Il principio di legalità può subire adattamenti nella fase applicativa, dovendosi riconoscere l’ammissibilità della categoria dei poteri impliciti. Si tratta di poteri che non sono espressamente contemplati dalla legge ma che si desumono, all’esito di una interpretazione sistematica, dal complesso della disciplina della materia, perché strumentali all’esercizio di altri poteri.
La ragione di questa elaborazione risiede nel fatto che, in alcuni ambiti, è oggettivamente complesso per il legislatore predeterminare quale possa essere, secondo quanto sopra indicato, il contenuto del provvedimento amministrativo.
Nei settori di competenza delle Autorità amministrative indipendenti, la suddetta esigenza si manifesta in presenza di poteri di regolazione, che vengono normalmente esercitati nei settori dei servizi di pubblica utilità e dei mercati finanziari in senso ampio.
Rispetto all’esercizio dei poteri impliciti è necessario rafforzare la legalità procedimentale, la quale assume una valenza forte per “compensare” le mancanze della legalità sostanziale.
Il principio della partecipazione procedimentale è un principio generale dell’azione amministrativa che non ha un fondamento costituzionale ma lo acquisisce in taluni ambiti quando esiste una esigenza di rafforzare le forme di protezione delle posizioni soggettive coinvolte dall’esercizio del potere pubblico.
Se, come nel caso in esame, la legalità sostanziale non riesce ad assolvere, per le ragioni indicate, la sua funzione di garanzia, si trasferisce questo compito alla legalità procedimentale.
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6507 del 2019, proposto da Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luca Raffaello Perfetti, Andrea Zoppini e Giorgio Vercillo, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Zoppini in Roma, piazza di Spagna, n. 15;
contro
Commissione nazionale per le società e a Borsa (Consob), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Lopatriello e Gianfranco Randisi, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
nei confronti
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Vivendi Société Anonyme, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 6678 del 2019, proposto da
Vivendi Société Anonyme, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Guizzi, Francesco Scanzano, Giulio Napolitano e Marco Maugeri, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Scanzano in Roma, via XXIX Maggio, n. 43;
contro
Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefania Lopatriello e Gianfranco Randisi, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
nei confronti
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Telecom Italia s.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi n. 6507 del 2019 e n. 4990 del 2019:
della sentenza 17 aprile 2019, n. 4990 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Giorgio Vercillo, per sé e in sostituzione dell’avv. Perfetti, Andrea Zoppini, Stefania Lopatriello e Elisabetta Cappariello in sostituzione dell’avv. Randisi, Giuseppe Guizzi, Giulio Napolitano.
FATTO
1.˗ La Commissione nazionale per le Società e la Borsa (Consob), con determinazione 13 settembre 2017, n. 106341 ha qualificato il rapporto partecipativo di Vivendi S.A., in Telecom Italia s.p.a. (d’ora innanzi Tim) in termini di controllo di fatto ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., dell’art. 93 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nonché della disciplina in materia di operazioni con parti correlate di cui al Regolamento Consob adottato con delibera 12 marzo 2010, n. 17221 (“Regolamento o.p.c. ”).
2.˗ Vivendi, società francese quotata alla Borsa di Parigi, è entrata nel capitale sociale di Telecom nel giugno del 2015, con la titolarità di una partecipazione iniziale pari al 6,66 per cento, che poi si è progressivamente incrementata fino a raggiungere il 23,925 per cento del capitale sociale di Telecom.
3.˗ In data 15 dicembre 2015 l’assemblea dei soci di Tim è stata chiamata a deliberare: a) la nomina di quattro amministratori; b) l’autorizzazione dei predetti amministratori al proseguimento delle attività indicate nei rispettivi curricula vitae, con svincolo del divieto di concorrenza rispetto a questa attività ai sensi dell’art. 2390 cod. civ. La prima proposta è stata approvata. La seconda proposta di Vivendi, che era titolare del 20,53 per cento del capitale sociale, è stata respinta.
4.˗ In data 25 maggio 2016, l’assemblea dei soci di Tim ha approvato il bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2015, con il voto favorevole di una percentuale rappresentativa del 59,13 per cento del capitale sociale ordinario di Tim. Vivendi era titolare del 24,68 per cento del capitale sociale, e, dunque, di una percentuale inferiore a quella necessaria per il raggiungimento della maggioranza.
