Cass. Civile, Sez. II, ordinanza 17 febbraio 2023, n. 5073
Non è condivisibile la tesi secondo cui la sanzione per il trust discrezionale che non abbia ancora consentito l’individuazione dei beneficiari (con la chiara evidenziazione di coloro che debbano subire l’azione di riduzione) sia quella del mancato riconoscimento del trust, per la sua nullità, stante il contrasto con le previsioni di cui alla L. n. 364 del 1989, che ha ratificato la convenzione de l’AJA del 1 luglio 1985. Deve al contrario affermarsi che il rimedio assicurato al legittimario che assuma essere stato leso dal trust e dai suoi atti di dotazione, resti quello del ricorso all’azione di riduzione.
In primo luogo, risulta eccessivo il ricorso alla sanzione di nullità rispetto alle esigenze di tutela del legittimario leso o pretermesso, essendo limitate e residuali le ipotesi in cui debba farsi ricorso alla nullità per la lesione dei diritti del riservatario (artt. 549 e 735 c.c.).
Inoltre, a differenza dell’azione di riduzione che in punto di legittimazione attiva ha natura personale, quella di nullità potrebbe essere proposta da chiunque vi abbia interesse (si pensi ai creditori del legittimario), sarebbe imprescrittibile (rendendo oltre modo dubbie la sistemazione e definizione dei rapporti successori), non senza considerare che la pronuncia di nullità travolgerebbe l’attribuzione patrimoniale nella sua interezza, e dunque non soltanto nei limiti necessari ad integrare la legittima (con il rischio di vanificare la volontà del disponente, anche oltre i limiti segnati dalle norme poste a tutela dei legittimari).
Quanto all’individuazione del legittimato passivo dell’azione di riduzione, nel caso in cui, specialmente al cospetto di cc.dd. trust discrezionali, il trustee non abbia ancora esercitato il proprio potere di individuazione dei beneficiari ovvero non abbia ancora esaurito le assegnazioni a questi riservate, non risulta accoglibile la tesi, pur prospettata in dottrina che, sia pure per evidenti ragioni di semplificazione, individua sempre nel trustee il destinatario dell’azione di riduzione, trattandosi peraltro, soprattutto laddove i beneficiari abbiano già ricevuto assegnazioni dal trustee, di conclusione che contrasta con il fatto che, sono i beneficiari a fruire dell’arricchimento scaturente dal complessivo ricorso al meccanismo del trust, e debbono quindi essere le disposizioni dai medesimi ricevute a dover essere rese inefficaci.
E’ viceversa un principio di ragionevolezza a dover ispirare l’interprete, adeguando la risposta alla mutevolezza delle vicende suscettibili di verificazione.
In particolare, se il trustee abbia già provveduto ad eseguire il programma del disponente, e ad esercitare, in caso di trust discrezionale, il proprio potere, allora l’azione di riduzione andrà rivolta nei confronti dei beneficiari.
Ove invece il trust sia ancora “in fase di esecuzione”, non essendosi esaurito il programma destinatorio, di talchè il trustee è ancora titolare del trust fund, al fine di ovviare alle difficoltà sopra evidenziate, appare ragionevole ammettere l’esercizio dell’azione di riduzione nei confronti dello stesso trustee (per alcuni in analogia con la soluzione suggerita per il caso in cui ad essere oggetto dell’azione di riduzione sia una disposizione fiduciaria, prima dell’adempimento del pactum fiduciae).
Ad opinare diversamente, ed a ritenere che comunque la legittimazione passiva sia del beneficiario, la soluzione de qua implicherebbe il coinvolgimento di un soggetto che non ha ancora ricevuto alcuna liberalità, sacrificando anche la finalità recuperatoria del bene oggetto del trust.
Deve quindi ritenersi che, ove alla morte del disponente il trust abbia avuto completa esecuzione, il legittimato passivo dell’eventuale azione di riduzione sarà il beneficiario finale, mentre in ipotesi di trust ancora “in esecuzione” l’azione andrà rivolta nei confronti del trustee.
Occorre però altresì reputarsi che sia del pari legittimato il beneficiario, anche in caso di trust non ancora completamente eseguito, nel caso in cui sia certa l’individuazione del beneficiario, perchè in ipotesi già operata dal disponente, essendo solo differito il momento della concreta attribuzione del vantaggio al beneficiario, atteso che in tal caso il legittimario leso potrà agire in riduzione aggredendo immediatamente le attribuzioni liberali delle quali è avvantaggiato il beneficiario, senza quindi dover attendere l’attivazione del trustee, la cui partecipazione al giudizio di riduzione sarebbe giustificata al fine di renderne al medesimo opponibile l’esito.
Resta invece ferma la legittimazione del trustee, oltre che nei cd. trust di scopo, nei quali manca una specifica individuazione dei beneficiari (si pensi ad un trust genericamente destinato a favore dei poveri di una città), nel caso di trust discrezionale, che non abbia ancora ricevuto attuazione, dovendosi contemperare la certezza dell’esistenza di una liberalità lesiva, con l’incertezza del beneficiario finale, senza però che ciò possa andare a discapito del legittimario che intende perseguire il proprio diritto alla quota di riserva.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO / MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Di T.F.T., rappresentata dalla madre esercente la potestà genitoriale, C.I., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Udine la Cadogan Trustee Limited, la T&F capital Trustee SA, nonché C.F., D.T.D. e D.T.S., affinché fosse dichiarata la nullità dell’atto di trasferimento con il quale il padre D.T.R., deceduto ab intestato in data 24 gennaio 2020, marito della C. e genitore dei convenuti D.T., aveva trasferito in favore della B. International Holding BV n. 11.184.458 azioni della So.fi.a S.p.A., in quanto idonee ad assicurare il controllo del gruppo B. ai trustee del trust B., istituito in Londra il 17 agosto 2000 dal de cuius e dalla moglie C.F., con la declaratoria di nullità anche dell’atto istitutivo del trust B., in quanto volti a determinare la lesione dei diritti successori dell’attrice, con l’impossibilità quindi di poter riconoscere in Italia l’atto istitutivo del trust.
Chiedeva altresì che, una volta accertata la nullità, tutti i beni confluiti nel trust fossero invece ricompresi nell’asse relitto. Nella resistenza dei convenuti, questa Corte con ordinanza n. 14041/2014 dichiarava la giurisdizione del giudice italiano, e riassunta la causa, il Tribunale di Udine, con la sentenza n. 1148/2015, previa parziale declaratoria di nullità dell’atto di citazione, rigettava per il resto le domande attoree.
Rilevò il Tribunale che nell’atto istitutivo del trust, quali beneficiari dei fondi erano indicati, oltre agli stessi disponenti, i loro figli e discendenti. La clausola relativa a questi ultimi (Parte I, art. 1.7) doveva però evidentemente reputarsi frutto di un errore nell’uso di un modello preconfezionato, perché prima si legge che figli e discendenti sono beneficiari, siano essi legittimi, legittimati, illegittimi o adottati (“whether legitimate, legitimated, illegitimate or adopted”), ma subito dopo era aggiunta l’esclusione di qualsiasi persona illegittima e dei suoi discendenti (“but shall exclude any illegitimate person and his descendants”).
Alla luce dei poteri riservati ai trustee, si era poi al cospetto di un trust discrezionale (parte I, art. 4: “Discretionary trust of capital and income”), che permetteva ai trustee di pagare il capitale del trust a tutti i beneficiari o ad uno di loro, a vantaggio di tutti o di uno soltanto, nelle proporzioni e nel modo da loro ritenuto opportuno (parte I, art. 6.1: “The Trustees may pay or apply the whole or any part of the capital of the Trust Fund to or for the benefit of all or such of the Beneficiaries, in such share and in such manner generally as the Trustees shall in their discretion think fit.”).
Tale precisazione giustificava, in termini di interesse ad agire, la proponibilità delle domande da parte della figlia e, quindi, erede legittimaria, in ragione del rilievo per cui il trust discrezionale non garantisce all’erede legittimario quella quota certa e determinata del patrimonio del de cuius che le attribuisce inderogabilmente il diritto italiano.
Ancorché il comportamento futuro dei trustee avrebbe potuto determinare un vantaggio economico per l’attrice, potendole essere riservata una quota del capitale in trust anche superiore rispetto alla quota di legittima, tuttavia, ricorreva l’interesse della parte a chiedere il ripristino di una condizione di certezza e ritenuta dalla parte stessa preferibile rispetto ad una situazione di incertezza. Sussisteva quindi il concreto interesse (art. 1421 c.c.) a fare dichiarare la nullità di atti negoziali che avevano determinato una riduzione del patrimonio relitto dal de cuius, che costituisce uno dei parametri per la determinazione della quota di legittima, ma le domande erano infondate quanto alla nullità del trust perché non riconoscibile in Italia, per contrarietà ai limiti posti dall’ordinamento interno al “mandato a donare” (art. 778 c.c.) e per violazione delle norme inderogabili che riguardano “i testamenti e la devoluzione dei beni successorii, in particolare la legittima” (art. 15, comma 1, lett. c, della Convenzione dell’Aja 1.7.1985, ratificata dalla legge 16.10.1989, n. 364), ed il Tribunale reputava che la risoluzione di tale questione assorbisse anche quella relativa alla eventuale nullità degli atti con cui il gruppo di società fu posto sotto l’egida del trust, in quanto solo con riferimento al trust, e non anche agli altri atti negoziali, si poneva un profilo di nullità intrinseca, che prescinde dal collegamento funzionale con gli altri atti.
La sentenza, ribadito che non si era al cospetto di un c.d. trust interno, trattandosi di un atto stipulato all’estero e volto a diventare strumento per la gestione di un ampio gruppo di società, di cui quelle al vertice sono società estere e nel quale i designati trustee sono soggetti esteri e non meramente domiciliati all’estero, reputava che non vi fosse nessun ostacolo alla riconoscibilità e validità in astratto del trust “B.”, occorrendo al più verificare se la sua “causa concreta” si rivelasse contraria ai principî e alle norme inderogabili del nostro ordinamento.
Non ricorreva la pretesa violazione delle norme in materia di mandato che, pur contemplando la possibilità di donare a favore di persona scelta da un terzo nell’ambito di una pluralità di persone indicate dal donante o rientranti in una determinata categoria di persone (art. 778, comma 2°, c.c.), prevedono l’estinzione del mandato in caso di morte del mandante (art. 1722, n° 4, c.c.), mentre l’atto istitutivo del trust “B.” prevede una durata massima del vincolo di 80 anni, con facoltà di estinzione anticipata solo a discrezione dei trustee. Ma secondo il Tribunale l’istituzione di un trust è atto diverso dal mandato a donare e, quindi, una volta ammessane l’astratta riconoscibilità nell’ordinamento interno, il riconoscimento non può essere negato o limitato soltanto perché la disciplina del trust risulta difforme da quella di altro e diverso istituto dell’ordinamento interno, la cui differente disciplina non può di per sé essere considerata un tertium comparationis per giudicare la validità del trust.
Emergeva piuttosto che il trust non era stato utilizzato quale strumento, nel caso concreto, volto ad aggirare l’applicazione di principi o norme dell’ordinamento interno e in una situazione in cui, al contrario, l’applicazione di quei principi o norme era da considerare inderogabile.
In particolare, in merito alla pretesa violazione elusiva delle norme in materia di successione necessaria, ma non in termini di lesione della sua quota di legittima – non avendo l’attrice proposto azione di riduzione – bensì in termini di funzionalità del trust rispetto all’obiettivo (illecito) di rendere inoperanti e impraticabili le tutele predisposte dalla legge in favore del legittimario leso, il Tribunale rilevava che non si trattava di verificare se l’istituzione del trust e il conferimento dei beni nello stesso avessero comportato una lesione della legittima spettante alla istante, bensì di accertare se quegli atti – nel loro complesso e a prescindere dalla effettiva lesione della legittima – fossero stati rivolti allo scopo, o avessero comunque avuto l’effetto, di eludere o rendere inattuabile la tutela dell’erede legittimaria.
A tale dubbio andava però data risposta negativa.
Infatti, poiché oggetto dei conferimenti in trust furono, per pacifica allegazione di parte attrice, esclusivamente partecipazioni ai capitali di società tutte appartenenti ad un medesimo gruppo creato e coordinato dallo stesso, era quindi ragionevole presumere che il disponente avesse l’obiettivo di garantire continuità ad una gestione unitaria e coordinata del gruppo di imprese, piuttosto che quello di regolare la successione nel suo patrimonio in deroga alle cogenti norme della legge italiana, e ciò in quanto ove avesse avuto di mira tale diverso risultato, il de cuius avrebbe conferito nel trust anche cespiti diversi rispetto alle partecipazioni societarie. Ma, soprattutto, non vi sarebbe stata ragione perché anche la moglie mettesse sotto il regime del trust, tramite la cessione a International B.V.”, le azioni a lei intestate della S.p.A., trattandosi di atto incoerente e inutile se, come dedotto da parte attrice, l’intera operazione (istituzione del trust e successivo conferimento nello stesso delle partecipazioni sociali) fosse stata ideata quale rimedio alla recentissima nascita di una figlia fuori dal matrimonio. E ciò varrebbe anche qualora fosse vero quel che prospetta parte attrice, ovverosia che anche le azioni intestate alla moglie fossero in realtà riferibili al de cuius. Invero, non avrebbe avuto senso, per eludere i diritti successori dell’attrice, conferire in un trust cespiti che erano già meglio salvaguardati mediante l’intestazione alla moglie. Doveva quindi ritenersi che la “causa concreta” sottostante all’istituzione del trust “B.” ed ai successivi negozi di trasferimento di partecipazioni sociali fosse una causa di tipo squisitamente imprenditoriale e commerciale, e non patrimoniale e successoria. Quanto all’ulteriore considerazione per cui l’illegittimità della costituzione del trust “B.” sarebbe comunque ricollegabile all’effetto oggettivo di rendere impraticabile l’esercizio dell’azione di riduzione, perché essendo l’attrice tra i (possibili) beneficiari delle discrezionali elargizioni dei trustee, non sarebbe in condizione di denunciare, finché perdura il trust, una effettiva, concreta e misurabile lesione della sua legittima, il Tribunale rilevava che, una volta istituito il trust, ogni singolo atto di trasferimento di cespiti ai trustee (perché lo gestiscano secondo le regole del trust) è a tutti gli effetti un atto di disposizione patrimoniale astrattamente assoggettabile ad azione di riduzione (purché, ovviamente, sussistano tutti i relativi presupposti e, in primo luogo, che si tratti di un atto di liberalità, non necessariamente in forma di donazione: art. 809, comma 1°, c.c.).
Il fatto che il legittimario che agisce in riduzione sia indicato tra i possibili beneficiari del trust nulla toglie alla constatazione che quel cespite è ormai definitivamente uscito dal patrimonio del de cuius per entrare nel patrimonio segregato che fa capo al trustee, unico destinatario dell’eventuale azione di riduzione.
