritto di accesso ha carattere “composito”, incentrandosi sui due “pilastri” normativi rappresentati dal d.lvo n. 33/2013 e dalla l. n. 241/1990, ciascuno dei quali destinato a conservare efficacia e forza regolativa entro il proprio ambito di operatività, il funzionamento della clausola di “rinvio mobile”, contenuta nel citato art. 53 (e nel previgente art. 13 del codice n. 163/2006), non potrebbe essere basato sulla mera successione sostitutiva tra la l. n. 241/1990 ed il d.lvo n. 33/2013, come novellato dal d.lvo n. 97/2016, ma sul rapporto di coordinamento-integrazione derivante dalla ravvisata coesistenza, con riferimento al medesimo macro-istituto dell’accesso, dei due corpora normativi (rappresentati, appunto, dalla l. n. 241/1990 e dal riformato d.lvo n. 33/2013).
Da questo punto di vista, quindi, l’oggetto della relatio operata dalla citata formula di rinvio “mobile” non dovrebbe essere inteso come relativo tout court al d.lvo n. 33/2013, in sostituzione della l. n. 241/1990 ancora formalmente richiamata, ma come riferito congiuntamente alle due discipline: sì che l’applicazione dell’una o dell’altra alla concreta fattispecie deriverebbe dai generali criteri innanzi illustrati (in sintesi: “titolo” legittimante fatto valere dal richiedente, sua eventuale espressa volontà in ordine all’applicazione dell’una o dell’altra disciplina, più spiccata attitudine dell’accesso civico o di quello ordinario al soddisfacimento della concreta istanza ostensiva e dell’interesse con essa fatto valere).
A diverse conclusioni dovrebbe invece pervenirsi laddove si ritenesse che il rinvio operato dall’art. 53 alla l. n. 241/1990 sia espressivo della volontà legislativa – rimasta immutata pur dopo le novità apportate in tema di accesso civico dal d.lvo n. 97/2016 – di affermare la vigenza, nello specifico settore delle procedure di evidenza pubblica (e della relativa fase esecutiva), del solo strumento ostensivo disciplinato dalla l. n. 241/1990.
Tale conclusione interpretativa, tuttavia, non potrebbe ritenersi implicita nella conservazione, nel suo primigenio contenuto, dell’art. 53, pur dopo le modifiche apportate dal d.lvo n. 97/2016 al d.lvo n. 33/2013: quasi che l’assenza di interventi legislativi sulla formulazione originaria del primo potesse ritenersi espressiva di una volontà “positiva” del legislatore di confermarne l’originario significato prescrittivo.
In primo luogo, basti osservare che il d.lvo n. 97/2016, con il suo art. 5 bis, comma 3, non ha omesso di disciplinare il rapporto delle nuove disposizioni con quelle previgenti contenute nella l. n. 241/1990: sì che è a quella disposizione che occorrerebbe principalmente guardare al fine di verificare e calibrare il rapporto instaurabile tra le citate (e potenzialmente confliggenti) normative nella specifica materia de qua.
Inoltre, l’interpretazione esposta finisce per snaturare l’originario significato normativo dell’art. 53, ciò che richiederebbe un esplicito avallo legislativo: la norma infatti, nata al fine di confermare la vigenza in una materia “speciale” di una disciplina di carattere generale, in una evidente ottica ampliativa del principio di trasparenza, sarebbe piegata al diverso fine di escludere l’applicazione, in relazione a quella stessa materia, di una normativa di rilievo altrettanto generale, che quel principio sarebbe protesa ulteriormente a rafforzare.
7.3. Così delimitato il tema dell’indagine, va rilevato che, secondo una impostazione, l’art. 53 integrerebbe appunto una delle ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013, la “disciplina vigente” subordina (tuttora) l’accesso “al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”: “specifiche condizioni, modalità o limiti” cui sarebbe riconducibile anche la limitazione soggettiva del diritto di accesso, vigente nel quadro regolatorio di cui alla l n. 241/1990, connessa alla necessaria titolarità in capo al richiedente della già analizzata “situazione differenziata”.
In ordine a tale interpretazione, ed alla sua idoneità a giustificare la tesi della soggezione delle procedure di evidenza pubblica (e della relativa fase esecutiva) alla sola disciplina recata dalla l. n. 241/1990, deve tuttavia svolgersi qualche osservazione dubitativa.
Chiarito che – secondo la già più volte richiamata interpretazione prevalente – l’accesso civico e quello ordinario coesistono nel nostro ordinamento, al pari delle rispettive disposizioni regolatrici, l’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013, nel suo rinvio alle “vigenti disposizioni” che presuppongono, ai fini dell’accesso, il rispetto di “specifiche condizioni, modalità e limiti”, non sembra poter essere semplicisticamente inteso come affermativo della necessità di richiedere, ai fini dell’ostensione dei documenti in determinati ambiti/materie (come, appunto, quella delle procedure di evidenza pubblica e della relativa fase esecutiva, in cui vige una disposizione che richiama espressamente la l. n. 241/1990), il possesso della situazione legittimante ex art. 22 l. n. 241/1990: tale interpretazione, infatti, assume a suo presupposto proprio quella che dovrebbe essere, invece, la conclusione del ragionamento ermeneutico, ovvero la perdurante vigenza, nella predetta materia e quale esclusiva fonte regolatrice dell’accesso ad essa relativo, della l. n. 241/1990 (dando essa, in altre parole, per scontato che la suddetta materia, con riferimento all’istituto dell’accesso, sia rimasta immune dall’avvento innovatore del d.lvo n. 97/2016).
Inoltre, l’impossibilità di istituire un immediato “ponte” dispositivo tra l’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013 e l’art. 53, comma 1, scaturisce dalla diversa portata delle due previsioni: l’una intesa a fare salva la vigenza delle disposizioni che prevedono “specifiche condizioni, modalità o limiti” all’accesso, l’altra recante un rinvio generale ed onnicomprensivo alla l. n. 241/1990.
Consegue da tale rilievo che disposizioni come l’art. 53, le quali, oltre ad essere previgenti (al d.lvo n. 97/2016), fanno indistinto riferimento alle previsioni in tema di accesso di cui alla l n. 241/1990, non potrebbero essere ricondotte alla clausola di salvezza di cui all’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013, scontrandosi il carattere generale del primo, siccome riguardante l’intero complesso normativo di cui alla l. n. 241/1990, ed il carattere analitico del secondo, concernente “specifiche condizioni, modalità o limiti” previsti dalla vigente disciplina in tema di accesso.
Né, del resto, sarebbe plausibile ritenere che la clausola di cui all’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013, ed in particolare il rinvio da esso operato alle “specifiche condizioni, modalità o limiti”, si presti ad essere intesa ed applicata in modo differenziato: come relativa, cioè, (anche) alla suindicata limitazione soggettiva, laddove specifiche discipline (come nella specie, per ipotesi, l’art. 53, comma 1) contengano un generico richiamo alla l. n. 241/1990, ed estranea ad essa, qualora nessuna previsione vi sia (e si tratti solo di applicare, nel suo proprio ambito operativo, la disciplina in tema di accesso civico).
In tale seconda ipotesi, infatti, la disposizione non potrebbe sicuramente essere invocata, come già rilevato, al fine di affermare la vigenza, anche in riferimento all’accesso civico, di quelle “limitazioni” che, per il loro carattere tipizzante lo specifico istituto dell’accesso ordinario (come quella connessa alla necessaria legittimazione soggettiva del richiedente), non si prestano ad essere trasposte all’altro, a pena di snaturamento dello stesso.
Per concludere, potrebbe anzi ipotizzarsi – rimettendo all’Adunanza Plenaria ogni valutazione finale sul punto – che l’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013, nel suo rinvio ai “casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”, rechi supporto all’interpretazione opposta a quella che lo invoca al fine di giustificare l’inapplicabilità dell’accesso civico alla materia disciplinata dal Codice degli Appalti.