5.˗ Nel periodo successivo si sono verificate le seguenti vicende, riportate nel provvedimento impugnato e negli atti difensivi delle parti, che hanno assunto rilevanza ai fini della determinazione finale adottata da Consob:
– nel mese di novembre 2016, il collegio sindacale di Tim rendeva noto alla Consob di avere avviato taluni approfondimenti relativi alla qualificabilità di Vivendi come socio di controllo di fatto della medesima società;
– in data 15 dicembre 2016, la competente divisione corporate governance della Consob inviava una nota al collegio sindacale al fine di acquisire maggiori informazioni sullo stato di detti approfondimenti;
– con lettera del 20 gennaio 2017, il collegio sindacale, da un lato, faceva presente che non sussistevano le condizioni per qualificare Vivendi come controllante di Tim ai sensi dell’art. 2359, commi 1 e 2, cod. civ. e dell’art. 93 del d.lgs. n. 58 del 1998 mentre sussistevano i presupposti per qualificarla come socio di controllo ai fini della disciplina relativa alle operazioni con parti correlate, dall’altro lato, chiedeva alla Consob di esprimere, nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, il proprio orientamento in ordine a quest’ultimo aspetto;
– con lettera del 21 febbraio 2017, Telecom informava la Consob, su richiesta di quest’ultima, di avere avviato approfondimenti in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto con Vivendi;
– all’esito della riunione del 23 marzo 2017, il consiglio di amministrazione di Tim dichiarava che Vivendi non potesse essere qualificata come socio di controllo di Tim;
– in data 20 aprile 2017, la Consob comunicava a Tim che il suo assetto proprietario e la governance «nonché le circostanze fattuali segnalate dal collegio sindacale a più riprese, assumevano particolare rilievo come indici di una crescente influenza da parte del socio Vivendi sulla gestione del gruppo Telecom», aggiungendo che «qualora a seguito dell’assemblea dei soci di Telecom – convocata per il 4 maggio 2017 e avente ad oggetto il rinnovo del consiglio di amministrazione mediante voto di lista – Vivendi dovesse venire a detenere il potere di esercitare la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute del predetto consiglio, la Società dovrà obbligatoriamente procedere ad una rivalutazione della posizione della stessa Vivendi»;
– nell’assemblea del 4 maggio 2017, veniva rinnovato il consiglio di amministrazione di Tim e dalla lista presentata da Vivendi, in data 9 aprile 2017, veniva tratta la maggioranza dei consiglieri, pari a dieci, di cui cinque indipendenti, ed i restanti cinque, tutti indipendenti, dalla lista presentata da un gruppo di Sgr e di investitori internazionali;
– con comunicato stampa del 1° giugno 2017, Tim rendeva noto che il consiglio di amministrazione della società i) aveva proceduto a nominare “a maggioranza” Arnaud Roy de Puyfontaine (amministratore delegato di Vivendi) Presidente esecutivo, e Giuseppe Recchi (nominato Presidente “a maggioranza” il 5 maggio 2017) a vice-Presidente; ii) aveva escluso che Vivendi potesse essere qualificata come socio di controllo di Tim ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., dell’art. 93 del d.lgs. n. 58 del 1998, della disciplina relativa alle operazioni con parti correlate; iii) aveva in ogni caso «rivisto e ampliato su base volontaria, acquisito il parere favorevole dei consiglieri indipendenti, l’ambito di applicazione della Procedura per l’effettuazione di operazioni con parti correlate in vigore, sostituendo la clausola con cui in data 3 maggio 2017 aveva proceduto a un primo ampliamento, e decidendo di equiparare totalmente il socio di riferimento Vivendi a una società controllante, ai fini dell’individuazione del perimetro delle parti correlate di Tim»;
– con due comunicati stampa rispettivamente del 27 luglio 2017 e del 4 agosto 2017, Tim rendeva dapprima noto che «il consiglio di amministrazione della Società aveva preso atto dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte di Vivendi», specificando poi che, in tale presa d’atto, lo stesso consiglio «non aveva trattato il profilo della sussistenza o meno del controllo ex art. 2359 cod. civ.»;
– in data 1° agosto 2017, la Consob chiedeva a Vivendi in relazione alla partecipazione rilevante detenuta da Tim nella società quotata Inwit S.p.A. (“Inwit”) e agli obblighi di trasparenza stabiliti dal combinato disposto degli articoli 120 e ss. del d.lgs. n. 58 del 1998 e degli articoli 117 e ss. del Regolamento Emittenti, «di fornire indicazione in ordine ai termini entro cui» avrebbe proceduto «ad ottemperare agli obblighi derivanti dalla partecipazione indirettamente detenuta in Inwit»;
– con nota del 2 agosto 2017, Vivendi rappresentava di non ritenere di dover adempiere agli obblighi di trasparenza di cui alle norme richiamate, non considerandosi controllante, in quanto l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento non avrebbe implicato l’esercizio del controllo di fatto su Tim;
– con un comunicato stampa in data 7 agosto 2017, Vivendi rilevava i) di non esercitare alcun controllo di fatto su Tim ai sensi dell’art. 93 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell’art. 2359 del codice civile; ii) che non sussisteva una posizione di controllo nelle assemblee ordinarie dei soci di Tim a decorrere dal 22 giugno 2015; iii) che la partecipazione detenuta in Tim non sarebbe stata sufficiente a determinare alcuno stabile esercizio di una influenza dominante sulle assemblee dei soci di Tim;
– con nota del 5 settembre 2017, il collegio sindacale di Tim, in risposta alla specifica richiesta di informazioni della Consob, trasmetteva gli «esiti dell’istruttoria riguardante la sussistenza del controllo di Vivendi su Telecom Italia», rappresentando di ritenere «che allo stato ricorrano le condizioni per qualificare Vivendi come controllante di Telecom Italia, ai sensi dell’art. 93, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell’art. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile, nonché dell’IFRS n. 10», essendo Vivendi titolare di un «pacchetto azionario» idoneo ad «orientare la volontà dell’assemblea ordinaria di Telecom Italia», integrando così «una fattispecie di controllo cd. di fatto codicistico» riconducibile al periodo precedente l’assemblea del 4 maggio 2017, agli esiti della stessa e alla situazione esistente in quel momento storico;
– la Commissione Consob, nella riunione del 13 settembre 2017, dopo avere esaminato le relazioni istruttorie dei propri uffici sulla vicenda, ha deliberato che, a seguito dell’assemblea del 4 maggio 2017 con la quale Vivendi aveva nominato la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di Tim, la medesima Vivendi esercitava il controllo su Tim ai sensi degli artt. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile e 93 del d.lgs. n. 58 del 1998, nonché, autonomamente, ai sensi del Regolamento Consob o.p.c. , e di darne pubblicità mediante un comunicato stampa al fine di informare il mercato della decisione assunta.