Avverso tale sentenza ha proposto appello l’attrice e la Corte d’Appello di Trieste con la sentenza n. 395/2017 ha rigettato il gravame.
Nell’esaminare prioritariamente il secondo motivo di appello, la Corte rilevava che, anche a voler in astratto ipotizzare che il trasferimento della partecipazione azionaria del de cuius al trust fosse volto a pregiudicare i futuri diritti della legittimaria, l’ordinamento italiano non sanziona tale condotta con la nullità, avendo apprestato diversi rimedi, finalizzati a rendere inefficaci gli atti lesivi.
Stante l’assimilazione degli atti denunciati a delle liberalità indirette, la reazione dell’attrice ben poteva trovare soddisfacimento nell’esercizio dell’azione di riduzione, che però nella specie non risultava essere stata proposta.
Né poteva accedersi alla tesi dell’appellante secondo cui doveva negarsi il riconoscimento in Italia del trust in quanto lesivo dei diritti successori, posto che la tutela di tali diritti riceve adeguata assicurazione proprio tramite il ricorso all’azione di riduzione.
Peraltro, la stessa attrice aveva riferito che non tutto il patrimonio fosse stato segregato in trust, circostanza questa che rendeva poco compatibile con la situazione concreta l’affermazione circa la volontà del de cuius di volere rendere impraticabile la tutela dei diritti di legittimaria della figlia tramite la pregressa istituzione del trust.
Quanto al primo motivo, con il quale si contestava la parziale dichiarazione di nullità della citazione per indeterminatezza della causa petendi, la Corte distrettuale rilevava che effettivamente l’atto introduttivo del giudizio non forniva sufficienti elementi per individuare le parti e le date dei singoli atti asseritamente diretti a pregiudicare i diritti dell’attrice, mentre quanto alla domanda sub d) dell’atto di citazione, osservava che la medesima, con il richiamo al motivo che sottintendeva l’atto, riproponeva sotto altra veste la questione già esaminata con il rigetto del secondo motivo di appello, circa le conseguenze in punto di nullità ovvero di inefficacia degli atti pregiudizievoli per la posizione della legittimaria.
Avverso tale sentenza Di T.F.T. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
C.F., D.T.D. e D.T.S. resistono con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 13 e 15, co. 1, lett. c) della legge n. 364/1989, che ha trasposto in Italia la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, nonché dell’art. 1418, co. 2, 1343, 1344, 1345 e degli artt. 549, 631 e 778 c.c.
Assume parte ricorrente che si rivela erroneo il rigetto della richiesta di negare il riconoscimento in Italia del trust B. e dei successivi atti dispositivi del de cuius, dovendo reputarsi che la sentenza gravata non poteva far leva a tale fine sulla sola possibilità per la ricorrente di poter reagire tramite l’esercizio dell’azione di riduzione.
Il carattere discrezionale del trust oggetto di causa, che rimette al trustee il potere di designare i beneficiari e/o di determinare l’entità delle quote di spettanza di ciascuno, di fatto priva il legittimario di ogni diritto, con la conseguente lesione di norme inderogabili dell’ordinamento nazionale, anche in ragione dell’amplissimo periodo di tempo entro il quale il trustee può compiere le sue determinazioni.
Ciò implica anche la violazione dell’art. 549 c.c., che vieta l’apposizione di pesi e condizioni alla quota del legittimario, nonché degli artt. 631 e 778 c.c. che vietano disposizioni testamentarie e donazioni rimesse all’arbitrio altrui.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nel non avere la Corte d’Appello considerato, ai fini della riconoscibilità del trust, anche la difficoltà di una concreta esperibilità dell’azione di riduzione nei confronti del trustee straniero del trust discrezionale.
Infatti, trattandosi di trustee con sede nel Regno Unito, le possibilità di esito vittorioso dell’azione di riduzione dinanzi ai giudici stranieri sarebbero del tutto remote, e ciò anche in considerazione del fatto che il trustee non può essere considerato un donatario e che, prima della loro individuazione, nemmeno è possibile aggredire con la riduzione i beneficiari, dovendosi in ipotesi attendere anche il termine di 80 anni che l’atto istitutivo del trust concede per la loro designazione.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 13 e 15, co. 1, lett. c), della legge n. 364/1985 nonché degli artt. 1418, 1343, 1344, 1345 c.c., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
Si assume che la decisione impugnata per rafforzare il proprio ragionamento ha valorizzato la circostanza che nel trust non era stato conferito l’intero patrimonio del padre della ricorrente, ma trattasi di affermazione che elude il problema posto in punto di riconoscibilità del trust quando sia idoneo a pregiudicare i diritti della legittimaria, e non tiene conto del fatto che comunque allo stesso era stata conferita la maggior parte del patrimonio, il che induce a reputare che la causa concreta fosse proprio quella di eludere le ragioni dell’istante.
3. I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
In primo luogo, si palesa inammissibile il secondo motivo di ricorso, e ciò in ragione dell’applicazione alla fattispecie della previsione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., avendo la Corte d’Appello confermato la decisione di primo grado sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto che sostengono la decisione appellata.
Peraltro, quello che viene individuato come fatto di cui sarebbe stata omessa la disamina è a ben vedere una deduzione in diritto (difficoltà di esperire l’azione di riduzione, in presenza di un trust discrezionale, prima che intervenga la designazione dei beneficiari da parte del trustee), che esula della nozione di fatto presa in esame dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c., e che in ogni caso è stata valutata specificamente dal Tribunale, con motivazione nella sostanza confermata dalla Corte d’Appello, che aveva affermato che in tal caso la legittimazione passiva rispetto all’azione di riduzione dovesse essere attribuita al trustee.
Quanto alle dedotte violazioni di legge, va in primo luogo sottolineato che l’atto di cui si chiede accertarsi la nullità (e conseguenzialmente anche degli atti con i quali si è provveduto ad alimentare il trust con il conferimento al medesimo delle azioni della società, attraverso le quali assicurare il controllo del gruppo imprenditoriale facente capo al de cuius), è un trust non di diritto interno (come espressamente affermato dal Tribunale, senza che sul punto sia stata sollevata censura dalla ricorrente in sede di appello), inter vivos, in quanto posto in essere dal de cuius allorché era ancora in vita (sebbene alcuni effetti potessero prodursi anche in epoca successiva al decesso), e di carattere discrezionale, in quanto, come ricavabile dalle previsioni riportate nell’esposizione dei fatti di causa, erano riservate alla valutazione discrezionale del trustee sia l’individuazione dei beneficiari (sebbene in una cerchia ben determinata di soggetti legati al disponente da rapporti di filiazione), sia la misura delle attribuzioni, da compiere entro un termine massimo individuato in 80 anni.
Tale precisazione appare necessaria al fine di escludere, in vista della disamina delle questioni che i motivi pongono, le specificità legate alla peculiare natura del trust testamentario, occorrendo invece vagliare la vicenda in considerazione del fatto che si è al cospetto di un atto comunque inter vivos.
Come sottolineato in dottrina, e come peraltro emerge dalla prassi ormai diffusasi anche in Italia, il trust è un istituto “polimorfo”, in quanto sebbene connotato dal tratto comune di essere un negozio gestorio con funzione attributiva, in concreto, può prestarsi ad attuare le più svariate finalità.
Possono, infatti, essere istituiti trust con funzione solutoria o, anche, trust di garanzia, trust con funzione di escrow agent, con funzione liquidatoria, oppure, come ormai sempre più spesso si riscontra, trust di famiglia ed in cui il disponente trasferisce, in tutto o in parte, i propri beni al trustee per provvedere nel tempo ai bisogni dei propri familiari, sino a giungere ad attribuire loro l’intero patrimonio al termine finale (fattispecie alla quale i giudici di merito hanno assimilato anche il trust oggetto di causa).
Nel caso in cui l’intento del settlor sia quello appunto di avvantaggiare, all’esito dell’attività gestoria del trustee, i beneficiari, l’opinione prevalente in dottrina è nel senso che si sia al cospetto di un atto che, seppur diverso per forma dalla donazione tipica, attua in realtà una liberalità, la quale è soggetta alla disciplina dell’art. 809 c.c.
Trattasi peraltro di acquisizione che deve reputarsi consolidata anche nella giurisprudenza di questa Corte che ha, nella sua più autorevole composizione, affermato che il “trust inter vivos”, con effetti “post mortem”, deve essere qualificato come donazione indiretta, rientrante, in quanto tale, nella categoria delle liberalità non donative ai sensi dell’art. 809 c.c., poiché l’attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione avviene per atto del “trustee”, cui il disponente aveva trasferito la proprietà, sicché l’avvenuta fuoriuscita del “trust fund” dal patrimonio di quest’ultimo quando era ancora in vita esclude la natura “mortis causa” dell’operazione, nella quale l’evento morte rappresenta mero termine o condizione dell’attribuzione, senza penetrare nella giustificazione causale della stessa (Cass. S.U. n. 18831 del 12/07/2019).
A tale esito è poi approdata anche la giurisprudenza della sezione tributaria di questa Corte, la quale ha affermato che l’istituzione di un “trust” (nella specie cd. “autodichiarato”), con conferimento di immobili e partecipazioni sociali per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano i discendenti di quest’ultimo, è riconducibile alla donazione indiretta ed è soggetto all’imposta in misura fissa, atteso che la “segregazione”, quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale (Cass. n. 21614/2016; conf. Cass. n. 19167/2019; Cass. n. 29507/2020).
Sebbene il meccanismo del trust si componga di due segmenti, in quanto nel primo il disponente fissa le finalità del trust, attribuisce al trustee i beni in trust e fissa il contenuto dell’incarico gestorio, uscendo poi definitivamente di scena, mentre nel secondo segmento, si verifica l’attribuzione programmata, che lega il trustee allo scopo del trust ovvero alla figura dei beneficiari, il reale trasferimento di ricchezza e quindi l’individuazione dei beneficiari della liberalità indiretta, va accertato con riferimento alla posizione dei beneficiari.
La riconduzione dell’istituto oggetto di causa nel novero delle liberalità non donative di cui all’art. 809 c.c. porta poi a dover reputare, come sostenuto dai giudici di appello, che la tutela dei diritti successori dei legittimari, asseritamente pregiudicati da tali atti sia assicurata con l’esercizio dell’azione di riduzione, rimedio che determina la mera inefficacia dell’atto pregiudizievole, ma non anche la nullità, come peraltro ribadito dalla costante giurisprudenza di questa Corte.
Infatti, è stato affermato che gli atti di liberalità soggetti a riduzione non sono affetti da nullità o annullabilità ma sono, invece, validi, anche se suscettibili di essere resi inoperanti, ed inefficaci in tutto o in parte, nei limiti in cui ciò sia necessario per l’integrazione della quota di riserva, attraverso l’esercizio del diritto potestativo dell’erede legittimario di chiederne la riduzione (Cass. n. 25834 del 27/10/2008; Cass. n. 4024/1981; Cass. n. 23278/2013; Cass. n. 9424/2003).
4. La tesi della ricorrente richiama in maniera espressa quella sostenuta da autorevole dottrina, seppure minoritaria se non altro sul piano numerico, che ritiene che la sanzione per il trust discrezionale che non abbia ancora consentito l’individuazione dei beneficiari (con la chiara evidenziazione di coloro che debbano subire l’azione di riduzione) ovvero delle attribuzioni idonee a ledere i diritti del legittimario, sia quella del mancato riconoscimento del trust, per la sua nullità, stante il contrasto con le previsioni di cui alla legge n. 364 del 1989, che ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985.
In particolare, l’art. 13 della Convenzione dell’Aja stabilisce che “nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi significativi, ad eccezione della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”, e l’art. 15 dispone al comma 1 che “La Convenzione non costituisce ostacolo all’applicazione delle disposizioni della legge designata dalle norme sul conflitto di leggi quando per un atto volontario non possa derogare ad esse, in particolare nelle seguenti materie: a) protezione dei minori e degli incapaci; b) effetti personali e patrimoniali del matrimonio; c) testamenti e devoluzione ereditaria, in particolare la successione necessaria; d) trasferimento della proprietà e le garanzie reali; e) protezione dei creditori in caso di insolvenza; f) protezione dei terzi in buona fede”. Lo stesso articolo 15, al secondo comma poi prevede che “Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di attuare gli scopi del trust in altro modo”.
La tesi dottrinale cui fa richiamo la ricorrente parte dalla considerazione secondo cui il ricorso all’azione di riduzione sarebbe molto problematico, soprattutto nel caso di trust discrezionale, nelle ipotesi in cui la successione del disponente si apra quando il trust è ancora “in esecuzione”, e dunque i beni, che ne formano oggetto, si trovino nella sfera giuridica del trustee.
A fronte della difficoltà di individuazione del destinatario dell’azione di riduzione, secondo tale dottrina, occorrerebbe fare applicazione della norma di chiusura dell’art. 13 della Convenzione, negando il riconoscimento al trust contrastante con l’ordine pubblico interno. Infatti, se è vero che l’art. 15 della Convenzione dispone che il riconoscimento del trust non preclude l’applicazione delle norme inderogabili, tra le quali quelle a protezione dei legittimari, è pur vero che tali norme, una volta applicate, non raggiungerebbero il risultato voluto. Si sostiene quindi che il rimedio offerto al legittimario sia quello del mancato riconoscimento del trust, cui consegue il difetto di una giustificazione causale dell’attribuzione dal disponente al trustee e, dunque, la declaratoria di nullità.
5. Ritiene però il Collegio che debba dissentirsi da tale soluzione interpretativa e che debba invece affermarsi, conformemente alla soluzione cui sono pervenuti i giudici di merito, che il rimedio assicurato al legittimario che assuma essere stato leso dal trust e dai suoi atti di dotazione, resti quello del ricorso all’azione di riduzione.
Peraltro, ed in relazione al caso in esame, non può però sostenersi che sia stata offerta la prova che gli atti impugnati abbiano effettivamente pregiudicato la quota di riserva.
Come riferito nelle pronunce emesse nei gradi di merito, non risulta che sia stato conferito nel trust l’intero patrimonio del de cuius, il che sottende che vi siano altri beni caduti in successione, di cui però non si indica né la consistenza né l’ammontare, potendosi peraltro anche ipotizzare che, avuto riguardo ai beni destinati ad essere oggetto di riunione fittizia, le ragioni dell’attrice quale legittimaria ben potrebbero trovare soddisfacimento anche sulla base dei soli beni relitti (essendo la stessa chiamata come figlia alla successione ab intestato). Ove, infatti, i beni segregati in trust fossero imputabili solo alla disponibile, l’istituzione del trust stesso non risulterebbe, anche tenuto conto della sua natura discrezionale, in contrasto con le disposizioni nazionali in tema di successione necessaria, il che non permetterebbe di evidenziare, come invece presuppone la tesi favorevole alla nullità, l’idoneità del trust a porsi direttamente in contrasto con le attese dei legittimari.
Ma anche a voler superare tale considerazione, come detto, si palesa preferibile la tesi che ritiene che le disposizioni patrimoniali correlate e conseguenziali al trust, ove in ipotesi lesive della riserva del legittimario, debbano essere aggredite unicamente con l’azione di riduzione.
5.1 In primo luogo, risulta eccessivo il ricorso alla sanzione di nullità rispetto alle esigenze di tutela del legittimario leso o pretermesso, e ciò alla luce della richiamata giurisprudenza che ha ritenuto che la tutela sia appunto accordata in maniera adeguata con un‘azione dichiarativa dell’inefficacia delle disposizioni lesive, essendo limitate e residuali le ipotesi in cui debba farsi ricorso alla nullità per la lesione dei diritti del riservatario (artt. 549 e 735 c.c.).
Inoltre, a differenza dell’azione di riduzione che in punto di legittimazione attiva ha natura personale, quella di nullità potrebbe essere proposta da chiunque vi abbia interesse (si pensi ai creditori del legittimario), sarebbe imprescrittibile (rendendo oltre modo dubbie la sistemazione e definizione dei rapporti successori), non senza considerare che la pronuncia di nullità travolgerebbe l’attribuzione patrimoniale nella sua interezza, e dunque non soltanto nei limiti necessari ad integrare la legittima (con il rischio di vanificare la volontà del disponente, anche oltre i limiti segnati dalle norme poste a tutela dei legittimari).
5.2 E’ stato poi acutamente sottolineato che in caso di trust liberale inter vivos, quale quello oggetto di causa, l’idoneità a porsi in contrasto con le norme della successione necessaria si riscontrerebbe solo al momento dell’apertura della successione, così che il giudizio di nullità andrebbe formulato non al momento della conclusione del trust, ma all’apertura della successione, con la conseguenza, poco giustificabile sul piano dommatico, che la validità del trust, riconosciuta al momento della sua conclusione, dovrebbe essere disconosciuta al decesso del settlor, realizzandosi una ipotesi di nullità sopravvenuta.
Poiché poi il riscontro della presenza di legittimari si compie solo al momento dell’apertura della successione, è stato evidenziato che mentre le maglie dei principi inderogabili del nostro ordinamento si aprono, riconoscendo effetti ad un trust “non ancora” lesivo, le stesse poi dovrebbero chiudersi, alla morte del disponente, ripudiando un trust che ormai già vi era entrato.
5.3 Né è giustificata la differenza di tutela che sarebbe accordata al legittimario che sia stato leso da un trust rispetto a quella offerta al legittimario leso da qualsivoglia altra disposizione. Deve quindi negarsi che il trust, sia pure discrezionale ed in concreto lesivo del diritto del legittimario sia affetto da nullità, dovendosi invece individuare anche in questo caso nell’azione di riduzione lo strumento di tutela accordato al legittimario.
5.4 Una volta quindi individuata la tutela del legittimario asseritamente pregiudicato da un trust liberale nell’esercizio dell’azione di riduzione, in assenza della proposizione di quest’ultima in questa sede, questa Corte non è espressamente chiamata a statuire anche sulla questione relativa all’individuazione del legittimato passivo dell’azione di riduzione, nel caso in cui, specialmente al cospetto di cc.dd. trust discrezionali, il trustee non abbia ancora esercitato il proprio potere di individuazione dei beneficiari ovvero non abbia ancora esaurito le assegnazioni a questi riservate.
Trattasi appunto delle problematiche, di ordine tecnico giuridico, che la tesi qui avversata favorevole alla nullità ha invece valorizzato al fine di negare il riconoscimento del trust. Reputa però il Collegio che la soluzione a tali problematiche possa comunque ricavarsi dal sistema, dovendosi privilegiare un approccio elastico che si adegui alle peculiarità delle vicende del trust.
Non risulta, invero, accoglibile la tesi, pur prospettata in dottrina che, sia pure per evidenti ragioni di semplificazione, individua sempre nel trustee il destinatario dell’azione di riduzione, trattandosi peraltro, soprattutto laddove i beneficiari abbiano già ricevuto assegnazioni dal trustee, di conclusione che contrasta con il fatto che, come sopra ricordato anche alla luce della giurisprudenza tributaria di questa Corte, sono i beneficiari a fruire dell’arricchimento scaturente dal complessivo ricorso al meccanismo del trust, e debbono quindi essere le disposizioni dai medesimi ricevute a dover essere rese inefficaci.
Come sostenuto da autorevole dottrina, è viceversa un principio di ragionevolezza a dover ispirare l’interprete, adeguando la risposta alla mutevolezza delle vicende suscettibili di verificazione.
In particolare, se il trustee abbia già provveduto ad eseguire il programma del disponente, e ad esercitare, in caso di trust discrezionale, il proprio potere, allora l’azione di riduzione andrà rivolta nei confronti dei beneficiari.
Ove invece il trust sia ancora “in fase di esecuzione”, non essendosi esaurito il programma destinatorio, di talché il trustee è ancora titolare del trust fund, al fine di ovviare alle difficoltà sopra evidenziate, appare ragionevole ammettere l’esercizio dell’azione di riduzione nei confronti dello stesso trustee (per alcuni in analogia con la soluzione suggerita per il caso in cui ad essere oggetto dell’azione di riduzione sia una disposizione fiduciaria, prima dell’adempimento del pactum fiduciae).
Ad opinare diversamente, ed a ritenere che comunque la legittimazione passiva sia del beneficiario, la soluzione de qua, oltre ad apparire difficilmente praticabile nelle ipotesi in cui la discrezionalità del trustee non attenga solo ai tempi dell’adempimento, ma anche alla stessa scelta del beneficiario, implicherebbe il coinvolgimento di un soggetto che non ha ancora ricevuto alcuna liberalità, sacrificando anche la finalità recuperatoria del bene oggetto del trust.
Deve quindi ritenersi che, ove alla morte del disponente il trust abbia avuto completa esecuzione, il legittimato passivo dell’eventuale azione di riduzione sarà il beneficiario finale, mentre in ipotesi di trust ancora “in esecuzione” l’azione andrà rivolta nei confronti del trustee.
Occorre però altresì reputarsi che sia del pari legittimato il beneficiario, anche in caso di trust non ancora completamente eseguito, nel caso in cui sia certa l’individuazione del beneficiario, perché in ipotesi già operata dal disponente, essendo solo differito il momento della concreta attribuzione del vantaggio al beneficiario, atteso che in tal caso il legittimario leso potrà agire in riduzione aggredendo immediatamente le attribuzioni liberali delle quali è avvantaggiato il beneficiario, senza quindi dover attendere l’attivazione del trustee, la cui partecipazione al giudizio di riduzione sarebbe giustificata al fine di renderne al medesimo opponibile l’esito.
Resta invece ferma la legittimazione del trustee, oltre che nei cd. trust di scopo, nei quali manca una specifica individuazione dei beneficiari (si pensi ad un trust genericamente destinato a favore dei poveri di una città), nel caso di trust discrezionale, che non abbia ancora ricevuto attuazione, dovendosi contemperare la certezza dell’esistenza di una liberalità lesiva, con l’incertezza del beneficiario finale, senza però che ciò possa andare a discapito del legittimario che intende perseguire il proprio diritto alla quota di riserva.
6. Una volta quindi esclusa la possibilità di ritenere affetto da nullità e, quindi, non riconoscibile il trust liberale, sol perché suscettibile di determinare una lesione del diritto del legittimario o di rendere disagevole l’individuazione del destinatario dell’azione di riduzione, nemmeno appare meritevole di accoglimento la censura della ricorrente quanto alla dedotta contrarietà della fattispecie con le previsioni di cui agli artt. 549, 631 e 778 c.c.
Quanto alle prime due, rileva in via assorbente il fatto che trattasi di norme destinate ad operare per l’ipotesi di trust testamentario, e non anche nel caso in cui la sua istituzione sia avvenuta con atto inter vivos.
Inoltre, e con specifico riferimento alla previsione di cui all’art. 549 c.c., e tenuto conto che la ricorrente, alla luce dell’individuazione dei beneficiari compiuta nell’atto istitutivo, rientra tra i soggetti in potenza designabili come beneficiari, così che ben potrebbe vedere soddisfatta la sua quota di riserva (sempre che tale quota non sia già suscettibile di soddisfacimento con i beni relitti o diversi da quelli immessi nel trust) con le assegnazioni compiute dal trustee, la nullità colpisce non già l’intera disposizione, ma la sola previsione che imponga pesi o condizioni sulla quota di legittima, così che l’invalidità dovrebbe riguardare solo la previsione di un termine particolarmente lungo (nella specie 80 anni) entro il quale è dato l’esercizio del potere di scelta da parte del trustee.
Quanto invece alla diversa previsione di cui all’art. 778, co. 2, c.c. che contempla la nullità del mandato a donare, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 809 cod. civ., nell’indicare quali norme della donazione siano applicabili alle liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione, va interpretato restrittivamente, nel senso che alle liberalità anzidette non si applicano tutte le altre disposizioni non espressamente richiamate. Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 778 cod. civ. (Cass. n. 13684/2014; Cass. n. 12181/1992).
La riconduzione del trust liberale nel novero delle donazioni indirette esclude quindi che possa invocarsi la noma de qua.
In ogni caso, tenuto conto del tenore delle clausole con le quali sono stati regolati i poteri del trustee, l’individuazione sia dei possibili beneficiari, all’interno di una limitata cerchia, sia dell’oggetto delle attribuzioni, consente di ritenere soddisfatte anche le condizioni che a mente del secondo e terzo comma dell’art. 778 c.c. legittimano il ricorso al mandato a donare.
7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Attesa la parziale novità della questione, ed il dibattito che ha occupato anche la dottrina sul tema, si ritiene che ricorrano i presupposti per la compensazione delle spese del presente giudizio.
8. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato dovuto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.