FATTO e DIRITTO
1. L’ OGGETTO DEL PRESENTE GIUDIZIO.
1.1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal provvedimento reso dal commissario ad acta – nominato in sede di esecuzione di un giudicato – recante, nella sostanza, l’emanazione di un decreto di acquisizione ex art. 42-bis d.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – (in prosieguo t.u. espr.), in danno della odierna ricorrente.
1.2. Più in dettaglio viene in rilievo la domanda di esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza irrevocabile del T.a.r. per la Puglia – sede staccata di Lecce, Sezione I, n. 3342 del 19 novembre 2008 che, in accoglimento del ricorso proposto dalla Signora Carmela Marraffa:
a) ha preso atto della irreversibile trasformazione di un appezzamento di terreno (di proprietà dell’istante) in giardino pubblico ad opera del comune di Villa Castelli che, sebbene avesse disposto l’occupazione d’urgenza dell’area, non aveva emanato il successivo decreto di esproprio;
b) ha condannato il comune a restituire l’area, ovvero a concludere un accordo transattivo, o, in alternativa, ad emanare un provvedimento di acquisizione ai sensi dell’allora vigente art. 43, t.u. espr.;
c) ha scandito dettagliatamente la tempistica di ciascuna fase ed i relativi adempimenti, formulando minute prescrizioni anche in ordine ai criteri di liquidazione, per equivalente monetario, del danno derivante dalla perdita della proprietà e del possesso sine titulo, oltre che degli accessori;
d) ha espressamente stabilito che, trascorsi i termini concessi per ciascuno degli alternativi adempimenti, la parte privata avrebbe potuto agire in giudizio per l’esecuzione della decisione;
e) ha condannato il comune alla refusione delle spese di lite.
2. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.
2.1. Con una prima sentenza irrevocabile resa in esecuzione del giudicato de quo agitur– T.a.r. Lecce, Sezione I, n. 2241 del 2 ottobre 2009 -:
a) è stata assodata la sostanziale inerzia del comune ad eseguire il giudicato;
b) è stato ordinato all’ente di dare corso a tutti gli adempimenti previsti dal giudicato entro un breve termine (45 giorni);
c) è stata disposta la condanna dell’ente alle spese di lite.
2.2. Con una seconda sentenza irrevocabile resa sempre in esecuzione del giudicato – T.a.r Lecce, Sezione I, n. 928 del 24 maggio 2012 -:
a) è stato ritenuto applicabile in luogo dell’art. 43, l’art. 42-bis t.u. espr.;
b) si è preso atto che il comune non ha inteso concludere un accordo transattivo;
c) sono state rinnovate le statuizioni alternative, relative alla restituzione del terreno ovvero all’emanazione di un provvedimento ex art. 42-bis, accompagnate dalle consequenziali misure risarcitorie;
d) è stato concesso un ulteriore termine di 60 giorni;
e) è stato nominato il commissario ad acta con il mandato di provvedere a tutti gli adempimenti occorrenti per l’ottemperanza;
f) è stata disposta l’ennesima condanna dell’ente alle spese di lite.
2.3. Nella perdurante inerzia del comune, il commissario ad acta ha emanato, in data 10 settembre 2012, un provvedimento ex art. 43 t.u. espr. determinando il valore del bene ed il risarcimento del danno.
2.4. Il provvedimento commissariale è stato reclamato dalla Signora Marraffa, ex art. 114, co. 6, c.p.a., sotto molteplici aspetti (cfr. atto notificato in data 4 dicembre 2012).
2.5. Il reclamo è stato respinto dall’impugnata sentenza del T.a.r. di Lecce, Sez. I, n. 383 del 21 febbraio 2013 che, previa riqualificazione del provvedimento ex art. 42-bis cit.:
a) ha escluso che il commissario dovesse agire nel contraddittorio delle parti, acquisendo il contributo istruttorio delle medesime;
b) ha riconosciuto congrua la determinazione del valore del terreno in relazione alla sua inedificabilità;
c) ha escluso che la stima dell’Agenzia del territorio, posta a base del provvedimento commissariale, fosse stata in precedenza ritenuta incongrua o inutilizzabile dal medesimo T.a.r.
3. IL GIUDIZIO DI APPELLO DAVANTI ALLA IV SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.
3.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato la Signora Marraffa ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza articolando due autonomi motivi:
a) con il primo (pagine 7 – 9 del gravame), ha contestato che il commissario fosse esonerato dall’obbligo di acquisire i pareri delle parti che sarebbero stati, viceversa, rilevanti e decisivi in punto di scelta fra restituzione del bene o acquisizione coattiva;
b) con il secondo (pagine 9 – 10 del gravame), ha ribadito che il commissario, per individuare il valore del bene, non avrebbe dovuto basarsi sulla stima dell’Agenzia del territorio perché tale valutazione era stata considerata inappropriata dallo stesso T.a.r. nella sentenza n. 2241 del 2009; da qui la violazione del mandato conferito all’ausiliario dalla sentenza n. 928 del 2012 e l’invalidità, in parte qua, del provvedimento reclamato.
3.2. Si è costituito il comune confutando analiticamente la fondatezza dell’appello di cui ha chiesto il rigetto.
4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DELLA CAUSA ALL’ADUNANZA PLENARIA ED I SUCCESSIVI SVILUPPI PROCESSUALI.
4.1. Con ordinanza n. 3347 del 3 luglio 2014, la IV Sezione del Consiglio di Stato:
a) ha ricostruito, in chiave storica e sistematica, l’istituto dell’acquisizione disciplinato prima dall’art. 43 e poi dall’art. 42-bis; t.u. espr.;
b) ha dato atto del contrasto registratosi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato circa la possibilità che in sede di esecuzione del giudicato il giudice amministrativo, direttamente o per il tramite dell’intervento del commissario ad acta, possa o meno ordinare alla P.A. di adottare un provvedimento ex art. 42-bis, ovvero limitarsi a sollecitare l’esercizio di tale potere, fissando all’uopo un termine, scaduto il quale non rimarrebbe che assicurare la sola tutela restitutoria;
c) ha rilevato la pendenza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis t.u. espr. sollevata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. ordinanze 13 gennaio 2014, nn. 441 e 442);
d) all’esplicito scopo di meglio garantire l’armonico coordinamento (ed il rispetto) dei principi della effettività della tutela giurisdizionale, da un lato, e dell’autorità del giudicato, dall’altro, ha sottoposto all’Adunanza planaria la seguente questione ovvero <<se nella fase di ottemperanza – con giurisdizione, quindi, estesa al merito – ad una sentenza avente ad oggetto una domanda demolitoria di atti concernenti una procedura espropriativa, rientri o meno tra i poteri sostitutivi del giudice, e per esso, del commissario ad acta, l’adozione della procedura semplificata di cui all’art. 42-bis t.u. espr.>>.
4.2. Con ordinanza dell’Adunanza plenaria – n. 28 del 15 ottobre 2014 – è stato sospeso il presente giudizio in attesa della definizione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
4.3. Con sentenza parzialmente interpretativa di rigetto n. 71 del 30 marzo 2015 – pubblicata nella G.U., 1° s.s., 6 maggio 2015 n. 18 – la Corte costituzionale, in relazione ai vari parametri evocati, ha dichiarato in parte inammissibile, in parte infondata, ed in parte non fondata ai sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del più volte menzionato art. 42-bis.
4.4. Il giudizio è stato ritualmente proseguito con l’istanza depositata in data 1 giugno 2015 dalla difesa della signora Marraffa ed alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. LA NATURA GIURIDICA, I PRESUPPOSTI APPLICATIVI E GLI EFFETTI DELLA ACQUISIZIONE EX ART. 42-BIS T.U. ESPR.
5.1. Si riporta per comodità di lettura il più volte menzionato art. 42 – bis, t.u. espr. – Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico – come introdotto dall’art. 34, comma 1, d.l. n. 98 del 2011 convertito con modificazioni nella l. n. 111 del 2011: <<1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma.
4. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2.
5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell’autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.
7. L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo nè dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.>>
5.2. Prima di procedere alla risoluzione del quesito sottoposto all’Adunanza plenaria, è indispensabile ricostruire (limitandosi a quanto di interesse) il quadro dei condivisibili principi che, successivamente all’ordinanza di rimessione della IV Sezione, sono stati elaborati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 71 del 2015 cit.), dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988 del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014), all’interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per contrastare il deprecato fenomeno delle <<espropriazioni indirette>> del diritto di proprietà o di altri diritti reali (cfr., ex plurimis e da ultimo, con riferimento all’ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale; Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci; Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro; Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso; Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta; Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino; Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera; Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura).
5.3. In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene – che viene a cessare solo in conseguenza:
a) della restituzione del fondo;
b) di un accordo transattivo;
c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;
d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); dunque a condizione che:
I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta;
II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis;
III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il <<….giorno in cui il diritto può essere fatto valere>>;
e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. espr.
5.4. Chiarito che l’acquisizione ex art. 42-bis cit. costituisce una delle possibili cause legali di estinzione di un fatto illecito e che essa trova legittima applicazione anche alle situazioni prodottesi prima della sua entrata in vigore (§ 6.9.1. della sentenza della Corte cost. n. 71 del 2015 cit., che ha così definitivamente fugato i dubbi adombrati dalle Sezioni unite al § 4 della sentenza n. 735 del 2015 cit.), giova evidenziare che:
a) la disposizione introduce una norma di natura eccezionale; tale conclusione è coerente con l’impostazione tradizionale che considera a tale stregua le norme limitatrici della sfera giuridica dei destinatari, con particolare riguardo a quelle che attribuiscono alla P.A. un potere ablatorio.
Un atto definibile come espropriazione in sanatoria stricto sensu, e basato sulla illiceità dell’occupazione di un bene altrui, infatti, segnerebbe una interruzione della consequenzialità logica della disciplina generale (europea e nazionale) di riferimento in materia di acquisizione coattiva della proprietà privata, ponendosi in contrasto con essa attraverso una discriminazione – pure sancita dalla legge – del trattamento giuridico di situazioni soggettive che altrimenti sarebbero destinatarie della disciplina generale; da qui l’indefettibile necessità, ex art. 14, disp. prel. c.c., di una esegesi rigorosa della norma medesima che sia, ad un tempo, conforme al sistema di tutela della proprietà privata disegnato dalla CEDU ma rispettosa del valore costituzionale della funzione sociale della proprietà privata sancito dall’art. 42, co. 2, Cost. (che costituisce il fondamento del potere attribuito alla P.A.), secondo un approccio metodologico basato su una visione sistemica, multilivello e comparata della tutela dei diritti, a sua volta incentrata sulla considerazione dell’ordinamento nel suo complesso, quale risultante dalla interazione fra norme (interne e internazionali) e principi delle Corti (interne e sovranazionali);
b) l’art. 42-bis, invece, configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura realizzata sine titulo;
c) un tale obbiettivo istituzionale, inoltre, deve emergere necessariamente da un percorso motivazionale – rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipativo rigorose – basato sull’emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l’apprensione coattiva si pone come extrema ratio (perché non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative e che tale assenza di alternative non può mai consistere nella generica <<…eccessiva difficoltà ed onerosità dell’alternativa a disposizione dell’amministrazione..>>), per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche;
d) sono coerenti con questa impostazione:
I) le importanti guarentigie previste per il destinatario dell’atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell’indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass. civ., Sez. un., n. 2209 del 2015 cit.), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che, dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 t.u.espr.), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l’espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno;
II) la previsione del coinvolgimento obbligatorio della Corte dei conti in una vicenda che produce oggettivamente (e indipendentemente dagli eventuali profili soggettivi di responsabilità da accertarsi nelle competenti sedi) un aggravio sensibile degli esborsi a carico della finanza pubblica;
e) per evitare che l’eccezionale potere ablatorio previsto dall’art. 42-bis possa essere esercitato sine die in violazione dei valori costituzionali ed europei di certezza e stabilità del quadro regolatorio dell’assetto dei contrapposti interessi in gioco, la disciplina ivi dettata è inserita in (ed arricchita da) un più ampio contesto ordinamentale che – in ragione della sussistenza dell’obbligo della P.A. di valutare se emanare un atto tipico sull’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto – prevede per il proprietario strumenti adeguati di reazione all’inerzia della P.A., esercitabili davanti al giudice amministrativo, sia attraverso il c.d. “rito silenzio” (artt. 34 e 117 c.p.a.), sia in sede di ordinario giudizio di legittimità avente ad oggetto il procedimento ablatorio sospettato di illegittimità (o altro giudizio avente ad oggetto la tutela reipersecutoria, come verificatosi nel caso di specie), secondo le coordinate esegetiche esplicitamente stabilite dalla sentenza n. 71 del 2015 (in particolare § 6.6.3.);
f) assume un rilievo centrale (in particolare ai fini della risoluzione del quesito sottoposto all’Adunanza plenaria, come si vedrà meglio in prosieguo) un ulteriore elemento caratterizzante l’istituto in esame, ovvero l’impossibilità che l’Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario; tale elemento – valorizzato dalla sentenza n. 71 del 2015 in coerenza coi principi elaborati dalla Corte di Strasburgo – si desume implicitamente dalla previsione del comma 2 dell’art. 42-bis nella parte in cui consente all’autorità di adottare il provvedimento durante la pendenza del giudizio avente ad oggetto l’annullamento della procedura ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza), ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio (come meglio si dirà in prosieguo);
g) ne consegue che la scelta che l’amministrazione è tenuta ad esprimere nell’ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell’art. 42-bis, non concerne l’alternativa fra l’acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico — cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta dall’amministrazione in sede procedimentale — ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell’autorità, atteso che, nell’adempiere gli obblighi di diritto comune, l’amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento e non agisce iure auctoritatis;
h) per concludere sul punto utilizzando un argomento esegetico caro all’analisi economica del diritto, può dirsi che la nuova disposizione, in buona sostanza, ha evitato che si riproducesse il vulnus arrecato dal superato art. 43 t.u. espr., ovvero la possibilità, accordata dalla norma all’epoca vigente, di far regredire la property rule (che dovrebbe assistere il privato titolare della risorsa), a liability rule (con facoltà della pubblica amministrazione di acquisire a propria discrezione l’altrui bene con il solo pagamento di una compensazione pecuniaria), introducendo pragmaticamente una regola di second best, da un lato, riducendo al minimo l’ambito applicativo dell’appropriazione coattiva, dall’altro, evitando che tale strumento divenga di uso routinario – causa maggiori costi, responsabilità erariale, impossibilità di far valere l’onerosità della restituzione quale giusta causa di acquisizione del bene, partecipazione rafforzata del proprietario alla scelta finale, motivazione esigente e rigorosa sulla impossibilità di configurare soluzioni diverse – configurandosi come una normale alternativa all’espropriazione ordinaria: in quest’ottica la procedura prevista dall’art. 42-bis non rappresenta più (per usare il linguaggio della Corte di Strasburgo) il punto di emersione di una defaillance structurelle dell’ordinamento italiano (rispetto a quello europeo) ma costituisce, essa stessa, espropriazione adottata secondo il canone della <<buona e debita forma>> predicato dal paradigma europeo.
6. IL POTERE SOSTITUTIVO DEL COMMISSARIO AD ACTA E L’ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO EX ART. 42 –BIS T.U. ESPR.
6.1. La possibilità di emanazione del provvedimento ex art. 42-bis in sede di ottemperanza, da parte del giudice amministrativo o per esso dal commissario ad acta, non può essere predicata a priori e in astratto ma, al contrario, come bene testimonia il caso di specie, postula una risposta articolata che prenda necessariamente le mosse dal contesto processuale in cui è chiamato ad operare il giudice (ed il suo ausiliario) e lo conformi ai principi dianzi illustrati (in particolare al § 5.4.).
6.2. Si è visto in precedenza (retro § 5.4., lett. f), che l’effetto inibente (all’emanazione del provvedimento di acquisizione) del giudicato restitutorio costituisce elemento essenziale dell’istituto disciplinato dall’art. 42-bis nella lettura costituzionalmente orientata che ne ha fatto il giudice delle leggi in armonia con la CEDU: conseguentemente in presenza di un giudicato restitutorio il provvedimento di acquisizione non può essere emanato.
Si pone il problema della individuazione del giudicato restitutorio: nulla quaestio nel caso in cui il giudicato (amministrativo o civile) disponga espressamente, sic et simpliciter, la restituzione del bene, con l’unica precisazione che una tale statuizione restitutoria potrebbe sopravvenire anche nel corso del giudizio di ottemperanza. Si tratta di una conseguenza fisiologica della naturale portata ripristinatoria e restitutoria del giudicato di annullamento di provvedimenti lesivi di interessi oppositivi d’indole espropriativa (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2; Ad. plen., 4 dicembre 1998, n. 8; Ad. plen., 22 dicembre 1982, n. 19).
In tutti questi casi è certo che l’Amministrazione non potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis.
6.3. Tuttavia, costituisce fatto notorio che, sovente, durante la pendenza del processo avente ad oggetto la procedura espropriativa, il fondo subisce alterazioni tali da rendere necessario il compimento, ai fini della sua restituzione, di rilevanti attività giuridiche o materiali; a fronte di una situazione di tal fatta si possono verificare le seguenti evenienze:
I) il privato potrebbe non avere un interesse reale ed attuale alla tutela reipersecutoria – preferendo evitare di essere coinvolto in attività spesso defatiganti – e dunque non propone una rituale domanda di condanna dell’Amministrazione alla restituzione previa riduzione in pristino, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 30, co. 1, e 34, co. 1, lett. c) ed e), c.p.a.; in questo caso il giudicato si presenterebbe come puramente cassatorio, per scelta (e a tutela) del proprietario, ma non si produrrebbe l’effetto inibitorio dell’emanazione del provvedimento ex art. 42-bis;
II) il proprietario ha interesse alla restituzione e propone la relativa domanda ma il giudice non si pronuncia o si pronuncia in modo insoddisfacente; in tal caso il rimedio è affidato ai normali strumenti di reazione processuale, in mancanza (o all’esito) dei quali se il giudicato continua a non recare la statuizione restitutoria, comunque l’Amministrazione potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis non sussistendo la preclusione inibente dianzi richiamata.
6.4. A diverse conclusioni deve giungersi allorquando, come verificatosi nella vicenda in trattazione, il giudicato rechi, in via esclusiva o alternativa, la previsione puntuale dell’obbligo dell’Amministrazione di emanare un provvedimento ex art. 42-bis.
In realtà è bene precisare subito che non esiste la possibilità, tranne si versi in una situazione processuale patologica, che il giudice condanni direttamente in sede di cognizione l’Amministrazione a emanare tout court il provvedimento in questione: vi si oppongono, da un lato, il principio fondamentale di separazione dei poteri (e della riserva di amministrazione) su cui è costruito il sistema costituzionale della Giustizia Amministrativa, dall’altro, uno dei suoi più importanti corollari processuali consistente nella tassatività ed eccezionalità dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a. fra i quali non si rinviene tale tipologia di contenzioso (cfr. negli esatti termini Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).
A maggior ragione in una fattispecie in cui vengono in rilievo sofisticate valutazioni sulla ricorrenza delle circostanze eccezionali che giustificano l’acquisizione coattiva, cui si possono eventualmente riconnettere gravi ricadute in termini di responsabilità erariale.
Se del caso, dovrà essere cura delle parti evitare che si formi un giudicato di tal fatta su domande il cui petitum ha proprio ad oggetto l’emanazione di un provvedimento ex art. 42–bis, attraverso la proposizione di specifiche eccezioni (o mezzi di impugnazione all’esito della sentenza di primo grado).
6.5. Come si è testé rilevato è ben possibile, invece, che il giudice amministrativo, adito in sede di cognizione ordinaria ovvero nell’ambito del c.d. rito silenzio, a chiusura del sistema, imponga all’amministrazione di decidere – ad esito libero, ma una volta e per sempre, nell’ovvio rispetto di tutte le garanzie sostanziali e procedurali dianzi illustrate – se intraprendere la via dell’acquisizione ex art. 42-bis ovvero abbandonarla in favore delle altre soluzioni individuate in precedenza (retro § 5.3.).
In questo caso non vi è ragione di discostarsi dai principi recentemente enucleati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. sentenza 15 gennaio 2013, n. 2) in sintonia con la Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. sentenza 18 novembre 2004, Zazanis), alla stregua dei quali l’effettività delle tutela giurisdizionale e il carattere poliforme del giudicato amministrativo, impongono di darvi esecuzione secondo buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla definizione stabile del contenzioso e del contesto procedimentale: in tali casi, la totale inerzia dell’autorità o l’attività elusiva di carattere soprassessorio posta in essere da quest’ultima, consentiranno al giudice adito in sede di ottemperanza di intervenire, secondo lo schema disegnato dagli artt. 112 e ss. c.p.a., direttamente o (più normalmente) di nominare un commissario ad acta che procederà, nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti dianzi illustrati, a valutare se esistono le eccezionali condizioni legittimanti l’acquisizione coattiva del bene ex art. 42-bis.
7. L’Adunanza plenaria restituisce gli atti alla IV Sezione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1, ultimo periodo, e 4, c.p.a., affinché si pronunci sull’appello in esame nel rispetto del seguente principio di diritto: <<Il commissario ad acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall’articolo 42-bis d.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità -:
a) se nominato dal giudice amministrativo a mente degli artt. 34, comma 1, lett. e), e 114, comma, 4, lett. d), c.p.a., qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato de quo agitur;
b) se nominato dal giudice amministrativo a mente dell’art. 117, comma 3, c.p.a., qualora l’amministrazione non abbia provveduto sull’istanza dell’interessato che abbia sollecitato l’esercizio del potere di cui al menzionato art. 42-bis>>.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
a) formula i principi di diritto di cui in motivazione;
b) restituisce gli atti alla IV Sezione del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati: