È POSSIBILE SCEGLIERE DI NON AVVALERSI DELLA PENALE E CHIEDERE IL RISARCIMENTO SECONDO LE REGOLE ORDINARIE? UNA RECENTE PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE LO CONSENTE

Cass. civ, sez. II, ord., 25 ottobre 2023, n. 29610

 

La confinazione del danno nei limiti della clausola penale pattuita, ove non sia espressamente prevista la risarcibilità del danno ulteriore, si determina solo laddove la parte si sia avvalsa della clausola, e non già allorché abbia deciso di avvalersi del regime risarcitorio ordinario, sottoponendosi al relativo onere probatorio sull’an e sul quantum (e ai connessi rischi dipendenti dalle carenze probatorie sul punto).

Non ostano a questa conclusione ipotetiche ragioni di sistema.

La ricostruzione di siffatto apparato argomentativo si fonda sull’analogia tra la disciplina della clausola penale e quella della caparra confirmatoria, che prevede, appunto, all’art. 1385, comma 3, c.c., che – se la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto – il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.

Trattandosi – almeno sotto questo profilo – di istituti che perseguono uno scopo affine, la possibilità di avvalersi dell’ordinario risarcimento dei danni – soggiacendo ai relativi oneri probatori – non esige una specifica previsione anche per la clausola penale.

Risponde, infatti, ai principi dell’ordinamento giuridico consentire – a fronte di un regime speciale contemplato nel caso di pattuizione della clausola penale, con le relative agevolazioni probatorie – scegliere di avvalersi dei rimedi generali, con i connessi aggravi che ne discendono.

Pertanto, come la previsione circa la facoltà di invocare il regime ordinario della risoluzione, con la connessa domanda risarcitoria, ex art. 1385, comma 3, c.c., opera in alternativa all’azione speciale di recesso, alla stregua della confinazione del danno entro la cornice della contemplata caparra confirmatoria; così, allo stesso modo – per analogia di ratio -, la parte contrattuale danneggiata può invocare l’ordinario risarcimento dei danni in alternativa alla disciplina della clausola penale, quale previsione negoziale con funzione rafforzativa del vincolo contrattuale nonché con funzione di liquidazione convenzionale, preventiva e forfettaria della prestazione risarcitoria (che esige la prova del solo inadempimento imputabile), cui è tenuto il contraente inadempiente, ed altresì accessoria ad una ipotetica domanda di risoluzione o di adempimento.

 

 

Svolgimento del processo

1.- A.A. conveniva, davanti al Tribunale di Forlì, E.E., D.D., F.F., C.C. e B.B., chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare concluso tra le parti l'(Omissis) per inadempimento dei promissari acquirenti, con contestuale richiesta di condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni conseguenti alle condotte inadempienti perpetrate.

Si costituivano separatamente in giudizio D.D., E.E. e F.F., C.C. e B.B., i quali contestavano la fondatezza delle domande avversarie e ne chiedevano il rigetto. Spiegavano, altresì, reciproche domande di manleva per l’ipotesi di accoglimento delle domande di parte attrice.

Nel corso del giudizio l’attrice proponeva due distinte istanze cautelari ex art. 700 c.p.c. di rilascio dell’immobile oggetto del preliminare, che venivano disattese anche in sede di reclamo.

Erano inoltre assunte le prove orali ammesse ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio allo scopo di accertare i danni subiti dall’immobile.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 872/2012, depositata il 26 settembre 2012, accoglieva le domande proposte e, per l’effetto, pronunciava la risoluzione del preliminare dell'(Omissis) per inadempimento dei promissari acquirenti e condannava i convenuti, in solido, al rilascio dell’immobile nonchè al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 69.240,06, a titolo di risarcimento del danno, oltre rivalutazione monetaria e interessi, e all’ulteriore pagamento, sempre a titolo risarcitorio, degli interessi legali sulla somma di Euro 200.000,00, dal giugno 2004 fino alla pubblicazione della pronuncia; condannava, in ultimo, l’attrice alla restituzione ai convenuti delle somme ricevute a titolo di acconto e di caparra confirmatoria, per l’importo di Euro 55.646,00, oltre interessi legali.