Invero, il generico riferimento normativo all’”accesso” – comprensivo di quello civico e di quello ordinario – sembra deporre nel senso che il legislatore ha una visione sostanzialmente unitaria dell’istituto dell’accesso, sebbene disciplinandone in maniera diversa le singole declinazioni attuative.
Ebbene, se così è (recte, fosse), la disposizione potrebbe essere invocata proprio al fine di ribadire che le due richiamate discipline in tema di accesso concorrono in ciascun ambito materiale specifico, ferma restando la necessità di rispettare quelle “specifiche condizioni, modalità o limiti” previsti dalla l. n. 241/1990: ai quali, però, non sarebbero riconducibili quelli che, come la necessaria legittimazione soggettiva del richiedente, non possono essere trasferiti entro il dominio applicativo dell’accesso civico, senza dare luogo alla radicale negazione dello stesso.
7.4. La suindicata connotazione dell’art. 5 bis, comma 3, d.lvo n. 33/2013 è stata ben messa in risalto da questa Sezione, con la sentenza n. 3780/2019, laddove ha evidenziato che “la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.
In tale contesto interpretativo, che la Sezione ritiene in questa sede di ribadire, l’art. 53, lungi dal poter costituire un ostacolo insormontabile alla delimitazione del perimetro applicativo dell’istituto del accesso civico, non potrebbe non subire l’influsso innovatore derivante dal d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016: influsso caratterizzato, come si è detto, dalla equiordinazione dei due istituti (o diverse versioni dello stesso istituto, se si preferisce) – l’accesso civico e l’accesso ordinario – nella comune funzionalizzazione alla garanzia del principio di trasparenza nell’organizzazione e nell’attività della P.A., pur nel rispetto del loro diverso modus operandi, così come definito dalle rispettive norme regolatrici.
Come ugualmente evidenziato dalla Sezione con la citata sentenza, infatti, dalla regola secondo cui, “ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti”, deriva che non può ritenersi che “l’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della l. 241/90, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici”: ed è evidente, viene da aggiungere, che qualora si ritenga di affermare l’applicazione dell’accesso civico anche nella materia delle procedure di evidenza pubblica, lo stesso non potrebbe che venire in rilievo nella sua “piena” portata normativa, inclusa l’ammissibilità di un accesso di tipo soggettivamente “generalizzato”.
Inoltre, come messo in chiaro dalla predetta sentenza, il fatto che “il citato d. lgs. n. 97/2016, successivo sia al “Codice dei contratti” che – ovviamente – alla legge n. 241/90, sconta un mancato coordinamento con quest’ultima normativa, sul procedimento amministrativo” non legittima “una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento: sarebbe questa, opinando sulla scia della impugnata sentenza, la strada per la preclusione dell’accesso civico ogniqualvolta una norma di legge si riferisca alla procedura ex artt. 22 e seguenti L. 241/90. Ritiene, viceversa, il Collegio, che una interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost. debba valorizzare l’impatto “orizzontale” dell’accesso civico, non limitabile da norme preesistenti (e non coordinate con il nuovo istituto), ma soltanto dalle prescrizioni “speciali” e interpretabili restrittivamente, che la stessa nuova normativa ha introdotto al suo interno”.
Deve solo chiarirsi, in questa sede, che non di “prevalenza” di una tipologia di accesso (nella specie, l’accesso civico generalizzato) sull’altra (ovvero, sull’accesso procedimentale o documentale) si tratterebbe, come invece ritenuto (nel commentare la sentenza di questa Sezione n. 3780/2019) dalla Sez. V con le sentenze n. 5502/ 2019 e 5503/2019, ma di assicurare l’applicazione “equiordinata” delle due discipline, in vista della più ampia realizzazione del principio (di ascendenza costituzionale ed euro-unitaria) di trasparenza.
7.5. Né potrebbe temersi che la proposta interpretazione possa dare la stura ad istanze ostensive dettate da mera curiosità o finalizzate ad acquisire dati sensibili relativi ad imprese concorrenti: invero, oltre a ricordare, come fatto con la citata sentenza di questa Sezione, che “proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33)”, deve osservarsi, con riferimento al caso di specie, che l’interesse conoscitivo è stato puntualmente delineato, già dall’istanza di accesso, dalla parte appellante, nei termini della verifica delle modalità di esecuzione della prestazione da parte dell’impresa affidataria, in vista del controllo della sua rispondenza agli standards qualitativi delineati dal Capitolato tecnico e nella sua stessa offerta migliorativa, non eliso – ma, semmai, rafforzato ed accreditato, come si è già detto, in termini di non “emulatività” – dal suo interesse a subentrare nell’affidamento, nell’ipotesi di effettiva rilevazione di una situazione di “grave inadempimento” e di esercizio del potere della stazione appaltante di interpello della seconda graduata.
In ordine al suddetto profilo, nemmeno sembra potersi attribuire rilievo decisivo alle deduzioni del Consorzio controinteressato, laddove, dopo aver evidenziato che l’art. 5 bis, comma 2, lett. c) d.lvo n. 33/2013 esclude dall’ambito applicativo dell’accesso civico atti e documenti inerenti gli interessi economici e commerciali di persone fisiche o giuridiche, mentre il comma 1, lett. a), prevede che “l’accesso civico di cui all’articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico”, sottolinea che il servizio viene da esso svolto in strutture dell’Azienda Sanitaria Toscana Centro destinate ad attività di particolare delicatezza, quali poliambulatori e centri polivalenti, centri psichiatrici, di salute mentale e di igiene pubblica, centri di assistenza alle famiglie e di recupero tossicodipendenti, etc., per cui i documenti relativi all’esecuzione del predetto servizio presso i menzionati immobili contengono dati relativi ai contratti di fornitura, i numeri di matricola dei contatori e sub–contatori installati nei predetti immobili e i dettagli dei vettori energetici di ognuno di essi, così come la documentazione inerente i collaudi INAIL riporta i dati anagrafici dell’utente e dell’installatore, la potenza dell’impianto, l’anno di immatricolazione, la matricola e la sigla dell’impianto, nonché le caratteristiche tecniche dello stesso.
Basti osservare che la verifica in ordine alla sussistenza effettiva della suddetta limitazione oggettiva, così come delle eventuali modalità per contemperare l’interesse ostensivo della richiedente l’accesso con l’esigenza di salvaguardia dei menzionati dati protetti, dovrebbe trovare la sua appropriata collocazione nella fase di riscontro dell’Amministrazione all’istanza di accesso civico de qua, e non quale motivo determinativo della sua assoluta inammissibilità, opposta alla parte richiedente con la nota impugnata in primo grado.
7.6. Nemmeno sembra del tutto condivisibile quanto osservato con le sentenze della Sez. V n. 5502/2019 e n. 5503/2019 in ordine al fatto che “il perseguimento di buona parte delle finalità di rilevanza pubblicistica poste a fondamento della disciplina in tema di accesso civico generalizzato è assicurato, nel settore dei contratti pubblici, da altri mezzi, ed in particolare: con i compiti di vigilanza e controllo attribuiti all’ANAC, soprattutto quanto allo scopo di contrasto alla corruzione, nonché con l’accesso civico c.d. semplice di cui all’art. 3 e all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, dato che molto ampia è la portata dell’obbligo previsto, dalla normativa vigente, in capo alle pubbliche amministrazioni, di pubblicare documenti, informazioni o dati riguardanti i contratti pubblici”: quanto al primo profilo, invero, deve osservarsi che, sebbene l’accesso civico persegua (anche) finalità di carattere pubblicistico, ciò non esclude che esso sia concepito come posizione soggettiva del cittadino uti singulus, quanto al secondo, che il fatto che l’accesso civico abbia carattere residuale (essendo relativo agli atti non costituenti oggetto di alcun obbligo di pubblicazione) non consente di obliterare la rilevanza della sua autonoma operatività e della sua distinta funzione nel segno dell’attuazione effettiva del principio di trasparenza.
