1. Rientra nella giurisdizione del G.A. un ricorso con il quale si contesta non una sanzione irrogata dalla CONSOB, ma il corretto esercizio della potestà normativa regolamentare affidata alla CONSOB stessa dall’art. 3 del TUF e, in particolare, si fa valere l’interesse all’adeguamento del Regolamento del 2005 ai principi del giusto processo di cui all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU.
2. La circostanza che alcuni soggetti siano attualmente sottoposti ad un procedimento volto all’irrogazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF, da svolgere secondo le norme del Regolamento del 2005, fa sì che essi vengano a trovarsi in una posizione differenziata e qualificata rispetto alla collettività e li legittima ad impugnare le disposizioni regolamentari della CONSOB in materia. In tali casi, peraltro, l’impugnazione immediata del regolamento, peraltro, non costituisce un vero e proprio onere, bensì una mera facoltà (al pari di quanto ritiene la giurisprudenza con riferimento all’impugnazione immediata dell’aggiudicazione provvisoria).
3. Il Regolamento n. 15086 in data 21 giugno 2005, approvato dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-septies del decreto legislativo n. 58/1998 compatibile con l’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione fornita dalla Corte EDU nella sentenza n. 18640 del 2014. Infatti, la Corte EDU, con tale pronuncia, h ritenuto che: A) il procedimento amministrativo teso all’applicazione delle sanzioni per market abuse altro non sarebbe che una prima fase, affidata alla CONSOB, di un procedimento unitario, seguita da due successive fasi di natura giurisdizionale, rappresentate dal giudizio di opposizione dinnanzi alla Corte d’appello e dal giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle quali la decisione amministrativa della CONSOB viene sottoposta al controllo di organi giurisdizionali, sicché per valutare se vi sia stata o meno una lesione del diritto al giusto processo si dovrebbe considerare il procedimento nel suo complesso e non le sue singole fasi; B) la Corte EDU, sulla base di tale ragionamento, da un lato, ha riconosciuto che lo Stato italiano ben può attribuire ad un’Autorità amministrativa come la CONSOB, priva delle caratteristiche di imparzialità e di indipendenza tipiche degli organi giurisdizionali, il potere di applicare sanzioni “penali” come quelle relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF e che l’applicazione di tali sanzioni può legittimamente avvenire in base a disposizioni procedurali diverse da quelle previste dal codice di procedura penale (§ 139 della sentenza); dall’altro, ha accertato che tale possibilità presuppone comunque che la decisione della CONSOB sia successivamente sottoposta al controllo di un «organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» – ossia di un organismo titolare del «potere di riformare qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione impugnata, resa dall’organo inferiore» e della «competenza per esaminare tutte le pertinenti questioni di fatto e di diritto che si pongono nella controversia di cui si trova investito» (§ 139 della sentenza) – e che la Corte di Appello, innanzi alla quale è possibile proporre ricorso in opposizione avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni di cui trattasi, ai sensi dell’art. 187-septies del TUF, è un «organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» (§ 151 della sentenza).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11054 del 2014, proposto dalla società Arepo BP S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. Matteo Arpe, nonché dal dott. Matteo Arpe in proprio, rappresentati e difesi dagli avvocati Natalino Irti, Giuseppe Morbidelli, Francesco Arnaud e Marco Annoni ed elettivamente domiciliati in Roma, via Udine n. 6, presso lo studio dell’avvocato Marco Annoni;
contro
la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – CONSOB, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Salvatore Providenti, Maria Letizia Ermetes, Paolo Palmisano e Chiara Ferraro, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, via G.B. Martini n. 3;
per l’annullamento
dei seguenti atti: A) provvedimento prot. n. 0067684 in data 11 agosto 2014 con il quale la CONSOB ha riscontrato la diffida presentata dai ricorrenti in data 18 luglio 2014, finalizzata all’adozione di un nuovo regolamento attuativo dell’art. 187-septies del decreto legislativo n. 58/1998, conforme all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 4 marzo 2014 (c.d. Sentenza Generale Stevens), nonché all’annullamento o alla revoca degli atti del procedimento sanzionatorio n. 479531 riguardante i ricorrenti stessi; B) prot. n. 0067686 in data 11 agosto 2014 con il quale la CONSOB ha riscontrato nonché le istanze formulate dai ricorrenti nella memoria difensiva del 30 luglio 2014, nell’ambito del procedimento sanzionatorio avviato nei loro confronti; C) regolamento n. 15086 in data 21 giugno 2005, approvato dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-septies del decreto legislativo n. 58/1998, per contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così come interpretato dalla predetta sentenza n. 18640 del 2014,
nonché per l’accertamento dell’illegittimità del regolamento CONSOB n. 15086 in data 21 giugno 2005 per contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così come interpretato dalla predetta sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 4 marzo 2014, nonché dell’obbligo della CONSOB di provvedere all’emanazione di un nuovo regolamento sanzionatorio conforme all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così come interpretato dalla predetta sentenza del 4 marzo 2014;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della CONSOB;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2014 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società Arepo BP S.p.A. ed il dott. Matteo Arpe premettono che il presente ricorso non è volto a contestare il potere sanzionatorio attribuito alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (di seguito denominata CONSOB) dal decreto legislativo n. 58/1998 (di seguito denominato TUF), ma solo le modalità con le quali la CONSOB, nell’esercizio della potestà regolamentare ad essa attribuita dall’art. 187-septies del TUF, ha disciplinato il procedimento sanzionatorio relativo agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF, ossia a far accertare l’illegittimità del regolamento approvato con la delibera n. 15086 in data 21 giugno 2005 (di seguito denominato Regolamento del 2005), recante “disposizioni organizzative e procedurali relative all’applicazione di sanzioni amministrative e istituzione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative”. Quindi i ricorrenti in punto di fatto riferiscono quanto segue: A) l’Ufficio Abusi di Mercato (di seguito denominato Ufficio AM) della Divisione Mercati con atto di contestazioni in data 6 dicembre 2013 ha avviato nei loro confronti un procedimento sanzionatorio per presunta manipolazione delle azioni della Banca Profilo S.p.A. nel periodo compreso tra il 21 giugno 2011 ed il 27 maggio 2013, contestando al dottor Matteo Arpe la violazione dell’art. 187-ter, comma 1, lettere a) e b), del TUF e alla società Arepo BP S.p.A. la violazione dell’art. 187-quinquies, comma 1, lettere a) e b), del TUF ed; B) tale procedimento è disciplinato dal Regolamento del 2005, che prevede, in sequenza, la formale contestazione degli addebiti, da parte della Divisione competente, sulla base degli elementi in ogni modo acquisiti e dei fatti emersi a seguito dell’attività di vigilanza di competenza della CONSOB; la produzione di controdeduzioni da parte dell’interessato; la valutazione di tali controdeduzioni da parte della Divisione competente e la conseguente trasmissione degli atti all’Ufficio Sanzioni Amministrative (di seguito denominato Ufficio SA), accompagnati da una relazione istruttoria; la possibilità di produrre all’Ufficio SA ulteriori controdeduzioni in merito alla predetta relazione; l’istruttoria da parte dell’Ufficio SA e la trasmissione di una relazione conclusiva sulla sussistenza o meno della violazione contestata; la decisione finale dell’organo di vertice CONSOB, competente a provvedere sulla proposta contenuta nella predetta relazione conclusiva; C) al procedimento avviato nei loro confronti non si applica, ratione temporis, il nuovo Regolamento approvato con la delibera n. 18750 del 2013 (di seguito denominato Regolamento del 2013), abrogativo del precedente Regolamento del 2005, ma di contenuto sostanzialmente analogo al precedente; D) le contestazioni del 6 dicembre 2013 sono frutto degli elementi acquisiti dalla Commissione sin dal 28 maggio 2013, mediante tre ispezioni svolte presso la Banca Profilo S.p.A., la Arepo BP S.p.A. (società controllante la Banca Profilo S.p.A.) e la Equita Sim S.p.A., mediante l’interpello dei principali venditori di azioni della Banca Profilo S.p.A., mediante le dichiarazioni rese da una pluralità di soggetti interessati e mediante l’accesso alle conversazioni telefoniche intervenute tra alcuni dei ricorrenti e determinati operatori del mercato; D) a fronte di attività di indagine di tale ampiezza il Regolamento del 2005 – in violazione dei più elementari principi relativi al giusto processo, al diritto al contraddittorio ed alla parità delle parti – consente ai soggetti sottoposti al procedimento sanzionatorio soltanto il diritto di accedere agli atti e di formulare controdeduzioni scritte, non essendo prevista né la possibilità di interrogare o far interrogare le persone sentite in fase d’indagine dalla CONSOB, né la possibilità di partecipare personalmente alle sedute dell’organo di vertice della Commissione, né la possibilità di partecipare alla valutazione dell’organo di vertice finalizzata all’adozione del provvedimento sanzionatorio (perché l’Ufficio SA valuta le deduzioni ed i documenti prodotti dagli interessati in maniera autonoma e formula unilateralmente la sua relazione conclusiva), né la possibilità di essere giudicati da un soggetto terzo ed imparziale (perché gli uffici che formulano le contestazioni e valutano le controdeduzioni degli interessati sono articolazioni della medesima Autorità, che ha al suo vertice un organo collegiale chiamato a decidere sull’applicazione delle sanzioni); E) in applicazione della suesposta disciplina regolamentare essi, ricevute le contestazioni del 6 dicembre 2013, con nota del 14 aprile 2014, hanno presentato una memoria difensiva; quindi l’Ufficio AM in data 27 giugno 2014 ha adottato la propria relazione istruttoria, con la quale ha disatteso tutte le controdeduzioni svolte con la predetta memoria, ivi comprese quelle relative al paventato contrasto tra la disciplina regolamentare ed i principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito denominata Corte EDU) nella sentenza n. 18640 del 4 marzo 2014; quindi essi in data 30 luglio 2014 hanno inoltrato all’Ufficio SA la seconda memoria prevista dal Regolamento del 2005, così esaurendo le facoltà difensive ad essi concesse; F) proprio per tale ragione, essi – ritenendo la disciplina regolamentare in contrasto con quanto affermato dalla Corte EDU in ordine alla portata applicativa dell’art. 6, comma 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito denominata Convenzione EDU) – in data 18 luglio 2014 (ossia tra la prima e la seconda memoria difensiva), a margine del procedimento sanzionatorio, hanno presentato un atto di diffida ai sensi dell’art. 25 del T.U. n. 10/1957 e dell’art. 2 della legge n. 241/1990, con il quale hanno intimato all’organo di vertice della CONSOB, all’Ufficio AM ed all’Ufficio SA di procedere nel termine di 30 giorni all’emanazione di un nuovo regolamento conforme ai principi affermati nella sentenza n. 18640 del 2014 e, nelle more, di procedere all’annullamento o alla revoca degli atti del procedimento sanzionatorio in corso, previa immediata sospensione dello stesso; G) in risposta a tale diffida l’Ufficio SA con l’impugnato provvedimento prot. n. 0067684 in data 11 agosto 2014 ha comunicato quanto segue: «in conformità dell’attuale quadro normativo disciplinante il procedimento sanzionatorio in oggetto (art. 195 d.lgs. 58/98 e delibera CONSOB n. 15086 del 21 giugno 2005) le osservazioni del genere di quelle contenute nell’istanza di codesta Società, volte a censurare la fondatezza sostanziale ovvero la legittimità, anche sub specie procedimentale, della pretesa punitiva azionata dall’Autorità, saranno oggetto di esame, dapprima da parte dell’Ufficio Sanzioni Amministrative e, infine, dalla Commissione che, esaminati gli atti e avuto riguardo alla posizione difensiva complessivamente rappresentata dai soggetti interessati nel corso dell’istruttoria, perviene all’adozione del provvedimento finale, sia esso di applicazione di sanzioni ovvero di archiviazione»; H) con il coevo provvedimento prot. n. 0067686 in data 11 agosto 2014, con il quale l’Ufficio SA – nel riscontrare negativamente le istanze contenute nella seconda memoria presentata dai ricorrenti – ha comunicato quanto segue: «Stante l’attuale quadro normativo disciplinante i procedimenti sanzionatori di competenza di Consob, non risulta possibile riscontrare positivamente la richiesta di rinnovare l’audizione di soggetti già ascoltati nella fasi di indagine, di conoscere e visionare la Relazione che lo scrivente Ufficio elaborerà all’esito della fase istruttoria e di controdedurre ed essere auditi dinanzi all’organo decidente. In particolare, si evidenzia che la predisposizione da parte dello scrivente Ufficio delle proprie valutazioni e conclusioni rappresenta l’atto conclusivo della fase istruttoria del procedimento sanzionatorio – nel cui ambito risulta ampiamente garantito l’esercizio del diritto di difesa da parte dei soggetti interessati sia dinanzi alla Divisione dell’Istituto che ha formulato le contestazioni, sia dinanzi allo stesso Ufficio Sanzioni – e, nello stesso tempo, esaminati gli atti ed avuto riguardo alla posizione difensiva complessivamente rappresentata dai soggetti interessati nel corso dell’intera fase istruttoria, perviene all’adozione del provvedimento finale, sia esso di applicazione di sanzioni ovvero di archiviazione, in assenza di ulteriore contraddittorio con le parti e del rinnovo di atti di indagine già posti in essere».
2. Tenuto conto di quanto precede, i ricorrenti in punto di diritto evidenziano innanzi tutto l’incidenza della sentenza n. 18640 del 2014 sulla disciplina posta dal Regolamento del 2005. In particolare i ricorrenti: A) dopo aver ricordato che la Corte EDU con la predetta sentenza ha precisato che il procedimento finalizzato all’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’art. 187-ter del TUF per i casi di manipolazione del mercato si configura come una “accusa in materia penale” nel senso indicato dall’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, evidenziano che la Corte stessa ha rilevato il contrasto esistente tra la disciplina posta dal Regolamento del 2005 e i principi del giusto processo di cui all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU; B) sostengono, a tal proposito, che la Corte ha espresso una valutazione negativa sul Regolamento del 2005 sia perché nel caso sottoposto al suo esame «il rapporto che conteneva le conclusioni dell’Ufficio sanzioni, destinato a servire a base della decisione della Commissione, non è stato comunicato ai ricorrenti che non hanno dunque avuto la possibilità di difendersi rispetto al documento alla fine sottoposto dagli organi investigativi della CONSOB all’organo incaricato di decidere sulla fondatezza delle accuse» (§ 117 della sentenza); sia perché gli interessati «non hanno avuto la possibilità di interrogare o di far interrogare le persone eventualmente sentite» (ancora § 117 della sentenza) e «non hanno avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla Commissione, alla quale non erano ammessi» (§ 118 della sentenza); sia perché l’Ufficio AM, l’Ufficio SA e l’organo di vertice della Commissione «non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente», e tale circostanza determina il «consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione» (§ 137 della sentenza); C) affermano altresì che «la Corte si è anche premurata di escludere che la possibilità di ricorrere ex art. 187-septies del TUF dinnanzi ad un giudice terzo avverso il provvedimento sanzionatorio potesse sopperire a quanto rilevato in punto di violazione dell’art. 6 CEDU»; D) evidenziano, a tal proposito, che «il ricorso al giudice terzo ed imparziale, in sede di opposizione innanzi alla Corte di Appello, non è idoneo a eliminare le conseguenze negative del provvedimento sanzionatorio della CONSOB, specie se si considerano l’immediata esecutività dello stesso, il carattere estremamente grave delle sanzioni potenzialmente comminabili ai sensi degli articoli 187-ter (che prevede la sanzione pecuniaria massima di 5.000.000 di euro, aumentabile fino a 10 volte ai sensi del comma 5) e 187-quater (che prevede la sanzioni accessorie) del TUF, la finalità repressiva di tali sanzioni (evidenziata al § 96 della sentenza), il carattere infamante delle stesse (evidenziato al § 122 della sentenza), che possono arrecare pregiudizio all’onorabilità professionale e al credito delle persone interessate, nonché le sanzioni accessorie di cui all’art. 187-quater del TUF, «che rischiano, per così dire, di “decapitare” per un tempo determinato i vertici di Arepo BP S.p.A. e di Banca Profilo S.p.A., con prevedibili immensi danni per il mercato azionario e per il settore bancario nazionale»; E) aggiungono poi, sempre con riferimento alla non idoneità del giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello, che «l’elusione dei principi dell’equo processo e la conseguente emanazione un provvedimento sanzionatorio, immediatamente esecutivo e di indubbio carattere penale, viola anche il principio della presunzione di innocenza di cui al punto 2 dell’art. 6 della CEDU e che … in tale prospettiva e coerentemente con essa, l’accertata natura penale della sanzione comporta la conseguente applicazione al procedimento sanzionatorio di che trattasi anche dei principi fissati dagli artt. 27 e 111 Cost. sia in ordine alla presunzione di innocenza sino a sentenza definitiva (incompatibile con l’immediata applicazione delle sanzioni), sia in ordine alla parità delle parti nel contraddittorio sia, ancora, alla necessaria terzietà e imparzialità dell’organo giudicante»; F) concludono negando che il giusto processo e le connesse garanzie di difesa possano trovare attuazione in maniera differita, ossia in sede di opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio, proprio perché tale provvedimento «è immediatamente produttivo di effetti lesivi nei confronti del destinatario».
3. Inoltre i ricorrenti illustrano l’impatto della sentenza n. 18640 del 2014 sull’ordinamento italiano, pervenendo ad affermare che, per effetto di tale sentenza, è sorto in capo alla CONSOB l’obbligo di porre fine alle violazioni dell’art. 6 della Convenzione EDU accertate dalla Corte EDU. In particolare i ricorrenti, invocando le sentenze della Corte Costituzionale n. 311 del 2006 e n. 348 e 349 del 2007, sostengono che: A) le norme della Convenzione EDU, come interpretate dalla Corte EDU, «si impongono nell’ordinamento interno quale canone interpretativo e applicativo della normativa vigente sino a quando l’attività ermeneutica è consentita dal dettato espresso della norma interna (oltre tale limite resta il sindacato di legittimità costituzionale della norma interna medesima per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. stante il non rispetto dei vincoli derivanti da obblighi internazionali)» e, quindi, «costituiscono canone interpretativo ed applicativo dell’art. 187-septies, comma 2, del TUF allorquando si sia in presenza di un procedimento amministrativo diretto a comminare sanzioni che rientrino “nell’ambito della materia penale”, quali sono certamente quelle disciplinate dall’art. 187-ter (e 187-quater) del TUF e regolate dai relativi regolamenti CONSOB»; B) conseguentemente anche la CONSOB, nell’esercizio del proprio potere regolamentare, deve interpretare l’art. 187-septies del TUF in conformità ai principi sanciti dalla Corte EDU dalla sentenza n. 18640 del 2014, perché l’art. 46 della CEDU pone anche a carico della CONSOB un ineludibile dovere di adeguare il Regolamento del 2005; C) in ragione di quanto precede, «vi è per la CONSOB il dovere di eliminare le violazioni in corso, intervenendo sui procedimenti non ancora conclusi, per impedire che la lesione già perpetratasi per mezzo della mera sottoposizione ad un procedimento sanzionatorio non rispondente ai principi dell’art. 6 CEDU, si aggravi ulteriormente – ed in modo invero irreparabile – con l’assunzione di una decisione finale tanto illegittima quanto dannosa per gli interessati. Infatti, oltre ad un doveroso intervento “per il futuro”, l’obbligo derivante dall’accertata violazione dell’art. 6 CEDU per mezzo della procedura sanzionatoria di cui si discute comporta soprattutto il dovere di “porre fine alla violazione ed eliminarne le conseguenze” e dunque a maggior ragione sicuramente è dovuto un intervento … anche per il procedimento in corso nei confronti dei Ricorrenti proprio per evitare che tali (ulteriori) conseguenze pregiudizievoli si verifichino».
4. Quindi i ricorrenti sostengono che non si può dubitare della sussistenza del loro interesse all’adozione di una nuova disciplina del procedimento sanzionatorio, né della sussistenza dell’obbligo della CONSOB di provvedere sulla diffida presentata in data 18 luglio 2014. Infatti: A) essi sono attualmente sottoposti ad un procedimento sanzionatorio che non può proseguire, ma deve essere dapprima sospeso e poi archiviato o annullato in quanto illegittimo per violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU; B) la CONSOB deve intervenire con immediatezza, ossia prima dell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, stante il suo dovere di prevenire le conseguenze della violazione dell’art. 6 CEDU, derivanti dall’applicazione del Regolamento del 2005; C) l’irrogazione di una sanzione, all’esito di un procedimento svolto in applicazione del Regolamento del 2005, comporterebbe conseguenze gravemente lesive, non riparabili in sede di opposizione innanzi alla Corte di Appello per le suesposte ragioni; D) non varrebbe ad escludere la sussistenza del loro interesse la tesi secondo la quale l’obbligo di adeguare l’ordinamento italiano ai principi affermati dalla Corte EDU riguarda solo il Parlamento o il Governo, quali soggetti titolari della potestà legislativa, necessaria per modificare l’art. 187-septies del TUF, perché «è proprio in sede attuativa, ossia nella fase regolamentare di competenza della CONSOB, che sono definite nel dettaglio le fasi procedimentali e le facoltà “difensive” dei soggetti ai quali gli addebiti sono formulati, ed è qui che le violazioni dell’art. 6 CEDU vengono a palesarsi. Dunque è solo con l’adozione di un nuovo regolamento (o con la modifica dell’esistente) che dette violazioni devono essere eliminate»; E) alla configurazione dell’interesse al ricorso non osta neppure il fatto che la diffida del 18 del luglio 2014 abbia ad oggetto l’emanazione di un atto di natura regolamentare, ossia di un atto avente portata generale ed astratta, perché la richiesta formulata con tale diffida deve essere valutata «avendo riguardo alla concreta idoneità dello stesso ad incidere direttamente sulla sfera giuridica del soggetto istante».
5. Infine i ricorrenti illustrano le domande formulate con il presente ricorso evidenziando che i provvedimenti dell’Ufficio SA in data 11 agosto 2014 sono viziati: A) dalla violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990, perché l’Ufficio SA non ha fornito alcun riscontro immediato alla diffida del 18 luglio 2014, omettendo di considerare che tale diffida non rientra tra le controdeduzioni previste dal Regolamento del 2005, ma costituisce piuttosto un atto autonomo rispetto al procedimento sanzionatorio, finalizzato a stimolare l’adempimento, da parte della CONSOB, dell’obbligo di adeguare l’ordinamento nazionale alla sentenza n. 18640 del 2014 eliminando le violazioni dell’art. 6 della Convenzione EDU accertate con tale sentenza; B) da incompetenza, perché la diffida ad esercitare la potestà regolamentare, seppure indirizzata a tutti gli organi della CONSOB interessati dalla vicenda, è rivolta essenzialmente all’organo di vertice e non all’Ufficio SA. In via subordinata, per il caso in cui questo Tribunale dovesse ritenere non esperibile l’azione di annullamento dei provvedimenti impugnati, secondo i ricorrenti sarebbe comunque fondata la domanda volta all’accertamento dell’illegittimità del regolamento del 2005 per contrasto con l’art. 6 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla predetta sentenza della Corte EDU, perché l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze n. 3 e n. 15 del 2011 ha affermato che, quando l’ordinamento non offra altre soluzioni processuali, l’azione esperibile a tutela dell’interesse legittimo è proprio l’azione di accertamento autonomo.
6. I ricorrenti con memoria depositata in data 1° settembre 2014, in vista della camera di consiglio del 3 settembre 2014, insistono per l’accoglimento delle proprie domande evidenziando che: A) non osta al riconoscimento della giurisdizione di questo Tribunale sulla presente controversia la circostanza che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 162 del 2012 abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc. amm., nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB, perché con il ricorso in esame è stato azionato l’interesse pretensivo all’adeguamento del Regolamento del 2005 ai principi del giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione EDU; B) sussiste senz’altro la legittimazione ad agire, perché essi sono titolari di una posizione differenziata e qualificata in quanto sottoposti ad un procedimento sanzionatorio illegittimo; C) sussiste anche l’interesse ad agire, perché il danno derivante dalla conclusione del procedimento pendente, con l’irrogazione delle relative sanzioni, non sarebbe riparabile con l’opposizione innanzi alla Corte di Appello per le ragioni già esplicitate nel ricorso; D) questo stesso Tribunale in altra occasione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 26 gennaio 2012, n. 865) ha riconosciuto il diritto dell’interessato ad ottenere una tutela immediata qualora la lesione della sua sfera giuridica si concretizzi già nella fase di avvio di un procedimento sanzionatorio.
7. La CONSOB con memoria depositata in data 1° settembre 2014, nel costituirsi in giudizio, in via preliminare eccepisce: A) il difetto assoluto di giurisdizione di questo Tribunale sulla domanda volta stimolare l’adozione di una nuova regolamentare, evidenziando che questo Tribunale non può sostituirsi alla CONSOB nel compimento di valutazioni discrezionali ad essa riservate; B) la carenza di un interesse attuale e concreto all’annullamento della nota dell’Ufficio SA in data 11 agosto 2014, evidenziando che tale nota attiene ad una fase dell’azione di vigilanza della CONSOB che non si è ancora tradotta nell’adozione di provvedimenti lesivi della sfera giuridica altrui; C) la carenza di un interesse attuale e concreto all’annullamento del Regolamento del 2013, in quanto non applicabile ratione temporis; D) la carenza di un interesse attuale e concreto all’annullamento del Regolamento del 2005, evidenziando che «la generalità e l’astrattezza che caratterizza le prescrizioni normative impugnate impedisce di ravvisare l’attualità della lesione lamentata da parte ricorrente», sicché allo stato la lesione «è meramente potenziale, essendo destinata a concretizzarsi e attualizzarsi nel futuro, se e nel momento in cui verrà applicato, nei confronti degli odierni ricorrenti, l’atto sanzionatorio», e fermo restando che soltanto «in sede di ricorso di opposizione avverso il provvedimento applicativo delle sanzioni (da proporsi inderogabilmente innanzi al Giudice ordinario, siccome indicato dall’art. 187-septies del D.Lgs. n. 58 del 1998 e risolutivamente chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 27 giugno 2012, n. 162), le disposizioni regolamentari in questione, se ritenute effettivamente in violazione di norme di livello superiore, potranno essere disapplicate dal Giudice ordinario»; D) l’inammissibilità dell’ulteriore domanda finalizzata all’accertamento dell’illegittimità del Regolamento del 2005, evidenziando l’inesistenza di un’azione di accertamento autonomo come quella proposta da controparte, che «parrebbe addirittura funzionale alla interdizione ovvero alla conformazione di un potere normativamente attribuito all’Autorità di vigilanza preposta al controllo del mercato mobiliare in funzione di tutela del pubblico risparmio (art. 47 Cost.), che ad oggi non è ancora stato compiutamente esercitato nei confronti dei ricorrenti, né è certo che lo sarà».