6.˗ Telecom e Vivendi hanno impugnato tale determinazione innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, deducendo la sua illegittimità per: i) violazione del principio di legalità, per mancanza della norma che attribuisce il potere a Consob; ii) mancato rispetto delle norme sulla partecipazione procedimentale; iii) assenza di un esame collegiale delle argomentazioni svolte dalla divisione corporate governance da parte della Commissione; iv) insussistenza dei presupposti integranti la situazione di controllo di fatto civilistico, con lesione del principio dell’affidamento e carenza di istruttoria, nonché la situazione di controllo ai sensi della normativa sulle parti correlate; v) mutamento di orientamento da parte della Consob in ordine all’identificazione dei tratti salienti della situazione di controllo.
7.˗ Il Tribunale amministrativo, con sentenza 17 aprile 2019, n. 4990, ha ritenuto infondate tutte le censure. In particolare, si è affermato, da un lato, che il fondamento legale del potere sia rinvenibile negli artt. artt. 2359, comma 1, n. 2, del codice civile e 93 del d.lgs. n. 58 del 1998, dall’altro, che non sarebbe stato necessario comunicare l’avvio del procedimento amministrativo, in quanto ci sarebbe stata una ampia interlocuzione tra le parti, pubbliche e private, e, in ogni caso, si tratterebbe di un vizio formale non invalidante ai sensi dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990 n. 241. Nel merito, il Tribunale ha ritenuto legittimo l’accertamento svolto dalla Consob in ordine alla sussistenza di un controllo societario di Vivendi nei confronti di Tim.
8.˗ Le ricorrenti di primo grado hanno proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.
9.˗ Si è costituita in giudizio la Consob, chiedendo il rigetto dell’appello.
10.˗ La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15 ottobre 2020 e della camera di consiglio del 7 dicembre 2020.
DIRITTO
1.˗ La questione all’esame della Sezione attiene alla legittimità della determinazione settembre 2017, n. 106341 della Consob, che ha qualificato il rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom in termini di controllo di fatto ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., dell’art. 93 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nonché della disciplina in materia di operazioni con parti correlate di cui al Regolamento Consob adottato con delibera 12 marzo 2010, n. 17221 (“Regolamento o.p.c. ”).
2.˗ Con un primo motivo le appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza e l’illegittimità della determinazione impugnata per violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa. In particolare, si è affermato che: i) non esisterebbe «alcuna norma (né di fonte primaria né di fonte secondaria) che conferisca a Consob il potere di accertare unilateralmente la sussistenza di una fattispecie di controllo civilistico nei rapporti intercorrenti tra i soci»; ii) il fondamento legale non potrebbe ricondursi, come rilevato dal primo giudice, al potere che la legge attribuisce alla Consob in materia di parti correlate, in quanto, oltre al fatto che, nella specie, sarebbe stato esercitato un potere di qualificazione del rapporto di controllo anche ai sensi del codice civile, si tratterebbe di «poteri tipici di cui la Consob» è titolare ma che «non ha esercitato nel caso di specie»; ii) il fondamento del suddetto potere non potrebbe neanche rinvenirsi nelle altre disposizioni di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (in particolare, art. 120), all’art. 2391-bis cod. civ. e al “Regolamento operazione parti correlate (o.p.c.) , in quanto ciascuna norma contempla una nozione differente di controllo a seconda dei settori di riferimento; iii) non sarebbe consentito dal sistema che la Consob eserciti un potere di qualificazione astratto e fine a sé stesso, non potendosi ammettere un “dovere di accertamento” nell’ambito della funzione di vigilanza.
Con un secondo motivo è stata dedotta l’erroneità della sentenza e della determinazione impugnata per la violazione delle regole sulla partecipazione al procedimento, non essendo stati coinvolti non solo le parti interessate ma anche, ai sensi dell’art. 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e dell’art. 5 del Regolamento concernente i procedimenti per l’adozione di atti di regolazione generale ai sensi del suddetto art. 23, gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilanti. Tale coinvolgimento sarebbe stato necessario anche perché la Consob avrebbe fornito, in precedenti determinazioni, una nozione di controllo civilistico diversa da quella fatta propria con il provvedimento impugnato. Si sostiene, inoltre, che non sarebbe sufficiente, come erroneamente sostenuto dal primo giudice, l’avvenuto coinvolgimento nelle attività continue di monitoraggio, non essendosi trattato di strumenti di partecipazione consapevoli e finalizzati all’adozione di specifici provvedimenti.
3.˗ I motivi, nei sensi e limiti di seguito indicati, sono fondati.
3.1.˗ Su un piano generale, il principio di legalità dell’azione amministrativa implica che la legge indichi lo scopo di interesse pubblico che la pubblica amministrazione deve perseguire (cd. legalità-indirizzo) e stabilisca le condizioni e le modalità di esercizio del potere (cd. legalità garanzia).
Sul piano dello scopo da perseguire, la legalità ha un fondamento costituzionale nel principio democratico (art. 1 Cost.), il quale impone che sia il Parlamento a determinare le finalità di interesse pubblico che fanno capo alla comunità di cittadini e che devono essere perseguiti dalla pubblica amministrazione.
Sul piano delle garanzie, la legalità ha un fondamento costituzionale in diversi principi (artt. 1, 23, 42, 97 Cost.) e una connotazione differente a seconda della tipologia di potere che viene posto in essere.
Nel diritto amministrativo mancano norme che definiscano quelli che, mutuando una espressione penalistica, sono i cosiddetti corollari della legalità. La dottrina e la giurisprudenza li identificano, per i provvedimenti amministrativi, nella nominatività e tipicità. Il significato della nominatività è agevole, in quanto esso implica che il provvedimento sia “nominato” e, dunque, contemplato dalla norma. Il significato della tipicità è più complesso e impone un livello, più o meno intenso a seconda del potere esercitato, di previsione delle condizioni e delle modalità di esercizio del potere stesso. Si passa da una predeterminazione completa per i provvedimenti che hanno natura vincolata ad una predeterminazione minima per gli atti politici in senso lato che devono rispettare soltanto i principi e le regole generali posti dalle norme attributive del potere.
In presenza di provvedimenti restrittivi o sfavorevoli, che sono quelli che rilevano in questa sede, la tipicità deve assolvere pienamente alla funzione di garanzia della sfera giuridica del destinatario dell’attività amministrativa, in quanto è necessario che la legge stabilisca condizioni e modalità di esercizio del potere al fine di assicurare che l’incidenza negativa nella sfera giuridica del privato sia il risultato di una scelta anche legislativa e non solo amministrativa.
Su impulso del diritto europeo e, in particolare, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 7), richiede, quando il provvedimento ha natura sanzionatoria o anche soltanto restrittiva, quali corollari della legalità, che la base giuridica sia accessibile e soprattutto prevedibile. La prevedibilità, secondo l’opzione interpretativa preferibile, deve essere intesa in senso oggettivo, implicando che i destinatari dell’attività amministrativa possano prevedere le conseguenze derivanti dalla eventuale violazione del precetto che vieti determinati comportamenti o che prescriva le modalità di svolgimento di una determinata attività. La tendenza, pertanto, è a richiedere un maggiore livello di sviluppo delle previsioni di legge che regolano i settori interessati da tali tipologie di provvedimenti amministrativi.
3.1.1.˗ La giurisprudenza amministrativa ritiene che il suddetto principio di legalità possa subire adattamenti nella fase applicativa, riconoscendo l’ammissibilità della categoria dei poteri impliciti.
Si tratta di poteri che non sono espressamente contemplati dalla legge ma che si desumono, all’esito di una interpretazione sistematica, dal complesso della disciplina della materia, perché strumentali all’esercizio di altri poteri.
La ragione di questa elaborazione risiede nel fatto che, in alcuni ambiti, è oggettivamente complesso per il legislatore predeterminare quale possa essere, secondo quanto sopra indicato, il contenuto del provvedimento amministrativo.
Nei settori di competenza delle Autorità amministrative indipendenti, la suddetta esigenza si manifesta in presenza di poteri di regolazione, che vengono normalmente esercitati nei settori dei servizi di pubblica utilità e dei mercati finanziari in senso ampio.
Sul piano strutturale essi hanno, in base al loro contenuto, natura normativa o amministrativa generale, nonché, per alcune parti, anche individuale.
La regolazione indipendente, normalmente, ha valenza tecnica ed attiene ad ambiti in costante evoluzione per dinamiche di mercato differenti. E’ dibattuta la questione relativa alla effettiva natura del potere di regolazione e cioè se sussista o meno un “vincolo di tecnicità” con preclusione di svolgere valutazioni di natura discrezionale ovvero se, in ragione della necessità di perseguire l’interesse pubblico relativo allo specifico ambito di competenza, l’Autorità possa effettuare anche tali valutazioni.
La suddetta valenza tecnica impedisce la piena operatività del principio di legalità-garanzia, che assume una valenza debole, non essendo, spesso, possibile assicurare la predeterminazione legislativa delle modalità e del contenuto del potere pubblico.
Sul piano funzionale, gli scopi della previsione di tali poteri dipendono dal settore che viene in rilievo e, in ogni caso, sono riconducibili in senso ampio ai processi di privatizzazione e liberalizzazione delle attività economiche.
La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto necessario rafforzare la legalità procedimentale, la quale assume una valenza forte per “compensare” le mancanze della legalità sostanziale (si v., tra gli altri, Cons. Stato, sesta sezione, 24 maggio 2016, n. 2182).
Il principio della partecipazione procedimentale è un principio generale dell’azione amministrativa che non ha un fondamento costituzionale ma lo acquisisce in taluni ambiti quando esiste una esigenza di rafforzare le forme di protezione delle posizioni soggettive coinvolte dall’esercizio del potere pubblico.
Se, come nel caso in esame, la legalità sostanziale non riesce ad assolvere, per le ragioni indicate, la sua funzione di garanzia, si trasferisce questo compito alla legalità procedimentale.
