SUI RAPPORTI TRA INTERDITTIVA ANTIMAFIA E CONTROLLO GIUDIZIARIO A RICHIESTA: LA CASSAZIONE PENALE NON SI COORDINA CON L’ADUNANZA PLENARIA

Cass. pen., Sez. I, 8 maggio 2023, n. 19154 – Pres. Casa, Rel. Cappuccio

Le imprese destinatarie di informazione interdittiva antimafia, che abbiano proposto avverso tale provvedimento impugnazione avanti al giudice amministrativo, possono adire il giudice della prevenzione al fine di essere ammesse al controllo giudiziario, con la nomina di un amministratore giudiziario. A fronte di tale istanza, il giudice della prevenzione è dunque tenuto a vagliare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di tale misura di prevenzione, verificando l’occasionalità del pericolo di infiltrazione mafiosa, nonché la possibilità di risanamento dell’impresa.

L’accoglimento dell’istanza determina un duplice effetto: da un lato sospende l’interdittiva prefettizia e le preclusioni che essa determina; dall’altro, però, apre una fase di monitoraggio dell’azienda da parte di un commissario giudiziario, il quale verifica il corretto adempimento di specifici obblighi imposti dall’autorità giudiziaria che, in caso di inottemperanza, può disporre l’applicazione di una misura più gravosa.

Il controllo giudiziario a richiesta della parte privata rappresenta, quindi, una vera e propria misura di prevenzione, dotata di una sua intrinseca efficacia preventiva e coerentemente connessa alla vicenda del provvedimento interdittivo prefettizio

La sospensione degli effetti dell’interdittiva prefettizia è provvisoria, essendo destinata a durare per il tempo della pendenza del giudizio amministrativo instaurato contro di essa al fine di dare all’impresa la possibilità di svincolarsi dall’infiltrazione mafiosa. E infatti, la finalità del controllo giudiziario è quella di promuovere la “bonifica” delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, di consentire il risanamento e il recupero alla libera concorrenza delle realtà economiche che non siano totalmente compromesse da infiltrazioni mafiose divenute strutturali, attraverso quella che è stata definita una “moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose”.

La definitività del provvedimento prefettizio derivante dal rigetto dell’impugnazione da parte del giudice amministrativo non determina, tuttavia, la stabilità ed intangibilità dell’interdizione, precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione. L’informativa antimafia ha; infatti, una validità limitata di dodici mesi, decorsi i quali occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con precipuo riferimento all’attualità, in guisa da prevenire minacce reali e presenti e non pericoli ipotetici o pregressi.

Il decorso del termine annuale lungi dal produrre, ex se, la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, fa insorgere l’obbligo per l’Autorità prefettizia di procedere al riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distillato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva. Per questa via si soddisfa l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla, piuttosto, alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario.

Il provvedimento emesso a seguito dell’istanza di revisione o, comunque, di rinnovata valutazione, che perviene alla conferma dell’informazione interdittiva antimafia può essere, ovviamente, impugnato dall’interessato davanti al competente giudice amministrativo. Si deve, tuttavia, escludere, che l’instaurazione di un procedimento giurisdizionale volto all’annullamento della decisione reiettiva della richiesta di revisione dell’informazione interdittiva antimafia ovvero, comunque, confermativa dell’originario provvedimento prefettizio possa essere considerata, in funzione dell’attivazione del meccanismo descritto dal D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 34-bis, comma 6, equipollente alla proposizione del ricorso avverso la prima decisione dell’autorità amministrativa.

Se, in un caso, infatti, si è al cospetto di un provvedimento amministrativo che, pur valido ed efficace, non ha ancora ricevuto il definitivo avallo a livello giurisdizionale e non ha, pertanto, acquisito carattere di irrevocabilità, nell’altro si dibatte, invece, della legittimità di una decisione che, prendendo spunto dalla sussistenza, accertata con la forza del giudicato, delle condizioni per emettere l’informazione interdittiva antimafia, ne ha attestato la persistenza per non essere, medio tempore, intervenute circostanze di pregnanza tale da ribaltare il giudizio in precedenza formulato.

Solo nella prima ipotesi, in assenza di un accertamento giurisdizionale definitivo, il legislatore ha ritenuto di tutelare l’interesse dell’impresa o della società consentendole di chiedere l’ammissione – da disporsi, ovviamente, a seguito del positivo riscontro dei presupposti normativamente previsti – alla forma di controllo giudiziario prevista dall’art. 34-bis, comma 2, lett. b), per il solo tempo necessario a completare l’iter di verifica giurisdizionale della legittimità dell’informazione antimafia interdittiva.

L’opposta tesi condurrebbe a risultati irrazionali se non addirittura paradossali.

Posto, invero, che il sistema vigente, per come congegnato, non contempla limiti, quantitativi nè cronologici, alla facoltà del destinatario dell’informazione interdittiva di sollecitarne la revisione, l’invocata equiparazione dell’impugnazione del conseguente provvedimento di rigetto a quella della primigenia informazione autorizzerebbe, in ipotesi, l’interessato a reiterare, potenzialmente all’infinito, istanze di revisione, ricorsi al giudice amministrativo contro i negativi pronunciamenti dell’autorità prefettizia e, infine, richieste di ammissione al controllo giudiziario, così innescando un circolo vizioso che, è facile notare, appare del tutto disfunzionale rispetto alle esigenze della cui salvaguardia il legislatore si è preoccupato.

 

 

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21 gennaio 2022, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Co.Ge.Ma. Srl avverso il provvedimento con cui il Tribunale della stessa città ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza presentata dalla società ai sensi del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 34-bis, comma 6, finalizzata all’ammissione al controllo giudiziario.

La Corte calabrese ha mutuato le conclusioni raggiunte dal primo giudice, il quale aveva esposto, in fatto, che:

la Co.Ge.Ma. Srl è stata raggiunta da informazione interdittiva antimafia, disposta dal Prefetto di (Omissis) il 6 giugno 2016, avverso la quale ha instaurato, innanzi al competente giudice amministrativo, un procedimento contenzioso conclusosi sfavorevolmente, avendo sia il T.A.R. che il Consiglio di Stato sancito l’infondatezza dell’impugnazione e la legittimità del provvedimento prefettizio, che ha quindi acquisito, il 20 dicembre 2017, il crisma dell’irrevocabilità;

che il 16 aprile 2018 la Co.Ge.Ma. Srl si è rivolta al Prefetto di (Omissis) per chiedere la revisione dell’informativa ai sensi del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 91, comma 5, in ragione del sopravvenuto venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa;

che il Prefetto di (Omissis), il 13 marzo 2019, ha disatteso l’istanza in considerazione dell’insussistenza di elementi idonei a contraddire il pregresso accertamento;

che la Co.Ge.Ma. Srl ha nuovamente adito il T.A.R., contestando la legittimità della decisione prefettizia, e, subito dopo, chiesto l’ammissione al controllo giudiziario ex D.Lgs. n. 6 settembre 2011, art. 34-bis, comma 6.

In diritto, Tribunale e Corte di appello hanno concordemente ritenuto che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 34-bis, comma 6, -che prevede, in esordio, che “Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo” – si applichi, in via esclusiva, all’ipotesi di impugnazione dell’originaria informazione interdittiva, non avente ancora acquisito piena stabilità, e non anche a quella in cui, dopo la formazione del giudicato su detto provvedimento, sia stato instaurato un procedimento inteso alla sua revisione, suggellato da una decisione negativa, a sua volta impugnata innanzi al giudice amministrativo dall’impresa coinvolta.

2. La Co.Ge.Ma. Srl propone, con il ministero dell’avv. Giovanni Vecchio, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere la Corte di appello offerto un’errata interpretazione del quadro normativo di riferimento.

Rileva, in particolare, che il D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 86, circoscrive a dodici mesi, a partire dalla data dell’acquisizione, la validità dell’informazione interdittiva antimafia, misura che, per sua natura, ha carattere temporaneo e precario, come, del resto, a chiare lettere precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2020 e, successivamente, dalla giurisprudenza amministrativa.

Osserva, di conseguenza, che “una volta decorso il termine annuale previsto dalla legge, pur non verificandosi alcuna caducazione automatica, l’Amministrazione prefettizia, ove (come nel caso in esame) vi sia un impulso del soggetto gravato dalla misura afflittiva, ha il dovere di valutare la sussistenza dei presupposti per la revoca del regime interdittivo”.

Considerato, allora, che il Prefetto di (Omissis) ha emesso, a seguito della presentazione dell’istanza di revisione e dello svolgimento di cospicua attività istruttoria, un autonomo provvedimento interdittivo, la cui incidenza sulla sfera giuridica del destinatario prescinde da quello originario, non vi è ragione, opina il ricorrente, per escludere l’ammissibilità di una nuova ed ulteriore richiesta di ammissione al controllo giudiziario, che la legge condiziona alla sola pendenza di un giudizio amministrativo sull’informazione interdittiva antimafia, ivi compresa quella confermativa di precedenti provvedimenti di analogo tenore.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.

2. Il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende, introdotto dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161, rientra nel novero delle misure di prevenzione previste dal D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159.

In particolare, nell’ambito del sistema approntato dal legislatore allo scopo di promuovere il recupero delle imprese che siano state interessate da infiltrazioni ad opera delle organizzazioni criminali, costituisce una misura meno invasiva rispetto a sequestro e confisca, in quanto la sua applicazione, lungi dal produrre un effetto di radicale “spossessamento”, si impernia sulla c.d. “vigilanza prescrittiva”, eventualmente garantita dall’intervento da un amministratore esterno, nominato dall’autorità giudiziaria, al quale viene affidato il compito di verificare, dall’interno dell’azienda, l’adempimento di determinati obblighi di compliance.

Il controllo giudiziario opera nei casi di emersione di circostanze di fatto da cui si desuma il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare l’attività d’impresa, e presuppone che l’agevolazione rispetto a soggetti e condotte in senso lato mafioso o criminale sia solo occasionale.

Tale misura ha un duplice contenuto, che può comprendere la mera imposizione di oneri comunicativi nei confronti dell’autorità giudiziaria (art. 34-bis, comma 2, lett. a), e, se del caso, la nomina di un amministratore giudiziario, tenuto a riferire al giudice, con cadenza almeno bimestrale, l’esito del controllo (art. 34-bis, comma 2, lett. b).

3. Il comma 6 dell’art. 34-bis prevede, poi, che il controllo giudiziario può essere disposto anche su iniziativa della parte privata che risulti destinataria di una informazione interdittiva antimafia.

Per effetto di tale provvedimento – emesso dal Prefetto, ai sensi dell’art. 84, comma 4, sul presupposto dell’accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società o dell’impresa – è, tra l’altro, preclusa all’impresa la possibilità di stipulare contratti con la Pubblica amministrazione e di ottenere il rilascio di autorizzazioni e concessioni.

L’interdittiva antimafia determina, dunque, una particolare forma di incapacità giuridica ex lege, limitata ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione specificamente indicati dalla legge e prevista a tutela del valore, costituzionalmente garantito, della libertà di impresa e del principio di legalità sostanziale.

Come sopra anticipato, le imprese destinatarie di informazione interdittiva antimafia, che abbiano proposto avverso tale provvedimento impugnazione avanti al giudice amministrativo, possono adire il giudice della prevenzione al fine di essere ammesse al controllo giudiziario, con la nomina di un amministratore giudiziario.

A fronte di tale istanza, il giudice della prevenzione è dunque tenuto a vagliare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di tale misura di prevenzione, verificando l’occasionalità del pericolo di infiltrazione mafiosa, nonchè la possibilità di risanamento dell’impresa (Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, Rv. 280906 – 01; Sez. 6, n. 30168 del 07/07/2021, Rv. 281834 – 01; Sez. 2, n. 22083 del 20/05/2021, Imprecoge Srl , Rv. 281450 01).

L’accoglimento dell’istanza determina un duplice effetto: da un lato sospende l’interdittiva prefettizia e le preclusioni che essa determina; dall’altro, però, apre una fase di monitoraggio dell’azienda da parte di un commissario giudiziario, il quale verifica il corretto adempimento di specifici obblighi imposti dall’autorità giudiziaria che, in caso di inottemperanza, può disporre l’applicazione di una misura più gravosa.

Il controllo giudiziario a richiesta della parte privata rappresenta, quindi, una vera e propria misura di prevenzione, dotata di una sua intrinseca efficacia preventiva e coerentemente connessa alla vicenda del provvedimento interdittivo prefettizio (Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, dep. 2021, Senesi Spa , Rv. 280341 01).

La sospensione degli effetti dell’interdittiva prefettizia è prisoria, essendo destinata a durare per il tempo della pendenza del giudizio amministrativo instaurato contro di essa al fine di dare all’impresa la possibilità di svincolarsi dall’infiltrazione mafiosa. E infatti, la finalità del controllo giudiziario è quella di promuovere la “bonifica” delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, di consentire il risanamento e il recupero alla libera concorrenza delle realtà economiche che non siano totalmente compromesse da infiltrazioni mafiose divenute strutturali, attraverso quella che è stata definita una “moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose” (Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, Rv. 280906 – 01 in motivazione).

In quest’ottica, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, il controllo del giudice della prevenzione ai fini della applicazione della misura, se deve muovere necessariamente dalla valutazione del grado dell’infiltrazione mafiosa, al fine di verificarne l’occasionalità, deve altresì appuntarsi specificamente “sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata”.

Si tratta di un controllo di tipo prognostico, il quale non deve limitarsi “a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta” (Sez. U., n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156).

4. La definitività del provvedimento prefettizio derivante dal rigetto dell’impugnazione da parte del giudice amministrativo non determina, tuttavia, la stabilità ed intangibilità dell’interdizione, precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione.

In questo senso depongono le univoche indicazioni fornite dalla Corte costituzionale che, nel confermare – a dispetto dei dubbi avanzati dal giudice remittente, incentrati sulla ammissibilità di un istituto che affida all’autorità amministrativa il compito di emettere un provvedimento fortemente incidente sulla libertà di impresa – la compatibilità costituzionale dell’informazione interdittiva antimafia, ha avuto cura di precisare che nella “valutazione complessiva dell’istituto un ruolo particolarmente rilevante assume il carattere provvisorio della misura”.

Il giudice delle leggi ha inquadrato in quest’ottica la disposizione del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 86, comma 2, secondo il quale l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, cosicchè alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva, con l’effetto, in caso di conclusione positiva, della reiscrizione nell’albo delle imprese artigiane, nella specie, e, in generale, del recupero dell’impresa al mercato, per poi sottolineare, al riguardo, “la necessità di un’applicazione puntuale e sostanziale della norma, per scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile”.

5. Il decorso del lasso temporale indicato dall’art. 86, comma 2, rileva, quindi, perchè propedeutico alla rinnovata valutazione della sussistenza delle condizioni per il mantenimento degli effetti interdittivi.

Specularmente, l’art. 91, comma 5, del medesimo plesso normativo dispone che “Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.

E’, d’altro canto, pacifico – come, peraltro, ammesso dal ricorrente a pag. 4 del libello introduttivo del presente giudizio -, che, nelle more della verifica circa la persistenza dei presupposti dell’informazione interdittiva antimafia, il provvedimento continua ad essere efficace, non determinandosi, per la scadenza del termine indicato dall’art. 86, comma 2, la sua caducazione automatica.

A quest’ultimo proposito, utili si rivelano le indicazioni che si traggono dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sezione Terza, 13 dicembre 2021, n. 8309) che, nell’interpretare il disposto del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 86, comma 2, con specifico riferimento agli effetti ed alle conseguenze che derivano dal decorso del termine annuale ivi stabilito, ha, tra l’altro, ribadito che “…il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011art. 91, comma 5, non dipende dal mero trascorrere del tempo in sè, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica, in quanto ne controbilanciano, smentiscono e superano la forza indiziante…”, dovendosi, in ogni caso, tener conto (…) della oggettiva necessità che (…) la Prefettura provveda ad una rivalutazione aggiornata del quadro istruttorio, sul presupposto che questo non può conservare piena e immutata concludenza oltre detto limite temporale…”.

Tale indicazione appare coerente con quella promanante dalla Corte costituzionale, perchè esalta il carattere temporaneo o provvisorio della valutazione prefettizia e della connessa misura antimafia e segnala la necessità di assicurare che essa “agganciata com’è al rischio (e non già all’infiltrazione), non rimanga cristallizzata in aeternum, ma sia funzionale a prevenire e reindirizzare l’impresa verso schemi pienamente leciti e lealmente concorrenziali, nell’interesse dell’imprenditore a riprendere le redini dell’impresa e di quello, generale, a restituire al mercato una risorsa sana e produttiva quanto mai preziosa”.

Il sistema viene, allora, ricostruito sul postulato che l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, decorsi i quali occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con precipuo riferimento all’attualità, in guisa da prevenire minacce reali e presenti e non pericoli ipotetici o pregressi.

Il decorso del termine annuale ex D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 86, comma 2, lungi dal produrre, ex se, la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, fa insorgere l’obbligo per l’Autorità prefettizia di procedere al riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distillato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva.

Per questa via – hanno osservato, in termini qui condivisi, i giudici amministrativi nella pronunzia sopra menzionata – si soddisfa l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla, piuttosto, alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario.

Ne discende, si legge, ancora, nella menzionata decisione, che “… al decorso del suddetto termine annuale (…) può essere attribuito l’effetto di (…) legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire recta via alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso…”, sicchè “…la “validità” a termine dell’informativa antimafia (…) può essere correttamente riferita alla prognosi interdittiva (…) la cui intangibilità resta circoscritta al suindicato orizzonte temporale, con la conseguente esigenza del suo aggiornamento laddove si siano verificate circostanze meritevoli di considerazione ai fini della verifica della sua persistente attualità, ferma restando l’efficacia, nelle more e fino alla sua formale revoca, del provvedimento interdittivo e del connesso regime inibitorio…”.

6. Il provvedimento emesso a seguito dell’istanza di revisione o, comunque, di rinnovata valutazione, che perviene alla conferma dell’informazione interdittiva antimafia può essere, ovviamente, impugnato dall’interessato davanti al competente giudice amministrativo.

La proposizione dell’impugnazione conduce ad affrontare il tema controverso, che attiene alla assimilabilità di tale situazione, nella prospettiva dell’applicazione del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 34-bis, comma 6, a quella che si verifica in caso di instaurazione di un procedimento giurisdizionale inteso all’annullamento dell’originaria informazione interdittiva antimafia.

Il ricorrente propugna, al riguardo, la tesi dell’equiparazione delle diverse fattispecie.

In entrambi i casi, a suo modo di vedere, si sarebbe al cospetto di provvedimenti amministrativi con effetto interdittivo, che determinano una significativa restrizione all’esercizio della libertà di impresa, e che, pur validi ed efficaci, risultano impugnati davanti al giudice amministrativo e, dunque, suscettibili, in caso di accoglimento del ricorso della parte, di annullamento.

La distinzione imperniata sulla stabilità dell’originario accertamento è, in quest’ottica, superata mediante il riferimento al decorso del termine di dodici mesi previsto dal D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 86, comma 2, che, come sopra evidenziato, legittima e, anzi, impone un nuovo, attualizzato apprezzamento della sussistenza delle condizioni cui la legge subordina l’adozione ed il mantenimento del regime interdittivo.

In un caso e nell’altro, la proposizione dell’impugnazione avverso il provvedimento limitativo della sfera giuridica dell’operatore economico abiliterebbe quest’ultimo a rivolgersi al giudice della prevenzione in vista dell’ammissione, nella pendenza della controversia, al controllo giudiziario volontario.

7. Ritiene il Collegio che tale impostazione, quantunque recepita, nel recente passato, da una isolata pronunzia della Corte di legittimità (Sez. 1, n. 42646 del 15/06/2022, Derenzo, non massimata; nello stesso senso, sebbene implicitamente, cfr. anche Sez. 2, n. 5776 del 30/11/2022, dep. 2023, Si.Tel. Impianti Srl ), si riveli, a ben vedere, fallace, dovendosi escludere che l’instaurazione di un procedimento giurisdizionale volto all’annullamento della decisione reiettiva della richiesta di revisione dell’informazione interdittiva antimafia ovvero, comunque, confermativa dell’originario provvedimento prefettizio possa essere considerata, in funzione dell’attivazione del meccanismo descritto dal D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, art. 34-bis, comma 6, equipollente alla proposizione del ricorso avverso la prima decisione dell’autorità amministrativa.

7.1. In questa direzione milita, in primo luogo, l’interpretazione letterale dell’art. 34-bis, comma 6, che, nel prevedere che “Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo”, contiene un univoco riferimento ad un provvedimento che, in quanto relativo alla “informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 84, comma 4”, si identica, necessariamente – trattandosi di norma eccezionale e, in quanto tale, di stretta interpretazione – ed esclusivamente, in quello originario, diverso da quello adottati) in esito alla procedura di riesame ed aggiornamento, attivata d’ufficio o su impulso di parte, disciplinata dall’art. 91, comma 5, letto, in ossequio ai principi sopra delineati, in combinato disposto con l’art. 86, comma 2.

Posto, allora, che dal punto di vista concettuale, ontologico e formale, i due provvedimenti, al di là dell’identità dell’effetto che ne discende (la sottoposizione del destinatario all’interdizione), restano distinti e sono regolati da differenti fonti normative, l’assenza, all’art. 34-bis, comma 6, di riferimenti, sia pure impliciti e/o indiretti, alla decisione successiva al decorso del termine annuale previsto dall’art. 86, comma 2, e confermativa dell’interdizione, orienta nel senso dell’impossibilità di interpretare estensivamente, sulla base di una pretesa identità di ratio, l’ambito di applicazione dell’istituto.

7.2. La tesi sostenuta dal ricorrente trascura, d’altro canto, un’ulteriore – e, di per sè, decisiva – discrasia tra le situazioni che vengono in rilievo e che si pretende, ai fini considerati, di assimilare.

Se, in un caso, infatti, si è al cospetto di un provvedimento amministrativo che, pur valido ed efficace, non ha ancora ricevuto il definitivo avallo a livello giurisdizionale e non ha, pertanto, acquisito carattere di irrevocabilità, nell’altro si dibatte, invece, della legittimità di una decisione che, prendendo spunto dalla sussistenza, accertata con la forza del giudicato, delle condizioni per emettere l’informazione interdittiva antimafia, ne ha attestato la persistenza per non essere, medio tempore, intervenute circostanze di pregnanza tale da ribaltare il giudizio in precedenza formulato.

Nella prima ipotesi, in assenza di un accertamento giurisdizionale definitivo, il legislatore ha ritenuto di tutelare l’interesse dell’impresa o della società consentendole di chiedere l’ammissione – da disporsi, ovviamente, a seguito del positivo riscontro dei presupposti normativamente previsti – alla forma di controllo giudiziario prevista dall’art. 34-bis, comma 2, lett. b), per il solo tempo necessario a completare l’iter di verifica giurisdizionale della legittimità dell’informazione antimafia interdittiva.

Una situazione, questa, che, analizzata sotto il profilo della composizione degli opposti e concorrenti interessi – a prevenire e sterilizzare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel tessuto connettivo delle realtà imprenditoriali, da un canto; al libero e profittevole esercizio dell’attività d’impresa, dall’altro – si pone su un piano altro rispetto a quella che, a partire dalla certificata legittimità della decisione prefettizia, si caratterizza per la protratta efficacia dell’interdizione, accompagnata dalla verifica, al decorso dell’anno (da calcolarsi, peraltro, a partire dalla comunicazione e non dall’informazione), dell’insorgenza, meramente eventuale, di elementi di novità idonei a ribaltare l’esito di un giudizio che, si ribadisce, si è, ormai, cristallizzato, per non essere stata impugnata l’originaria informazione interdittiva antimafia ovvero, come nel caso di specie, per essere stata rigettata l’impugnazione proposta dal destinatario.

La comparazione restituisce, dunque, il convincimento che il soggetto che, già sottoposto a regime interdittivo, ne solleciti, al decorso del periodo annuale di validità e senza successo, la revisione e, poscia, adisca il giudice amministrativo invocando l’annullamento del provvedimento di rigetto sia portatore di una situazione giuridica assai più fievole di colui che, invece, contesti la conformità a diritto dell’originaria informazione interdittiva.

Coerente con il ravvisato distinguo è, dunque, l’esclusione di una categoria di destinatari dalla possibilità, garantita all’altra, di chiedere l’ammissione al controllo giudiziario c.d. “volontario”.

7.3. Che questa sia la più corretta esegesi del testo dell’art. 34-bis, comma 6, è, d’altro canto, confermato, a contrario, dal fatto che l’adesione alla ricostruzione suggerita dal ricorrente condurrebbe a risultati irrazionali se non addirittura paradossali.

Posto, invero, che il sistema vigente, per come congegnato, non contempla limiti, quantitativi nè cronologici, alla facoltà del destinatario dell’informazione interdittiva di sollecitarne la revisione, l’invocata equiparazione dell’impugnazione del conseguente provvedimento di rigetto a quella della primigenia informazione autorizzerebbe, in ipotesi, l’interessato a reiterare, potenzialmente all’infinito, istanze di revisione, ricorsi al giudice amministrativo contro i negativi pronunciamenti dell’autorità prefettizia e, infine, richieste di ammissione al controllo giudiziario, così innescando un circolo vizioso che, è facile notare, appare del tutto disfunzionale rispetto alle esigenze della cui salvaguardia il legislatore si è preoccupato.

Il precedente rilievo concorre, in definitiva, ad attestare la correttezza della decisione adottata dalla Corte di appello di Catanzaro – sindacabile in questa sede per sola violazione di legge (Sez. 5, n. 34856 del 06/11/2020, Biessemnne Srl , Rv. 279982 – 01) – e, per converso, l’infondatezza del ricorso proposto dalla Co.Ge.Ma. Srl .

8. Dal rigetto del ricorso discende la condanna della Co.Ge.Ma. Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2023