8. Inoltre la CONSOB eccepisce l’infondatezza delle domande proposte da controparte evidenziando, innanzi tutto, che i ricorrenti hanno offerto «una lettura parziale e, per molti versi, non corretta» della sentenza n. 18640 del 2014 e che la vigente disciplina regolamentare in realtà «non presenta alcun profilo di contrasto con l’art. 6 della CEDU, stante il “controllo giurisdizionale di piena giurisdizione” garantito ai destinatari delle sanzioni per il tramite del ricorso alla competente Corte di Appello». In particolare la CONSOB contesta che la Corte EDU abbia espresso una valutazione negativa sulla conformità della disciplina regolamentare ai principi del giusto processo di cui all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, evidenziando che: A) la stessa Corte nella predetta sentenza ha chiarito che i profili di criticità (invocati dai ricorrenti) «legati alla mancanza di imparzialità oggettiva della CONSOB e alla non conformità del procedimento dinanzi ad essa con i principi del giusto processo, non sono sufficienti per concludere nel senso della sussistenza, in questo caso, di una violazione dell’articolo 6» (§ 138 della sentenza), precisando in motivazione sia che «il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude … che in un procedimento di natura amministrativa una “pena” sia imposta in primo luogo da un’autorità amministrativa. Esso presuppone, tuttavia, che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni dell’articolo 6 sia successivamente sottoposta al controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» (§ 139 della sentenza); sia che, nel caso sottoposto al suo esame, «i ricorrenti hanno avuto la possibilità, di cui si sono avvalsi, di contestare le sanzioni inflitte dalla CONSOB presso la Corte di Appello di Torino e di presentare un ricorso in cassazione contro le sentenze di quest’ultima» (§ 140 della sentenza); sia che «la Corte di Appello di Torino è stata davvero un organo con piena giurisdizione» (§ 151 della sentenza); B) quindi la Corte EDU, da un lato, ha escluso la possibilità di ravvisare profili di contrasto con l’art. 6 della CEDU nella disciplina del procedimento volto all’applicazione delle sanzioni per abusi di mercato; dall’altro, ha ritenuto, sempre con esclusivo riferimento alla fattispecie concreta portata alla sua attenzione, che nel giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello di Torino (presso la quale sono stati celebrati i giudizi avverso le sanzioni comminate al sig. Grande Stevens) «non si sia svolta alcuna udienza pubblica» ed ha conseguentemente deciso solo di accordare 10.000 euro a ciascuno dei ricorrenti (a fronte di una richiesta di 16.000.000 euro) in ragione del «danno morale legato al fatto che non vi è stata una pubblica udienza dinanzi alla corte di Appello di Torino e che sono stati avviati nuovi procedimenti penali a carico dei ricorrenti»; C) in definitiva la Corte EDU, da un lato, ha riconosciuto che – sebbene il procedimento di applicazione delle sanzioni per market abuse non presenti le caratteristiche che dovrebbe avere un processo penale, peraltro difficilmente ipotizzabili quando competente ad adottare la sanzione è un’autorità amministrativa, perché tutti gli organi operanti nelle diverse fasi del procedimento appartengono alla medesima amministrazione – tuttavia tale carenza non inficia la regolarità del procedimento sanzionatorio, perché la sanzione irrogata può essere sottoposta ad un controllo giudiziario di merito pieno, senz’altro garantito nell’ordinamento italiano grazie al giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello ed alla successiva possibilità di ricorrere in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello; dall’altro, che nel caso concreto sottoposto al suo esame (e solo in quello), posto che innanzi alla Corte di Appello non si era svolta la prescritta udienza pubblica, vi sia stata una violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU (esclusivamente) sotto tale profilo; D) in altri termini, seguendo il ragionamento della Corte EDU, il procedimento amministrativo finalizzato all’applicazione delle sanzioni per market abuse altro non sarebbe che una prima fase, affidata alla CONSOB, di un procedimento unitario, seguita da due successive fasi di natura giurisdizionale, rappresentate dal giudizio di opposizione e dal giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle quali la decisione amministrativa della CONSOB viene sottoposta al controllo di organi giurisdizionali, sicché per valutare se vi sia stata o meno una lesione del diritto al giusto processo si dovrebbe considerare il procedimento nel suo complesso e non le sue singole fasi (paragrafi 138-140 della sentenza); E) in ragione di quanto precede, dalla sentenza n. 18640 del 2014 non può derivare alcun effetto sulla vigente disciplina regolamentare, perché nel giudizio di opposizione avverso l’atto applicativo della sanzione è sottoposto al sindacato della Corte di Appello, che implica un completo riesame dei presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato l’irrogazione della sanzione, all’esito del quale il Giudice dell’opposizione ha il potere di annullare o riformare la sanzione, e perché di un controllo giurisdizionale di tale ampiezza potranno evidentemente beneficiare anche i ricorrenti, laddove il procedimento che li riguarda si dovesse concludere con l’irrogazione di una sanzione.
9. Infine la CONSOB replica alle tesi di controparte sull’impatto della sentenza n. 18640 del 2014 sull’ordinamento italiano, evidenziando quanto segue: A) l’art. 46 della Convenzione EDU, richiamato da controparte, dispone che “Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti” e, quindi, da un lato, la predetta sentenza non è destinata a spiegare i suoi effetti nei confronti dei ricorrenti, perché costoro non erano parti del giudizio; dall’altro, l’effetto della sentenza nei confronti delle parti del giudizio è espressamente confinato al ristoro economico (tra l’altro, di importo simbolico) del danno morale discendente dal fatto «che non vi è stata una pubblica udienza dinanzi alla corte di Appello di Torino e che sono stati avviati nuovi procedimenti penali a carico dei ricorrenti» (§ 241 della sentenza); B) la stessa Corte EDU si è premurata di escludere che per effetto della sua pronuncia fosse necessario un intervento strutturale sulla disciplina delle sanzioni per market abuse, specificando che «nelle circostanze particolari della presente causa, la Corte non ritiene necessario indicare misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per l’esecuzione della presente sentenza» (§ 235 della sentenza); C) nel nostro ordinamento non esiste un meccanismo di recepimento automatico delle sentenze della Corte EDU, perché la Corte Costituzionale ha chiarito che il Giudice nazionale non ha il potere di disapplicare la norma di legge ritenuta in contrasto con una norma della Convenzione EDU (sentenza n. 348 del 2008), mentre «nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve … procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. … Solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, il quale non può procedere all’applicazione della norma della CEDU … deve sollevare la questione di costituzionalità (anche sentenza n. 239 del 2009), con riferimento al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.» (sentenza n. 311 del 2009); D) la soluzione interpretativa prospettata da controparte appare comunque di ardua attuazione, perché il superamento della concentrazione in un’unica autorità (la CONSOB) delle funzioni istruttorie e decisorie richiede un intervento sulla legislazione vigente, che esula evidentemente dalla potestà normativa dell’Autorità amministrativa; E) appare comunque difficoltosa (se non impossibile) nell’ordinamento interno la riconduzione delle sanzioni amministrative previste dal TUF in materia di market abuse nel novero delle sanzioni penali, stante il principio di legalità dei reati e delle pene di cui all’art. 25 Cost..
10. Con decreto presidenziale n. 3961 del 14 agosto 2014 è stata respinta l’istanza di adozione di misure cautelari provvisorie presentata dai ricorrenti.
11. Questa Sezione con l’ordinanza n. 4013 in data 4 settembre 2014 ha respinto la domanda cautelare proposta dai ricorrenti evidenziando che – a prescindere da ogni considerazione in rito e sul merito delle censure dedotte con il ricorso – «allo stato la domanda cautelare non appare supportata dall’allegazione di un imminente pregiudizio grave ed irreparabile, perché non risultano adottati dalla CONSOB provvedimenti sanzionatori o comunque immediatamente lesivi della sfera giuridica dei ricorrenti»;
12. La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4492 in data 2 ottobre 2014 – ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo «in ordine alla impugnativa di atti regolamentari illegittimi e alle situazioni soggettive relative all’adozione di (o all’obbligo di adeguare) atti regolamentari in conformità a sentenze CEDU» – ha accolto l’appello cautelare proposto dalla parte ricorrente avverso la predetta ordinanza n. 4009 del 2014, evidenziando in motivazione: A) che «sussiste il pregiudizio grave e irreparabile, nella sfera dei destinatari, già per la difformità del regolamento sanzionatorio applicato nei procedimenti sanzionatori “lato sensu penali” che li riguardano, la cui la pendenza comprova l’attualità dell’interesse»; B) che «al fine della effettività della tutela giurisdizionale cautelare, non è necessario attendere la piena vulnerazione con la eventuale emanazione di sanzioni, per ipotesi viziate perché adottate sulla base di regolamento illegittimo, anche nell’interesse della stessa Autorità emanante»; C) che la sentenza n. 18640 del 4 marzo 2014 ha «riguardato proprio il regolamento sanzionatorio CONSOB – ritenuto violativo dell’art. 6 CEDU sotto vari profili, quali, tra gli altri, la mancanza del contraddittorio e la mancata pubblicità del procedimento – e che sussiste il dovere di adeguarsi alle sentenze CEDU (tra varie, si veda Corte Costituzionale n.113 del 7 aprile 2011)». Inoltre il Consiglio di Stato, nell’accogliere l’istanza cautelare presentata in primo grado, ha espressamente affermato «l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza CEDU su menzionata».
13. I ricorrenti con memoria depositata in data 3 novembre 2014, in vista della pubblica udienza del 19 novembre 2014, insistono ulteriormente per l’accoglimento delle suesposte domande illustrando innanzi tutto la portata della suddetta ordinanza n. 4491 del 2014. In particolare, secondo i ricorrenti, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato «ha riconosciuto: che il regolamento sanzionatorio impugnato ed i provvedimenti che ne sono conseguenza, sono illegittimi per violazione dell’art. 6 CEDU come interpretato dalla Corte EDU con sentenza 4 marzo 2014; che l’interesse dei ricorrenti ha natura procedimentale ed il suo pregiudizio deriva sic et simpliciter dall’applicazione già in essere (e anzi in fase avanzatissima) del regolamento 15086/2005, senza che abbia alcun rilievo la fase di opposizione proponibile dinnanzi alla Corte di Appello, poiché la lesione dell’interesse alla legittimità del procedimento è di per sé fonte di pregiudizio materiale e morale, e la sanzione eventualmente irrogata da CONSOB avrebbe immediati effetti “espulsivi” e “squalificanti”; che è tutelabile dinnanzi al Giudice Amministrativo la pretesa dei ricorrenti all’adozione (o all’adeguamento) di “atti regolamentari in conformità a sentenze CEDU”; che l’obbligo di adeguamento della procedura sanzionatoria in capo alla CONSOB deriva direttamente dall’art. 6 CEDU, che impone all’Autorità di eliminare anche le violazioni strutturali dei principi CEDU presenti negli ordinamenti nazionali; che tale adeguamento, peraltro, consente di evitare l’emanazione di provvedimenti illegittimi e sottrae lo Stato Italiano e la CONSOB dal rischio di ricorsi seriali dinnanzi alla CEDU ma prima ancora alla Corte di Appello competente».
14. Inoltre i ricorrenti evidenziano che: A) lo stesso Giudice d’appello in una recente pronuncia (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 agosto 2014, n. 4268) ha confermato la natura sostanzialmente penale delle sanzioni irrogate dalla CONSOB ai sensi degli articoli 187-ter, 187-quater e 187-quinquies del TUF; B) la sentenza n. 18640 del 2014 «sancisce l’autonoma illegittimità» del procedimento disciplinato dal Regolamento del 2005, perché «esso viola ex se i principi dell’art. 6 CEDU e non rileva, ai fini della tutela degli interessi azionati con il presente giudizio, né l’effettiva irrogazione delle sanzioni, né tantomeno l’eventuale fase di impugnativa di queste dinnanzi alla competente Corte di Appello»; C) l’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Suprema Corte di Cassazione nella relazione n. 5/2014 in data 8 maggio 2014 ha precisato che per la Corte EDU l’illegittimità del procedimento sanzionatorio di cui si discute è tale a prescindere dallo svolgimento e dall’esito delle successive (quanto eventuali) fasi giudiziali, azionabili innanzi alla Corte di Appello ed alla Corte di Cassazione avverso il provvedimento con il quale viene irrogata la sanzione (pagine 10 e ss. della citata relazione); D) la stessa Corte EDU nella sentenza n. 18640 del 2014 «ha ribadito la gravità e l’immediata lesività delle sanzioni irrogabili» all’esito del procedimento di cui si discute (paragrafi 96 – 99 della sentenza), che già al momento della conclusione del procedimento sanzionatorio «si pongono come irreparabili, stante l’immediata esecutività e l’incidenza diretta, oltre che sul patrimonio, anche sulla sfera dell’onorabilità dei soggetti coinvolti»; E) la peculiarità della presente controversia consiste nel fatto che l’interesse ad agire deriva dalla sottoposizione degli interessati ad un procedimento sanzionatorio regolato da una normativa dichiarata dalla Corte EDU in contrasto con la Convenzione EDU, sicché la CONSOB ha certamente il dovere di provvedere sulla diffida del 18 luglio 2014 perché gli interessati sono titolari di una pretesa differenziata e qualificata all’adeguamento della disciplina regolamentare alle statuizioni della Corte EDU in materia di giusto processo, mentre innanzi al Giudice ordinario potrebbe essere contestata solo un’eventuale sanzione, ma non vi sarebbe spazio per la tutela dell’interesse pretensivo all’adeguamento del Regolamento del 2005; F) la violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU, per come accertata dalla Corte EDU, non si limita a produrre i suoi effetti negativi nella sfera giuridica di coloro che sono stati parte del giudizio innanzi alla Corte, ma assume un carattere “strutturale” e comporta l’insorgere di un obbligo di adeguamento dell’ordinamento nazionale direttamente in capo alla CONSOB, in forza dell’art. 24 della legge n. 262/2005, come chiarito dalla stessa Corte EDU nella sentenza del 30 marzo 1997 (resa nel caso Loukanov c. Bulgaria).
15. La CONSOB con memoria depositata in data 3 novembre 2014 premette che con lettere del 14 ottobre 2014 è stato comunicato ai ricorrenti che, in esecuzione della suddetta ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014, il procedimento sanzionatorio avviato nei loro confronti è sospeso sino alla decisione sul merito del presente ricorso. Quindi la CONSOB passa a sviluppare le eccezioni processuali sollevate con la precedente memoria difensiva evidenziando, in particolare, che: A) non rileva in questa sede il precedente di questo stesso Tribunale invocato da controparte (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 26 gennaio 2012, n. 865), perché con tale decisione è stata ammessa una limitata deroga alla ben nota regola generale, secondo la quale la comunicazione di avvio del procedimento e comunque gli atti endoprocedimentali sono privi di autonoma ed immediata lesività perché la lesione è destinata ad attualizzarsi soltanto con l’eventuale adozione del provvedimento finale, allorquando venga in rilievo la carenza in concreto del potere dell’AGCM ad avviare il procedimento sanzionatorio in materia di antitrust, mentre nel presente giudizio controparte non contesta affatto il potere della CONSOB di sanzionare le violazioni in materia di abusi di mercato, ma solo le modalità con le quali tale potere viene esercitato; B) oltre al difetto assoluto di giurisdizione, già eccepito con la precedente memoria, si pone anche la questione relativa alla carenza di giurisdizione del Giudice amministrativo sulla presenta controversia – da ritenersi devoluta alla giurisdizione del Giudice ordinario per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2012 – sia perché i ricorrenti impugnano il Regolamento del 2005 non in modo avulso da un procedimento disciplinare, bensì proprio quale atto presupposto degli atti endoprocedimentali del procedimento sanzionatorio che si sta svolgendo nei loro confronti (per i quali sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario), sia perché le situazioni giuridiche soggettive fatta valere nel presente giudizio (diritto al giusto processo, diritto al contraddittorio e diritto alla parità delle parti) assumono, nella prospettazione di controparte, la consistenza di veri e propri diritti soggettivi.
16. Inoltre la CONSOB insiste per la reiezione del ricorso evidenziando, in particolare, che: A) la Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014 ha ravvisato una violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU soltanto nel caso concreto sottoposto al suo esame, ossia con riferimento al giudizio promosso dal signor Grande Stevens e da altri innanzi alla Corte di Appello di Torino, e soltanto perché in tale giudizio non era stata celebrata l’udienza pubblica; B) per smentire la tesi di controparte, secondo la quale la Corte avrebbe valutato negativamente la conformità del Regolamento del 2005 all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, assume decisivo rilevo il paragrafo 138 della predetta sentenza, ove si legge che «Le constatazioni che precedono, relative alla mancanza di imparzialità oggettiva della CONSOB e alla mancata conformità del procedimento dinanzi ad essa con il principio del processo equo non sono comunque sufficienti per poter concludere che nel caso di specie vi è stata violazione dell’articolo 6», perché da tale passo della sentenza (e, in particolare, dall’uso del vocabolo «constatazioni») si desume che la Corte non ha inteso affatto contestare allo Stato italiano che il Regolamento del 2005 viola l’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, ma ha solo “constatato” che la disciplina regolamentare del procedimento di competenza della CONSOB non è conforme ai principi del giusto processo, che l’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU garantisce laddove si tratti di irrogare sanzioni penali; C) in tal senso altrettanto significativi sono il paragrafo 192 della predetta sentenza, nel quale la Corte osserva che nel caso sottoposto al suo esame vi è stata una violazione dell’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, non già per le «constatazioni» sulla mancanza di imparzialità della CONSOB o sulla non conformità del procedimento seguito dalla CONSOB ai canoni del giusto processo, ma solo «per il fatto che le udienze dinanzi alla corte di Appello di Torino non sono state pubbliche», il paragrafo 240, nel quale la Corte ribadisce che «Tali constatazioni non implicano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB fossero di per sé contrarie alla Convenzione o ai suoi Protocolli», nonché il paragrafo 241, nel quale la Corte decide di accordare solo 10.000,00 euro a ciascuno dei ricorrenti (a fronte di una richiesta di ben 16.000.000,00 euro) in ragione del «danno morale legato al fatto che non vi è stata una pubblica udienza dinanzi alla Corte di Appello di Torino e che sono stati avviati nuovi procedimenti penali a carico dei ricorrenti»; D) qualora nel giudizio di opposizione promosso innanzi alla Corte di Appello di Torino le udienze si fossero tenute in forma pubblica, la Corte avrebbe senz’altro concluso nel senso dell’inesistenza di violazioni dell’art. 6, comma 1, della Convenzione, rigettando in toto il ricorso, così come è accaduto nel caso Menarini Diagnostics, oggetto della sentenza n. 43509 del 27 settembre 2011, nella quale la Corte – proprio sulla base del presupposto che «La decisione della AGCM è stata sottoposta al controllo a posteriori da parte di un giudice avente giurisdizione estesa al merito» – ha concluso rilevando che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 6, comma 1, della Convenzione; E) in definitiva la Corte con la sentenza n. 18640 del 2014 – in perfetta continuità con la propria precedente giurisprudenza – ha solo affermato che gli Stati aderenti alla Convenzione possono senz’altro attribuire ad autorità amministrative (ossia ad autorità che non hanno caratteristiche di imparzialità e di indipendenza esattamente corrispondenti a quelle di un “tribunale”) il potere di applicare sanzioni da ritenersi “penali” ai sensi della Convenzione e che l’applicazione di tali sanzioni “penali” da parte di un’autorità non giurisdizionale può legittimamente avvenire in base a disposizioni procedurali diverse da quelle previste dal codice di procedura penale; F) come già rilevato nella precedente memoria e come più volte ribadito dalla Corte EDU (ex multis, sentenza 10 marzo 2001, nel caso Dallos c. Ungheria, § 52; sentenza 9 dicembre 2010 nel caso Zhupnik c. Ucraina, paragrafi 38 e ss.; sentenza 8 gennaio 2014 nel caso Mulosmani c. Albania, paragrafi 132 e ss.), il procedimento amministrativo che si svolge dinnanzi alla CONSOB altro non è che una prima fase, di carattere amministrativo, di un unico procedimento, seguita da due successive fasi, di carattere giurisdizionale, rappresentate dal giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello e dal giudizio di legittimità innanzi alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle quali la decisione dell’Autorità amministrativa viene sottoposta al controllo giudiziario, sicché per valutare se le prerogative difensive dell’interessato siano state rispettate o meno, occorre considerare il procedimento nel suo complesso, e non le sue singole fasi; G) in ragione di quanto precede, «non è revocabile in dubbio che il sistema amministrativo/giurisdizionale di irrogazione e impugnazione delle sanzioni CONSOB per abusi di mercato abbia superato indenne lo scrutinio operato dalla Corte EDU», anche perché, come già rilevato nella precedente memoria, la Corte EDU al paragrafo 235 si è premurata di escludere che per effetto della sentenza n. 18640 del 2014 fosse necessario un intervento strutturale sulla disciplina delle sanzioni per market abuse, mentre se avesse ritenuto diversamente essa avrebbe verosimilmente adottato la c.d. “procedura della sentenza pilota” (come avvenuto, ad esempio, nella recente sentenza 8 gennaio 2013, resa nel caso Torreggiani ed altri) che può essere seguita allorquando “i fatti all’origine di un ricorso presentato innanzi ad essa rivelano l’esistenza, nella Parte contraente interessata, di un problema strutturale o sistemico o di un altra disfunzione simile che ha dato luogo o potrebbe dare luogo alla presentazione di altri ricorsi analoghi” (cfr. art. 61 Regolamento di procedura della Corte EDU).
17. Quindi la CONSOB illustra gli effetti che discenderebbero dalla asserita necessità di adeguare la disciplina regolamentare ai canoni della “imparzialità oggettiva” e del “giusto processo” richiamati nella sentenza n. 18640 del 2014. In particolare la CONSOB evidenzia che: A) il superamento della distinzione funzionale, all’interno della medesima Autorità indipendente, tra attività istruttoria e attività decisoria, in favore di una netta separazione soggettiva tra istruttoria e deliberazione, richiederebbe per tutte le Autorità della specie una radicale revisione della attuale assetto normativo, implicante l’individuazione, da parte del Legislatore, dei soggetti «ai quali dovrebbe affidarsi – in forma del tutto “segregata” – lo svolgimento delle relative funzioni»; B) tale intervento «non sarebbe di certo privo di rilevanti conseguenze sul piano del rispetto dei principi di economicità ed efficienza dell’azione sanzionatoria amministrativa»; C) anche l’introduzione di istituti partecipativi nella fase decisoria dei procedimenti amministrativi sanzionatori determinerebbe «un rilevante aggravio ed una dilatazione dei tempi del procedimento, senza un effettivo beneficio in termini di effettività del diritto di difesa dell’incolpato»; D) quanto allo svolgimento della fase decisoria nel corso di una pubblica udienza, solo gli organi giurisdizionali dispongono – a differenza delle Autorità indipendenti – delle dotazioni strutturali e di personale necessarie per la trattazione in forma pubblica dei procedimenti sanzionatori; E) analoghe considerazioni valgono per la pretesa di procedere all’acquisizione delle prove, in contraddittorio con l’interessato, durante la fase istruttoria e/o la fase decisoria, perché ciò comporterebbe la piena ed esclusiva dedizione dell’organo di vertice dell’Autorità indipendente (al quale compete la decisione finale sulla irrogazione della sanzione) allo svolgimento di incombenze “dibattimentali”.
18. Infine la CONSOB: A) evidenzia che la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze n. 20930-20934 del 30 settembre 2009) e la più recente giurisprudenza delle Corti di Appello (Corte di Appello di Roma, sentenza 30 maggio 2014, n. 1845; Corte di Appello di Milano, decreti del 12 giugno 2014 e del 10 settembre 2014), successiva alla pubblicazione della sentenza n. 18640 del 2014, è univocamente orientata nel senso della conformità della disciplina posta dal Regolamento del 2005 all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU; B) ribadisce che nel nostro ordinamento non esiste alcun meccanismo di recepimento automatico delle sentenze della Corte EDU; C) puntualizza che la riconduzione delle sanzioni amministrative previste dal TUF nel novero delle sanzioni “penali” potrebbe trovare un serio ostacolo nell’art. 25 Cost. e richiama al riguardo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. VI, 13 gennaio 2014, n. 510), nonché un passo della Relazione dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Suprema Corte di Cassazione in data 8 maggio 2014, ove si legge che «il concetto fluido e sostanzialistico della “natura penale” di una disposizione interna voluto dalla Corte EDU pone problemi di compatibilità con il nostro sistema costituzionale, che, all’art. 25 Cost., ancora la nozione di illecito penale ad un criterio di stretta legalità formale, combinandosi con l’art. 1 del codice penale in un sistema che stabilisce la riferibilità della qualificazione di una norma come penale al fatto che essa sia formalmente ed espressamente prevista come reato da una legge. Da tali vincoli normativi interni non appare sostenibile che il giudice nazionale possa, in applicazione dei principi convenzionali come declinati dalla Corte Europea, ritenere “sostanzialmente” penale una disposizione qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno, al fine di rilevare il divieto del doppio giudizio per il medesimo fatto. In simili ipotesi, peraltro, sarebbe anche difficilmente ipotizzabile il ricorso ad una questione di legittimità costituzionale che passi attraverso lo strumento dell’art. 117 Cost.».
19. I ricorrenti con memoria depositata in data 8 novembre 2014, oltre a replicare alle molteplici eccezioni processuali sollevate dalla CONSOB, contestano la tesi di controparte – secondo la quale la Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014 non avrebbe sanzionato l’Italia per l’illegittimità del procedimento svolto dalla CONSOB, ma solo perché la Corte di Appello di Torino non aveva deciso sull’opposizione in udienza pubblica – evidenziando quanto segue: A) anche l’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Suprema Corte di Cassazione nella già citata Relazione in data 8 maggio 2014 ha inequivocabilmente affermato che la vigente disciplina regolamentare non è conforme alle esigenze di equità e imparzialità oggettiva sancite dall’art. 6, comma 1, della Convenzione, illustrando i diversi punti di contrasto tra la normativa regolamentare e la disciplina posta dall’art. 6, comma 1; B) in ragione di quanto precede nel presente giudizio viene rivendicata «la tutela del loro interesse legittimo ad essere sottoposti ad un procedimento sanzionatorio conforme ai precetti dell’art. 6 della CEDU e quindi ad essere destinatari delle eventuali sanzioni amministrative di natura penale soltanto all’esito di un procedimento che garantisca loro: la pienezza del contraddittorio e della parità delle parti con la possibilità anche di audire i soggetti già ascoltati dagli Uffici dell’Autorità e le cui dichiarazioni sono state poste a fondamento delle Contestazioni nonché con la possibilità di conoscere e di contro dedurre alle conclusioni e alle proposte formulate dall’Ufficio Sanzioni a coloro che le sanzioni devono decidere; la possibilità di essere ascoltati in pubblica udienza e nella piena parità delle parti dinanzi coloro che devono decidere dell’applicazione delle sanzioni; la terzietà ed indipendenza soggettiva ed oggettiva di coloro che devono decidere dell’applicazione delle sanzioni»; C) sono da ritenere errate le considerazioni di controparte «che “derubricano” l’illegittimità del procedimento sanzionatorio ad un mero “accidente”, non rilevante ai fini dell’art. 6 della CEDU, posto che la sanzione (illegittimamente) applicata sarebbe comunque soggetta a successiva valutazione di un giudice con piena cognizione. Siffatto ragionamento prescinde dalla necessaria legittimità dell’azione amministrativa in conformità alla legge (ex art. 97 Cost.): l’art. 187-septies del TUF impone che il procedimento sanzionatorio sia retto “dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie”. La Sentenza della Corte EDU ha declinato le previsioni dell’art. 187-septies correlandoli di precetti dell’art. 6 della CEDU per le sanzioni di natura penale (quali sono quelle di cui si discute, per espressa qualificazione operata dalla stessa Sentenza). Ne consegue che il procedimento sanzionatorio non conforme all’art. 6 della CEDU è illegittimo per violazione (anche) dell’art. 187-septies del TUF che non può essere interpretato diversamente da quanto stabilito dalla Corte EDU (ex art. 117 Cost.)»; D) altrettanto errata è la tesi di controparte sulla non vincolatività dell’accertamento dell’illegittimità del Regolamento del 2015, in quanto non rinvenibile nel dispositivo della sentenza n. 18640 del 2014, perché «il carattere vincolante delle qualificazioni e delle valutazioni argomentative della sentenza della Corte EDU deriva in ogni caso dalla costante giurisprudenza costituzionale sulla c.d. interpretazione convenzionale conforme»; E) la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione invocata da controparte è in conferente, perché trattasi di giurisprudenza anteriore alla sentenza n. 18640 del 2014; F) parimenti inconferente è il passo della Relazione dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Suprema Corte di Cassazione richiamato da controparte, perché riguarda esclusivamente gli effetti della sentenza n. 18640 del 2014 in ambito penale; G) la tesi di controparte – secondo la quale le tutele fondamentali dei soggetti sottoposti a procedimenti sanzionatori dovrebbero recedere a fronte dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, che verrebbero minacciati dal maggiore impegno che graverebbe dall’adeguamento della disciplina del procedimento sanzionatorio di cui trattasi – non appare persuasiva, proprio perché proviene da un’Autorità che più di altre dovrebbe assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione; H) le considerazioni che precedono nel caso in esame appaiono ancor più significative se si considera che il Presidente della CONSOB nella relazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze del 5 maggio 2014 – ove è puntualmente descritta la vicenda che ha portato all’avvio del procedimento sanzionatorio nei confronti dei ricorrenti – ha già dichiarato che nella vicenda sono stati accertati “illeciti amministrativi”.
21. La CONSOB con memoria depositata in data 8 novembre 2014 – oltre a ribadire che le domande proposte da controparte sono radicalmente inammissibili perché «rivolte ad ottenere, in forma anticipata e preventiva, una tutela che l’ordinamento nazionale accorda esclusivamente in sede di impugnazione avverso l’atto sanzionatorio finale» – replica, a sua volta, alle considerazioni svolte da controparte, evidenziando che: A) sebbene non sia revocabile in dubbio che la Corte EDU nella sentenza n. 18640 del 2014 ha affermato il “carattere penale” delle sanzioni irrogabili dalla CONSOB per abusi di mercato, tuttavia da tale affermazione non può farsi discendere che, per effetto della predetta sentenza, tali sanzioni debbano essere sic et sempliciter considerate penali nell’ordinamento giuridico italiano, a ciò ostando sia la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale sull’inesistenza di meccanismi di recepimento automatico delle sentenze della Corte EDU, sia i limiti, derivanti dall’art. 25 Cost., alla qualificazione delle sanzioni amministrative come sanzioni aventi “carattere penale”; B) stante quanto precede, non si comprende come la sentenza del Consiglio di Stato n. 4268 del 19 agosto 2014 (citata da controparte nella memoria depositata in data 3 novembre 2014) possa suffragare la tesi di controparte sulla “natura sostanzialmente penale” delle sanzioni irrogabili dalla CONSOB per abusi di mercato, perché tale sentenza riguarda non già una sanzione, bensì un provvedimento ingiuntivo della CONSOB adottato ai sensi dell’art. 52, comma 1, del TUF, e si limita a dichiarare non applicabili le statuizioni della sentenza n. 18640 del 2014; C) alla luce di quanto affermato dalla Corte EDU nei paragrafi 138, 139, 151 e 240 della sentenza n. 18640 del 2014 non si comprende come controparte (nella memoria depositata in data 3 novembre 2014) possa affermare che la Corte EDU ha escluso la rilevanza della «eventuale fase di impugnativa di queste dinnanzi alla competente Corte di Appello »; D) «un’ulteriore deformazione del percorso argomentativo» seguito nella sentenza n. 18640 del 2014 si rinviene nel passo della memoria di controparte in cui si afferma che la stessa Corte EDU «ha ribadito la gravità e l’immediata lesività delle sanzioni irrogabili» che già al momento della conclusione del procedimento sanzionatorio «si pongono come irreparabili», perché nei paragrafi 96 – 99 della sentenza vengono illustrate le sanzioni irrogabili a fronte di fattispecie di market abuse al solo scopo di dimostrare la presenza, nelle sanzioni previste per tali illeciti, dei tratti caratteristici delle sanzioni in “materia penale”.
22. Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare il Collegio ritiene innanzi tutto infondate entrambe le eccezioni di difetto di giurisdizione sollevate dalla difesa della CONSOB. Quanto all’eccezione di difetto di giurisdizione di questo Tribunale – sollevata con la memoria depositata in data 3 novembre 2014 sul presupposto che la presente controversia afferisca alla materia dei procedimenti sanzionatori della CONSOB, affidata al Giudice ordinario – muove evidentemente dalla sentenza della Corte Costituzione n. 162 del 2012 e mira a dimostrare che nel caso in esame i ricorrenti contestano non già la legittimità della disciplina posta dal Regolamento del 2005, bensì la legittimità del procedimento sanzionatorio avviato nei loro confronti con l’atto di contestazioni in data 6 dicembre 2013. Ebbene tale censura non può essere accolta perché – come già implicitamente ritenuto da questa Sezione con l’ordinanza n. 4009 in data 4 settembre 2014 ed espressamente rilevato dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014 – sussiste la giurisdizione del Giudice amministrativo «in ordine alla impugnativa di atti regolamentari illegittimi e alle situazioni soggettive relative all’adozione di (o all’obbligo di adeguare) atti regolamentari in conformità a sentenze CEDU». Si deve infatti rammentare che la sentenza n. 162 del 2012 – con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale degli articoli 133, comma 1, lettera l), 135, comma 1, lettera c), e 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio – sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), e dell’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato numero 4, del medesimo d.lgs. n. 104 del 2010» – si riferisce esclusivamente alle controversie relative alle sanzioni inflitte dalla CONSOB, ossia alle controversie che derivano dal concreto esercizio della potestà sanzionatoria che la legge attribuisce alla CONSOB, mentre le domande proposte dai ricorrenti sono evidentemente finalizzate a tutelare l’interesse legittimo connesso al corretto esercizio della potestà normativa regolamentare affidata alla CONSOB dall’art. 3 del TUF e, in particolare, l’interesse all’adeguamento del Regolamento del 2005 ai principi del giusto processo di cui all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU. Del resto il regolamento è un atto oggettivamente normativo, ma soggettivamente amministrativo e, quindi, laddove la domanda di annullamento investa direttamente le previsioni di un regolamento o un atto amministrativo come la nota in data 11 agosto 2014 – con la quale l’Ufficio SA ha riscontrato negativamente la diffida, presentata dalle parti ricorrenti in data 18 luglio 2014, tesa a stimolare l’immediata adozione di un nuovo regolamento sul procedimento sanzionatorio di cui all’art. 187-septies del TUF, conforme all’art. 6 della Convenzione EDU così come interpretato dalla Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014 – sussiste la giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo.
2. Passando all’ulteriore eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla difesa della CONSOB sin dalla sua prima memoria difensiva e poi sviluppata nella successiva memoria depositata in data 3 novembre 2014, muove dal presupposto che i ricorrenti chiedano a questo Tribunale di sostituirsi alla CONSOB nel compimento delle valutazioni discrezionali alla stessa riservate nell’esercizio della potestà regolamentare ad essa attribuita dall’art. 187-septies del TUF. Ciò posto il Collegio – oltre a ribadire che in questa sede il Giudice amministrativo non è chiamato a sindacare il concreto esercizio del potere sanzionatorio, bensì l’esercizio (rectius il mancato esercizio) della potestà regolamentare della CONSOB – deve rilevare che erra la CONSOB quando nega radicalmente che il Giudice amministrativo possa sindacare l’esercizio della potestà regolamentare perché non può sostituirsi all’Autorità amministrativa «nel compimento di valutazioni discrezionali che solo a questa ex lege competono». Infatti, sebbene la potestà regolamentare delle Pubbliche Amministrazioni – ivi comprese le Autorità indipendenti – sia connotata da uno elevato tasso di discrezionalità amministrativa, ciò non consente di escludere tout court il sindacato giurisdizionale del Giudice amministrativo, perché tale sindacato – rispondendo alle regole generali del sindacato di legittimità sui provvedimenti di natura discrezionale – non implica, se correttamente esercitato, alcuna sostituzione del Giudice all’Amministrazione, ma solo un controllo ab externo sull’esercizio del potere. Ciò posto, con riferimento al caso in esame, risulta evidente che le domande di annullamento proposte dai ricorrenti, di per sé, non esulano dai confini del sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, perché a questo Tribunale è stato chiesto soltanto di accertare l’esistenza di un contrasto tra la disciplina posta dal Regolamento del 2005 e quella, di rango superiore, posta dall’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU – che vincola non solo l’esercizio della potestà legislativa, ma anche l’esercizio della potestà regolamentare – e di accertare l’obbligo della CONSOB di provvedere sulla diffida del 18 luglio 2014, adeguando la disciplina posta dal Regolamento del 2005 a quella posta dall’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014. Pertanto questo Tribunale, seppure rilevasse l’esistenza di un contrasto, non potrebbe certamente dettare alla CONSOB il contenuto della nuova disciplina regolamentare.
3. Passando alle ulteriori eccezioni processuali sollevate dalla difesa della CONSOB, si deve innanzi tutto rammentare che nel processo amministrativo il diritto al ricorso sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende ad un provvedimento giurisdizionale idoneo, se favorevole, a rimuovere tale lesione. Pertanto le condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere. La legittimazione a ricorrere spetta a chi affermi di essere titolare della situazione giuridica sostanziale in ipotesi ingiustamente lesa dal provvedimento amministrativo, mentre l’interesse a ricorrere consiste in un vantaggio pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare dall’accoglimento del ricorso.
4. Poste tali premesse, nel caso in esame non v’è motivo per dubitare della legittimazione ad agire dei ricorrenti. Infatti il Collegio conviene senz’altro con la Sesta Sezione del Consiglio di Stato quando implicitamente afferma, con la suddetta ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014, la legittimazione ad agire dei ricorrenti in relazione alla denunciata «difformità del regolamento sanzionatorio applicato nei procedimenti sanzionatori “lato sensu penali” che li riguardano». Infatti la circostanza che i ricorrenti siano attualmente sottoposti ad un procedimento volto all’irrogazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF, da svolgere secondo le norme dell’impugnato Regolamento del 2005, fa sì che essi vengano a trovarsi in una posizione differenziata e qualificata rispetto alla collettività.
5. Diverse considerazioni valgono per le eccezioni di carenza d’interesse, sollevate dalla difesa della CONSOB sin dalla sua prima memoria e successivamente sviluppate con la memoria depositata in data 3 novembre 2014. In particolare, con riferimento all’interesse all’annullamento della nota dell’Ufficio SA in data 11 agosto 2014, il Collegio preliminarmente osserva che con tale nota non è stata contestata la fondatezza delle osservazioni formulate con la diffida del 18 luglio 2014, ma è stato soltanto comunicato ai ricorrenti che tali osservazioni sarebbero state oggetto di esame nell’ambito del procedimento sanzionatorio, dapprima da parte del medesimo Ufficio SA e poi da parte dell’organo di vertice della Commissione, sicché con tale nota la CONSOB, da un lato, nega che l’interesse pretensivo all’adeguamento del Regolamento del 2005 ai principi del giusto processo di cui all’art. 6 della Convenzione EDU abbia un autonomo rilievo rispetto all’interesse oppositivo che caratterizza la posizione dei ricorrenti nel procedimento sanzionatorio che li riguarda; dall’altro, riconosce tale interesse come meritevole di tutela soltanto nell’ambito del procedimento sanzionatorio. Ciò spiega perché la difesa CONSOB nelle sue memorie abbia invocato – a supporto dell’eccezione di carenza di interesse all’annullamento della predetta nota in data 11 agosto 2014 – la consolidata giurisprudenza (ex multis, Cassazione civile, Sez. II, 12 ottobre 2007, n. 21493) secondo la quale in tema di sanzioni amministrative vige la regola generale per cui il verbale di accertamento non può essere direttamente impugnato dall’interessato trattandosi di un atto a carattere procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva, che viene invece incisa soltanto a seguito e per effetto dell’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, unico atto contro cui è possibile proporre opposizione. In altri termini, secondo la difesa della CONSOB, finché il potere sanzionatorio non viene concretamente esercitato attraverso l’adozione di un provvedimento sanzionatorio, con conseguente lesione della sfera giuridica dell’interessato, non sarebbe configurabile, per carenza di interesse ad agire, alcuno spazio per la tutela giurisdizionale dell’interessato. Analoghe considerazioni varrebbero, sempre secondo la difesa della CONSOB, per il Regolamento del 2005. Infatti la difesa della CONSOB – a supporto dell’eccezione di carenza di interesse a ricorrere avverso tale regolamento – ha invocato la consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Comm. Spec., 16 aprile 2013, n. 3014) secondo la quale il regolamento può formare oggetto di contestazione solo unitamente agli atti che dello stesso fanno applicazione, perché solo attraverso tali atti che si realizza il pregiudizio della sfera soggettiva e, quindi, si attualizza la lesione.
6. Poste tali premesse, il Collegio non può fare a meno di evidenziare che i suesposti orientamenti giurisprudenziali sono stati demoliti dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la suddetta ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014, ove è stato affermato che: A) «sussiste il pregiudizio grave e irreparabile, nella sfera dei destinatari, già per la difformità del regolamento sanzionatorio applicato nei procedimenti sanzionatori “lato sensu penali” che li riguardano, la cui la pendenza comprova l’attualità dell’interesse»; B) «al fine della effettività della tutela giurisdizionale cautelare, non è necessario attendere la piena vulnerazione con la eventuale emanazione di sanzioni, per ipotesi viziate perché adottate sulla base di regolamento illegittimo, anche nell’interesse della stessa Autorità emanante». In altri termini, la tesi della Sesta Sezione del Consiglio di Stato – secondo la quale la mera pendenza di un procedimento sanzionatorio rende attuale l’interesse del soggetto sottoposto a tale procedimento a ricorrere avverso l’atto di natura regolamentare che disciplina il procedimento stesso – risulta fortemente innovativa perché anticipa notevolmente la tutela giurisdizionale avverso l’atto presupposto che disciplina il procedimento sanzionatorio, anche se non costituisce, a ben vedere, una novità assoluta nel complessivo panorama della giurisprudenza del Giudice amministrativo. Giova infatti rammentare che, sebbene l’aggiudicazione provvisoria abbia natura di atto endoprocedimentale, ad effetti instabili ed interinali, in quanto soggetta, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 163/2006 all’approvazione dell’organo competente, la giurisprudenza ne ammette pacificamente l’autonoma impugnabilità, pur qualificando l’impugnazione come una mera facoltà e non come un onere (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1828). Un’ulteriore apertura della giurisprudenza si rinviene nella sentenza richiamata dai ricorrenti nella memoria depositata in data 1° settembre 2014 (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 26 gennaio 2012, n. 865), con la quale è stato riconosciuto il diritto ad ottenere una tutela immediata qualora la lesione della sfera giuridica dell’interessato si concretizzi già nella fase di avvio di un procedimento sanzionatorio. In particolare in tale pronuncia (relativa ad un procedimento sanzionatorio avviato dall’AGCM) è stato affermato quanto segue: «L’interesse al ricorso richiede che l’atto impugnato abbia prodotto una lesione diretta, attuale e concreta alla sfera giuridica del destinatario, presupposti che, nel caso di atto di avvio del procedimento, sono solitamente ritenuti insussistenti in quanto si ritiene che essi verranno eventualmente, e non certamente, in essere con l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento lesivo della sfera giuridica del destinatario … In sostanza, gli eventuali vizi inerenti l’atto di avvio del procedimento o comunque un atto endoprocedimentale sono in linea di massima privi di autonoma ed immediata lesività in quanto tale lesività è destinata ad attualizzarsi soltanto con l’eventuale adozione del provvedimento finale afflittivo, per cui gli ipotizzati profili di illegittimità possono essere fatti valere in sede di impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento sul quale potrebbero riverberarsi con effetto viziante … Peraltro, il principio della non immediata impugnabilità degli atti di carattere endoprocedimentale è stato talvolta temperato. In particolare, è stato evidenziato che tale regola incontra un’eccezione nell’ipotesi in cui gli atti endoprocedimentali siano suscettibili di incidere immediatamente sulla posizione giuridica dell’interessato, come nel caso degli atti di natura vincolata, idonei in quanto tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, ovvero degli atti interlocutori, laddove idonei a determinare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato … Il Collegio ritiene che anche nella fattispecie in esame il principio della non immediata ed autonoma impugnabilità degli atti endoprocedimentali – quali indubbiamente sono sia l’atto di avvio del procedimento sia l’atto di autorizzazione dell’ispezione che, sebbene espressione di uno specifico potere, rientra comunque nell’ambito dell’istruttoria procedimentale – possa trovare in parte eccezione alla luce di alcune riflessioni sull’essenza della posizione giuridica di interesse legittimo dedotta in giudizio. L’interesse legittimo è la posizione di vantaggio attribuita ad un soggetto dall’ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo della possibilità di influire sull’esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa della pretesa all’utilità. La sostanzialità della posizione, al pari che nel diritto soggettivo, è data dal rapporto con un bene della vita, che il titolare mira a conseguire (interesse pretensivo) o conservare (interesse oppositivo), preso in considerazione dall’ordinamento e perciò protetto (c.d. lato interno), mentre la diversità ontologica con la posizione di diritto soggettivo si coglie nel c.d. lato esterno, ossia nel rapporto con gli altri soggetti dell’ordinamento. In particolare, mentre il diritto soggettivo traduce il rapporto con altri soggetti, ivi compresa eventualmente un’amministrazione pubblica, posti su un piano di parità giuridica e, quindi, disciplinato da norme privatistiche, l’interesse legittimo si caratterizza per essere la posizione in cui versa il destinatario di un provvedimento, o il soggetto che comunque riveste una posizione differenziata e di qualificato interesse rispetto allo stesso, emanato da una pubblica amministrazione nell’esercizio del potere pubblico o, anche prima dell’adozione dell’atto, il soggetto che entra in un rapporto giuridicamente qualificato con l’esercizio della funzione amministrativa. Ne consegue che, mentre nel diritto soggettivo l’interesse al bene si realizza indipendentemente da qualunque ulteriore riconoscimento, nell’interesse legittimo deriva dalla intermediazione dell’attività amministrativa autoritativa. Nel caso di specie, la ricorrente, titolare di una posizione di interesse legittimo, ha impugnato l’atto con il quale, ai sensi dell’art. 14 l. 287/1990, l’Autorità ha avviato nei suoi confronti il procedimento per accertare l’esistenza di violazioni dell’art. 102 del TFUE nonché l’atto con cui, ai sensi dell’art. 14, comma 2, l. 287/1990, l’Autorità ha autorizzato un’ispezione presso le sue sedi. Nei confronti di tali atti l’interesse legittimo, di tipo oppositivo, ha una connotazione del lato interno differente da quella che assumerebbe nei confronti dell’eventuale provvedimento afflittivo adottato a conclusione del procedimento. In particolare, mentre nei confronti dell’eventuale provvedimento conclusivo del procedimento che accerti l’esistenza di una fattispecie di abuso di posizione dominante irrogando la relativa sanzione pecuniaria, il bene della vita cui l’interessata tende sarebbe costituito dal venire meno dell’accertamento dell’illiceità della condotta e della conseguente sanzione, nei confronti dell’atto di avvio del procedimento il bene della vita è costituito in primo luogo dall’arresto procedimentale, vale a dire dal non essere investito da quegli oneri di collaborazione che nei procedimenti in materia antitrust sono particolarmente intensi e sanzionati, ai sensi dell’art. 14, co. 5, l. 287/1990, in caso di rifiuto o omissione senza giustificato motivo, in modo rilevante, così come nei confronti dell’atto autorizzativo dell’ispezione, il bene della vita è costituito dal venire meno dell’accessibilità, sia pure nei limiti di cui all’art. 13 d.P.R. 217/1998, ai denuncianti dei documenti acquisiti. Il Collegio ritiene che per valutare la sussistenza o meno dell’attualità dell’interesse all’impugnativa, occorre fare riferimento all’effettivo contenuto della posizione di interesse legittimo dedotta in giudizio e, quindi, alla concreta utilità che il ricorrente intende perseguire attraverso l’eventuale annullamento dell’atto impugnato. Di conseguenza, il ricorso deve ritenersi ammissibile laddove gli atti impugnati evidenzino una valenza ex se lesiva dell’interesse legittimo dedotto in giudizio, nel senso che il loro eventuale annullamento potrebbe produrre un’utilità che non sarebbe più conseguibile attraverso l’annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento. Nel caso di specie, tale valenza immediatamente ed autonomamente lesiva può riconnettersi sia al momento in cui l’Autorità ha ritenuto sussistere la propria competenza per l’esercizio del potere, obbligando in tal modo i destinatari dell’azione all’assolvimento degli oneri di cui all’art. 14, co. 5, l. 287/1990, sia al momento in cui l’Autorità ha deciso di autorizzare l’ispezione».
7. Tenuto conto delle considerazioni sin qui svolte, il Collegio osserva innanzi tutto che la giurisprudenza secondo la quale l’atto avente natura regolamentare può formare oggetto di contestazione solo unitamente agli atti che dello stesso fanno applicazione si è formata per evidenti esigenze di tutela dei destinatari dell’azione amministrativa. Infatti proprio nella pronuncia richiamata dalla difesa della CONSOB (Consiglio di Stato, Comm. Spec., n. 3014/2013 cit.) è stato evidenziato che grazie a tale giurisprudenza «il privato è sollevato dall’onere di impugnazione (sia immediata che differita) dell’atto regolamentare, scongiurandosi così il rischio che il regolamento, ove non tempestivamente impugnato, finisca per divenire inoppugnabile e per consolidarsi, regolando definitivamente la situazione concreta, senza che vi sia più la possibilità per il giudice di risolvere il contrasto in favore della fonte sovraordinata. La tesi che nega l’immediata impugnabilità del regolamento da parte del singolo non si traduce, quindi, in alcun vuoto di tutela ma, anzi, rafforza e amplia la possibilità di tutela giurisdizionale del singolo, consentendogli di agire, nel momento in cui la lesione si attualizza, contro l’atto applicativo che detta lesione produce, senza che corra il rischio di “inconsapevoli” preclusioni derivanti dalla mancata tempestiva impugnazione dell’atto regolamentare. In quest’ottica, del resto, è evidente che, ove si ammettesse l’immediata impugnabilità del regolamento, ne discenderebbero conseguenze particolarmente penalizzanti e riduttive in relazione alla possibilità di tutela giurisdizionale dei singoli, atteso che essi avrebbero non solo la possibilità ma anche l’onere di impugnare il regolamento, con la conseguenza che questo, ove non tempestivamente gravato, diverrebbe appunto inoppugnabile. L’impugnabilità, infatti, non si traduce solo in una possibilità o in una facoltà, ma anche in un onere, nel senso che, se un atto può essere impugnato, esso, di regola, deve essere impugnato entro il termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità».
8. Ciò posto – pur volendo ritenere che il nuovo orientamento fatto proprio dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la suddetta ordinanza n. 4491 del 2014 non configuri l’impugnazione immediata del regolamento come un vero e proprio onere, bensì come una mera facoltà (al pari di quanto ritiene la giurisprudenza con riferimento all’impugnazione immediata dell’aggiudicazione provvisoria) – corre tuttavia l’obbligo di evidenziare che tale orientamento è comunque foriero di ulteriori conseguenze sul piano processuale. Occorre infatti rammentare che, secondo la giurisprudenza (T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 12 marzo 2014, n. 1497), «l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione provvisoria costituisce frutto di una specifica scelta del ricorrente che denota l’interesse processuale ad un’anticipazione del giudizio sul procedimento di gara rispetto alla sua fisiologica conclusione, da individuarsi al momento dell’adozione dell’aggiudicazione definitiva. Tuttavia, l’esercizio di tale opportunità non può restare senza conseguenze sul piano processuale, anche perché ancorare il temine decadenziale di impugnazione – che, si badi, deve restare unico – alla sopravvenienza dell’aggiudicazione definitiva, si rivelerebbe una contraddizione in termini rispetto alla possibilità (astratta) ed alla concreta impugnazione di quella provvisoria; invero, così opinando, il ricorso proposto avverso l’aggiudicazione provvisoria non sarebbe mai decidibile in assenza di un’aggiudicazione definitiva impugnata … Per scongiurare tale logica considerazione occorre accedere all’idea che, una volta impugnata l’aggiudicazione provvisoria, la necessaria configurabilità di un interesse processuale attuale e concreto impone di intendere il relativo giudizio come connotato da un certo grado di autonomia rispetto a quello, a questo punto eventuale, avente ad oggetto l’aggiudicazione definitiva. Sul piano sostanziale, d’altra parte, la relazione esistente tra i due atti impone di attribuire all’aggiudicazione provvisoria una portata eccedente rispetto ad mero atto endoprocedimentale, finendo per doverla inquadrare come atto necessario a natura predecisoria. E se tale è la qualificazione corretta – tale da consentire di salvaguardare la richiamata opzione processuale – il collegamento tra i due atti finali del procedimento sottende una distribuzione del potere autoritativo di gestione del procedimento che si articola in senso qualitativo e non anche di continenza dell’aggiudicazione definitiva rispetto a quella provvisoria; tale idea, d’altronde, riposa sulla natura essenzialmente tecnico discrezionale di quest’ultima rispetto all’aggiudicazione definitiva a cui appartengono anche spazi valutativi di diversa e più ampia portata, fino a coinvolgere sul piano della più pura discrezionalità la stessa ragion d’essere dell’operazione economica destinata a trovare attuazione nella stipulazione del contratto. Sul piano processuale – non diversamente da quanto accade nel rapporto processuale esistente tra impugnazione dell’esclusione e dell’aggiudicazione intervenuta in favore di terzi – chi decide di impugnare già la sola aggiudicazione provvisoria dà vita, dunque, ad un processo autonomo che, essendo destinato a concludersi fisiologicamente con una decisione di merito, non può dipendere dall’adozione di atti successivi, magari non ancora esistenti al momento del passaggio in decisione. L’accoglimento di un ricorso proposto contro l’aggiudicazione provvisoria, determinerà il venir meno di tale atto presupposto – quantunque interno al procedimento ed ancorché a rilevanza predecisoria – in modo da impedire alla stazione appaltante di procedere all’aggiudicazione definitiva. Ma l’autonomia tra i due giudizi – che, a valle, può risolversi nell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva ai fini della conservazione dell’interesse processuale originario – implica che lo sbarramento costituito dal primo termine decadenziale opererà rispetto a tutti i vizi del procedimento che confluiscono nell’aggiudicazione provvisoria, quale atto sostanzialmente predecisorio e parzialmente conclusivo, lasciando al futuro ed eventuale ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva la presentazione di censure inerenti vizi propri solo di tale atto e comunque relativi a vicende procedimentali successive rispetto all’adozione dell’aggiudicazione provvisoria. Diversamente opinando, oltre all’elusione del termine decadenziale di impugnazione che resta unico – essendo la possibilità di impugnare l’aggiudicazione provvisoria un favor per l’impresa – altra ricaduta processuale sarebbe la violazione del divieto del ne bis in idem, ove si consentisse attraverso l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva una sostanziale duplicazione o parziale sovrapposizione dell’oggetto del primo giudizio».
9. Tenuto conto delle considerazioni sin qui svolte, il Collegio conclusivamente ritiene che: A) nel caso in esame non vi sia motivo per discostarsi da quanto affermato nella suddetta ordinanza n. 4491 del 2014, perché la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha espressamente riconosciuto che l’eventuale irrogazione di una sanzione, all’esito di un procedimento svolto in applicazione della vigente disciplina regolamentare, si tradurrebbe in una violazione dei principi del giusto processo e che gli atti impugnati presenta una valenza ex se lesiva dell’interesse legittimo dedotto dai ricorrenti nel presente giudizio; B) la decisione assunta con la presente sentenza comporti uno sbarramento per tutti i vizi del procedimento sanzionatorio che vengano fatti discendere (per effetto del meccanismo della c.d. invalidità derivata) dal contrasto tra la vigente disciplina regolamentare ed i principi del giusto processo di cui all’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, in modo da lasciare al futuro ed eventuale giudizio di opposizione innanzi alla Corte di Appello soltanto le censure relative ai vizi propri del provvedimento sanzionatorio.
10. Passando all’esame delle domande di annullamento proposte dai ricorrenti, in ordine logico la prima questione da affrontare attiene ai rapporti tra le sentenze della Corte EDU e l’ordinamento italiano. A tal riguardo, grazie ad una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, può ritenersi oramai acclarato che le sentenze della Corte EDU producono l’effetto di fornire un’interpretazione vincolante delle norme della Convenzione EDU, le quali nell’ordinamento interno assumono una forza passiva superiore alle leggi ordinarie e dunque fungono da parametro interposto nei giudizi di costituzionalità. Infatti la Corte costituzionale ha affermato che la Convenzione, così come interpretata dalla Corte, integra l’art. 117, comma 1, della Costituzione (secondo il tradizionale meccanismo delle norme interposte), il quale impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (Corte Costituzionale, sentenze n. 348 e 349 del 2007). Pertanto – posto che l’art. 6 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte, assume valore di parametro interposto – occorre chiedersi quali siano in concreto i vincoli che il giudice nazionale incontra per effetto delle sentenze della Corte.
11. Innanzi tutto non v’è dubbio che i dispositivi delle sentenze della Corte EDU siano vincolanti solo per lo Stato italiano, che è parte dei giudizi innanzi alla Corte. Diverse considerazioni valgono, invece, per le affermazioni contenute nelle motivazioni delle sentenze della Corte EDU. Occorre infatti chiedersi se il giudice italiano debba considerarsi vincolato anche alle premesse logiche della decisione della Corte, come – ad esempio – alla riqualificazione come sanzioni penali delle sanzioni amministrative relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF, operata dalla Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014. A questa domanda ha già risposto positivamente nella sede cautelare la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, perché ha evidenziato «la particolarità della controversia, avendo nella specie la sentenza n. 18640 del 2014 riguardato proprio il regolamento sanzionatorio CONSOB – ritenuto violativo dell’art. 6 CEDU sotto vari profili, quali, tra gli altri, la mancanza del contraddittorio e la mancata pubblicità del procedimento – e che sussiste il dovere di adeguarsi alle sentenze CEDU (tra varie, si veda Corte Costituzionale n. 113 del 7 aprile 2011)», ed ha conseguentemente affermato «l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza CEDU su menzionata».
12. Ciò posto, giova rammentare che – secondo un consolidato orientamento del Giudice delle leggi (ex multis, Corte Costituzionale, 22 maggio 2013, n. 91), recentemente richiamato da questa stessa Sezione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 11 novembre 2014, n. 11225) in un giudizio di cui era parte la CONSOB – i giudici sono vincolati ad interpretare le disposizioni normative in maniera conforme al dettato costituzionale e, quindi, devono sollevare la questione di legittimità costituzionale solo nel caso in cui non riescano a risolvere i dubbi di legittimità costituzionale attraverso la c.d. interpretazione conforme; infatti la Corte costituzionale nella sentenza n. 356 del 1996 ha efficacemente chiarito che «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali». Ebbene nel caso in esame, posto che è l’interpretazione della Corte EDU ad avere valore di parametro interposto, l’interpretazione conforme deve essere esercitata in relazione ai principi posti dalle sentenze della Corte EDU e, quindi, le qualificazioni giuridiche e tutti i passaggi dell’iter logico delle decisioni della Corte EDU costituiscono strumenti per operare l’interpretazione conforme. Del resto la stessa Corte costituzionale nella sentenza 264 del 2012, proprio in relazione alla efficacia delle sentenze della Corte EDU, ha ribadito che il giudice a quo, prima di sollevare una questione di legittimità costituzionale di una norma interna per violazione di una norma della Convenzione EDU, «deve preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. … Se questa verifica dà esito negativo e il contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna né farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo una questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., ovvero all’art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta» (cfr., in tal senso, anche Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 754). In definitiva non v’è dubbio che i principi e le qualificazioni desumibili dalle sentenze della Corte EDU vincolino il giudice nazionale e la conferma di questo ragionamento si rinviene proprio nella ordinanza del Consiglio di Stato n. 4491 in data 2 ottobre 2014, che adotta come punto di partenza del proprio ragionamento proprio la qualificazione delle sanzioni amministrative relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF come sanzioni di natura “penale”, secondo il ragionamento seguito dalla Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014. Né, del resto, potrebbe essere altrimenti; infatti se il giudice nazionale non si conformasse alla giurisprudenza della Corte EDU, si alimenterebbe irragionevolmente il contenzioso davanti alla Corte stessa per tutti i casi analoghi che inevitabilmente verrebbero portati alla sua attenzione, con l’inevitabile conseguenza di successive e ripetute sentenze di condanna nei confronti dello Stato italiano.
13. Una volta affermato il principio per cui questo Tribunale deve tenere conto non solo del dispositivo, ma anche della motivazione della sentenza n. 18640 del 2014, occorre verificare la compatibilità del Regolamento del 2005, oggetto dell’istanza presentata dai ricorrenti in data 18 luglio 2014, con l’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione fornita dalla Corte EDU nella sentenza n. 18640 del 2014.
14. Innanzi tutto è opportuno rammentare che: A) l’art. 6 della Convenzione EDU – nel sancire il diritto a un equo processo – dispone, al comma 1, che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia”; B) la Corte EDU con la sentenza n. 18640 del 2014 ha ribadito la sua consolidata giurisprudenza secondo la quale, al fine di stabilire la sussistenza di una “accusa penale” ai sensi dell’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, «occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della sanzione», fermo restando che «questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi», perché «è sufficiente che il reato in causa sia di natura penale rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della materia penale» (§ 94 della sentenza); C) la Corte con la predetta sentenza – considerato che l’irrogazione delle sanzioni amministrative relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF «comporta per i rappresentanti delle società coinvolte la perdita temporanea della loro onorabilità, e se queste ultime sono quotate in borsa, ai loro rappresentanti si applica l’incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito delle società quotate per una durata variabile da due mesi a tre anni», che la CONSOB «può anche vietare alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione dell’autore dell’illecito, per una durata massima di tre anni, e chiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea dell’interessato dall’esercizio della sua attività professionale», e che «l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie importa la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo» (§ 97 della sentenza) – ha concluso nel senso che le sanzioni di cui trattasi «rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale» (§ 99 della sentenza).
15. A tal riguardo la difesa della CONSOB nelle sue memorie (e, in particolare, in quella depositata in data 3 novembre 2014) eccepisce che la qualificazione delle sanzioni amministrative relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF come sanzioni “penali” potrebbe trovare un serio ostacolo nell’art. 25 Cost., richiamando al riguardo: A) una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. VI, 13 gennaio 2014, n. 510), secondo la quale, essendo demandato solo ed esclusivamente al legislatore il compito di individuare le sanzioni penali, in assenza di un preciso riferimento normativo non pare possibile assimilare una sanzione amministrativa ad una sanzione penale esclusivamente in base al requisito, che presenta indubbi caratteri di relatività, della afflittività della sanzione; B) un passo della Relazione dell’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Suprema Corte di Cassazione in data 8 maggio 2014 ove viene posto in rilievo che «il concetto fluido e sostanzialistico della “natura penale” di una disposizione interna voluto dalla Corte EDU pone problemi di compatibilità con il nostro sistema costituzionale, che, all’art. 25 Cost., ancora la nozione di illecito penale ad un criterio di stretta legalità formale, combinandosi con l’art. 1 del codice penale in un sistema che stabilisce la riferibilità della qualificazione di una norma come penale al fatto che essa sia formalmente ed espressamente prevista come reato da una legge».
16. Ebbene il Collegio ritiene che tali eccezioni non colgano nel segno perché – come correttamente evidenziato dai ricorrenti nella memoria depositata in data 8 novembre 2014 – in questa sede non si discute degli effetti della sentenza n. 18640 del 2014 sulle sanzioni che l’ordinamento interno qualifica come penali, ma solo dell’eventuale necessità, derivante dalla Convenzione EDU come interpretata dalla Corte EDU, di estendere a sanzioni che l’ordinamento interno qualifica come amministrative le medesime garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione EDU per il destinatario di una “accusa penale”. In altri termini il Collegio non intende certo negare la rilevanza della questione – posta dall’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Suprema Corte di Cassazione nel passo della Relazione in data 8 maggio 2014 citata dalla CONSOB – attinente alla possibilità, per il giudice nazionale, di qualificare (in applicazione dei principi convenzionali come declinati dalla Corte Europea) come penale una disposizione qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno al fine di rilevare il divieto del doppio giudizio per il medesimo fatto. Si intende piuttosto evidenziare che tale questione è inconferente con la fattispecie oggetto del presente giudizio, nel quale il Collegio è chiamato a verificare se – posta la qualificazione delle sanzioni amministrative relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF come sanzioni di natura “penale” (secondo il ragionamento seguito nella sentenza n. 18640 del 2014) – da tale qualificazione discenda l’illegittimità della vigente disciplina regolamentare del procedimento finalizzato all’irrogazione di tali sanzioni.
17. Stante quanto precede, non può farsi a meno di rilevare che la Corte EDU nella sentenza n. 18640 del 2014 ha effettivamente constatato che la disciplina posta dal Regolamento del 2005 per il procedimento amministrativo finalizzato all’irrogazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF non è conforme ai corollari del principio del giusto processo sanciti nell’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU, costituiti dal principio della separazione tra attività istruttoria e attività decisoria, dal principio della garanzia del contraddittorio e dal principio della pubblica udienza.
18. In particolare nel giudizio innanzi alla Corte EDU i ricorrenti sostenevano: A) che «il procedimento dinanzi alla CONSOB era essenzialmente scritto, che non era prevista alcuna udienza pubblica e che i diritti della difesa non erano rispettati» (§ 106 della sentenza); B) che «le delibere della CONSOB n. 12697 del 2 agosto 2000 e 15086 del 21 giugno 2005 hanno de facto eliminato il principio del contraddittorio, nonostante quest’ultimo sia enunciato dall’articolo 187-septies del decreto legislativo n. 58 del 1998 … Queste delibere permettono, come nel caso di specie, di non trasmettere agli imputati le conclusioni dell’ufficio sanzioni, che costituiscono poi la base della decisione della commissione, la quale, da parte sua, non riceve le memorie degli imputati riguardanti la fase istruttoria. Inoltre, la commissione decide senza sentire gli imputati e senza pubblica udienza, fatto che nel caso di specie ha impedito ai ricorrenti di dialogare direttamente con la commissione e di difendersi dinanzi ad essa rispetto alle conclusioni dell’ufficio sanzioni. Queste ultime costituivano un elemento importante e la loro conoscenza avrebbe permesso ai ricorrenti di rilevare incoerenze nell’indagine o di accedere ad informazioni utili per la loro difesa. La commissione ha tenuto soltanto una riunione interna, nel corso della quale non fu sentito nessuno tranne un funzionario dell’ufficio IT (ossia l’organo incaricato dell’accusa). I ricorrenti non erano stati convenuti e non hanno neanche potuto ottenere copia del verbale di questa riunione» (§ 107 della sentenza); C) «di non aver avuto conoscenza in tempo utile dei nuovi documenti sui quali si fondava la nota complementare dell’ufficio IT … e di non aver avuto il tempo e le facilitazioni necessarie per difendersi rispetto a quest’ultima. Questi documenti sarebbero stati loro comunicati tardivamente» (§ 108 della sentenza); D) che «il procedimento dinanzi alla CONSOB non assicuri una vera separazione tra fase istruttoria e fase decisoria, fatto che a loro parere lede il principio della parità delle armi. L’istruzione in effetti è interamente sottoposta al potere direttivo del presidente della CONSOB, competente per un vasto numero di atti istruttori, compresa la formulazione del o dei capi di imputazione» (§ 109 della sentenza).
19. A fronte di tali rilievi la Corte EDU, pur riconoscendo che «il procedimento dinanzi alla CONSOB ha permesso agli accusati di presentare elementi utili per la loro difesa» (§ 116 della sentenza), ha tuttavia rilevato quanto segue: A) «il rapporto che conteneva le conclusioni dell’ufficio sanzioni, destinato a servire poi da base alla decisione della commissione, non è stato comunicato ai ricorrenti, che non hanno dunque avuto la possibilità di difendersi rispetto al documento alla fine sottoposto dagli organi investigativi della CONSOB all’organo incaricato di decidere sulla fondatezza delle accuse» (§ 117 della sentenza); B) «gli interessati non hanno avuto possibilità di interrogare o di far interrogare le persone eventualmente sentite dall’ufficio IT» (ancora § 117 della sentenza); C) «il procedimento dinanzi alla CONSOB era essenzialmente scritto e … i ricorrenti non hanno avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla commissione, alla quale non erano ammessi» (§ 118 della sentenza); D) considerata l’importanza del procedimento «era necessaria una udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti», perché «vi era una controversia sui fatti, soprattutto per ciò che riguardava lo stato di avanzamento delle negoziazioni con la Merrill Lynch International Ltd, e che, al di là della loro gravità da un punto di vista economico, le sanzioni in cui rischiavano di incorrere alcuni dei ricorrenti avevano … un carattere infamante, potendo arrecare pregiudizio all’onorabilità professionale e al credito delle persone interessate» (§ 122 della sentenza); D) in ragione di quanto precede si deve ritenere che «il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale» (§ 123 della sentenza).
20. Inoltre, con riferimento alle doglianze incentrate sulla carenza di imparzialità della CONSOB, la Corte – premesso che, secondo la sua consolidata giurisprudenza, «per stabilire se un “tribunale” possa essere considerato “indipendente”, occorre tener conto, soprattutto, delle modalità di designazione e della durata del mandato dei suoi membri, dell’esistenza di una tutela contro le pressioni esterne e sapere se vi sia stata o meno parvenza di indipendenza» (§ 132 della sentenza) – ha rilevato che: A) «tenuto conto delle modalità e delle condizioni di nomina dei membri della CONSOB, e in assenza di elementi che permettano di dire che le garanzie contro eventuali pressioni esterne non sono sufficienti e adeguate», non vi è ragione per «dubitare dell’indipendenza della CONSOB rispetto a qualsiasi altro potere o autorità, e in particolare rispetto al potere esecutivo» (§ 133 della sentenza); B) «per quanto riguarda l’aspetto soggettivo dell’imparzialità della CONSOB, … nel caso di specie non vi è nulla che indichi un qualsiasi pregiudizio o partito preso da parte dei suoi membri. Il fatto che siano state prese decisioni sfavorevoli ai ricorrenti non può da solo mettere in dubbio la loro imparzialità» (§ 135 della sentenza); C) «per quanto riguarda l’imparzialità oggettiva, … il regolamento della CONSOB prevede una certa separazione tra organi incaricati dell’indagine e organo competente a decidere sull’esistenza di un illecito e sull’applicazione delle sanzioni. In particolare, l’accusa è formulata dall’ufficio IT, che compie anche indagini i cui risultati sono riassunti nel rapporto dell’ufficio sanzioni contenente le conclusioni e le proposte sulle sanzioni da applicare. La decisione finale sull’inflizione di queste ultime spetta unicamente alla commissione» (§ 136 della sentenza); D) pertanto, «rimane comunque il fatto che l’ufficio IT, l’ufficio sanzioni e la commissione non sono che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione di uno stesso presidente», e ciò comporta «il consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istituzione», sicché si deve rilevare che «in materia penale tale cumulo non è compatibile con le esigenze di imparzialità richieste dall’articolo 6 § 1 della Convenzione» (§ 137 della sentenza).
21. Fermo restando quanto precede, occorre però evidenziare che le domande formulate dai ricorrenti non sono finalizzate soltanto a far accertare i punti di contrasto tra la disciplina posta dal Regolamento del 2005 e quella posta dall’art. 6 della Convenzione EDU, già chiaramente evidenziati dalla Corte EDU nella sentenza n. 18640 del 2014, ma anche a far accertare che da tale sentenza discende un puntuale obbligo della CONSOB di provvedere sulla diffida del 18 luglio 2014 adeguando la disciplina posta dal Regolamento del 2005 a quella posta della Convenzione EDU. In altri termini, in questa sede non si discute soltanto di come dovrebbe essere strutturato il procedimento volto all’irrogazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF per essere conforme ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 6 della Convenzione, ma ancor prima della possibilità di far discendere dalla motivazione della sentenza n. 18640 del 2014 un vero e proprio obbligo per lo Stato italiano di adeguare la disciplina del predetto procedimento ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 6 della Convenzione EDU. Ciò posto il Collegio ritiene che colga nel segno la difesa della CONSOB sia quando eccepisce che tale adeguamento richiederebbe un intervento del legislatore (cfr., in particolare, la memoria depositata in data 3 novembre 2014), sia quando afferma che i ricorrenti hanno offerto «una lettura parziale e, per molti versi, non corretta» della sentenza n. 18640 del 2014 e che il Regolamento del 2005 «non presenta alcun profilo di contrasto con l’art. 6 della CEDU, stante il “controllo giurisdizionale di piena giurisdizione” garantito ai destinatari delle sanzioni per il tramite del ricorso alla competente Corte di Appello» (cfr., in particolare, la memoria depositata in data 1° settembre 2014).
