1. Devono rimettersi all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. le seguenti questioni di diritto, fonti di possibili contrasti giurisprudenziali (e parzialmente già sorti):
a) se, ed eventualmente in che misura, nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 2, lett. d) del d.l. 11 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, possa già ritenersi vigente un principio di tassatività della cause di esclusione dalle gare per l’affidamento di contratti pubblici;
b) se, in particolare, debbano ritenersi illegittime, per la violazione di tale principio, le clausole che impongono a pena di esclusione adempimenti documentali o formali privi di una base normativa espressa;
c) se, ed in che misura, ove si dovesse, al contrario, concludere per la validità di dette clausole “atipiche” di esclusione, sia comunque onere per la stazione appaltante, alla luce del generale principio del soccorso istruttorio di cui all’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, invitare il concorrente, prima di disporne l’esclusione, ad una “regolarizzazione” documentale, consentendogli l’eventuale produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la regolarizzazione della forma omessa, nei casi in cui l’omissione formale o documentale non incida sulla sussistenza dei requisiti di partecipazione e sulla capacità tecnica ed economica del concorrente.
2. Va rimessa all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 3, cod. proc. amm., la questione – già esaminata dalla sentenza n. 4 del 2011 – della sussistenza o meno della legittimazione del soggetto escluso dalla gara per atto dell’Amministrazione (ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale) ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, al fine di dimostrare che anche questo doveva essere escluso dalla gara e soddisfare in tal modo l’interesse strumentale alla eventuale ripetizione della procedura.
N. 02681/2013 REG.PROV.COLL.
N. 04939/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 4939 del 2012, proposto dalla s.p.a. Palumbo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Migliarotti e Luciano Filippo Bracci, con domicilio eletto presso l’avvocato Luciano Filippo Bracci in Roma, via del Teatro Valle n. 6;
contro
Autorità Portuale di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Nuova Meccanica Navale s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Soprano e Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso l’avvocato Franco Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello 55;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE VII n. 1888/2012, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Portuale di Napoli e della Nuova Meccanica Navale s.r.l.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Bracci, l’avvocato dello Stato D’Avanzo, l’avvocato Scoca e l’avvocato Soprano;
1. Viene in decisione l’appello proposto dalla società Palumbo s.p.a. per ottenere la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione VII, 23 aprile 2012, n. 1888.
2. La sentenza appellata ha respinto il ricorso n. 4596 del 2011 e i successivi motivi aggiunti proposti dalla società Palumbo, volti ad ottenere l’annullamento della determinazione dell’Autorità Portuale di Napoli dell’8 luglio 2011, che, in relazione all’assentimento di uno specchio d’acqua nel porto di Napoli, la ha esclusa dal procedimento e conseguentemente non ha approvato la aggiudicazione provvisoria disposta nei suoi confronti dalla commissione di gara, assegnando la concessione alla società Nuova Meccanica Navale s.r.l.
L’esclusione della società ora appellante è stata disposta dall’Autorità Portuale per il mancato rispetto delle previsioni del bando di gara sulla documentazione da depositare a pena di esclusione a corredo dell’offerta tecnica (busta B) e dell’offerta economica (busta C), e cioè per la mancata produzione della copia fotostatica del documento di identità del legale rappresentante della società.
3. Va premessa la ricostruzione dei fatti accaduti in sede amministrativa.
L’appellante ha partecipato alla selezione indetta dall’Autorità portuale di Napoli per l’assentimento in concessione di uno specchio acqueo prospiciente il lato interno del Molo Martello nel Porto di Napoli per l’ormeggio di un bacino galleggiante di proprietà privata.
Alla gara hanno preso parte due soli concorrenti: la ricorrente Palumbo s.p.a. e La Nuova Meccanica Navale s.r.l.
3.1. Nella prima seduta del 29 marzo 2001, la commissione di gara apriva, in seduta pubblica, i sottoplichi A contenenti la documentazione amministrativa dei due concorrenti e rilevava quanto segue: “in ordine alla documentazione contenuta nella busta “A” prodotta da La Nuova Meccanica Navale s.r.l., la dichiarazione resa dal Direttore tecnico, ing. Marco Disa in base al punto 3.0) dell’avviso di gara non è corredata da fotocopia del documento di identità. La Commissione, in considerazione anche che tale documento non è stato richiesto in maniera esplicita nel predetto avviso, si riserva di approfondire tale problematica e di decidere, quindi, sull’ammissione della Società prima dell’apertura della Busta “B – Offerta Tecnica”.
“Dall’esame della documentazione contenuta nella busta A prodotta dalla Palumbo S.p.A. si riscontra, analogamente a quanto sopra descritto per La Nuova Meccanica Navale s.r.l., che alla dichiarazione resa dal Direttore Tecnico – sig. Giuseppe Palumbo – non è allegata fotocopia del documento d’identità e che, inoltre, la dichiarazione sostitutiva resa dal legale rappresentante della Compagnia Assicurativa Hill Insurance Ltd. con la quale attesta di essere munita di poter di firma, manca della fotocopia del documento d’identità sebbene alla stessa risulti la firma originale digitale. Fra l’altro, al punto 5) dell’avviso, per tale dichiarazione non è richiesta espressamente la copia del documento di identità e né che deve essere resa in base al D.P.R. n. 445/2000. La Commissione, considerato che la mancata produzione del documento d’identità è comune ad entrambe le Società concorrenti, ritenuto, quindi, che tale mancato adempimento possa essere attribuito ad una non puntuale indicazione nell’avviso di evidenza pubblica, concorda di ammettere entrambe le Imprese”.
3.2. La commissione procedeva quindi all’apertura dell’offerta tecnica e, all’esito delle valutazioni, attribuiva i seguenti punteggi: La Nuova Meccanica Navale s.r.l.: punti 66,70; Palumbo s.p.a.: punti 59,40.
3.3. In data 18 maggio 2011 veniva aperta la busta contenente l’offerta economica e la commissione rilevava che l’offerta economica della Palumbo s.p.a. non era corredata dalla fotocopia del documento di identità del suo legale rappresentante, come previsto dall’art. 5 dell’avviso.
La Commissione, analogamente, a quanto convenuto nella seduta pubblica del 29 marzo 2011, riteneva irrilevante la mancanza del predetto documento identificativo, seppur previsto dall’avviso a pena di esclusione, in quanto già acquisito agli atti nella busta “A” – Documentazione. Pertanto, la Commissione decideva di non escludere dal procedimento la Palumbo s.p.a.”.
3.4. Si procedeva, quindi, al calcolo dei punteggi e la gara veniva aggiudicata in via provvisoria alla società Palumbo .
3.5. Il Presidente dell’Autorità portuale di Napoli, con la delibera 8 luglio 2011, n. 390, considerato che, “essendo stato previsto nell’avviso in maniera univoca – articolo 5 buste B e C – la produzione della fotocopia di valido documento di identità a pena di esclusione, la commissione avrebbe dovuto procedere all’esclusione della società Palumbo s.p.a. senza alcun margine di discrezionalità”, deliberava “per le sopraindicate motivazioni e considerazioni di non approvare l’aggiudicazione provvisoria disposta dalla Commissione giudicatrice in favore della Palumbo s.p.a., in quanto illegittima nella parte in cui la Commissione ha ritenuto di ammettere alla fase successiva del procedimento la predetta Ditta pur non avendone i requisiti e che pertanto, la concessione è assegnata, ai sensi dell’art. 7, punto 8) dell’avviso di gara, alla unica società che ha presentato un’offerta valida e cioè la società Nuova Meccanica Navale s.r.l. la cui istanza è stata validamente ammessa alla procedura comparativa e valutata idonea dalla Commissione”.
4. Il provvedimento in questione veniva impugnato dalla Palumbo s.p.a. innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania che, con la sentenza n. 1888 del 2012, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti.
4.1. In particolare, il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto che:
a) il bando, nel prevedere l’obbligo di allegazione della fotocopia della carta di identità all’offerta economica, fosse legittimo in quanto non imponeva adempimenti manifestamente illogici o sproporzionati;
b) l’allegazione della copia fotostatica del documento non costituisse elemento estrinseco rispetto alla sottoscrizione dell’istanza o della dichiarazione, bensì elemento centrale della stessa dichiarazione di volontà, poiché concorreva a dare legale contezza e certezza che la sottoscrizione fosse autentica, ovvero fosse stata apposta proprio da colui che ne appare l’autore;
c) in applicazione dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4 del 2011, i motivi di ricorso con cui veniva censurata la mancata esclusione dalla gara della società La Nuova Meccanica Navale s.r.l. non potevano essere scrutinati in quanto la legittimità del provvedimento di esclusione della Palumbo s.p.a. dalla gara, privava quest’ultima dalla legittimazione al ricorso.
4.2. Il T.a.r., inoltre, ha dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso incidentale proposto dalla società La Nuova Meccanica Navale, volto a dedurre la sussistenza di ragioni ulteriori rispetto a quelle individuate dall’Autorità portuale nell’impugnata delibera presidenziale n. 390 dell’8 luglio 2011 da porre a base della esclusione della società Palumbo dalla gara.
5. La società Palumbo con l’appello principale ha impugnato la citata sentenza, articolando le seguenti censure.
5.1. In primo luogo, essa ha dedotto, sotto diversi profili, l’illegittimità del bando (e, conseguentemente, del provvedimento del Presidente dell’Autorità portuale di mancata approvazione della graduatoria provvisoria), nella parte in cui ha previsto, a pena di esclusione, l’allegazione del documento di identità all’offerta economica e all’offerta tecnica.
Ad avviso dell’appellante, la previsione, a pena di esclusione, dell’obbligo di allegare all’offerta economica e all’offerta tecnica una copia fotostatica del documento di identità del sottoscrittore sarebbe affetta da violazione di legge, in relazione all’art. 38 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), all’art. 46, comma 1-bis d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) e all’art. 23 della Costituzione.
L’appellante evidenzia che l’art. 38 del d.P.R. n. 445 del 2000 prevede espressamente l’obbligo di allegare la fotocopia del documento di identità solo con riferimento alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà e non anche con riferimento alle dichiarazioni di natura negoziale, quali sarebbero, appunto, l’offerta economica e l’offerta tecnica. Pertanto, l’introduzione da parte del bando di tale obbligo di allegazione si tradurrebbe nella “imposizione” ai soggetti che partecipano alla gara di una “prestazione” di allegazione che, in assenza di una base legale, si porrebbe in contrasto con l’art. 23 della Costituzione e con il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, comma 1-bis del d.lgs. n. 163 del 2006 (comma introdotto dall’art. 4 comma 2, n. 2, lett. d), decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106).
Sotto questo profilo, la società appellante ha criticato, quindi, la sentenza del Tribunale amministrativo regionale che ha, invece, ritenuto che la mancata allegazione della fotocopia di un valido documento d’identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreti proprio la fattispecie prevista dalla novella normativa innanzi citata, integrando un’ipotesi di “incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali”.
5.2. In secondo luogo, la società Palumbo ha lamentato il vizio di omessa pronuncia in relazione al motivo con il quale, in primo grado, aveva dedotto eccesso di potere per disparità di trattamento in considerazione del fatto che il Presidente dell’Autorità portuale, pur avendo avuto contezza dai verbali che anche la società La Nuova Meccanica Navale non avesse allegato alla dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 del proprio direttore tecnico la copia fotostatica del relativo documento di identità, aveva chiesto all’Avvocatura dello Stato un parere con riferimento alla sola eventuale esclusione della società Palumbo.
L’appellante ha dedotto, allora, disparità di trattamento, in quanto le stesse ragioni che avevano indotto l’Amministrazione a chiedere il parere dell’Avvocatura dello Stato, circa la legittimità della decisione della commissione di ammettere al prosieguo della gara la società Palumbo, riguardavano anche la società La Nuova Meccanica Navale, atteso che pure essa, come la ricorrente, non aveva allegato la fotocopia del documento di identità.
5.3. In terzo luogo, la società appellante ha dedotto la violazione del principio della parità della parti nel processo amministrativo in considerazione del fatto che il Tribunale amministrativo regionale, dopo aver respinto, ritenendoli infondati, i motivi di ricorso con i quali la società Palumbo contestava la sua esclusione dalla gara, ha dichiarato inammissibili – per difetto di legittimazione – le ulteriori doglianze (proposte sia nel ricorso principale che nei motivi aggiunti) contro il provvedimento di aggiudicazione definitiva a favore della società controinteressata.
L’appellante, pur dando atto che le conclusioni cui è pervenuta la sentenza appellata appaiono in linea con i principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4 del 2011, auspica, tuttavia, una riconsiderazione di tale indirizzo o, comunque, ne invoca una applicazione restrittiva, ai soli casi in cui “il soggetto concorrente è privo di qualsiasi situazione giuridica per la radicale mancanza dei requisiti costitutivi per la partecipazione alla gara” e non anche, invece, al caso, come quello oggetto del presente giudizio, in cui il ricorso sia proposto da un soggetto che, in conseguenza dell’aggiudicazione provvisoria, ha già acquisito una sua posizione differenziata di interesse legittimo.
Sostiene, in particolare, la società Palumbo che, mentre in caso di esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione il concorrente difetterebbe di un interesse personale e diretto, nel caso di intervenuta aggiudicazione definitiva per un sopravvenuto error in procedendo o in judicando dell’Amministrazione, l’interesse legittimo riconosciuto tale dall’aggiudicazione provvisoria che già sussiste, subirebbe una lesione sottratta al controllo giurisdizionale, in contrasto con il primo comma dell’art. 113 della Costituzione.
In tal caso, quindi, i principi espressi dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 non potrebbero trovare applicazione, traducendosi altrimenti in una ipotesi di denegata potestas judicandi del giudice amministrativo sull’atto lesivo dell’interesse legittimo già riconosciuto con il provvedimento di aggiudicazione provvisoria.
5.4. Auspicando, quindi, la rivisitazione o la mancata applicazione al caso di specie dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, la società Palumbo ripropone i motivi dichiarati inammissibili in primo grado per difetto di legittimazione.
Si tratta, in particolare, di motivi diretti a dedurre che:
a) la società La Nuova Meccanica Navale avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara in quanto il direttore tecnico, nel rendere la dichiarazione ai sensi dell’art. 38, comma 1, m-ter) del decreto legislativo n. 163 del 2006, non ha allegato la copia fotostatica del documento di identità, poiché la dichiarazione di cui alla lettera m-ter) dell’art. 38, comma 1, cit., doveva essere resa nelle forme della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e, quindi, presentata unitamente a copia fotostatica del documento di identità;
b) per le concessioni di beni demaniali di durata superiore a 4 anni (quale quella oggetto del presente giudizio), competente al rilascio della concessione sarebbe esclusivamente, in base agli artt. 8 e 9 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, il Comitato portuale e non il Presidente dell’Autorità, sicché gli atti impugnati sarebbero illegittimi per incompetenza, non potendo in senso contrario rilevare nemmeno la delibera del Comitato portuale n. 43 del 2010, la quale, diversamente da quanto sostenuto dalla controinteressata, non conterrebbe alcun elemento da cui desumere la volontà del Comitato di attribuire al Presidente la competenza a deliberare definitivamente sulle concessioni demaniali (cfr. secondo dei motivi aggiunti proposti in primo grado).
c) ai sensi dell’art. 11, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, all’organo deliberativo della stazione appaltante spetterebbe solo il compito di approvare o non approvare gli atti di gara e l’aggiudicazione provvisoria disposta dalla commissione giudicatrice, la quale sarebbe, invece, l’unico organo competente all’ammissione ed all’esclusione della gara dei partecipanti: nella specie, invece, il Presidente dell’Autorità portuale, nel non approvare l’aggiudicazione provvisoria alla Palumbo s.p.a., ritenendo che la stessa non potesse essere ammessa alla gara, ne avrebbe, di fatto, comminato l’esclusione, sostituendosi alla Commissione;
d) il Presidente dell’Autorità portuale avrebbe assegnato la concessione dello specchio d’acqua a La Nuova Meccanica Navale senza neppure acquisire preventivamente i documenti comprovanti il possesso dei requisiti generali e speciali dichiarati in sede di gara e necessari per l’ammissione alla procedura, in violazione del principio del giusto procedimento che impone la verifica del possesso dei requisiti oggetto di autocertificazione attraverso l’acquisizione della documentazione comprovante il possesso di essi;
e) i componenti “esterni” la commissione sarebbero stati nominati in violazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163 del 2006;
f) in via subordinata, l’annullamento dell’intera procedura perché condotta in violazione dell’art. 18 del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione, che il presidente dell’A.P. aveva indicato al comitato portuale come norma in base alla quale si sarebbe potuta assegnare la concessione.
6. Si sono costituite in giudizio per resistere all’appello l’Autorità Portuale di Napoli e la società La Nuova Meccanica Navale, la quale ha anche proposto appello incidentale avverso la sentenza del TAR nella parte in cui il giudice di prime cure ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso incidentale proposto dalla stessa, riproponendo le censure con le quali aveva dedotto la sussistenza di ragioni di esclusione del ricorrente principale ulteriori rispetto a quelle riscontrate dall’Autorità Portuale.
Secondo la controinteressata, odierna appellante incidentale, l’Amministrazione avrebbe comunque dovuto escludere dalla gara la società Palumbo, in quanto:
– la Hill Insurance Company Ltd, società che ha prestato fideiussione a suo favore, non rientra tra i soggetti indicati nell’art. 75 d.lgs. n. 163 del 2006, cui il disciplinare rinvia;
– in violazione dell’art. 5, punto 5, del bando di gara, il legale rappresentante della Hill Insurance, anziché annotare in calce alla polizza fideiussoria emessa dallo stesso, di essere in possesso dei poteri di firma necessari, allegava alla polizza medesima dichiarazione sostitutiva resa ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000, con cui attestava di essere in possesso dei detti poteri di firma e, per di più, tale autocertificazione, sottoscritta con firma digitale, non sarebbe stata neppure resa conformemente alla disciplina di cui al d.P.R. n. 445 del 2000, non essendo accompagnata dalla fotocopia del documento di identità del dichiarante;
– l’offerta tecnica formulata dalla Palumbo, concrentandosi, di fatto, in un documento programmatico per la gestione dell’infrastruttura portuale, contenente mere previsioni sfornite di idonei e sufficienti elementi in grado di confermarne l’attendibilità, si sarebbe dovuta considerare inidonea e priva di validità in quanto carente di un elemento essenziale per la sua valutazione.
7. Ritiene la Sezione che il presente giudizio solleva questioni di diritto che meritano di essere deferite all’esame dell’Adunanza Plenaria.
8. Anzitutto, il primo motivo dell’appello principale – diretto a contestare la previsione della lex specialis nella parte in cui impone a pena di esclusione di allegare all’offerta tecnica e all’offerta economica copia fotostatica del documento di identità del soggetto sottoscrittore – solleva la questione dei limiti entro i quali è possibile prevedere, in sede di bando, cause di esclusione ulteriori rispetto a quelle oggetto di specifica previsione legislativa e la questione strettamente connessa relativa al campo di applicazione, nelle procedure di gara, del c.d. soccorso istruttorio, ovvero del potere-dovere della stazione appaltante, prima di procedere all’esclusione, di sollecitare i concorrenti che partecipano alla gara a porre rimedio ad eventuali dimenticanze, sviste o errori di carattere formale o documentale.
9. L’orientamento giurisprudenziale tradizionale, formatosi nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 46, comma 1–bis, d.lgs. n. 163 del 2006 (introdotto dall’art. 4, comma 2, lett. d) del d.l. 11 maggio 2011, n. 70 convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106), nega l’esistenza di un principio di tassatività delle cause di esclusione in materia di procedure ad evidenza pubblica, riconoscendo, quindi, alle stazioni appaltanti la possibilità di inserire nella legge di gara disposizioni che prevedano a pena di esclusione adempimenti (anche di carattere meramente formale o documentale) ulteriori rispetto a quelli imposti dalla legge o dal regolamento.
Si ritiene, generalmente, che tale potere trovi un limite esclusivamente nei generali principi di pertinenza e congruità rispetto allo scopo perseguito, di ragionevolezza e di proporzionalità, con la conseguenza che l’adempimento ulteriore richiesto a pena di esclusione dal bando deve ritenersi legittimo ogni qualvolta sia idoneo a soddisfare un’esigenza della stazione appaltante (anche di natura meramente procedimentale o di certezza temporale), ragionevole rispetto all’interesse perseguito e proporzionato in relazione al sacrificio che il suo rispetto implica in capo ai concorrenti che partecipano alla gara (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18 febbraio 2013 n. 974; sez. V, 12 giugno 2012, n. 3884).
In tal modo, alla stazione appaltante viene riconosciuta la titolarità di un potere discrezionale nella individuazione delle cause di esclusione, con la conseguenza che essa può autonomamente contemperare l’interesse alla massima partecipazione alle procedure di gara con quello alla speditezza dell’azione, quale può essere appunto soddisfatto mediante l’imposizione a pena di esclusione di tutta una serie di obblighi dichiarativi e documentali, in aggiunta a quelli previsti dalla legge.
10. Questo indirizzo interpretativo, volto a riconoscere la prevalenza agli interessi di cui è portatrice la stazione appaltante rispetto al principio della massima partecipazione alle gare pubbliche, viene a sua volta corroborato dall’orientamento giurisprudenziale che tende a fornire una lettura piuttosto restrittiva del c.d. dovere di soccorso istruttorio nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica.
11. Come è noto, il c.d. dovere di soccorso istruttorio è sancito, nell’ambito della disciplina generale del procedimento amministrativo, dall’art. 6, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990 (in base al quale il responsabile del procedimento è tenuto a chiedere “il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete”, sollecitando il privato a porre rimedio ad eventuali dimenticanze o errori) ed è richiamato, con specifico riferimento proprio alle procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, dall’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui, “nei limiti previsti dagli articoli da 38 a 45, le stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documento e dichiarazioni presentati”.
L’invito a regolarizzare la documentazione prodotta costituisce, quindi, un istituto di carattere generale, che, nel particolare settore delle gare pubbliche, soddisfa l’ulteriore esigenza di consentire la massima partecipazione alla gara, orientando l’azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, attenuando la rigidità delle forme.
12. Nonostante gli interessi sostanziali che il principio del soccorso istruttorio consente di soddisfare, è frequente nella giurisprudenza amministrativa la tendenza a fornire una interpretazione piuttosto restrittiva delle disposizioni riguardanti il suddetto istituto.
Tale tendenza nasce dal timore che un’applicazione ampia del dovere di soccorso potrebbe alterare la par condicio ed incidere sul divieto di disapplicazione della lex specialis contenuta nel bando.
Da qui la tradizionale affermazione giurisprudenziale secondo cui nelle procedure di gara è preclusa qualsiasi forma di integrazione documentale, attesa la natura decadenziale dei termini cui è soggetta la procedura ad evidenza pubblica con riguardo alla presentazione delle offerte, pena la violazione non solo del canone di imparzialità e di buon andamento dell’azione della P.A., ma anche del principio della par condicio di tutti i concorrenti.
Da qui anche l’ulteriore distinzione tra i concetti di “regolarizzazione documentale” ed “integrazione documentale”. Quest’ultima (l’integrazione) non sarebbe consentita, risolvendosi in un effettivo vulnus del principio di parità di trattamento; sarebbe consentita, invece, la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze o elementi estrinseci al contenuto della documentazione.
13. Il confine, tuttavia, rimane di difficile individuazione, perché spesso i termini integrazione e regolarizzazione vengono indifferentemente utilizzati e soprattutto perché la questione della distinzione tra ‘regolarizzazioni non lesive’ della par condicio ed ‘integrazioni lesive’ viene fatto dipendere dalle qualificazioni stabilite ex ante nel bando, nel senso che il principio del soccorso istruttorio si ritiene inoperante ogni volta che si tratti di omissioni documentali richieste a pena di esclusione dal bando gara.
In particolare, con specifico riferimento alla violazione formale delle clausole del bando che sanzionano con l’esclusione l’inosservanza di adempimenti documentali o procedimentali, la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso che – in presenza di una clausola inequivoca prevista a pena di esclusione – tale sanzione scaturisca automaticamente in virtù della scelta operata a monte dall’Amministrazione, senza ammettere alcuna possibilità di regolarizzazione documentale.
Tale interpretazione rigorosa viene giustificata in nome del principio di autoresponsabilità in capo ai concorrenti, per il quale ciascuno di essi deve assumere le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione. Di conseguenza, si è affermato che l’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006 consenta solo di completare o chiarire dichiarazioni o documenti già presentati, ma non di introdurre documenti nuovi, né tantomeno che la norma possa essere utilizzata per supplire alla violazione di adempimenti procedimentali o all’omessa allegazione dei documenti richiesti a pena di esclusione, consentendo al concorrente negligente la possibilità di completare la domanda di partecipazione successivamente al termine finale stabilito dal bando.
In base a questo orientamento, quindi, in presenza di una previsione chiara e dell’inosservanza di questa da parte di una impresa concorrente, l’invito alla regolarizzazione costituirebbe una palese violazione del principio della par condicio, che verrebbe vulnerato dalla rimessione in termini, per mezzo della sanatoria (su iniziativa dell’Amministrazione) di una documentazione incompleta o insufficiente ad attestare il possesso del requisito, del concorrente che non ha presentato, nei termini e con le modalità previste dalla lex specialis, una dichiarazione conforme al regolamento di gara (cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 974; sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6248; sez. V, 25 giugno 2007, n. 3645; sez. VI, 23 marzo 2007, n. 1423; sez. V, 20 maggio 2002, n. 2717).
In questo modo, come si accennava, viene definitivamente rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la (auto)regolamentazione del soccorso istruttorio, atteso che la scelta discrezionale dell’Amministrazione – di inserire nel bando la previsione che un determinato adempimento formale o documentale è richiesto a pena di esclusione – consente all’Amministrazione di prescindere dall’onere di una preventiva interlocuzione e di escludere pertanto il concorrente sulla base della riscontrata carenza documentale, a prescindere anche da ogni verifica sulla valenza “sostanziale” della forma documentale omessa o mancante.
14. A questo orientamento se ne contrappone un altro (diffusosi soprattutto nella giurisprudenza di primo grado) che valorizza invece il potere di regolarizzazione come strumento di correzione dell’eccessivo rigore delle forme. Da qui la tendenza a privilegiare, proprio attraverso l’invito alla regolarizzazione, il dato sostanziale su quello meramente formale in tutti in casi in cui non sia in discussione la sussistenza dei requisiti di partecipazione e la capacità tecnica ed economica dell’impresa.
Si ammette, pertanto, che la mera previsione inserita nella lex specialis secondo cui un determinato documento o una determinata dichiarazione è richiesta a pena di esclusione non varrebbe di per sé ad esonerare la stazione appaltante dall’onere del soccorso istruttorio, almeno in tutti i casi in cui i vizi di ordine formale che inficiano la dichiarazione del concorrente non siano tali da pregiudicare, sotto il profilo sostanziale, il conseguimento del risultato verso il quale l’azione amministrativa è diretta.
In quest’ottica, si è affermato ad esempio che la verifica della regolarità della documentazione rispetto alle previsioni del bando non deve essere condotta con lo spirito della “caccia all’errore”, ma tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento e del divieto di aggravamento degli oneri burocratici e applicando i principi espressi dall’ordinamento volti a ridurre il peso degli oneri formali gravanti sui cittadini e sulle imprese ed a riconoscere giuridico rilievo all’inosservanza di regole procedurali o formali solo in quanto questa impedisce il conseguimento del risultato verso cui l’azione amministrativa è diretta, atteso che la gara deve guardare alla qualità della dichiarazione piuttosto che all’esclusiva correttezza della sua esternazione.
Tale orientamento giunge così alla conclusione che, anche quando la sanzione dell’esclusione sia espressamente prevista dal bando per l’inosservanza di determinate previsioni, l’Amministrazione, prima di applicarla, dovrebbe, comunque, procedere ad una richiesta di regolarizzazione documentale, privilegiando l’interesse pubblico alla più ampia partecipazione dei concorrenti, in tutti i casi in cui i motivi di ordine formale non alterino la parità di condizioni tra gli stessi concorrenti e la carenza formale non impedisca il raggiungimento del risultato avuto di mira.
15. Il Collegio ritiene condivisibile questo secondo orientamento, il quale, per quanto allo stato minoritario, ha, dalla sua parte, l’innegabile pregio di evitare quell’eccessivo formalismo che a volte caratterizza il contenzioso in materia di contratti pubblici, con giudizi divenuti il campo di una “vera e propria caccia all’errore”, in cui carenze puramente documentali (persino, appunto, la mancanza di una fotocopia) mettono a rischio investimenti importanti, creano profonda incertezza tra gli operatori e conducono alla stipula di contratti con corrispettivi di importo superiore, rispetto a quanto conseguirebbe dall’applicazione del principio del soccorso istruttorio.
Proprio il caso della ‘mancanza di una fotocopia’ potrebbe essere risolto secondo il comune buon senso, nel senso che essa possa comunque essere esibita, con una regola che – per la sua prevedibilità, l’estrema facilità di applicazione ed il suo carattere generale – per definizione non lederebbe la par condicio tra le imprese e, anzi, consentirebbe di creare un clima complessivamente più sereno, nel quale solo le questioni ‘serie e significative’ potrebbero dar luogo ad un vero contenzioso.
L’orientamento in esame, inoltre, appare più in linea con la spiccata tendenza volta al ridimensionamento del vizio formale nei rapporti tra Amministrazione e cittadino.
Per quanto riguarda il vizio formale (o procedimentale) in cui talvolta incorre l’Amministrazione, vanno richiamati, ad esempio, la categoria di elaborazione giurisprudenziale della irregolarità del provvedimento amministrativo (che consente di escludere dall’area dell’illegittimità quelle fattispecie nelle quali lo scostamento tra l’atto e il suo formale paradigma normativo risulti “minimale” e, quindi, nella sostanza irrilevante); il principio della sanatoria dei vizi formali o procedimentali per raggiungimento delle scopo (che impedisce di attribuire conseguenze invalidanti all’omissione formale ogni volta che lo scopo cui la forma è preordinata sia stato comunque raggiunto); più di recente, la esplicitazione del principio dell’irrilevanza del vizio formale non influente sul contenuto dispositivo del provvedimento di cui all’art. 21-octies, comma 2, legge n. 241 del 1990.
Il sistema, quindi, conosce una pluralità di istituti volti ad evitare che il vizio formale in cui incorre l’Amministrazione possa tradursi automaticamente nella illegittimità del provvedimento adottato.
Sarebbe allora contraddittorio e sperequato ritenere, al contrario, che l’eventuale carenza formale o documentale in cui dovesse incorrere il privato nei suoi rapporti con l’Amministrazione determini per ciò solo, senza alcuna possibilità di regolarizzazione, l’effetto di rendere l’atto che ne sia affetto inidoneo a produrre gli effetti voluti (soprattutto quando si tratti della mancanza di una fotocopia),.
Ancora, vanno richiamate, quanto meno per la loro valenza sistematica, le recenti riforme legislative volte ad alleggerire gli oneri burocratici e documentali in capo ai privati che si relazionano con la Pubblica Amministrazione.
È significativo richiamare le modifiche introdotte, con l’art. 15, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, alla disciplina delle certificazioni e delle dichiarazioni sostitutive contenuta nel “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”, di cui al d.P.R. 20 dicembre 2000, n. 445.
Tali disposizioni, seppure non direttamente rilevanti nel caso di specie, sono comunque dirette a consentire una completa “decertificazione” nei rapporti fra P.A. e privati, attraverso l’acquisizione diretta dei dati presso le Amministrazioni certificanti da parte delle Amministrazioni procedenti e, in alternativa, la produzione, da parte degli interessati, solo di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà.
In un contesto ordinamentale ormai fortemente rivolto alla semplificazione dei rapporti (anche documentali) tra Amministrazione e cittadino, alla riduzione in capo a quest’ultimi degli oneri burocratici inutili, e alla valorizzazione del dovere di leale collaborazione gravante sulla P.A., appare, allora, quanto meno distonico ritenere che una impresa possa essere esclusa da una gara soltanto perché il suo rappresentante abbia dimenticato di allegare la fotocopia di un documento (o quando questa comunque non sia stata rintracciata).
Rileva sotto tale aspetto il principio di proporzionalità, che si può ritenere senz’altro leso quando, in relazione ad una gara di per sé avente un notevole rilievo economico, l’esito della aggiudicazione alla fin fine risulta subordinato alla mancata produzione di una fotocopia che si può acquisire nel modo più semplice ed anche in tempo reale.
16. Del resto, preme ancora rilevare che, proprio per porre rimedio all’eccessiva rigidità determinata dall’indirizzo giurisprudenziale rigoristico sopra richiamato, il legislatore ha preso posizione con l’art. 4, comma 2, lett. d) del d.l. 11 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106.
Questo, nella rubrica dell’articolo 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha aggiunto l’inciso “tassatività delle cause di esclusione” e nel corpo dello stesso ha inserito il comma 1-bis, ai sensi del quale : “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
L’inserimento della nuova disposizione proprio nel corpo dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006 rende esplicito l’intento di ampliare il campo di operatività del “soccorso” istruttorio. Da una lettura combinata dei due commi dell’art. 46 si ricava, infatti, la conclusione che l’esclusione dalla gara può essere disposta dall’Amministrazione solo in presenza di una delle fattispecie descritte nel comma 1-bis (incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali, violazione del principio segretezza delle offerte) o, comunque, in caso di violazione di norme di divieto o di mancato adempimento di obblighi aventi una precisa fonte legislativa o regolamentare.
Viene così escluso il potere della stazione appaltante di ampliare discrezionalmente la gamma degli adempimenti richiesti a pena di esclusione e, di conseguenza, viene meno il potere di autolimitare il campo di applicazione del dovere di soccorso istruttorio.
Va precisato, al riguardo, che la nuova disposizione dovrebbe essere intesa nel senso che l’esclusione dalla gara possa essere disposta sia nel caso in cui la legge o il regolamento la comminino espressamente, sia nell’ipotesi in cui la legge imponga “adempimenti doverosi” o introduca, comunque, “norme di divieto” pur senza prevedere espressamente l’esclusione. Questa interpretazione ampia del principio di tassatività della cause di esclusione (secondo cui la tassatività può ritenersi rispettata anche quando la legge, pur non prevedendo espressamente l’esclusione, imponga, tuttavia, adempimenti doverosi o introduca norme di divieto) è stata, infatti, espressamente affermata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 6 giugno 2012, n. 21 (punto n. 5.1. della motivazione), e, in precedenza, da Cons. Stato, Sezione III, 16 marzo 2012, n. 1472.
La cogenza del principio di tassatività della cause di esclusione così introdotto viene poi rafforzata attraverso la previsione testuale della nullità delle clausole difformi.
Il legislatore ha così inteso effettuare direttamente il bilanciamento tra l’interesse alla massima partecipazione alle gare di appalto e quelli alla speditezza dell’azione amministrativa ed alla parità di trattamento, mettendo l’accento sul primo a scapito dei secondi. La stazione appaltante che si trovi di fronte alla violazione di una previsione prevista dal bando la quale non trovi corrispondenza in una norma legislativa o regolamentare, fonte di un obbligo documentale o dichiarativo esplicito, non potrà procedere immediatamente all’esclusione del concorrente, ma dovrà invitarlo a regolarizzare, esercitando il potere di soccorso istruttorio previsto dall’art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006.
In tal modo non risulta leso il principio di parità di trattamento, poiché ogni concorrente che è incorso nella ‘dimenticanza’ può integrare l’adempimento, pur se altri vi hanno provveduto correttamente ed esattamente. Ne risulta meglio tutelato il principio di massima partecipazione alle gare di appalto, mediante l’ammissione alla procedura dell’imprenditore il quale per mera dimenticanza non abbia trasmesso la fotocopia di un documento (ovvero non abbia effettuato una dichiarazione), ma possieda effettivamente i requisiti necessari. È stato in tal modo assunto un orientamento maggiormente sostanzialistico, con una valutazione di politica legislativa che rientra nella discrezionalità del legislatore.
17. Se la disposizione sopra richiamata fosse applicabile ratione temporis al caso di specie, non vi sarebbe dubbio sulla illegittimità della clausola del bando che prevede l’esclusione in caso di mancata allegazione all’offerta della copia fotostatica del documento di identità del soggetto sottoscrittore. A differenza di quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale nella sentenza impugnata, infatti, la mancata allegazione all’offerta della fotocopia del documento di identità del sottoscrittore non integra una ipotesi tipica di esclusione (non trattandosi di adempimento imposto dalla legge o dal regolamento), né dà luogo ad una ipotesi di incertezza assoluta circa la provenienza dell’offerta (non essendo, fra l’altro, nel caso concreto, contestata la sua effettiva provenienza da parte della società Palumbo).
18. Tuttavia, la questione del campo di applicazione, ratione temporis, della medesima disposizione è, a sua volta, fonte di potenziali contrasti giurisprudenziali, che, in parte, si sono già manifestati nella giurisprudenza di primo grado.
19. È, infatti, certamente innovativa (e, quindi, non suscettibile di applicazione retroattiva) la previsione che sanziona con la nullità la clausola del bando che viola il principio di tassatività, sicché non rileva approfondire le relative sue questioni interpretative.
20. Rileva invece il principio di tassatività oggi codificato dal comma 1-bis dell’art. 46 d.lgs. n. 163 del 2006.
In relazione a tale profilo vi sono certamente elementi per ritenere che tale previsione abbia una portata non innovativa, ma interpretativa; per ritenere, in altri termini, che il legislatore, in presenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla reale portata del dovere di soccorso istruttorio nell’ambito delle procedure di gara, abbia voluto prendere posizione a favore dell’interpretazione ispirata ad un maggiore sostanzialismo, chiarendo, a fronte di una prassi amministrativa e di una interpretazione giurisprudenziale di segno prevalentemente contrario, che alla stazione appaltante è precluso imporre nel bando prescrizioni ed adempimenti ulteriori a quelli ordinariamente previsti sulla base della legge e del regolamento.
Del resto, con specifico riferimento alle clausole del bando che, come quella in esame, prevedono a pena di esclusione adempimenti di carattere documentale o meramente formale, non può non evidenziarsi come, tramite il loro inserimento nel bando, la stazione appaltante ottenga il risultato di autoescludere (con riferimento, appunto, a quei documenti o a quelle forme imposte a pena di esclusione) la propria soggezione al dovere di soccorso istruttorio, che è, invece, imposto dall’art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 e, più in generale, dall’art. 6 della legge n. 241 del 1990.
La sicura cogenza del principio del soccorso istruttorio – a sua volta espressione del più generale principio di leale collaborazione nei rapporti tra Amministrazione e privato, che grava sulla stazione appaltante anche nel corso del procedimento di evidenza pubblica – dovrebbe, allora, escludere la legittimità di clausole che, mediante la specifica previsione della automatica sanzione espulsiva in presenza di omissioni documentali o formali, consentano all’Amministrazione di prescindere da qualsiasi forma di preventiva interlocuzione e di preventiva collaborazione con il privato concorrente.
È ancora significativa, ad avvalorare la portata interpretativa più che innovativa della nuova disposizione, la circostanza che il legislatore abbia deciso di collocarla topograficamente all’interno dell’art. 46 (appunto dedicato al principio del soccorso istruttorio), numerando il relativo comma come “1-bis”, per sottolineare che la nuova regola debba essere intesa come una specificazione o un corollario del principio del “soccorso” istruttorio, in base al quale, quindi, il dovere di preventiva richiesta di regolarizzazione opera inderogabilmente tranne nei casi in cui la causa di esclusione abbia un fondamento, implicito o esplicito, in una fonte legislativa o nel regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici.
21. Alla luce delle considerazioni che precedono, devono, quindi rimettersi all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. le seguenti questioni di diritto, fonti di possibili contrasti giurisprudenziali (e parzialmente già sorti):
a) se, ed eventualmente in che misura, nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 2, lett. d) del d.l. 11 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, possa già ritenersi vigente un principio di tassatività della cause di esclusione dalle gare per l’affidamento di contratti pubblici;
b) se, in particolare, debbano ritenersi illegittime, per la violazione di tale principio, le clausole che impongono a pena di esclusione adempimenti documentali o formali privi di una base normativa espressa;
c) se, ed in che misura, ove si dovesse, al contrario, concludere per la validità di dette clausole “atipiche” di esclusione, sia comunque onere per la stazione appaltante, alla luce del generale principio del soccorso istruttorio di cui all’art. 46, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, invitare il concorrente, prima di disporne l’esclusione, ad una “regolarizzazione” documentale, consentendogli l’eventuale produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la regolarizzazione della forma omessa, nei casi in cui l’omissione formale o documentale non incida sulla sussistenza dei requisiti di partecipazione e sulla capacità tecnica ed economica del concorrente.
22. Le suddette questioni sono rilevanti ai fini della risoluzione del presente giudizio atteso che:
– il bando prevedeva espressamente l’obbligo, a pena di esclusione, di corredare l’offerta tecnica ed economica con la fotocopia del documento di identità del soggetto sottoscrittore;
– tale obbligo documentale non ha una base normativa, ma è il frutto di una scelta discrezionale della stazione appaltante avvenuta in sede di redazione del bando;
– la clausola in questione rispetta, anche in considerazione del sacrificio minimo imposto al concorrente (la mera allegazione di una fotocopia del documento di identità del soggetto ha sottoscritto l’offerta) e dell’interesse con essa perseguito dall’Amministrazione (la certezza dell’autenticità della sottoscrizione), i principi di ragionevolezza, proporzionalità e pertinenza, individuati dalla tradizionale giurisprudenza come limiti al potere dell’Amministrazione di imporre in sede di bando, adempimenti ulteriori da rispettare a pena di esclusione;
– si tratta, tuttavia, di un adempimento meramente formale, la cui mancanza non altera la “qualità” della dichiarazione, né impedisce di verificare, aliunde e in qualsiasi momento, la provenienza dell’offerta dal soggetto che partecipa alla gara.
22.1. Pertanto, applicando il più rigoroso orientamento giurisprudenziale, si dovrebbe ritenere che, trattandosi di adempimento richiesto a pena di esclusione, la sua mancanza determini irrimediabilmente la sanzione espulsiva, senza possibilità di soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante.
22.2. Al contrario, applicando l’indirizzo più “sostanzialista”, l’esclusione dovrebbe ritenersi illegittima. L’illegittimità scaturirebbe, a seconda della risoluzione che sarà fornita alle questioni rimesse, dalle seguenti motivazioni: o perché disposta in esecuzione di una disposizione del bando a sua volta illegittima (che nel caso di specie è stata anche ritualmente impugnata); o perché disposta senza prima interloquire con il concorrente al fine di consentirgli di “sanare” l’irregolarità documentale, invitandolo a presentare la fotocopia del documento di identità mancante; o perché il vizio documentale doveva ritenersi sanato in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, atteso che lo scopo perseguito dall’Amministrazione mediante l’adempimento in questione (nella specie, la certezza circa la provenienza dell’offerta dal soggetto che ne appariva sottoscrittore) risultava comunque realizzato (non essendo contestata l’attribuibilità dell’offerta al concorrente).
23. Il presente giudizio solleva, ancora, su un piano più strettamente processuale, un ulteriore profilo di diritto che merita di essere rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria.
L’esame di tale profilo non rileverebbe nel giudizio, qualora si dovesse riformare la statuizione del TAR sull’accoglimento del ricorso incidentale, perché a quel punto de plano si dovrebbe passare all’esame delle censure contenute nel ricorso principale di primo grado, riproposte con l’atto d’appello.
Viceversa, qualora dovesse essere confermata la statuizione di accoglimento del ricorso incidentale, andrebbe esaminata la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere della società appellante, in considerazione di quanto in precedenza affermato dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2011, che ha affermato principi divergenti rispetto a quelli desumibili dalla sentenza n. 11 del 2008 della stessa Adunanza Plenaria
Si tratta della questione concernente, nelle gare con due soli partecipanti, i rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale c.d. escludente (volto cioè a far valere l’illegittimità dell’ammissione alla gara del ricorrente principale) o, più in generale, la questione relativa alla permanenza della legittimazione a ricorrere del ricorrente principale una volta che nel corso del giudizio sia accertato (in accoglimento del ricorso incidentale) che questi abbia partecipato illegittimamente alla gara dalla quale doveva essere escluso, oppure, a seconda dei casi concreti che possono verificarsi, che sia legittimo il provvedimento di esclusione adottato nei suoi confronti dalla stazione appaltante e che, quindi, siano infondati i motivi di ricorso dallo stesso proposti avverso tale atto di esclusione.
La questione si pone laddove, come nel caso di specie, il ricorso principale sia a sua volta escludente, sia cioè diretto a dimostrare che l’amministrazione avrebbe dovuto escludere dalla gara anche l’aggiudicatario.
In particolare, il problema sorge nell’ambito delle gare con due soli concorrenti (o, eventualmente, con più concorrenti, ma solo laddove sia contestata la legittimità della partecipazione di ciascuno di essi), in quanto in tale ipotesi il ricorrente principale, nonostante l’illegittimità della sua partecipazione (o, a seconda dei casi, la legittimità della sua esclusione), potrebbe avere, comunque, interesse alla decisione del ricorso principale escludente, al fine di soddisfare il suo interesse c.d. strumentale al rifacimento della gara.
24. La gara, infatti, in seguito all’estromissione anche dell’aggiudicatario disposta per effetto dell’accoglimento del ricorso principale, potrebbe essere ripetuta dalla stazione appaltante, con conseguente possibilità per il ricorrente principale di aggiudicarsi l’eventuale successiva gara.
Secondo la giurisprudenza tradizionale, confermata anche dall’Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4, la possibilità di ottenere la rinnovazione della gara rappresenta, almeno in materia di appalti, un’utilità che vale ad integrare l’interesse al ricorso.
In tal senso, si spiega, infatti, anche l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene ammissibile il ricorso con cui una impresa fa valere un vizio che mira ad ottenere non l’aggiudicazione a suo favore ma il travolgimento dell’intera procedura. Ancora, l’interesse strumentale sta anche alla base, sia pure in forma meno esplicita, dell’orientamento che ammette il risarcimento del danno arrecato alla chance dell’impresa che non riesca a dimostrare che senza l’illegittimità si sarebbe certamente aggiudicata la gara.
Come da più parti si ritiene, infatti, il risarcimento del danno arrecato alla chance rappresenta una sorta di ristoro per equivalente proprio dell’interesse alla rinnovazione della gara: non a caso, ove la rinnovazione della gara sia ancora possibile (perché il contratto non è stato già eseguito), la stessa giurisprudenza esclude il risarcimento della chance, ritenendo che la ripetizione della gara valga già a riparare in forma specifica il pregiudizio subito (perché nella materia in esame la reintegrazione in forma specifica può riguardare l’emanazione di ulteriori provvedimenti e non la realizzazione di attività materiali, come disposto per il diritto privato dall’art. 2058 c.c.).
25. La questione in esame è stata decisa dalla già citata sentenza dell’Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4, la quale, ribaltando le conclusioni cui era giunta la precedente sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11 del 2008, ha sostanzialmente affermato che le questioni relative alla legittimità dell’ammissione alla gara del ricorrente principale (o, a seconda dei casi, della sua esclusione) hanno priorità logica sulle questioni relative alla legittimità della partecipazione alla gara dell’aggiudicatario, con la conseguenza che, ove nel corso del giudizio venga accertato (in accoglimento del ricorso incidentale) che si sarebbe dovuto escludere il ricorrente principale, il ricorso principale diventa improcedibile per il sopravvenuto difetto del presupposto processuale costituito dalla legittimazione a ricorrere.
Parimenti, in applicazione degli stessi principi, può ritenersi che, ove il ricorrente principale sia un soggetto già escluso dalla gara che formuli sia motivi diretti a contestare la legittimità dell’atto di esclusione che lo ha colpito, sia motivi diretti a contestare la mancata esclusione dell’aggiudicatario, l’accertata infondatezza dei primi renderebbe inammissibili i secondi per difetto di legittimazione.
26. Il caso oggetto del presente giudizio integra entrambe le ipotesi appena descritte.
L’appellante (ricorrente principale in primo grado) contesta, anzitutto, l’atto con il quale la stazione appaltante non ha approvato l’aggiudicazione provvisoria e ha contestualmente disposto la sua esclusione dalla gara ravvisando l’integrazione di una ipotesi di esclusione contemplata dal bando a causa della mancata allegazione all’offerta della fotocopia documento di identità.
Contestualmente la società appellante sostiene che anche si sarebbe dovuto escludere dalla gara anche l’aggiudicatario, in quanto incorso nello stesso vizio formale (mancata allegazione di copia fotostatica del documento di identità).
L’aggiudicatario, a sua volta, con il ricorso incidentale di primo grado (richiamato in questa sede per i profili assorbiti) ha lamentato che, comunque, nei confronti del ricorrente principale sussistono anche altre ragioni che ne avrebbero dovuto determinare l’esclusione dalla gara.
Viene, quindi, in rilievo una fattispecie connotata da profili di particolare complessità.
Si ha, infatti, un concorrente già escluso dall’Amministrazione che con il ricorso principale impugna la sua esclusione e si duole del fatto che l’aggiudicatario non sia stato escluso pur essendo incorso nello stesso vizio formale. Si ha poi un ricorso incidentale a sua volta escludente, diretto a sostenere che il ricorrente principale avrebbe dovuto essere escluso anche per altre ragioni.
27. Il principio di fondo espresso dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 2011 è quello secondo cui la legittimazione al ricorso non si acquisisce con la semplice domanda di partecipazione o con l’ammissione alla gara, ma con l’ammissione legittima, con la conseguenza che il concorrente ammesso illegittimamente perde la legittimazione nel momento in cui viene annullato (in sede giurisdizionale in seguito all’accoglimento del ricorso incidentale o, eventualmente, anche dall’Amministrazione, in via di autotutela) l’atto infraprocedimentale di ammissione.
L’atto infraprocedimentale di ammissione attribuirebbe, quindi, solo una legittimazione provvisoria, destinata a venire meno una volta che esso vengo rimosso o in sede giurisdizionale o in sede di autotutela amministrativa, con l’ulteriore conseguenza che tutte le questioni relative alla legittimità dell’ammissione del ricorrente principale avrebbero priorità logica sulle altre, determinando, ove risultino fondate, l’improcedibilità del ricorso principale (o degli altri motivi del ricorso principale) diretto all’esclusione dell’aggiudicatario.
28. Tali principi hanno suscitato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha fatto emergere anche posizioni di aperta critica rispetto alla soluzione accolta dall’Adunanza Plenaria.
La decisione dell’Adunanza Plenaria non è stata condivisa da tutti i Tribunali amministrativi regionali che si sono in seguito pronunciati ed ha ricevuto le critiche di una parte della dottrina, in quanto – al cospetto di due imprese che sollevano a vicenda talvolta la medesima questione (come nella specie) – ne sanziona una con l’inammissibilità del ricorso e ne favorisce l’altra con il mantenimento di un’aggiudicazione (in tesi) illegittima, denotando una crisi del sistema che, al contrario, proclama di assicurare a tutti la possibilità di ricorrere al giudice per fargli rimediare a quello che (male) ha fatto o non ha fatto l’Amministrazione.
Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione (con la sentenza 21 giugno 2012 n. 10294) – pur rilevando che può individuare l’ordine giurisdizionale che ha il potere di decidere la controversia, senza poter influire sul contenuto delle sentenze del Consiglio di Stato (come già rimarcato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2007, al § 7) hanno espressamente affermato che il principio di diritto enunciato dalla sentenza n. 4 del 2011 della Adunanza Plenaria suscita “indubbiamente delle perplessità che lasciano ancor più insoddisfatti ove si aggiunga che l’aggiudicazione può dare vita ad una posizione preferenziale soltanto se acquisita in modo legittimo e che la realizzazione dell’opera non rappresenta in ogni caso l’aspirazione dell’ordinamento (v. artt 121/23 cod. proc. amm.), che in questa materia richiede un’attenzione e un controllo ancora più pregnanti al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato”.
L’insoddisfazione per le conclusioni raggiunte dalla medesima sentenza n. 4 del 2011 ha anche indotto il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sez. II, ordinanza 9 febbraio 2012) a sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato CE, al fine di chiarire se il principio della necessaria priorità di analisi del ricorso incidentale rispetto a quello principale sia in contrasto con le norme europee e, in particolare, con i principi di parità delle parti e non discriminazione di cui alla direttiva n. 1989/665/CEE.
Recentemente, peraltro, la V Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 15 aprile 2013, n. 5104) ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’applicabilità del principio di diritto da essa affermato nella pronuncia n. 4 del 2011 anche a una fattispecie nella quale il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicatario implichi, ai fini della verifica della legittimazione del ricorrente principale, l’esame di una parte cospicua del merito della controversia, nonché il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante.
In tal caso, infatti, ha osservato la V Sezione nella citata ordinanza di rimessione, l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario potrebbe rivelarsi contrario al principio di parità delle parti.
29. Il Collegio condivide tali perplessità e ritiene, pertanto, che la questione meriti di essere nuovamente rimessa all’esame della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, comma 3, cod. proc. amm.
30. In primo luogo, far dipendere l’ammissibilità o la procedibilità del ricorso principale dalla circostanza che la partecipazione alla gara del ricorrente principale sia “legittima” rischia di limitare fortemente, fino ad escluderla del tutto, la possibilità di tutela in sede giurisdizionale del c.d. interesse strumentale, ovvero dell’interesse del ricorrente principale ad ottenere, mediante l’estromissione dell’aggiudicatario (in ipotesi anch’egli illegittimamente ammesso), la ripetizione della gara.
Si rileva, quindi, un profilo di contraddittorietà tra l’affermazione secondo cui la ripetizione della gara è un’utilità sostanziale giuridicamente rilevante, in grado di radicare l’interesse al ricorso, e la contestuale negazione di ogni forma di tutela in capo al concorrente che, avendo partecipato illegittimamente alla gara (e, quindi, non potendo conseguire l’aggiudicazione in conseguenza di questa illegittima partecipazione), può ormai aspirare solo alla ripetizione della gara, risultato che potrebbe in ipotesi conseguire, dimostrando che anche l’aggiudicatario ha partecipato illegittimamente.
31. In secondo luogo, nelle fattispecie destinate ad essere regolate dai principi espressi dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 2011, vengono normalmente in rilievo due posizioni sostanziali che, almeno in ipotesi, sono perfettamente identiche e speculari: l’aggiudicatario e il ricorrente principale (unici partecipanti alla gara) contestano reciprocamente ciascuno la legittimità dell’ammissione dell’altro.
Applicando i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, questa perfetta identità sotto il profilo sostanziale viene “alterata” in sede processuale, attribuendo preferenza alla posizione dell’aggiudicatario, il quale, pertanto, anche se ha beneficiato dello stesso errore compiuto dall’Amministrazione in sede di ammissione del ricorrente principale, riesce, in tal modo, a conservare l’aggiudicazione a discapito dell’interesse, avente pari dignità sotto il profilo sostanziale, del ricorrente principale ad ottenere la rinnovazione della gara.
Il dubbio che tale soluzione possa incidere sul principio costituzionale della parità della parti all’interno del processo merita senza dubbio un’attenta considerazione. Due soggetti che si trovano sul piano sostanziale in una posizione di ‘parità contra legem’ (avendo entrambi beneficiato di una ammissione illegittima) vengono, infatti, differenziati sul piano processuale, perché si impedisce al ricorrente principale di far valere, a suo favore, l’illegittima ammissione dell’aggiudicatario, che, invece, di quella “speculare” illegittimità può beneficiare ai fini di “bloccare” l’esame nel merito del ricorso principale.
In questo modo, l’esito del giudizio (e, in definitiva, della gara) viene a dipendere da un atto dell’Amministrazione che – con la prospettiva di risultare insindacabile in sede giurisdizionale – può risultare la conseguenza di determinazioni arbitrarie e indebitamente sollecitate.
A fronte di due concorrenti, entrambi incorsi in una causa di esclusione, la scelta dell’Amministrazione di aggiudicare la gara all’uno o all’altro sfugge ad ogni possibilità di controllo giurisdizionale, e diventa la fonte di un effetto irreversibile, sacrificandosi, correlativamente, l’interesse strumentale alla ripetizione della gara vantato dal ricorrente principale.
Il principio di parità della parti all’interno del processo dovrebbe al contrario implicare parità nelle condizioni di accesso alla decisione di merito e, quindi, per richiamare le affermazioni della precedente sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11 del 2008, che il giudice “non p determinare una soccombenza anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito nell’ordine di trattazione delle questioni”.
In altri termini, quando le imprese si trovano in posizioni perfettamente speculari (ed entrambe dovevano essere escluse), questa uguaglianza (che si traduce in una pari condizione di illegittimità) non dovrebbe essere alterata dalla scelta del giudice sull’ordine di esame delle questioni.
Né si può sostenere che le posizioni non sono perfettamente simmetriche, perché la ricorrente incidentale è comunque aggiudicataria, e come tale titolare di un interesse poziore (al mantenimento dell’aggiudicazione) rispetto alla ricorrente principale (che mira solo alla ripetizione della gara).
La posizione di vantaggio di cui gode l’aggiudicataria deriva, infatti, da un atto illegittimo dell’Amministrazione: attribuire rilievo a tale posizione significherebbe allora consentire all’Amministrazione di incidere, con i suoi atti illegittimi, sull’esito della lite, e simile conclusione andrebbe ancora a scontrarsi con il principio di parità sostanziale delle parti.
La libertà del giudice di scegliere l’ordine di esame delle questioni – che in alcuni casi può essere ispirata a economia processuale – si deve, infatti, arrestare laddove l’esito della lite cambia a seconda della questione che si esamina per prima.
Nei casi in cui accade questo, laddove, cioè, a seconda del ricorso che si esamina per primo muta l’esito del giudizio, il principio di parità delle parti e di imparzialità del giudice impone una pronuncia su entrambi i ricorsi (principale e incidentale), e il loro contestuale accoglimento dovrebbe determinare l’esclusione di entrambe le imprese e la ripetizione della gara.
Come rilevato anche dalle Sezioni Unite nella già citata sentenza 21 giugno 2012, n. 10294, secondo il sistema, ciascun interessato è legittimato a ricorrere in sede di giustizia amministrativa per ripristinare la legalità (sia pure nel proprio interesse) e dare alla vicenda un assetto conforme a quello voluto dalla normativa di riferimento.
Seguendo l’interpretazione della ‘seconda’ sentenza della Adunanza Plenaria, invece, l’esercizio della giurisdizione finisce per consolidare un assetto diverso da quello che (secondo l’assunto) si sarebbe avuto se la P.A. avesse condotto il procedimento secondo le regole.
32. In terzo luogo, la stessa nozione di legittimazione al ricorso recepita dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 solleva ulteriori perplessità, nella misura presuppone un concetto di legittimazione al ricorso provvisoria e secundum eventum litis.
Secondo la tesi accolta dall’Adunanza Plenaria, n. 4 del 2011, la legittimazione esisterebbe al momento della proposizione del ricorso, ma potrebbe venire meno a seconda, appunto, dell’esito del giudizio.
Il ricorrente principale è legittimato ad impugnare l’aggiudicazione, ma lo è fino a quanto non si accerti, per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale (o del rigetto dei motivi di ricorso principale contro l’esclusione già disposta dall’Amministrazione), che non avrebbe dovuto partecipare alla gara.
In questo modo, quindi, si fa dipendere la risoluzione di una questione pregiudiziale di rito (l’ammissibilità del ricorso) dall’esito del giudizio concernente pur sempre la legittimità degli atti del procedimento di gara. Il ricorrente principale è così legittimato se è infondato il ricorso incidentale “escludente” o se sono fondati i motivi di ricorso principale avverso il provvedimento che ha disposto la propria esclusione.
È certamente vero che nel processo amministrativo, il concetto di legittimazione al ricorso ha tradizionalmente un contenuto diverso rispetto all’omologa nozione di legittimazione ad agire sviluppatasi in ambito processualcivilistico.
Nel processo civile, infatti, la legittimazione ad agire si determina sulla base della domanda e consiste nella semplice coincidenza tra il soggetto che propone la domanda e il soggetto che nella domanda si afferma titolare del diritto. Per essere legittimati, nel processo civile, basta, quindi, che l’attore si autodichiari titolare del diritto che fa valere in giudizio attraverso la domanda. L’attore sconterà, infatti, l’eventuale non verità della sua autodichiarazione con la soccombenza nel merito, cui andrà incontro inevitabilmente se il diritto di cui si è affermato titolare non gli appartiene.
Nel processo amministrativo, al contrario, la giurisprudenza e la dottrina hanno ormai da tempo recepito una nozione più marcatamente sostanziale del concetto di legittimazione al ricorso: non basta che il ricorrente si autodichiari titolare dell’interesse che fa valere, ma occorre andare a verificare se ne sia effettivamente titolare, se cioè egli sia realmente titolare di una posizione giuridica differenziata e normativamente qualificata (fermo restando che, ai fini della giurisdizione, rileva la indubitabile titolarità di un interesse legittimo, correlativa alla lesione cagionata dagli atti autoritativi impugnati).
Ciò perché nel processo amministrativo, a differenza di quanto accade nel processo civile, il ricorso potrebbe in teoria essere fondato (nel senso che l’atto impugnato potrebbe essere illegittimo) anche se colui che lo propone non è titolare di alcun interesse a ricorrere. Per questo, si impone un concetto “sostanziale” di legittimazione al ricorso, al fine di evitare che il processo amministrativo si trasformi in una giurisdizione di diritto oggettivo.
Ecco allora che condizionare la sopravvivenza della titolarità di posizione di interesse a ricorrere (e, quindi, della legittimazione al ricorso) alla fondatezza del ricorso principale verso l’atto di esclusione o all’infondatezza di quello incidentale avverso l’atto di ammissione, finisce per contraddire appunto la tradizionale affermazione che vede nell’interesse una situazione giuridica a ‘soddisfazione non garantita’, che esiste anche se chi ne è titolare ha torto.
33. Ai §§ 30 e 31, la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 si è occupata della portata applicativa dell’art. 76, comma 4, del codice del processo amministrativo, che ha richiamato l’art. 276, secondo comma, del codice di procedura civile.
Nel non condividere la regola enunciata dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11 del 2008 (per la quale il dovere di esaminare anche il ricorso principale – nel caso di fondatezza di quello incidentale ‘escludente’ – è un corollario del principio della parità delle parti), i §§ 30 e 31 della sentenza n. 4 del 2011 hanno osservato che il giudice deve innanzitutto esaminare le questioni preliminari, sicché l’esame del ricorso incidentale – quando contesta la legittimazione al ricorso principale – “assume carattere necessariamente pregiudiziale. E la sua accertata fondatezza preclude, al giudice, l’esame del merito delle domande proposte dal ricorrente”.
Osserva al riguardo il Collegio che il principio della parità delle parti – in quanto enunciato nell’art. 111 della Costituzione – giustifica una interpretazione diversa del medesimo art. 76, comma 4.
Esso – come ha osservato la stessa sentenza n. 4 del 2011 – si è limitato a richiamare una disposizione del codice di procedura civile, sull’ordine logico di trattazione, ricognitiva di una ‘regola di giudizio’ costantemente ritenuta applicabile al processo amministrativo.
Mentre il giudice civile deve seguire l’ordine logico che tiene conto delle regole del processo civile, il giudice amministrativo deve seguire l’ordine logico che tiene conto delle regole del processo amministrativo e, in particolare, della peculiare natura e portata della disciplina del ricorso incidentale (in sé e nei suoi rapporti col ricorso principale).
E’ significativo il fatto che la ‘commissione speciale’ incaricata di redigere lo schema del codice del processo amministrativo, consapevole del ‘diritto vivente’ che ha costituito oggetto di specifiche discussioni, ha preferito non introdurre una disciplina sul ricorso incidentale innovativa rispetto a quella previgente o comunque volta a superare il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 11 del 2008, quale corollario del principio della parità delle parti.
L’assenza di specifiche disposizioni innovative sul ricorso incidentale, nel codice del processo amministrativo, evidenzia l’assoluta ‘neutralità’ del conditor iuris (e dunque anche dell’art. 76, comma 4) in ordine alla soluzione della questione riguardante i rapporti intercorrenti tra l’esame del ricorso incidentale e quello del ricorso principale.
34. Non appare insuperabile del resto la stessa premessa da cui muove la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, ovvero che la mera partecipazione (di fatto) alla gara non sia sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso.
Secondo l’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011, “la situazione legittimante costituita dall’intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva”.“Pertanto, la definitiva esclusione o l’accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva”.
In questo modo, si pongono sullo stesso piano l’impresa che alla gara non ha nemmeno partecipato, e quella che ha partecipato ma è stata legittimamente esclusa (non importa se per atto dell’Amministrazione o per atto del giudice a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale). Sotto tale profilo, la sentenza dell’Adunanza Plenaria richiama quell’orientamento giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, IV, 23 gennaio 1986, n. 57, dichiara inammissibile il ricorso proposto dal concorrente che, dopo aver presentato la domanda di partecipazione alla gara, sia stato escluso dall’Amministrazione con un atto non impugnato (e, quindi, divenuto inoppugnabile) ovvero impugnato senza successo.
35. In realtà anche questa equiparazione (tra impresa non partecipante, impresa esclusa per atto dell’Amministrazione, impresa esclusa per atto del giudice), sebbene suggestiva ed autorevolmente invocata in dottrina, merita di essere rimeditata e approfondita.
L’impresa che non ha mai partecipato alla gara, infatti, è certamente un quisque de populo rispetto all’esito e allo svolgimento della stessa. Non è certamente titolare di una posizione differenziata e normativamente qualificata. Rileva, infatti, la domanda di partecipazione per differenziare la posizione di una determinata impresa da tutte le altre operanti nel settore, e le norme che disciplinano la procedura di gara sono dirette a tutelare gli interessi dei concorrenti in quella procedura e non genericamente di tutte le imprese del settore.
Da qui la tradizionale affermazione che nega la legittimazione in capo all’impresa che non ha partecipato.
Tale principio, peraltro, non è privo di alcune significative deroghe, atteso, ad esempio, che la giurisprudenza tende ormai ad ammettere, in alcune ipotesi particolari, l’impugnativa anche da parte di chi non ha partecipato (la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura; la legittimazione dell’operatore economico “di settore”, che intende contestare un “affidamento diretto” o senza gara; la legittimazione dell’operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando “escludente”, in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione).
Si tratta di ipotesi già individuate ed esaminate dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 e condivisibilmente ritenute ipotesi relative “ad esigenze e a ragioni peculiari, inidonee a determinare l’affermazione di una nuova regola generale di indifferenziata titolarità della legittimazione al ricorso, basata sulla mera qualificazione soggettiva di imprenditore potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova gara”.
36. La posizione del soggetto che presenta domanda di partecipazione assume, invece, connotati già significativamente diversi. Questo soggetto, in virtù del fatto che ha partecipato alla gara, diviene per ciò solo, titolare di una posizione differenziata (rispetto a tutti coloro che non hanno partecipato) e normativamente qualificata, in quanto titolare, in conseguenza del fatto della partecipazione, di un interesse al regolare svolgimento della gara, interesse che viene qualificato e tutelato direttamente dalle norme che disciplinano l’evidenza pubblica.
Sotto tale profilo, non appare, quindi, del tutto condivisibile l’affermazione contenuta nella motivazione della sentenza n. 4 del 2011 (che rappresenta un argomento centrale nel ragionamento svolto da quella decisione) secondo cui l’interesse di chi partecipa alla gara diventa normativamente qualificato solo in seguito al “positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva”.
Un interesse sostanziale riceve, infatti, di regola, la sua qualificazione normativa direttamente dalla legge, non dal provvedimento. Il provvedimento non può né cancellare la qualificazione normativa che un interesse ha già ricevuto dal sistema ordinamentale, né conferirla ad interessi che non ce l’hanno a prescindere da esso.
In altri termini, non si può neppure ritenere sussistente l’inedito potere dell’Amministrazione di selezionare (con i provvedimenti di ammissione o di esclusione) i soggetti titolari di interessi qualificati e, quindi, di ampliare o restringere la cerchia dei soggetti legittimati ad impugnare i suoi atti.
A ciò si aggiunga poi che, come è stato evidenziato in dottrina, all’affermazione che ricollega la legittimazione alla legittimità dell’ammissione, può ulteriormente opporsi la considerazione che, ove sia fondata l’impugnazione principale che contesta l’ammissione dell’aggiudicatario, verrebbe, anche quest’ultimo, a trovarsi privo della legittimazione a contestare, con ricorso incidentale, quella dell’altro concorrente.
37. Appare allora preferibile ritenere che l’interesse al legittimo svolgimento della procedura di gara, al rispetto delle regole della concorrenza, sia già di per sé un interesse normativamente qualificato, che si “soggettivizza” in capo al soggetto che partecipa alla gara, perché è proprio il “fatto storico” di aver partecipato alla gara che rende la posizione di tale soggetto diversa rispetto a quella di chiunque altro.
Tale soggetto, quindi, per il fatto stesso della partecipazione, diviene titolare di un interesse a ricorrere, in cui la pretesa sostanziale sottostante ha ad oggetto un bene della vita che si traduce nell’aggiudicazione o nella possibilità di conseguirla (anche all’esito della ripetizione della gara). L’eventualità che tale pretesa sostanziale possa essere infondata (perché la sua offerta non è ammissibile o non è la migliore) attiene al merito della pretesa, ma non esclude la titolarità di una posizione di interesse a ricorrere.
Preme ancora evidenziare che la soluzione (inaugurata dalla già citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 23 gennaio 1986, n. 57) che nega l’accesso alla decisione di merito a chi, dopo essere stato legittimamente e definitivamente escluso da una gara, proponga ricorso contro l’aggiudicazione merita un approfondimento.
Chi è stato definitivamente escluso, per inidoneità del proprio progetto, non può più aggiudicarsi ‘quella’ gara se restano fermi gli effetti della aggiudicazione, ma – se questa è annullata perché l’aggiudicatario doveva a sua volta essere escluso – può partecipare alla ulteriore gara (ove l’Amministrazione intenda nuovamente bandirla), mantenendo una potenziale posizione di parità con le altre imprese, potendo presentare un progetto che superi i profili della precedente inidoneità..
In ogni caso, sembra permanere la legittimazione nei casi in cui la ripetizione della gara possa soddisfare l’interesse del ricorrente; nei casi cioè in cui è possibile che, all’esito della gara rinnovata, il ricorrente risulti aggiudicatario.
È quanto può accadere nei casi, come quello in esame, in cui un soggetto escluso per un errore meramente formale si lamenti del fatto che l’Amministrazione avrebbe dovuto escludere anche l’aggiudicatario (unico concorrente rimasto in gara) per lo stesso errore formale.
In tal caso, il principio di parità delle parti e quello della effettività della tutela giurisdizionale sembrano in effetti deporre a favore della perdurante ammissibilità del ricorso, nonostante l’esclusione orami definitiva subita da chi lo propone.
38. Non va sottaciuto, infine, che i principi enunciati dalla richiamata sentenza n. 4 del 2011 della Adunanza Plenaria implicano le seguenti conseguenze:
a) come si è sopra accennato, l’esito del giudizio (e della gara) dipende da un atto dell’Amministrazione che – con la prospettiva di risultare insindacabile in sede giurisdizionale – può risultare la conseguenza di determinazioni arbitrarie e indebitamente sollecitate;
b) quando risultino viziati gli atti di ammissione alla gara di entrambe le imprese partecipanti, pur a seguito della statuizione di inammissibilità del ricorso principale (in conseguenza dell’accoglimento del ricorso incidentale), conserva rilievo sostanziale il vizio dell’atto che ha ammesso alla gara l’aggiudicatario, sicché si è in presenza di un giudicato del tutto ‘cedevole’, poiché l’Amministrazione – ispirandosi al principio di legalità – al termine del giudizio può anche annullare in sede di autotutela l’atto di ammissione dell’aggiudicatario e della conseguente aggiudicazione (il che dovrebbe porsi anche in termini di doverosità, quando il ricorrente principale ha fondatamente – ma inutilmente – dedotto che l’aggiudicatario è privo di uno o più requisiti sostanziali);
c) qualora in sede di giustizia amministrativa non sia presa in considerazione la domanda di annullamento della aggiudicazione, in conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, vi è la concreta possibilità che il perdurante rilievo della illegittimità (più o meno evidente) dell’atto di ammissione alla gara dell’aggiudicatario sia sottoposto all’esame di altri ordini giurisdizionali, che constatino un pregiudizio economico per la stessa Amministrazione aggiudicatrice e potrebbero giungere a conclusioni incongruenti con la conseguita inoppugnabilità dell’aggiudicazione.
39. Nel caso di specie, peraltro, l’iniquità cui potrebbe dar luogo una rigida applicazione dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 appare ancora più evidente se si considera che il ricorrente principale, dopo essere stato aggiudicatario provvisorio, è stato escluso, non perché privo dei requisiti di partecipazione, ma per una mera incompletezza documentale (la mancata allegazione di una fotocopia), che egli, peraltro, sostiene aver caratterizzato anche la posizione dell’aggiudicatario.
La disparità di trattamento in concreto verificatasi (in sede amministrativa e all’esito del giudizio di primo grado) risulta particolarmente eclatante, perché l’Amministrazione – nel chiedere alla Avvocatura Distrettuale dello Stato il parere sulla legittimità dell’atto di aggiudicazione provvisoria – ha rappresentato alla medesima Avvocatura che la società appellante non ha prodotto la fotocopia di un documento di identità, senza esporre che anche l’altra impresa – poi divenuta aggiudicataria definitiva – era incorsa nella medesima dimenticanza.
40. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene di rimettere all’esame della Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 3, cod. proc. amm:
a) la prima questione indicata al precedente § 21;
b) l’ulteriore questione – già esaminata dalla citata sentenza n. 4 del 2011 – della sussistenza o meno della legittimazione del soggetto escluso dalla gara per atto dell’Amministrazione (ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale) ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, al fine di dimostrare che anche questo doveva essere escluso dalla gara e soddisfare in tal modo l’interesse strumentale alla eventuale ripetizione della procedura.
Valuterà l’Adunanza Plenaria se sia il caso di trattare la questione indicata sub b) ed enunciare i relativi principi di diritto, qualora la controversia vada decisa con la riforma del capo della sentenza appellata che ha accolto il ricorso incidentale di primo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe n. 4939 del 2012, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza Plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)