La partecipazione deve avvenire secondo due differenti modalità.
In primo luogo, in ragione della natura generale del potere, mediante la consultazione pubblica degli organismi rappresentativi degli operatori economici interessati, al fine di contribuire alla migliore definizione delle regole e del loro impatto sulle attività disciplinate.
In secondo luogo, nei soli casi di possibile incidenza nella sfera giuridica specifica di taluni operatori, mediante la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ai sensi degli artt. 7 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, al fine sia di consentire alle parti interessate di svolgere le proprie difese nel procedimento e prevedere gli assetti finali della determinazione amministrativa sia di contribuire alla definizione del contenuto del provvedimento.
In questo caso, il fondamento della legalità procedimentale risiede nelle medesime norme della Costituzione che proteggono la sfera giuridica del privato mediante l’imposizione di una base legale tipica. La stessa Corte costituzionale ha affermato che in presenza di potere di regolazione delle Autorità indipendenti occorre «valorizzare le forme di legalità procedurale»: in questi casi, «la difficoltà di predeterminare con legge in modo rigoroso i presupposti delle funzioni amministrative attribuite alle Autorità comporterebbe un inevitabile pregiudizio alle esigenze sottese alla riserva di legge, se non fossero quantomeno previste forme di partecipazione degli operatori di settore al procedimento di formazione degli atti». In definitiva, la «declinazione procedurale del principio di legalità», rappresenta «un utile, ancorché parziale, complemento delle garanzie sostanziali» (Corte cost. 7 aprile 2017, n. 69).
Si tenga conto che il rafforzamento delle forme di partecipazione procedimentale evita, inoltre, le aporie di un sistema che, da un lato, richiede una base legale sostanziale forte per i poteri sanzionatori e, dall’altro, in alcuni casi, consente una base legale sostanziale debole per i poteri regolatori impliciti che costituiscono il presupposto della stessa sanzione poi concretamente irrogata. Il rispetto delle regole di partecipazione serve, pertanto, a restituire, almeno in parte, coerenza al sistema, assicurando il recupero delle garanzie e la prevedibilità oggettiva dei possibili sviluppi provvedimentali, nonostante l’opacità della legge sostanziale di disciplina dei poteri regolatori.
E’ bene precisare che la descritta funzione di “compensazione” non comporta un pieno recupero del fondamento democratico della legalità, in ragione della non omogeneità tra predeterminazione legislativa sostanziale delle regole e partecipazione procedimentale, ma assicura un maggiore livello di garanzie per il privato.
La Sezione rileva come sarebbe, invero, opportuno che il legislatore intervenisse a disciplinare, con misure più pregnanti, modulate alla luce della materia regolata, anche i settori di competenza delle Autorità indipendenti per ridurre l’ambito di operatività dei poteri impliciti e assicurare una più certa compatibilità costituzionale.
Nel caso di specie, l’applicazione, come si esporrà oltre, della teoria dei poteri impliciti assume connotati peculiari in quanto viene in rilievo un potere della Consob che non è del tutto riconducibile alle categorie tradizionali.
3.2.˗ Su un piano specifico, le norme di disciplina della materia sono le seguenti.
In relazione alla natura dei poteri, la Consob è titolare, in particolare, di poteri di regolazione, di vigilanza, sanzionatori e di risoluzione alternativa delle controversie.
In relazione al fondamento legale sostanziale dei poteri, occorre richiamare la disciplina dei controlli societari.
L’art. 2359 cod. civ. prevede che sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto l’influenza di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Le prime due forme di controllo definiscono un “controllo interno” attuabile mediante l’esercizio di voti nell’assemblea ordinaria. Si distingue: i) un “controllo interno-di diritto”, che presuppone la disponibilità di voti pari alla maggioranza di quelli esercitabili nell’assemblea ordinaria; ii) un “controllo interno-di fatto”, che presuppone la disponibilità di una quantità di voti sufficiente ad esercitare una influenza dominante.
La terza forma di controllo definisce un “controllo esterno”, che prescinde dal possesso di una partecipazione azionaria ed è determinato da “particolari vincoli contrattuali” che pongono una società nella condizione di subire l’influenza dominante di altra società.
L’art. 2391-bis cod. civ., la cui rubrica reca «operazioni con parti correlate», dispone che «gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo princìpi generali indicati dalla Consob, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; a tali fini possono farsi assistere da esperti indipendenti, in ragione della natura, del valore o delle caratteristiche dell’operazione».
Il decreto legislativo n. 58 del 1998 contiene norme di disciplina degli specifici poteri di regolazione dei mercati finanziari nel caso in cui si accerti la sussistenza di una posizione di controllo.
Non è possibile, in questa sede, riportare tutte le specifiche competenze.
In particolare, con riguardo alla Parte IV, l’art. 91 dispone che «La Consob esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali».
L’art. 93 prevede che, ai fini dell’applicazione delle norme della Parte IV relativa alla disciplina degli emittenti, sono considerate imprese controllate, oltre a quelle indicate nel riportato art. 2359, numeri 1 e 2, codice civile, anche: «a) le imprese, italiane o estere, su cui un soggetto ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b) le imprese, italiane o estere, su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria». Il Regolamento Consob, parti correlate, di cui all’Allegato 1, dispone, tra l’altro, che un soggetto è parte correlata ad una società se ricorrono determinati requisiti, specificamente previsti (ad esempio: «controlla la società o ne è controllato o è sottoposto a comune controllo»; «detiene una partecipazione nella società tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima»; «esercita il controllo sulla società congiuntamente con altri soggetti»; «è una società collegata della società, è una joint venture di cui la società è una partecipante»).
Viene, inoltre, in rilievo la disciplina relativa a: i) appello al pubblico risparmio (art. 95); ii) comunicazioni al pubblico (art. 115); informativa sui piani di compensi basati su strumenti finanziari (art. 114-bis); trasparenza delle partecipazioni rilevanti (art. 121); informazione nella relazione sul governo societario e gli assetti proprietari (art. 123-bis); informativa sui compensi corrisposti contenuta nella relazione sulla remunerazione (art. 123-ter); definizione di indipendenza dei componenti del collegio sindacale rilevante per eventuali incompatibilità a ricoprire tale carica (art. 148); obblighi di informativa dei consiglieri delegati all’organo di controllo (art. 150); poteri dell’organo di controllo (art. 151).
In relazione al fondamento legale procedimentale del potere, la Consob deve rispettare le norme sulla consultazione pubblica e sulla partecipazione procedimentale, in modo da assicurare il rispetto delle regole del contraddittorio.
Per quanto attiene alla consultazione pubblica, l’art. 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 dispone che, tra gli altri: i) i poteri della Consob, «aventi natura regolamentare o di contenuto generale, esclusi quelli attinenti all’organizzazione interna, devono essere motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono» (comma 1); ii) tali atti «sono accompagnati da una relazione che ne illustra le conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei risparmiatori»; «nella definizione del contenuto degli atti di regolazione generale», la Consob tiene conto «in ogni caso del principio di proporzionalità, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari»; a questo fine, la Consob consulta «gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi finanziari e dei consumatori» (comma 2); iii) l’attuazione di tali principi è demandanta a regolamenti dell’Autorità (comma 4).
La Consob ha adottato la delibera 5 luglio 2016, n. 19654, la quale, all’art. 5, ha disciplinato le modalità di svolgimento di una consultazione in forma pubblica.
Per quanto attiene alla partecipazione, l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 prevede che deve essere data comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti finali.
4.˗ Nella fattispecie concreta in esame, occorre accertare la natura del potere esercitato e il suo fondamento sostanziale e procedimentale.
4.1.˗ In relazione alla natura del potere, deve preliminarmente rilevarsi come la Consob, in primo luogo, ha fornito una interpretazione del concetto di controllo interno di fatto, affermando che l’influenza dominante consiste nella concreta capacità di determinare gli esiti assembleari mediante la concomitanza di una serie di elementi fattuali, quali la frammentazione dell’azionariato, il meccanismo di voti di lista, la prassi degli investitori istituzionali di presentare liste corte di minoranza.
In secondo luogo, la Consob ha ritenuto che il controllo, così come sopra definito, è stato in concreto esercitato da Vivendi nei confronti di Telecom, come risulta dalla circostanza che Vivendi, nella riunione del 13 settembre 2017, è riuscita a nominare la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di Telecom (si v. parte in fatto della presente sentenza per maggiori dettagli).
Si è trattato, pertanto, di un potere di accertamento del rapporto di controllo tra le due società, che occorre qualificare giuridicamente.
Nel diritto privato, si ritiene che l’autonomia negoziale giustifichi la configurabilità di negozi di regolazione individuale con funzione dichiarativa. Le parti di un rapporto giuridico possono stipulare, infatti, un negozio di accertamento che, sul piano strutturale, produce efficacia non costitutiva ma meramente dichiarativa. Tale efficacia si risolve in una astrazione processuale, con inversione dell’onere della prova in capo a chi intenda dimostrare che il contenuto del rapporto sia diverso da quello accertato. Sul piano funzionale, lo scopo è di eliminare una situazione giuridica di incertezza nella configurazione del rapporto stesso anche al fine di auto-composizione dei conflitti, evitando, nell’immediato, il ricorso al giudice.
Nel diritto processuale, si può ricorrere all’autorità giudiziaria perché adotti una sentenza di accertamento finalizzata ad eliminare la situazione di incertezza relativa alla effettiva consistenza del rapporto dedotto in giudizio.
Nel diritto amministrativo, la funzione di regolazione del mercato risponde tradizionalmente al modello già esaminato che si caratterizza per avere ad oggetto profili di natura tecnica. La funzione dichiarativa è ritenuta ammissibile ma ad essa la dottrina che ha analizzato tale fenomeno ha ricondotto, sul piano strutturale, taluni specifici atti (in particolare, acclaramenti, accertamenti, certazioni), assegnando ad essi, sul piano funzionale, lo scopo di dare certezza a fatti o a rapporti giuridici.
Nel caso in esame, dal punto di vista della parte pubblica, la Consob ha esercitato un potere peculiare rispetto alla suddetta configurazione tradizionale.
Sul piano strutturale, l’attività può essere qualificata di regolazione avente ad oggetto la definizione e le modalità applicative di un concetto giuridico, quale è quello relativo al controllo di fatto societario, che non è stata prodromica all’esercizio di altri specifici poteri.
Sul piano funzionale, la finalità è, sulla falsariga del negozio di accertamento civilistico, quella di eliminare una situazione giuridica di incertezza che, però, in ragione della natura pubblica del soggetto, ha una rilevanza sia individuale sia generale.