Sotto l’aspetto sistematico e finalistico, del resto, risulterebbe difficilmente spiegabile perché il principio di trasparenza debba subire una così vistosa limitazione proprio nell’ambito del settore dei contratti pubblici. È in questo settore, semmai, che si manifesta la necessità di assicurare la massima espansione di un controllo generalizzato sulle attività delle pubbliche amministrazioni.
Tale principio, poi, è ricavabile dalla regola espressa dal considerando n. 122 della direttiva n. 14/2014, la quale codifica la protezione dell’interesse legittimo del cittadino contribuente alla osservanza delle regole in materia di affidamento dei contratti pubblici.
Non vi è dubbio che, in tale settore, possano manifestarsi specifiche esigenze di protezione di interessi pubblici e privati, tali da giustificare particolari condizioni o limiti, prevalenti sulla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
In tale prospettiva, quindi, è pacifico che l’art. 53 del codice dei contratti pubblici contenga norme derogatorie alla disciplina generale contenuta nel decreto n. 33/2013, riferite ai limiti temporali ed oggettivi del diritto di accesso.
Senza considerare, poi, che, la normativa generale in materia di accesso civico contiene ulteriori disposizioni volte a proteggere interessi pubblici e privati prevalenti sul diritto alla conoscenza degli atti amministrativi.
Ma non emergono dal sistema normativo così delineato particolari ragioni giustificatrici di un’assoluta inapplicabilità della disciplina dell’accesso civico nel settore dei contratti pubblici.
7.7. In conclusione, il quadro interpretativo giurisprudenziale non univoco consiglia di sottoporre anche la questione interpretativa da ultimo trattata al vaglio dell’Adunanza Plenaria, in accoglimento – peraltro – dell’istanza formulata dalla parte appellante con la memoria del 29 ottobre 2019.
Essa, a fini meramente esplicativi, può quindi essere sintetizzata nei termini seguenti: se l’accesso agli atti/documenti inerenti al procedimento di evidenza pubblica ed alla relativa fase esecutiva sia sottoposto alla disciplina di cui alla l. n. 241/1990 ovvero a quella di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, con particolare riferimento alla necessità di una specifica qualificazione legittimante in capo al richiedente e, di riflesso, quale sia la valenza normativa attribuibile, in relazione al profilo indicato, all’art. 53, comma 1.
Tale esigenza chiarificatrice è resa ancor più concreta dal fatto che, proprio con riferimento alla procedura di gara in questione, sono state emesse pronunce – di primo e secondo grado – divergenti: basti citare, a favore della tesi di parte appellante, T.A.R. Toscana, Sez. I, sentenze n. 422/2019 del 25 marzo 2019 (oggetto della sentenza riformatrice della Sez. V n. 5003 del 2 agosto 2019) e n. 611/2019 del 26 aprile 2019 (oggetto del ricorso di appello n. 5341/2019, pendente dinanzi alla Sez. V ed oggetto di trattazione alla camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020), ed in senso contrario T.A.R. Lazio, Sez. II, n. 425 del 14 gennaio 2019, confermata con sentenza della Sez. V n. 5502 del 2 agosto 2019, e la citata sentenza della Sez. V n. 5503 del 2 agosto 2019.
8. I punti di diritto rimessi all’esame dell’Adunanza Plenaria.
8.1. Riassuntivamente, la Sezione deferisce il presente ricorso in appello all’esame dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del codice del processo amministrativo, in relazione ai seguenti punti di diritto, che hanno dato luogo o possono dare luogo a contrasti giurisprudenziali, e che, comunque, appaiono di particolare importanza:
– I. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria;
– II. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lvo n. 33/2013, come modificato dal d.lvo n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice;
– III. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.
Resta riservata alla definizione del presente appello ogni decisione sulle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), non definitivamente pronunciando, dispone il deferimento dell’appello all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, per la risoluzione delle questioni indicate in motivazione.
Spese al definitivo.
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al Segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati: