Cass. penale, Sez. I, 2 ottobre 2023, n. 39836
Nel caso di soggetto associato che realizzi (anche in concorso) una estorsione si è ritenuto, in generale, che le due aggravanti (utilizzo del metodo e pregressa appartenenza del soggetto alla associazione) siano in un rapporto di possibile coesistenza: in tema di estorsione, la circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, può concorrere con quella di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3, richiamata dall’art. 629 c.p., comma 2, essendo le stesse ancorate a presupposti fattuali differenti: la prima, infatti, presuppone l’accertamento che la condotta di reato sia stata commessa con modalità di tipo mafioso, pur non essendo necessario che l’agente appartenga al sodalizio criminale, mentre la seconda si riferisce alla provenienza della violenza o minaccia da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza la necessità di accertare in concreto le modalità di esercizio di tali violenza o minaccia nè che esse siano attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alla associazione mafiosa.
Il rapporto tra le due disposizioni di legge non va pertanto impostato – in assoluto – nel senso della specialità o dell’assorbimento, ma ciò non toglie che in concreto possano esservi casi in cui – in rapporto alle specifiche modalità di realizzazione del fatto – sia riconoscibile la sussistenza di una piuttosto che dell’altra circostanza aggravante.
Ed invero, va rilevato che nel caso della minaccia “silente”, in cui rientra il fatto storico in esame, ad essere rilevante è esclusivamente il dato della appartenenza del soggetto – che realizza la minaccia – alla consorteria mafiosa, posto che la capacità intimidatoria è correlata alla sola appartenenza.
Se ciò consente, come si è detto, l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3, altrettanto non può dirsi per l’avvenuto utilizzo del metodo mafioso (art. 416 bis.1 c.p.) che richiede una ulteriore esternazione funzionale alla semplificazione delle modalità commissive del reato.
Dunque nel particolare caso della “minaccia silente” la applicazione dell’aggravante specifica di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 esclude la contemporanea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1. c.p.
Cass. penale 2 ottobre 2023, n. 39836