Con riguardo al profilo individuale, si tratta di un potere di regolazione con funzione di accertamento degli specifici rapporti societari tra Telecom e Vivendi che elimina una incertezza giuridica che aveva dato anche luogo a conflitti di posizione tra gli stessi organi interni a Telecom. Tale potere, in ragione soprattutto dell’incidenza su rapporti di durata, sottoposti, per natura, a modifiche per cambiamenti interni alla compagine societaria, fermo quanto si esporrà oltre (punto 4.3), può essere oggetto sia di una successiva revisione da parte della stessa Autorità sia di una successiva contestazione da parte delle società stesse, con onere di queste ultime di dimostrare gli eventuali cambiamenti dei rapporti sottostanti. In questa prospettiva, l’esercizio di tale potere assolve anche ad una funzione di etero-composizione di una possibile lite e, quindi, presenta, in parte, caratteristiche analoghe a quelle proprie degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
Con riguardo al profilo generale, si tratta di un potere di regolazione con funzione di accertamento della nozione di controllo societario rilevante anche per gli altri operatori economici del mercato finanziario. Viene in rilievo, infatti, una nozione idonea a fornire indirizzi generali ai suddetti operatori in ordine al modo in cui l’Autorità intende tale nozione nel settore in cui essi svolgono attività di impresa.
Nel complesso, entrambe tali finalità sono strumentali al perseguimento dello scopo finale dell’esercizio del potere che è quello di assicurare il corretto funzionamento del mercato finanziario e l’interesse generale degli investitori e dei risparmiatori.
Dal punto di vista dei privati, le società coinvolte sono titolari di plurime situazioni giuridiche afferenti al rapporto societario, che sono state, nell’ambito del perimetro del potere esercitato, conformate dal potere amministrativo di regolazione dichiarativa. Tali soggetti hanno un interesse legittimo oppositivo al mantenimento nella originaria configurazione di tali rapporti che è cedevole rispetto all’interesse pubblico se il potere è stato correttamente esercitato.
L’interesse a ricorrere, pur a fronte di un potere dichiarativo, sussiste in quanto la suddetta qualificazione incide con immediatezza sul alcune regole organizzative e di attività delle società coinvolte anche in ragione del fatto che l’accertamento effettuato potrebbe essere posto a base di successivi eventuali poteri di vigilanza, regolazione specifica e sanzionatori.
4.2.˗ In relazione al fondamento legale sostanziale del potere in esame, non può ritenersi che le norme richiamate dal provvedimento impugnato di disciplina del controllo societario costituiscano la base legale espressa, in quanto, da un lato, l’art. 2359 cod. civ. è una disposizione generale di mera definizione della nozione di controllo, dall’altro, l’art. 2391-bis e il Regolamento Consob “o.p.c.”, pur avendo un contenuto puntuale, presuppongono, per la loro concreta applicazione, non solo che vi sia il requisito di controllo da essi definito ma anche che ricorra una specifica operazione con una parte correlata, da intendersi come qualunque trasferimento di risorse, servizi o obbligazioni.
La Sezione ritiene che il potere, in sé considerato, rinvenga, comunque, mediante l’applicazione di criteri di interpretazione sistematica, una base legale alla luce della natura del potere esercitato. Si può richiamare la teoria dei poteri impliciti con la puntualizzazione che, nella specie, non si è trattato, come già sottolineato, di un potere strumentale ad altro potere ma di una funzione di accertamento desumibile dall’intero impianto normativo e dalla stessa funzione generale che il legislatore ha inteso assegnare alla Consob.
La circostanza che si sia trattato di un potere con mera valenza di regolazione dichiarativa induce ad esprimere un giudizio di minore rigore rispetto alla necessità che sussista una adeguata base legale sostanziale.
Nondimeno, tale base rimane debole, in quanto, nella specie, non risultano espressi né il corollario della nominatività né quello della tipicità.
4.3.˗ In relazione al fondamento legale procedimentale del potere in esame, la suddetta debolezza sostanziale impone, ai fini del giudizio di validità del potere, il rafforzamento delle regole di garanzia della partecipazione degli operatori economici, secondo lo schema, già illustrato, proprio dei poteri impliciti.
Nella specie tali regole sono state violate.
La Consob, come risulta dalla ricostruzione della vicenda amministrativa, ha sempre avuto, come affermato anche dal primo giudice, una interlocuzione con le parti del rapporto giuridico, ma non risulta che siano state rispettate le regole di partecipazione come sopra riportate.
La natura, al contempo, individuale e generale del potere esercitato avrebbe dovuto imporre il rispetto delle norme relative alla consultazione pubblica e alla partecipazione al procedimento (cfr. art. 23 legge n. 262 del 2005 e art. 5 della deliberazione n. 19654 del 2016 della Consob, cit).
Con riguardo alla consultazione pubblica, la Consob avrebbe dovuto prevedere il coinvolgimento degli organismi rappresentativi soltanto relativamente agli aspetti di regolazione che attengono alla interpretazione della nozione di controllo societario in quanto essa è idonea, come sottolineato, a fornire indirizzi generali agli operatori economici del mercato finanziario. In questa fase le modalità procedurali devono essere tali da escludere atti e documenti contenenti dati coperti da riservatezza commerciale relativi agli specifici rapporti tra Vivendi e Telecom.
