Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come nel caso della definizione di mercato rilevante nell’accertamento di intese restrittive della concorrenza – detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini.
1. I ricorsi proposti contro la medesima sentenza debbono esser preliminarmente riuniti, secondo quanto prescrive l’art. 335 c.p.c..
2. Come già accennato, le doglianze espresse nei due ricorsi sono di analogo contenuto: li si potrà quindi esaminare congiuntamente.
2.1. Il primo motivo di censura fa riferimento alla L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 1, che, nella versione vigente all’epoca dei fatti di causa, faceva ricadere nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo i ricorsi avverso i provvedimenti dell’Autorità Garante (analoga previsione è contenuta ora nell’art. 133, comma 1, lett. l, del c.p.a.). Secondo le ricorrenti, vuoi per le caratteristiche stesse della giurisdizione esclusiva, vuoi per il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, la citata disposizione implica che il sindacato del giudice amministrativo non debba limitarsi – come erroneamente si legge nell’impugnata sentenza – ai profili di logicità estrinseca e di correttezza giuridica della motivazione con cui l’Autorità Garante individua gli estremi di un mercato rilevante ai fini di accertare e sanzionare intese restrittive della concorrenza. Quel sindacato, al contrario, deve spingersi alla verifica dei fatti posti a base del contestato accertamento, come nel caso di specie era stato richiesto dalle odierne ricorrenti e come il giudice di primo grado non aveva mancato di fare. L’autolimitazione che il Consiglio di Stato ha imposto alla propria latitudine di giudizio integrerebbe, pertanto, un vero e proprio diniego di giurisdizione e violerebbe, di conseguenza, i limiti esterni della giurisdizione assegnata a quel giudice: donde la possibilità di denunciare tale diniego in cassazione, a norma del primo comma dell’art. 362 c.p.c..
Ove, invece, l’interpretazione che il Consiglio di Stato ha dato alla citata disposizione della L. n. 287 del 1990, art. 33 fosse reputata condivisibile, le ricorrenti chiedono che la legittimità costituzionale di tale disposizione si sottoposta al vaglio del giudice delle leggi.
2.2. Un ulteriore superamento dei limiti esterni della giurisdizione è addebitato al Consiglio di Stato nel secondo motivo di ricorso, in cui si lamenta che detto giudice amministrativo, nell’affermare la consistenza ai fini concorrenziali dell’intesa intercorsa tra le società interessate alla gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale di cui si tratta, abbia svolto apprezzamenti autonomi e diversi da quelli posti a base dell’impugnato provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante, così finendo per invadere il campo riservato all’amministrazione.
2.3. Da ultimo le ricorrenti – sempre sul presupposto che si verta in un’ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione – si dolgono del fatto che il Consiglio di Stato abbia completamente omesso di pronunciarsi sulla loro richiesta di sottoporre alla Corte di Giustizia Europea due quesiti interpretativi, rispettivamente in tema di definizione del mercato rilevante di carattere nazionale e di utilizzo da parte degli operatori dello strumento dell’associazione temporanea d’imprese nelle gare comunitarie.
Quesiti che, eventualmente, le medesime ricorrenti chiedono ora anche a questa corte di sollevare.
3. L’Autorità controricorrente ha eccepito l’inammissibilità di entrambi i ricorsi nella loro interezza, perchè nessuna delle censure in essi espresse riguarderebbe il superamento dei limiti esterni della giurisdizione spettante al giudice amministrativo. I ricorsi, quindi, si porrebbero al di fuori dell’ambito entro il quale è consentito impugnare per cassazione le sentenze emesse da quel giudice.
Posta in questi termini, l’eccezione d’inammissibilità non coglie però nel segno, dovendosi escludere, almeno per quel che riguarda il primo motivo di ricorso, che la doglianza esuli dall’area delle questioni in materia di giurisdizione sottoponibili all’esame delle sezioni unite di questa corte; le quali hanno già in più occasioni ribadito che, ai fini dell’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che segnano il confine entro il quale è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, si deve tenere conto anche del canone dell’effettività della tutela giurisdizionale: onde rientra nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste nell’interpretare la norma attributiva di tutela per verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, la abbia concretamente erogata e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione rispettandone il contenuto essenziale (cfr., tra le altre, Sez. un. n. 19048 del 2010 e n. 30254 del 2008).
Alla stregua di tale principio, dal quale non si ha motivo per discostarsi, è innegabile che l’assunto delle ricorrenti secondo cui il Consiglio di Stato, nel caso in esame, avrebbe omesso di esercitare con pienezza il controllo giurisdizionale che gli compete sugli atti dell’Autorità Garante, limitando tale controllo ai profili giuridici, formali e motivazionali dell’atto senza procedere anche alla dovuta verifica della sussistenza dei presupposti di fatto che ne sono alla base, non si traduce nella denuncia di un mero error in iudicando o in procedendo nel quale il giudice amministrativo sarebbe incorso. Quel che viene denunciata è sì un’errata interpretazione di legge (l’art. 33, comma 1, della citata L. n. 287), ma ciò che le ricorrenti sostengono è che tale errore ha condotto ad un indebito rifiuto di erogare la dovuta tutela giurisdizionale: non per un vizio del giudizio concernente il singolo e specifico caso, ma in via generale, a cagione di una male intesa autolimitazione dei poteri del giudice in questa materia. Ed è allora chiaro che – fondata o meno che sia tale doglianza nel merito – essa attiene proprio alla corretta individuazione dei limiti esterni della giurisdizione, che, come detto, non sono soltanto quelli che separano i diversi plessi giurisdizionali ma anche quelli che stabiliscono fin dove ciascun giudice è tenuto ad esercitare il potere-dovere di ius dicere.
4. Occorre dunque procedere all’esame dei singoli motivi di ricorso, cominciando ovviamente dal primo, che, come già rilevato, pone la questione dei limiti entro i quali può e deve esercitarsi il controllo giurisdizionale sui provvedimenti dell’Autorità Garante, impugnati a norma della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 1 (ora dell’art. 133, comma 1, lett. l, del c.p.a.).
4.1. La questione non è nuova.
E’ stato già ripetutamente affermato, anche da queste sezioni unite, che i provvedimenti dell’Autorità Garante sono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo “forte” sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell’esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell’amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza (Sez. un n. 8882 del 2005 e n. 7063 del 2008).
A questo insegnamento va data continuità, ma qualche ulteriore precisazione può essere opportuna, anche in ragione di una certa quale ambiguità insita nella suaccennata distinzione tra controllo di legittimità “debole” e “forte”: una distinzione che, in via di principio, si potrebbe esser tentati di rifiutare ove si abbia a che fare con la tutela di diritto soggettivi, la quale, alla luce degli artt. 24 e 101 Cost., mal si presta ad una simile graduazione d’intensità.
Occorre ben chiarire, allora, che la non estensione al merito del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità Garante implica, certo, che il giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello adottato da detta Autorità, ma non che il sindacato sia limitato ai profili giuridico-formali dell’atto amministrativo, restandone esclusa ogni eventuale verifica dei presupposti di fatto. La pienezza della tutela giurisdizionale necessariamente comporta che anche le eventuali contestazioni in punto di fatto debbano esser risolte dal giudice, quando da tali contestazioni dipenda la legittimità del provvedimento amministrativo che ha inciso su posizioni di diritto soggettivo.
Nè osta a tale conclusione il divieto per il giudice di sindacare l’esercizio della discrezionalità amministrativa: perchè di questa è dato parlare solo quando si tratta di attività dell’amministrazione che comportino margini di scelta nell’apprezzamento dell’interesse pubblico, cui quell’attività deve tendere, e del modo in cui esso è destinato a contemperarsi con eventuali interessi contrastanti. In situazioni come quella in esame, viceversa, all’Autorità Garante è affidato un compito di accertamento e di applicazione della legge: un compito che ha connotati di neutralità e di oggettività ed in cui la discrezionalità amministrativa, come sopra intesa, di regola non gioca alcun ruolo.
Può accadere, invece, che giochi un ruolo importante la c.d.
discrezionalità tecnica (da intendersi nei termini che appresso si diranno), giacchè la legge che l’Autorità Garante è chiamata ad applicare fa talvolta riferimento a nozioni – quale, ad esempio, quella di mercato rilevante – che non trovano nella legge stessa una definizione in tutto e per tutto puntuale: di modo che la loro individuazione in concreto richiede un tipo di valutazione di carattere tecnico, che, tanto nei suoi presupposti generali quanto nella sua specifica applicazione ai singoli casi, può talora presentare margini di opinabilità.
E’ su questo punto che occorre allora interrogarsi: se le valutazioni tecniche operate dall’Autorità Garante, al fine di conferire concreto significato e di dare attuazione al precetto legale, possano e debbano esser sindacate da parte del giudice amministrativo, in presenza di un’impugnazione sollevata dalla parte interessata, pur quando presentino un inevitabile margine di opinabilità.
In via di principio risulta difficile dare a tale domanda una risposta totalmente negativa. L’esercizio della discrezionalità tecnica, non essendo espressione di un potere di supremazia della pubblica amministrazione, non è di per sè solo idoneo a determinare l’affievolimento dei diritti soggettivi di coloro che dal provvedimento amministrativo siano eventualmente pregiudicati. Non può perciò sostenersi che chi lamenti la lesione del proprio diritto, a causa del cattivo esercizio della discrezionalità tecnica, non possa chiederne l’accertamento al giudice, il quale non potrà quindi esimersi dal verificare se le regole della buona tecnica sono state o meno violate dall’amministrazione. Ne fornice evidente conferma il fatto stesso che il giudice amministrativo disponga oggi di ampi mezzi istruttori, ivi compreso lo strumento della consulenza tecnica.
Anche in settori diversi da quello che viene ora in esame questa corte, d’altronde, ha già avuto modo di precisare che le valutazioni tecniche, inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente, sono assoggettabili al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo (Sez. un. n. 10065 del 2011 e n. 14893 del 2010).
Ma questo non esaurisce certo il problema. Sarebbe davvero ingenuo supporre che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, offra sempre risposte univoche. E’ vero invece – e lo si è già accennato – che sovente esso conduce ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità. In situazioni di tal fatta il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell’apprezzamento operato dall’amministrazione impedisce d’individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell’apprezzamento illegittimo. Con l’ovvio corollario che compete comunque al giudice di vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e l’adeguatezza della motivazione con cui l’amministrazione ha supportato le proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti neppure compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di opinabilità dell’apprezzamento da essa compiuto.
Se quanto appena detto è vero, in via generale, ancor più lo è nel caso particolare del sindacato sui provvedimenti delle cosiddette autorità amministrative indipendenti, tra le quali va annoverata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, trattandosi di autorità cui proprio in ragione della loro specifica competenza tecnica, oltre che del carattere oggettivo e neutrale delle loro funzioni, sono stati affidati dal legislatore compiti di vigilanza ed accertamento nei settori di rispettiva competenza (compiti da esplicare attraverso procedimenti amministrativi connotati da particolari garanzie per i controinteressati).
E’ fuori discussione che anche gli atti di tali autorità siano soggetti al sindacato giurisdizionale, ed è agevole comprendere la ragione per la quale, nel caso degli atti dell’Autorità Garante, il legislatore abbia fatto ricorso alla giurisdizione esclusiva, così da unificare la tutela dei diritti e degli interessi legittimi che non sempre sarebbe stato altrimenti agevole distinguere. Ma ipotizzare che, con riguardo a valutazioni tecniche aventi un significativo margine di opinabilità – valutazioni proprio per operare le quali il legislatore ha stimato necessario dar vita ad un organismo al tempo stesso indipendente e dotato di specifiche competenze professionali -, il sindacato giurisdizionale possa spingersi sino a preferire una soluzione diversa da quella plausibilmente prescelta dall’Autorità Garante significherebbe misconoscere la ragione stessa per la quale questa è stata istituita.
Nè è senza significato che anche nel corrispondente scenario Europeo, mentre per un verso viene ribadito che compete al Tribunale dell’Unione Europea l’esame delle circostanze fattuali rilevanti (cfr. Corte di giustizia 3 maggio 2012, n.285/11, Legris Industries), per altro verso si afferma che appartiene alle prerogative della Commissione di svolgere le valutazioni economiche necessarie per garantire la concorrenza nel mercato interno: di modo che, in presenza di simili complesse valutazioni, il controllo che i giudici comunitari esercitano deve limitarsi alla verifica del rispetto delle regole di procedura e di motivazione, nonchè dell’esattezza materiale dei fatti, dell’insussistenza di errori manifesti di valutazione e di sviamento di potere, non spettando al tribunale sostituire le proprie valutazioni economiche a quelle dell’autore della decisione di cui gli venga chiesto di verificarne la legittimità (cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 2009, n. 501, 513, 515, 519/06 P. GlaxoSmithKline). L’ampia corrispondenza tra le competenze riconosciute all’Autorità Garante in ambito nazionale con quelle proprie della Commissione in ambito Europeo da ragione dell’agevole trasposizione di tale principio alla fattispecie ora in esame.
4.2. Tornando, per l’appunto, all’esame della fattispecie in esame nella presente causa, giova ancora aggiungere una breve considerazione sulla nozione di “mercato rilevante” (nella duplice accezione merceologica e geografica): elemento centrale ai fini dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale, con riferimento al quale le ricorrenti imputano al Consiglio di Stato di non avere esercitato appieno il proprio compito giurisdizionale.
Si tratta, indubbiamente, di uno di quei concetti giuridici indeterminati, che sono enunciati dalla legge in termini generali, ma la cui concreta specificazione impone di far ricorso a canoni di volta desunti dal patrimonio di saperi diversi; in questo caso da quello della scienza economica, la quale ha infatti da tempo prodotto al riguardo un’amplissima elaborazione ed una vasta casistica (cui si è ispirata anche la Comunicazione 9 dicembre 1997 della Commissione Europea, in GUCE, C 372), che confermano, pur all’interno di parametri teorici ben individuati, l’estrema elasticità del concetto in relazione alle diverse possibili caratteristiche di mercato dipendenti dalla varietà delle situazioni date.
Non appare seriamente dubitabile, pertanto, che la determinazione in concreto del mercato rilevante rientri, in fattispecie come quella in esame, nell’ambito di quelle valutazioni tecniche non prive di ampi margini opinabilità cui sopra s’è fatto cenno. Il relativo controllo giurisdizionale risulta perciò circoscritto entro i limiti dianzi chiariti.
4.3. In base alle considerazioni ora svolte è quindi possibile enunciare il seguente principio di diritto: “Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come nel caso della definizione di mercato rilevante nell’accertamento di intese restrittive della concorrenza – detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini”.
4.4. L’impugnata sentenza del Consiglio di Stato è conforme al principio di diritto sopra enunciato.
Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il Consiglio di Stato non ha negato il proprio potere di accertamento dei fatti posti a base del contestato provvedimento dell’Autorità Garante. Per persuadersene è sufficiente leggere quanto scritto alla pag. 11 della sentenza impugnata, ove testualmente si afferma che “Il giudice amministrativo… deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia immune da travisamenti…”. Se e come, in concreto, tale compito sia stato condotto a termine dal giudice amministrativo nella vertenza di cui trattasi – e quindi se bene o male abbia fatto il Consiglio di Stato a non dar corso agli adempimenti istruttori, ed in particolare alla consulenza tecnica, richiesta delle odierne ricorrenti – esula dal tema del preteso vizio di giurisdizione; vizio che sussisterebbe solo qualora quel giudice avesse negato in via di principio ed in termini generali di poter esercitare il controllo giurisdizionale demandatogli dalla legge, ma non anche se, per avventura, egli lo abbia esercitato male incorrendo in eventuali errori in punto di fatto o di diritto che questa corte non ha titolo per sindacare.
Parimenti condivisibile, alla stregua di quanto sopra detto, è l’ulteriore affermazione di principio dell’impugnata sentenza, secondo cui il giudice amministrativo non può sostituirsi all’Autorità Garante nell’esercizio di valutazioni tecniche opinabili, quale è quella consistente nell’individuazione del mercato rilevante cui riferire l’intesa anticoncorrenziale. Non senza peraltro aggiungere che, a tal proposito, il Consiglio di Stato ha dato ampio conto nell’impugnata sentenza della conformità ai principi generali della materia dei criteri al riguardo adottati dalla Autorità Garante e della loro plausibilità con riferimento alle specificità del caso concreto (in particolare: delle peculiari caratteristiche del mercato della gestione dei servizi idrici integrati, della correttezza dell’assunto per cui tale mercato ha un ambito geografico locale sul versante della domanda e nazionale su quello dell’offerta, e della possibilità d’identificare il mercato rilevante anche in relazione ad una singola gara bandita dalla pubblica amministrazione) e, nello stimare tali criteri logici, coerenti e giuridicamente corretti, li ha evidentemente anche fatti propri.
4.5. Così interpretata, la citata disposizione della L. n. 287 del 1990, art. 33 non appare sospetta d’incostituzionalità, giacchè non si evidenziano profili di ineffettualità della tutela giurisdizionale. Nemmeno può dirsi, pur con le differenze inerenti al diverso modo di esplicazione della giurisdizione, che si manifesti una significativa differenza nel livello di tutela dei diritti soggettivi affidati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rispetto a quello altrimenti assicurato dal giudice ordinario, fatto salvo il diverso regime delle impugnazioni per cassazione, che trova però diretto fondamento nell’art. 111 Cost., u.c. (eccezioni d’illegittimità costituzionale della medesima disposizione dell’art. 33 sono già state a suo tempo dichiarate manifestamente infondate, anche sotto altri profili, da Sez. un. n. 8882/05, cit., cui si fa qui senz’altro rinvio).
5. Se col primo motivo le ricorrenti si erano dolute di un preteso rifiuto da parte del giudice amministrativo di esercitare appieno il potere giurisdizionale spettantegli, col secondo motivo esse viceversa lamentano che quel potere sia stato esercitato oltre misura, giacchè detto giudice, occupandosi del requisito della consistenza dell’intesa anticoncorrenziale, avrebbe in più occasioni sostituito la propria valutazione a quella dell’Autorità Garante.
Nei termini in cui è stato formulato, tale motivo di ricorso appare, però, inammissibile.
Occorre infatti considerare che, trattando il tema della consistenza dell’intesa, il Consiglio di Stato ha posto anzitutto l’accento su un dato emergente dallo stesso provvedimento dell’Autorità Garante, secondo cui i soggetti coinvolti nell’intesa – Acea e Suez – sono, rispettivamente, uno tra i principali concorrenti a livello nazionale ed il primo operatore a livello mondiale nel settore idrico. Donde la conseguenza che detta intesa configura una forma di “ripartizione dei mercati e della clientela” integrante una restrizione grave della concorrenza indipendentemente dal fatto che essa possa eventualmente collocarsi al di sotto della soglia dimensionale di rilevanza individuata dalla Commissione Europea nella Comunicazione 2001/C 368/07. Solo quale ulteriore ed autonoma ratio decidendi (“Inoltre, anche a tralasciare l’argomento della esclusione,. ratione materiae, dell’intesa de qua dal regime dei c.d. accordi de minimis,…) il Consiglio di Stato ha poi aggiunto che la quota di mercato contendibile da prendere in considerazione, per soppesare gli effetti dell’intesa anticoncorrenziale, non è comunque quella formata dall’insieme dei servizi idrici integrati esistenti sul territorio nazionale, ma solo quella circoscritta alle poche situazioni nelle quali le amministrazioni hanno optato per l’affidamento esterno del servizio a società private o a società a partecipazione mista pubblico-privata.
E’ unicamente a questa seconda argomentazione che le ricorrenti si riferiscono, quando lamentano che il giudice amministrativo abbia invaso la sfera di valutazione riservata all’Autorità Garante, la quale non avevrebbe posto siffatte considerazioni a base del proprio provvedimento. Se pure questa doglianza fosse esatta, essa quindi non scalfirebbe l’altra autonoma ratio decidendi su cui si fonda la sentenza impugnata, e tanto basta a renderla irrilevante: perciò inammissibile anche sotto il profilo del preteso eccesso di potere giurisdizionale.
Ugualmente inammissibili, e per il resto infondate, sono le ulteriori analoghe censure di cui è cenno nel medesimo motivo di ricorso.
Inammissibili nella parte in cui solo genericamente fanno riferimento ad altre valutazioni che il Consiglio di Stato avrebbe formulato benchè esse non trovino riscontro nell’impugnato provvedimento dell’Autorità Garante, senza però evidenziarne nè la rilevanza nè l’effettivo significato; infondate nella parte in cui, con appena un minimo grado di maggiore specificità, alludono alla “valutazione degli elementi indiziari a sostegno della prova dell’intesa”, giacchè l’unico di tali elementi indiziari cui nel ricorso si fa specificamente riferimento – un intervento di Suez per indurre una propria controllata a non partecipare alla gara – è invece menzionato alla pag. 23 nella sentenza impugnata tra gli indizi dei quali già l’Autorità Garante, nel paragrafo 80 del proprio provvedimento, aveva tenuto conto.
6. L’ultimo motivo di ricorso, con cui si lamenta che il Consiglio di Stato non si sia pronunciato sulla richiesta d’investire la Corte di giustizia Europea con quesiti interpretativi inerenti all’applicazione di disposizioni del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che le parti interessate avevano formulato, esula dall’ambito entro cui è consentito impugnare per cassazione le decisioni del giudice amministrativo.
E’ quasi superfluo ricordare che eventuali vizi di omessa pronuncia integrerebbero errores in procedendo, e non certo violazioni di norme in tema di giurisdizione.
Quanto al resto, non v’è che da richiamare il principio già altre volte espresso secondo cui, poichè la Corte di giustizia Europea, nell’esercizio del potere d’interpretazione delle norme del Trattato, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale, il mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato a detta Corte di giustizia non configura una questione attinente allo sconfinamento dalla giurisdizione del giudice amministrativo (cfr., tra le altre, Sez. un. n.16886 del 2013). Il che rende inammissibile il terzo motivo di ricorso.
7. E’ poi appena il caso di aggiungere che, proprio in quanto la cognizione della Corte di cassazione è qui limitata ai motivi attinenti alla giurisdizione, non sussistono neppure le condizioni perchè essa stessa prospetti alla Corte di giustizia Europea quesiti interpretativi che attengono al merito della vertenza e non al tema della giurisdizione.
D’altronde, in nessuno dei motivi di ricorso è prospettata in modo diretto ed esplicito un’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice nazionale rispetto al giudice Europeo, in relazione al diverso ambito di competenza attribuito all’uno o all’altro a seconda che l’intesa anticoncorrenziale si ripercuota sul solo mercato nazionale o abbia un ambito territoriale più vasto. Nè una tale questione di riparto di giurisdizione internazionale avrebbe potuto esser sollevata in questa sede, non essendo stata a suo tempo impugnata sotto questo profilo la sentenza di primo grado ed essendosi quindi ormai formato sul punto un giudicato interno.
8. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, dovendosi inoltre dare atto, come prescrive il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per la maggiorazione del versamento del contributo unificato da parte delle medesime ricorrenti, a norma dell’art. 1-bis del citato art. 13.