22. Quanto alla prima eccezione, risulta evidente (in particolare) che per superare il rilievo della Corte EDU sulla carenza di imparzialità oggettiva della CONSOB, attraverso la separazione tra il soggetto deputato a svolgere l’attività istruttoria e quello deputato a svolgere l’attività decisoria, sarebbe necessaria una radicale revisione della attuale assetto legislativo dell’organizzazione della CONSOB. Tuttavia tale eccezione potrebbe risultare non decisiva, sia perché questo Tribunale potrebbe sollevare una questione di legittimità costituzionale dall’articolo 187-septies del TUF (per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. e con l’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU), sia perché sarebbe comunque possibile dichiarare l’illegittimità delle disposizioni del Regolamento del 2005 che non danno corretta attuazione ai principi del giusto processo. Si rende, quindi, necessario procedere all’esame della seconda eccezione sollevata dalla difesa della CONSOB, che costituisce il punto centrale della presente controversia.
23. Ebbene, il Collegio ritiene necessario evidenziare sin d’ora che un’attenta lettura di tutti i passaggi della motivazione della sentenza n. 18640 del 2014 induce a ritenere che la Corte EDU con tale pronuncia, da un lato, abbia escluso la necessità di un intervento normativo strutturale sulla disciplina del procedimento finalizzato all’irrogazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF; dall’altro, abbia ravvisato una violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU soltanto nel caso concreto sottoposto al suo esame, ossia con riferimento al giudizio promosso dal signor Grande Stevens innanzi alla Corte di Appello di Torino, e soltanto perché in tale giudizio non era stata celebrata l’udienza pubblica. In particolare il Collegio ritiene che, ai fini della decisione sul presente ricorso, il passaggio centrale della motivazione della sentenza n. 18640 del 2014 sia costituito dal paragrafo n. 138 ove la Corte afferma che «le constatazioni che precedono, relative alla mancanza di imparzialità oggettiva della CONSOB e alla mancata conformità del procedimento dinanzi ad essa con il principio del processo equo non sono comunque sufficienti per poter concludere che nel caso di specie vi è stata violazione dell’articolo 6. Al riguardo la Corte osserva che le sanzioni lamentate dai ricorrenti non sono state inflitte da un giudice all’esito di un procedimento giudiziario in contraddittorio, ma da un’autorità amministrativa, la CONSOB. Se affidare a tali autorità il compito di perseguire e reprimere le contravvenzioni non è incompatibile con la Convenzione, occorre tuttavia sottolineare che i ricorrenti devono poter impugnare qualsiasi decisione adottata in questo modo nei loro confronti dinanzi a un tribunale che offra le garanzie dell’articolo 6 (Kadubec c. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Recueil 1998-VI; Čanàdy c. Slovacchia, n. 53371/99, § 31, 16 novembre 2004; e Menarini Diagnostics S.r.l., sopra citata, § 58)». Infatti, già da questo passaggio si evince chiaramente che la Corte EDU non ha ritenuto sufficiente fermarsi alle «constatazioni che precedono, relative alla mancanza di imparzialità oggettiva della CONSOB e alla mancata conformità del procedimento dinanzi ad essa con il principio del processo equo», ma ha ritenuto necessario verificare se i destinatari dei provvedimenti adottati dalla CONSOB all’esito del procedimento disciplinato dal Regolamento del 2005 possano impugnare tali provvedimenti «dinanzi a un tribunale che offra le garanzie dell’articolo 6». Inoltre la Corte ha precisato i termini del suo ragionamento al successivo paragrafo n. 139, affermando che «il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude … che in un procedimento di natura amministrativa, una “pena” sia imposta in primo luogo da un’autorità amministrativa. Esso presuppone, tuttavia, che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfi essa stessa le condizioni dell’articolo 6 sia successivamente sottoposta al controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione». Infine la Corte – dopo aver evidenziato, al paragrafo 149, che la Corte di Appello di Torino «era competente per giudicare sulla esistenza, in fatto e in diritto, dell’illecito definito dall’articolo 187-ter del decreto legislativo n. 58 del 1998, e aveva il potere di annullare la decisione della CONSOB. Essa doveva anche valutare la proporzionalità delle sanzioni inflitte rispetto alla gravità del comportamento ascritto» – ha inequivocabilmente affermato, al paragrafo n. 151 che la Corte di Appello di Torino «era certamente un “organo dotato di piena giurisdizione” ai sensi della sua giurisprudenza», richiamando sul punto la propria precedente sentenza n. 43509 del 27 settembre 2011 (puntualmente invocata dalla difesa della CONSOB nella memoria depositata in data 3 novembre 2014), relativa caso Menarini Diagnostics.
24. Ne consegue che risulta destituita di ogni fondamento la prospettazione dei ricorrenti (cfr. pag. 17 del ricorso) secondo la quale la Corte EDU si sarebbe premurata di escludere che la possibilità di ricorrere innanzi alla Corte di Appello (ai sensi all’art. 187-septies, comma 4, del TUF) avverso il provvedimento sanzionatorio della CONSOB possa sopperire alle evidenziate violazioni dell’art. 6, comma 1, della Convenzione EDU. Infatti – premesso che i ricorrenti a supporto di tale prospettazione non indicano una puntuale affermazione della Corte EDU, ma invocano le caratteristiche delle sanzioni potenzialmente comminabili ai sensi degli articoli 187-ter e 187-quater del TUF, ossia l’immediata esecutività del provvedimento sanzionatorio, il carattere estremamente grave e lo scopo repressivo di tali sanzioni (§ 96 della sentenza), nonché il carattere infamante delle stesse (§ 122 della sentenza) – il Collegio ritiene che, in realtà, la suddetta prospettazione si risolva in «un’ulteriore deformazione del percorso argomentativo» seguito dalla Corte EDU (come affermato dalla difesa della CONSOB nella memoria depositata in data 8 novembre 2014), perché: A) la Corte nei paragrafi 96 – 99 della sentenza n. 18640 del 2014 ha illustrato le sanzioni irrogabili per gli illeciti di market abuse non già al fine di escludere che il ricorso innanzi alla Corte di Appello possa eliminare le conseguenze negative del provvedimento sanzionatorio della CONSOB, bensì al solo fine di dimostrare la natura penale delle sanzioni comminabili ai sensi degli articoli 187-ter e 187-quater del TUF; B) la Corte, nell’affermare che la Corte di Appello è un «organo dotato di piena giurisdizione», ha tenuto conto anche dei poteri ad essa attribuiti – tra i quali particolare rilievo assume in questa sede il potere di sospendere, in presenza di gravi motivi, il provvedimento sanzionatorio della CONSOB (cfr. art. 187-septies, comma 5, del TUF) – sicché la Corte stessa ha riconosciuto che le garanzie del giusto processo ben possono trovare piena attuazione in maniera “differita”, in sede di opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio.
25. Stante quanto precede, risulta evidente – a giudizio del Collegio – che: A) il ragionamento seguito dalla Corte EDU si ispira alla tesi, invocata dalla difesa della CONSOB, secondo la quale il procedimento amministrativo teso all’applicazione delle sanzioni per market abuse altro non sarebbe che una prima fase, affidata alla CONSOB, di un procedimento unitario, seguita da due successive fasi di natura giurisdizionale, rappresentate dal giudizio di opposizione e dal giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle quali la decisione amministrativa della CONSOB viene sottoposta al controllo di organi giurisdizionali, sicché per valutare se vi sia stata o meno una lesione del diritto al giusto processo si dovrebbe considerare il procedimento nel suo complesso e non le sue singole fasi; B) la Corte EDU, sulla base di tale ragionamento, da un lato, ha riconosciuto che lo Stato italiano ben può attribuire ad un’Autorità amministrativa come la CONSOB, priva delle caratteristiche di imparzialità e di indipendenza tipiche degli organi giurisdizionali, il potere di applicare sanzioni “penali” come quelle relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF e che l’applicazione di tali sanzioni può legittimamente avvenire in base a disposizioni procedurali diverse da quelle previste dal codice di procedura penale (§ 139 della sentenza); dall’altro, ha accertato che tale possibilità presuppone comunque che la decisione della CONSOB sia successivamente sottoposta al controllo di un «organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» – ossia di un organismo titolare del «potere di riformare qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione impugnata, resa dall’organo inferiore» e della «competenza per esaminare tutte le pertinenti questioni di fatto e di diritto che si pongono nella controversia di cui si trova investito» (§ 139 della sentenza) – e che la Corte di Appello, innanzi alla quale è possibile proporre ricorso in opposizione avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni di cui trattasi, ai sensi dell’art. 187-septies del TUF, è un «organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» (§ 151 della sentenza).
26. Le considerazioni sin qui svolte trovano conferma anche in altri passaggi della motivazione della sentenza n. 18640 del 2014, puntualmente richiamati dalla difesa della CONSOB nella memoria depositata in data 3 novembre 2014). Innanzi tutto particolarmente significativi risultano i passaggi della motivazione nei quali – a fronte della lamentata violazione del diritto sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 allegato alla Convenzione EDU (il quale dispone, al comma 1, che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”, e al comma 2 che “Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende” – la Corte: A) ribadisce che: «anche se il procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, … i ricorrenti hanno successivamente avuto accesso a un organo giudiziario di piena giurisdizione, ossia la corte di Appello di Torino, competente ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto inerenti all’esito della loro causa. Per di più, hanno potuto presentare ricorso per cassazione contro le sentenze della corte di Appello … disponendo in tal modo di un controllo supplementare di legalità» (§ 190 della sentenza); B) afferma che essa, in ragione di quanto precede, «non può concludere che i ricorrenti non hanno disposto di garanzie procedurali adeguate contro l’arbitrio o non hanno avuto la possibilità di contestare le misure che hanno leso il loro diritto al rispetto dei loro beni» (§ 191 della sentenza); C) conclude che, sebbene sia stata accertata la violazione dell’art. 6, comma 1, della Convenzione «per il fatto che le udienze dinanzi alla corte di Appello di Torino non sono state pubbliche», tuttavia, «questa circostanza non può, da sola, inficiare la legalità delle misure controverse o essere costitutiva di una inosservanza degli obblighi positivi derivanti per lo Stato dall’articolo 1 del Protocollo n. 1» (§ 192 della sentenza). Infatti da questi passaggi si trae la conferma del fatto che, sebbene la Corte abbia “constatato” molteplici punti di contrasto nel confronto tra la disciplina posta dal Regolamento del 2005 e quella posta dell’art. 6, comma 1, della Convenzione (§ 117, 118, 122 e 137 della sentenza) – tuttavia essa ha “contestato” allo Stato italiano soltanto il fatto che la Corte di Appello di Torino non abbia tenuto un’udienza pubblica (§ 161 della sentenza).
27. Altrettanto significativi risultano i passaggi della motivazione nei quali la Corte – chiamata a pronunciarsi sulle richieste risarcitorie, consistenti nella condanna alla «restituzione delle somme pagate alla CONSOB a titolo di sanzione pecuniaria (per un importo complessivo di 16.000.000 EUR), maggiorate degli interessi legali» e nella condanna al risarcimento del danno morale, derivante «dalla pubblicazione della loro condanna nel bollettino della CONSOB e dall’eco mediatica della loro vicenda» (§ 238 della sentenza) – decide come segue: A) pur avendo essa rilevato la violazione dell’art. 6, comma 1, della Convenzione «in quanto non vi è stata un’udienza pubblica dinanzi alla corte di Appello di Torino», e dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 «per il fatto che sono stati avviati nuovi procedimenti penali dopo la condanna definitiva dei ricorrenti», tuttavia nega il diritto alla restituzione delle somme pagate alla CONSOB a titolo di sanzione pecuniaria evidenziando, in particolare che le predette violazioni «non implicano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB fossero di per sé contrarie alla Convenzione o ai suoi Protocolli» (§ 240 della sentenza); B) accorda a ciascuno dei ricorrenti la somma di 10.000,00 euro, a titolo di «danno morale legato al fatto che non vi è stata una pubblica udienza dinanzi alla Corte di Appello di Torino e che sono stati avviati nuovi procedimenti penali a carico dei ricorrenti» (§ 241 della sentenza). Infatti anche da questi passaggi si trae la conferma del fatto che la Corte, pur avendo “constatato” molteplici punti di contrasto nel confronto tra la disciplina posta dal Regolamento del 2005 e quella posta dell’art. 6, comma 1, della Convenzione, tuttavia ha “contestato” allo Stato italiano solo il fatto che la Corte di Appello di Torino non abbia tenuto un’udienza pubblica (oltre alla violazione del principio del ne bis in idem, non rilevante ai fini della decisione della controversia in esame), non ritenendo comunque tale violazione tale da giustificare la restituzione delle somme pagate a titolo di sanzione pecuniaria perché le sanzioni inflitte dalla CONSOB non risultavano «di per sé contrarie alla Convenzione o ai suoi Protocolli» (§ 240 della sentenza).
28. A ciò si deve aggiungere che un’ulteriore, decisiva smentita della tesi dei ricorrenti – secondo la quale dalla sentenza n. 18640 del 2014 discenderebbe l’obbligo della CONSOB di provvedere sulla diffida del 18 luglio 2014 adeguando la disciplina posta dal Regolamento del 2005 a quella posta della Convenzione EDU – si ricava dal passaggio della sentenza nel quale la Corte «non ritiene necessario indicare misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per l’esecuzione della presente sentenza» (§ 235 della sentenza), così escludendo definitivamente la necessità di un intervento sulla disciplina delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF. Infatti – come puntualmente evidenziato dalla difesa della CONSOB nella memoria depositata in data 3 novembre 2014 – la Corte, se avesse realmente inteso contestare allo Stato italiano i molteplici punti di contrasto emersi nel confronto tra la disciplina posta dal Regolamento del 2005 e quella posta dell’art. 6, comma 1, della Convenzione, avrebbe senz’altro adottato la c.d. “procedura della sentenza pilota” prevista dall’art. 61 del Regolamento di procedura della Corte EDU laddove “i fatti all’origine di un ricorso presentato innanzi ad essa rivelano l’esistenza, nella Parte contraente interessata, di un problema strutturale o sistemico o di un altra disfunzione simile che ha dato luogo o potrebbe dare luogo alla presentazione di altri ricorsi analoghi”.
29. Stante quanto precede, il Collegio conclusivamente ritiene che non sussista affatto «l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza CEDU su menzionata», affermato dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4491 in data 2 ottobre 2014, perché da un’attenta lettura di tutti passaggi della motivazione dalla sentenza n. 18640 del 2014 si desume chiaramente che il sistema di irrogazione e impugnazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del TUF ha superato indenne lo scrutinio operato dalla Corte EDU. Pertanto il ricorso in esame deve essere respinto perché infondato.
30. In applicazione della regola della soccombenza le spese relative al presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 11054/2014, lo respinge perché infondato.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che si quantificano in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Elena Stanizzi, Consigliere
Carlo Polidori, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/11/2014
IL SEGRETARIO