2.- Con separati atti di citazione, E.E. e F.F. nonchè B.B. e C.C. proponevano appello avverso la sentenza di primo grado, lamentando l’erroneità della pronuncia impugnata con riferimento alla quantificazione dei danni e chiedendone la riduzione.

Si costituivano nei giudizi di impugnazione D.D. e A.A., la quale chiedeva che gli appelli fossero dichiarati inammissibili o rigettati.

Riuniti i giudizi e decidendo sui gravami interposti, la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva per quanto di ragione gli appelli spiegati e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado impugnata, condannava E.E., F.F., B.B., C.C. e D.D., in solido tra loro, al pagamento, in favore di A.A., della somma di Euro 15.000,00, a titolo di risarcimento danni, oltre rivalutazione ed interessi dal gennaio 2004 fino alla pubblicazione della pronuncia.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che le parti avevano concordato nel preliminare una clausola penale pura, con la quale avevano predeterminato l’ammontare del risarcimento in caso di inadempimento, non essendo stata riconosciuta la possibilità di risarcire un danno ulteriore; b) che nella fattispecie l’attrice non aveva richiesto l’applicazione della clausola penale di cui all’art. 15 del contratto, ma aveva agito per ottenere la risoluzione del preliminare e il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 1453 c.c.; c) che la domanda di risarcimento danni era distinta e diversa da quella relativa all’applicazione della clausola penale, richiesta, quest’ultima, autonoma anche rispetto alla domanda di risoluzione del contratto, sicchè il giudice non avrebbe potuto liquidare l’importo della penale a seguito dell’accertamento dell’inadempimento, dovendo limitarsi a statuire in ordine alle domande formulate dalle parti, sulla scorta della prova circa la sussistenza e l’ammontare del medesimo danno; d) che, tuttavia, non essendo possibile ignorare il contenuto negoziale in concreto, qualora il risarcimento del danno provato secondo i principi in materia di inadempimento contrattuale fosse risultato superiore alla somma pattuita dalle parti del contratto, si sarebbe dovuto limitare l’ammontare del danno al quantum stabilito come penale; e) che, nella specie, A.A. aveva provato di aver subito un danno pari alla somma di Euro 59.604,42, oltre rivalutazione e interessi da gennaio 2004 fino alla data di pubblicazione della sentenza, ma ciononostante il risarcimento del danno doveva essere limitato e contenuto entro la soglia di Euro 15.000,00, somma corrispondente alla penale pattuita dalle parti.

3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, A.A..

Gli intimati B.B. e C.C. hanno resistito con controricorso.

Sono rimasti intimati D.D., E.E. e F.F..

4.- La ricorrente e i controricorrenti hanno presentato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in rapporto all’art. 1382 c.c., in ordine al vizio di ultra-petizione, per avere la Corte di merito erroneamente e contraddittoriamente applicato la clausola penale contrattuale in assenza di domande in tal senso, avendo l’attrice agito per la risoluzione e il risarcimento dei danni, secondo i principi generali ex artt. 1453 e ss. c.c. Al riguardo, obietta l’istante che il giudice d’appello avrebbe contraddittoriamente ritenuto che, in presenza di una domanda di risoluzione e di una correlata domanda risarcitoria, il nocumento dovesse essere dimostrato nell’an e nel quantum, per poi affermare che dovesse essere applicata rigidamente la penale contrattuale al fine di contenere la quantificazione del risarcimento entro l’ammontare della penale stessa.

Sicchè – continua la ricorrente -, a fronte della prospettata dimostrazione di un danno in conto capitale per complessivi Euro 59.604,42, indebitamente il risarcimento sarebbe stato limitato entro la soglia della penale, pari ad Euro 15.000,00, applicandosi così la penale, di cui, in principio, era stata esclusa l’applicabilità.

E ciò ledendo i fondamentali principi della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

1.1.- Il motivo è fondato.

Infatti, la richiesta di applicazione di una clausola penale contrattualmente prevista per il caso di inadempimento – richiesta senza la quale il giudice che pronunzi la risoluzione del contratto non può statuire sull’applicazione della clausola – non può considerarsi implicitamente contenuta nella domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ovvero in quella di risarcimento del danno, stante l’indipendenza di tali domande da quella di pagamento della penale, la quale si configura come autonoma sia rispetto all’inadempimento, potendo trovare applicazione tanto in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto quanto in quella in cui venga proposta domanda di esecuzione coatta dello stesso, sia rispetto al danno, atteso che la penale può essere prevista anche in assenza di un concreto pregiudizio economico (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19272 del 12/09/2014; Sez. 2, Sentenza n. 10741 del 24/04/2008; Sez. 2, Sentenza n. 21587 del 15/10/2007; Sez. 2, Sentenza n. 771 del 25/01/1997).

E ciò sempre che la limitazione convenzionale nella liquidazione del danno, in ragione della pattuizione di una penale, non sia tempestivamente (recte sin da giudizio di prime cure) invocata in via di eccezione (in senso stretto) dal convenuto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19272 del 12/09/2014; Sez. 2, Sentenza n. 303 del 16/01/1996).

Sicchè, ove sia proposta domanda di risoluzione del contratto, con richiesta di condanna della parte inadempiente al risarcimento dei danni, come nella fattispecie – per un verso – costituisce domanda autonoma quella formulata nel corso del giudizio di primo grado e volta all’applicazione della clausola penale, senza che il convenuto abbia chiesto il contenimento del danno entro la soglia della penale, e – per altro verso – non opera la limitazione quantitativa della penale prevista in contratto, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, che non dovrà dunque sottostare al tetto della penale contemplata dalle parti.

Il risarcimento, in questi casi, spetterà a condizione che la parte istante abbia fornito la prova dell’an e del quantum di tale danno, con la conseguenza che, in difetto della dimostrazione dell’integrazione del pregiudizio quale effetto dell’inadempimento, la tutela riparatoria non sarà affatto apprestata. Mentre, allorchè sia fornita la prova dell’esistenza del nocumento, la liquidazione dovrà essere riconosciuta nei limiti in cui sia raggiunta la dimostrazione della sua effettiva entità.

Ne discende che, qualora sia data una dimostrazione del quantum del danno che superi il tetto della clausola penale, il risarcimento dovrà essere riconosciuto in corrispondenza della prova offerta, e non già entro la soglia della penale.

Se così non fosse, non avrebbe a priori senso per la parte optare per la prova – alla stregua delle regole ordinarie – del danno risarcibile, che evidentemente assume una concreta valenza e una pratica utilità solo allorchè la parte ritenga di poter dimostrare un pregiudizio superiore all’importo della penale, assumendosi però il rischio che, in carenza di prova, nulla sia attribuito o che la prova offerta del quantum consenta solo una liquidazione inferiore all’importo della penale.

1.2.- Non ostano a questa conclusione ipotetiche ragioni di sistema.

Evidentemente la ricostruzione di siffatto apparato argomentativo si fonda sull’analogia tra la disciplina della clausola penale e quella della caparra confirmatoria, che prevede, appunto, all’art. 1385, comma 3, c.c., che – se la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto – il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.

Trattandosi – almeno sotto questo profilo – di istituti che perseguono uno scopo affine, la possibilità di avvalersi dell’ordinario risarcimento dei danni – soggiacendo ai relativi oneri probatori – non esige una specifica previsione anche per la clausola penale.

Risponde, infatti, ai principi dell’ordinamento giuridico consentire – a fronte di un regime speciale contemplato nel caso di pattuizione della clausola penale, con le relative agevolazioni probatorie – scegliere di avvalersi dei rimedi generali, con i connessi aggravi che ne discendono.

Pertanto, come la previsione circa la facoltà di invocare il regime ordinario della risoluzione, con la connessa domanda risarcitoria, ex art. 1385, comma 3, c.c., opera in alternativa all’azione speciale di recesso, alla stregua della confinazione del danno entro la cornice della contemplata caparra confirmatoria; così, allo stesso modo – per analogia di ratio -, la parte contrattuale danneggiata può invocare l’ordinario risarcimento dei danni in alternativa alla disciplina della clausola penale, quale previsione negoziale con funzione rafforzativa del vincolo contrattuale nonchè con funzione di liquidazione convenzionale, preventiva e forfettaria della prestazione risarcitoria (che esige la prova del solo inadempimento imputabile), cui è tenuto il contraente inadempiente, ed altresì accessoria ad una ipotetica domanda di risoluzione o di adempimento (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21398 del 26/07/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 16561 del 05/07/2017; Sez. 1, Sentenza n. 19358 del 22/09/2011; Sez. 3, Sentenza n. 1183 del 19/01/2007; Sez. 3, Sentenza n. 11356 del 16/05/2006; Sez. 2, Sentenza n. 4779 del 04/03/2005; Sez. 2, Sentenza n. 591 del 13/01/2005; Sez. 2, Sentenza n. 6927 del 21/05/2001; Sez. 3, Sentenza n. 1720 del 25/06/1963).

Contrariamente alla tesi di una parte della dottrina, dunque, l’avente diritto può rinunciare ad avvalersi della penale ed agire in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno secondo le regole ordinarie e per la sua entità effettiva, così come è espressamente previsto in tema di caparra confirmatoria.

Siffatta ipotesi di abdicazione non si pone in contrasto con la previsione normativa, secondo cui la clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa, senza che sia contemplata sul punto alcuna deroga.

E tanto perchè la relativa limitazione quantitativa opera solo allorchè la parte decida di avvalersi della clausola, ossia del rimedio speciale, che implica l’esonero dalla prova del danno.

Nè aderendo a tale ricostruzione viene meno la ratio della stabilita clausola penale pura, ossia della predefinita delimitazione del danno entro il tetto della quantificazione fissata, senza la possibilità di chiedere un danno ulteriore.

Ora, in linea astratta, le parti possono espressamente convenire la risarcibilità del danno ulteriore; in tal caso spetterà all’avente diritto la somma ulteriore dovuta, risultante dalla detrazione dall’ammontare complessivo del danno dell’importo della penale, e il richiedente sarà onerato della prova dell’ammontare dell’intero danno (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21398 del 26/07/2021; Sez. 1, Sentenza n. 12956 del 22/06/2016; Sez. 2, Sentenza n. 15371 del 22/07/2005; Sez. 2, Sentenza n. 6356 del 13/07/1996).

Tuttavia, rispetto ad una clausola penale onnicomprensiva, che non stabilisca appunto il risarcimento del danno ulteriore, il danno deve comunque rimanere contenuto entro il tetto fissato, nel rispetto della volontà negoziale espressa.

Con l’effetto che il risarcimento del danno ulteriore è ammissibile solo se espressamente pattuito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12013 del 03/12/1993; Sez. 2, Sentenza n. 7603 del 09/07/1991; Sez. 1, Sentenza n. 2020 del 04/06/1976).

Tuttavia, questa confinazione del danno nei limiti della clausola penale pattuita, ove non sia espressamente prevista la risarcibilità del danno ulteriore, si determina solo laddove la parte si sia avvalsa della clausola, e non già allorchè abbia deciso di avvalersi del regime risarcitorio ordinario, sottoponendosi al relativo onere probatorio sull’an e sul quantum (e ai connessi rischi dipendenti dalle carenze probatorie sul punto).

1.3.- Nella fattispecie, risultano dunque violati tali precetti, nella parte in cui il giudice del gravame, dopo avere rilevato che il danno dimostrato dalla promittente alienante, a fondamento della domanda risarcitoria ordinaria proposta unitamente alla domanda di risoluzione del preliminare, ammontava a complessivi Euro 59.604,42, ne ha riconosciuto la spettanza nei limiti dell’importo della penale, pari ad Euro 15.000,00.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 1229 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente applicato una penale esigua, sproporzionata e perciò nulla, in quanto volta a limitare, in via preventiva, la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.

E ciò – ad avviso dell’istante – rispetto alle conseguenze pregiudizievoli di una condotta pluriennale di occupazione abusiva sine titulo dell’immobile oggetto di causa, connotata non solo da colpa grave, ma addirittura da dolo e da inusitata malafede.

Sostiene, sul punto, la ricorrente che – a fronte della previsione di una clausola penale nella misura di appena Euro 15.000,00 – l’immobile oggetto del preliminare aveva un valore stimato di Euro 255.646,00, rispetto al quale, al momento della consegna delle chiavi, spettava un saldo pari ad Euro 200.000,00.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 1325, n. 1, c.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente incluso nell’ambito applicativo della penale contrattuale danni non derivanti dall’inosservanza di clausole del preliminare stipulato tra le parti l'(Omissis).

Osserva, in proposito, l’istante che sarebbero state incluse nella penale voci di danno palesemente non rientranti nell’ipotesi delineata dalle parti, derivanti da condotte illegittime poste in essere dai promissari acquirenti successive ed ulteriori rispetto all’integrazione dell’acclarato inadempimento del preliminare e non conseguenti, in via diretta, all’inadempimento delle specifiche obbligazioni contemplate dalle clausole del preliminare (relative al pagamento del prezzo e al consenso da prestare per la stipula del definitivo), quali Euro 50.000,00 a titolo di illegittima occupazione ed Euro 7.604,42 a titolo di opere di ripristino dovute al deterioramento per mancata manutenzione dell’immobile nel frattempo detenuto dai promissari acquirenti, condotte peraltro improntate a inusitata e gratuita malafede e slealtà, avendo i promissari acquirenti continuato pervicacemente a conservare la disponibilità dell’immobile per oltre (Omissis), senza mai restituirlo spontaneamente, se non a seguito dell’esecuzione forzata posta in essere nell’anno 2013.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione degli artt. 13821223 e 1225 c.c., per avere la Corte del gravame erroneamente ricompreso, nell’ambito applicativo della penale contrattuale, danni non prevedibili ex ante e non costituenti conseguenza immediata e diretta dell’inosservanza delle clausole del preliminare dell'(Omissis), appunto in relazione alle voci di danno già richiamate nel motivo precedente.

5.- Con il quinto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1382 e 1385 c.c., per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di applicare la disciplina relativa alla caparra confirmatoria, cui era stata ancorata la previsione della penale di cui al punto 15 del preliminare.

Cosicchè, ad avviso dell’istante, non sarebbero state prese in considerazione le conseguenze derivanti da tale applicazione, in ordine alla facoltà della parte non inadempiente di richiedere il risarcimento dei danni in base alle norme generali di cui agli artt. 1453 e ss. c.c. All’uopo, evidenzia la ricorrente che la penale era stata indissolubilmente legata e ancorata alla misura e alla disciplina della caparra confirmatoria di cui al superiore punto 11 del medesimo preliminare, sicchè avrebbe dovuto trovare applicazione la previsione di cui all’art. 1385, comma 3, c.c., e segnatamente avrebbe dovuto essere ammessa la possibilità di optare per la risoluzione del contratto, richiedendo il risarcimento del danno in forza delle norme generali.

6.- I motivi dal secondo al quinto sono assorbiti dall’accoglimento del primo, poichè la decisione su dette ulteriori censure diviene all’esito superflua, per sopravvenuto difetto di interesse.

7.- In conseguenza delle considerazioni esposte, il primo motivo del ricorso deve essere accolto mentre gli ulteriori motivi restano assorbiti.

La sentenza impugnata va dunque cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione:

“Ove sia proposta domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, con contestuale richiesta di condanna della parte inadempiente al risarcimento dei danni, il risarcimento è subordinato alla prova dell’an e del quantum dei danni, non operando conseguentemente la limitazione quantitativa di cui alla clausola penale prevista in contratto, di cui la parte non inadempiente non si sia avvalsa, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria”.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.