Con riguardo alla partecipazione procedimentale delle società appellanti, che è quella che più rileva in questa sede, la Consob avrebbe dovuto dare formale avvio a un procedimento specificamente finalizzato all’esercizio della funzione di regolazione dichiarativa del rapporto controverso per assicurare l’esercizio dei diritti di partecipazione.
Si tratta di un coinvolgimento delle parti necessario per garantire un contraddittorio procedimentale in funzione collaborativa e difensiva che, nella specie, dovendo colmare le lacune sostanziali della legge, assume valenza ancora più accentuata.
La non necessità della partecipazione non potrebbe desumersi, come rilevato dal primo giudice, dall’applicazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, il quale dispone che «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto esercitato».
Si tratta di una norma che ha previsto in generale una “dequotazione della legalità procedimentale” ma, come esposto, in questo caso, si deve realizzare un rafforzamento di tale legalità per compensare la “dequotazione della legalità sostanziale”. L’attribuzione, nella fattispecie in esame, di un fondamento costituzionale al diritto di partecipazione impone di interpretare l’art. 21-octies nel senso che esso non possa trovare applicazione.
Anche a volere prescindere dall’effettivo perimetro applicativo di tale norma, in ogni caso, è la stessa natura del potere esercitato che impedisce di svolgere un giudizio prognostico favorevole alla pubblica amministrazione in ordine alla irrilevanza di una eventuale partecipazione. Vengono, infatti, in rilievo ampi profili decisori di contenuto giuridico che implicano valutazioni le quali rinvengono proprio nel procedimento la loro sede naturale.
In particolare, l’oggetto del confronto dialettico nel procedimento avrebbe dovuto essere duplice.
Sul piano formale, tale confronto avrebbe dovuto investire la stessa nozione di controllo di fatto civilistico in quanto dall’analisi degli atti del processo risultano versioni non coincidenti.
Nella prospettiva pubblica, come già sottolineato, l’influenza dominante consiste nella concreta capacità di determinare gli esiti assembleari mediante la concomitanza di una serie di elementi fattuali.
Nella prospettiva privata, l’influenza dominante presuppone una posizione di prevalenza in assemblea, esclusiva, unilaterale, stabile, in quanto la differenza tra controllo di diritto e di fatto sarebbe solo di natura qualitativa.
Tale confronto è rilevante anche al fine di analizzare in contraddittorio quali siano stati in precedenza gli orientamenti seguiti dalla Consob e consentire, in caso di mutamento di indirizzo interpretativo, una partecipazione difensiva effettiva.
Sul piano sostanziale (collegato al primo), il contraddittorio procedimentale dovrebbe essere finalizzato ad acquisire tutti gli elementi e le circostanze di fatto che devono essere posti alla base della valutazione finale e che sono anche nella disponibilità degli operatori economici.
Non avendo la Consob assicurato le suddette garanzie partecipative, il provvedimento impugnato deve essere annullato.
Il che non esclude che la Consob, titolare, per le ragioni indicate, anche di una funzione di regolazione dichiarativa, possa riesercitare il potere ma nel rispetto delle prescrizioni conformative della presente sentenza, con conseguente necessità di rispettare, secondo le modalità e i limiti indicati, le regole di consultazione e di partecipazione.
5.˗ L’accoglimento degli appelli per le ragioni sopra esposte, esime il Collegio dall’esaminare le ulteriori censure prospettate dalle parti appellanti.
5.1.˗ La Sezione ritiene soltanto di dovere richiamare le argomentazioni difensive delle parti sviluppate nelle ultime memorie in cui si è fatto riferimento ai poteri speciali che la Presidenza del Consiglio possiede ai sensi del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 (Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 maggio 2012, n. 56.
Si tratta di poteri speciali che attengono al controllo sugli investimenti esteri in settori nevralgici per l’economia, quale è il settore delle comunicazioni, che hanno natura diversa da quelli che sono stati esercitati dalla Consob, i quali si fondano su specifici criteri e presupposti che impediscono qualunque possibile assimilazione.
Allo stesso modo differente è la questione decisa dalla Corte di Giustizia, con sentenza 3 settembre 2020, causa C-719/18. Tale sentenza ha riguardato, infatti, una controversia tra, da un lato, Vivendi e, dall’altro, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Mediaset s.p.a., in relazione ad una norma nazionale che vieta ad una impresa di conseguire ricavi superiori al dieci per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni, qualora tale impresa detenga una quota superiore al quaranta per cento dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche. Non può avere rilevanza, pertanto, in questo giudizio, per la diversità del suo oggetto, la descrizione, contenuta nella descrizione del procedimento principale e delle connesse questioni pregiudiziali, di Vivendi come società che «detiene una partecipazione del 23,9% nel capitale di Telecom Italia s.p.a.».
6.˗ La novità delle questioni trattate e l’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, riuniti i ricorsi:
a) accoglie, nei sensi di cui in motivazione, gli appelli proposti con i ricorsi indicati in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza 17 aprile 2019, n. 4990 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. seconda-quater, annulla la determinazione 13 settembre 2017, n. 106341 adottata dalla Commissione nazionale per le società e la borsa;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camera di consiglio dei giorni 15 ottobre e 7 dicembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere