FATTO e DIRITTO
1. Viene in decisione l’appello proposto dalla società Hotel De Pretis s.r.l., per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il T.a.r. per il Lazio ha respinto il ricorso proposto in primo grado per ottenere l’annullamento del provvedimento (determinazione n. 32/2008, adottata dal Dirigente dell’U.O.T. – Municipio I), con il quale Roma Capitale ha ingiunto alla società odierna appellante “la rimozione o demolizione entro 30 (trenta) giorni dalla notifica della presente, di tutte le opere abusivamente realizzate così come specificate in narrativa e delle eventuali ulteriori opere abusive nel frattempo eseguite sul fabbricato preesistente sito in località Roma, in via Rasella n. 146”.
2. La società appellante espone in fatto le seguenti circostanze:
– di aver presentato il 19 giugno 2008 la d.i.a. (prot. N. 41741) per “ristrutturazione edilizia” per i locali di via Rasella n. 146, contraddistinti al catasto al fg. 479, part. 261, sub 5, per le attività così descritte: “Cambio destinazione d’uso da negozio ad abitazione per una SUL di mq 53,50 dell’unità immobiliare distinta al N.C.E.U. al fg. 479, part. 261, s. 5, sita al piano terra. Demolizione di scala di collegamento a locale cantina che rimane di pertinenza, demolizione e costruzione di tramezzature interne, realizzazione di un angolo cottura, rifacimento impianti idrici ed elettrici, impianti di climatizzazione ed opere da pittore, come da elaborato grafico progettuale che forma parte integrante della presente d.i.a”.
– che l’Amministrazione comunale ha lasciato decorrere il termine normativamente previsto per l’eventuale esercizio del potere inibitorio;
– che, nel contempo, la società Hotel De Pretis s.r.l. ha provveduto anche alla variazione al catasto della nuova classificazione del cespite, variazione che è stata annotata il 15 settembre 2008;
– che, nonostante l’intervenuto perfezionamento della D.I.A., con la determinazione impugnata, Roma Capitale ha ingiunto la rimozione o demolizione delle opere realizzate, in quanto ritenute abusive.
3. La società appellante lamenta che il T.a.r, nel rigettare il ricorso, avrebbe, fra l’altro, fatto riferimento a lavori e ad immobili diversi rispetto a quelli oggetto dell’ordine di demolizione. Il T.a.r., avrebbe, infatti, erroneamente richiamato nella motivazione i lavori oggetto della d.i.a. n. 58677 del 19 luglio 2012 che si riferiscono ad un diverso immobile, essendo tale d.i.a. stata presentata per l’immobile sito in Via del Boccaccio, n. 25, Via Rasella n. 142, a sanatoria per l’avvenuto ampliamento della preesistente struttura turistico-ricettiva mediante l’annessione di n. 3 unità abitative rispettivamente ubicate al pianto terra, della scala B, al pianto terra della scala A, interno 2/a e al piano quarto della scala B, interno 8.
4. L’errore commesso dal giudice di primo grado sarebbe ulteriormente confermato dalla circostanza che il T.a.r. ha ritenuto sussistente la violazione di cui all’art. 25, comma 15, delle N.T.A. al P.R.G. norma che pone limiti al mutamento della destinazione d’uso dalla funzione abitativa ad altre funzioni.
La società appellante evidenzia che, nel caso di specie, tale norma non può certamente essere stata violata dagli interventi di ristrutturazione cui si riferisce il provvedimento impugnato, per la dirimente ragione che tali interventi hanno ad oggetto un locale che non aveva una destinazione abitativa. Sottolineando il travisamento dei fatti operato dalla sentenza impugnata, la società appellante ribadisce, quindi, che l’intervento edilizio in questione è stato legittimamente eseguito sulla base della d.i.a. del 19 giugno 2008, prot. n. 41417, rientrando tra le attività di ristrutturazione edilizia così autorizzabili ai sensi dell’art. 22, comma 2, lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001.
5. Si è costituita in giudizio Roma Capitale chiedendo il rigetto dell’appello.
6. Alla pubblica udienza del 5 giugno 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello merita accoglimento.
8. Anche a prescindere dai profili di ambiguità presenti nella sentenza appellata (che effettivamente, in motivazione, sembra fare riferimento, per sostenere la legittimità del provvedimento impugnato, a lavori di ristrutturazione concernenti un diverso immobile ed un diverso procedimento di d.i.a.) risulta, nel caso di specie, dirimente la circostanza (non contestata) secondo cui il provvedimento di demolizione impugnato ha ad oggetto lavori regolarmente assentiti in base alla d.i.a. del 19 giugno 2008, n. 41741.
Risulta, in particolare, che l’Amministrazione comunale non solo ha lasciato che la menzionata d.i.a. si consolidasse, omettendo di esercitare, nel termine perentorio previsto dall’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, il potere inibitorio-repressivo ad essa spettante in caso di carenza dei presupposti per la d.i.a., ma ha omesso anche l’esercizio dei c.d. poteri di autotutela decisoria, espressamente richiamati dal secondo periodo del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
L’Amministrazione comunale, in altri termini, anziché procedere, come avrebbe dovuto, all’annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990, della d.i.a. ritenuta illegittima, ha provveduto direttamente, senza alcuna motivazione ulteriore rispetto alla ritenuta illegittimità delle opere eseguite, ad ordinare la sospensione dei lavori e la rimozione degli interventi realizzati.
In tal modo ha violato le garanzie previste dall’art. 19 legge n. 241 del 1990 che, in presenza di una d.i.a. illegittima, consente certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, d.P.r. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
Il modus procedendi seguito dall’Amministrazione comunale – tradottosi nella diretta adozione di un provvedimento repressivo-inibitorio, oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione della d.i.a. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio – si appalesa, pertanto, senz’altro illegittimo.
La d.i.a, infatti, una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
10. L’appello va, dunque, accolto e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, deve essere annullato il provvedimento impugnato in primo grado.
Sussistono i presupposti, in considerazione anche del tipo di vizio riscontrato (che ha natura eminentemente procedimentale e non attesta con certezza la regolarità dei lavori di ristrutturazione eseguiti dalla società appellante) per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.