Cass. pen., Sez. III, 9 febbraio 2023, n. 5575
Al fine di tratteggiare il discrimen tra tentativo di violenza sessuale, tentativo di atti sessuali con minore e il reato di adescamento di minori, previsto dall’art. 609-undecies c.p., va ricordato che quest’ultima norma, nell’anticipare la soglia della punibilità ai meri atti preparatori dei reati scopo, in forza della clausola di riserva, si configura soltanto quando la condotta non integri gli estremi del reato-fine, neanche nella forma tentata. Tale condotta si integra allorquando il reo attiri la parte offesa minore con ammiccamenti, lusinghe o inviti, senza implicare alcuna forma di coartazione psicologica o di pressione e senza richiedere una esplicita manifestazione dell’intento sessuale. Il reato di adescamento, infatti, non richiede affatto la prospettazione esplicita al minore del compimento di atti sessuali, in quanto il dolo specifico consistente nell’intenzione di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600-bis 600-ter e 600-quater c.p., non deve necessariamente risultare manifesto da quanto esplicitato nella condotta direttamente posta in essere nei confronti del minore, ben potendo la relativa prova essere ricavata anche “aliunde”; viceversa, qualora la condotta sia idonea ed univocamente volta al compimento di atti sessuali con il minore, sarebbero integrati gli estremi del tentativo punibile del reato scopo, e la condotta preparatoria di adescamento costituirebbe un antefatto non punibile.
1. A.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza del 23/11/2021 della Corte di appello di Reggio Calabria che, in parziale conferma della sentenza di condanna del Tribunale di Palmi, rideterminava la pena in anni quattro e mesi quattro di reclusione, prevista per il compimento, nella forma tentata, dei reati di cui agli artt. 609 bis c.p. (capo A) e 609 quater c.p. (capo B e capo C), nei confronti dei minori infraquindicenni, infraquattrordicenni e minori degli anni quattrodici, B.B. (nato il (Omissis)), C.C. (nato il (Omissis)) e D.D. (nato il (Omissis)), commessi il (Omissis) e il (Omissis).
1.1.II ricorrente deduce, con un primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione per mancata applicazione dell’ipotesi di minore gravità ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 609 quater c.p., relativamente ai fatti descritti nei capi di imputazione B) e C), posto che il giudice di appello considerato l’età della parte offesa C.C., che aveva già compiuto otto anni e cinque mesi, ritenendo erroneamente che il minore avesse meno di anni otto; il giudice non ha neppure tenuto in debito conto il fatto che non vi sia stato alcun contatto fisico nè la repentinità degli approcci intercorsi con le persone offese, e non ha fornito adeguata attenzione alle discrasie probatorie che emergono tra le dichiarazioni rese dai minori e le immagini tratte dalle telecamere pubbliche di video-sorveglianza.
1.2. Il ricorrente, con secondo motivo di ricorso, si duole in ordine alla erronea qualificazione giuridica dei fatti, contestando in radice che possano configurarsi i reati sessuali di cui agli artt. 609 bis e quater c.p., in quanto non vi è stato alcun “atto sessuale”, a causa dell’assenza di contatto fisico con i minori, della mancanza di ogni approccio sessuale, della limitatissima estensione temporale dei fatti, che si sono svolti per appena qualche minuto. Indica come più corretta la qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art. 609 undecies c.p., che punisce l’adescamento di minori, o ai sensi dell’art. 609 quinquies c.p., che punisce la corruzione di minori.
1.3. Si contesta anche la qualificazione dei fatti ai sensi della fattispecie tentata, non essendo ravvisabili gli estremi del tentativo punibile, in particolare non configurandosi alcun tentativo di induzione al compimento di atti sessuali, posto che non vi è stata alcuna pressione psicologica o coartazione della volontà delle persone offese, nè alcuna lesione del bene giuridico protetto anche nei fatti addebitati al capo C) e al capo 13).
1.4. Con ulteriore motivo deduce vizio della motivazione per mancata concessione delle attenuanti generiche, non concesse in ragione della qualifica professionale, psicologo presso le ASL, pur non essendo chiare le ragioni per le quali le competenze tecniche del ricorrente abbiano potuto agevolare la commissione del reato o essere strumento di occasione della commissione del reato, posto che il ricorrente non conosceva le parti offese.
1.5. Si duole altresì della commisurazione della pena, vicina al massimo edittale, determinata in spregio dei criteri di cui all’art. 133 c.p., considerata la minima riduzione concessa per la forma tentata e l’eccessivo aumento per la continuazione, nonchè, con distinto motivo, della quantificazione del danno e della provvisionale stabilita in favore delle parti civili, in ragione del fatto che manca la prova della portata lesiva della condotta ascritta e della mancata specificazione della natura patrimoniale o non patrimoniale del danno lamentato.
1.6. Le doglianze sono state ulteriormente approfondite con motivi aggiunti, con le quali il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla responsabilità, richiamando il primo motivo di appello e le memorie depositate nel corso del giudizio di secondo grado, nonchè vizio della motivazione e violazione di legge in ordine alla valutazione di attendibilità delle persone offese, evidenziandone varie incongruenze del narrato, cui la corte di appello non ha fornito adeguata risposta. Si duole quindi che siano state privilegiate le dichiarazioni delle parti offese, senza alcuna osservanza delle procedure di garanzia previste dalla Carta di Noto, a fronte di riscontri esterni non perfettamente congrui e combacianti con il dichiarato dei minori, quali ad esempio: con riferimento al capo A) le dichiarazioni del minore B.B. in ordine al tempus, non coincidono con le immagini tratte dagli impianti di videosorveglianza, per la durata del contatto (meno di un minuto) avuto con la parte offesa, nè è credibile il narrato del minore, il quale ha riferito di aver poco prima dell’approccio, consumato una pizza; altre incongruenze emergono in ordine alla identificazione della autovettura del ricorrente con quella “alta e bianca” descritta dalla parte offesa, posto che le immagini avevano rilevato in quei frangenti almeno tre auto della medesima tipologia; infine, in ordine ai capi C) e 13), osserva che il minore C.C. non ha riconosciuto il ricorrente quale autore del fatto in contestazione, coerentemente con quanto risulta dagli apparecchi di videosorveglianza e dai tracciamenti GPS, che attestano la presenza dell’imputato in tutt’altra zona in quella medesima fascia oraria in cui si sarebbero verificati i fatti.
2. Il Procuratore generale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
3. Le parti civili E.E. e F.F., genitori del minore C.C. depositano conclusioni scritte e nota spese, con istanza di ammissione al gratuito patrocinio. La parte civile D.D. deposita conclusioni e nota spese in udienza.
1.1.La prima doglianza, relativa all’applicazione della norma di cui all’art. 609 quater ultimo comma, è inammissibile perchè articolata in fatto, in quanto ripropone gli stessi argomenti illustrati nell’atto di appello, senza tuttavia sollevare specifiche doglianze alle argomentazioni sottese alla decisione impugnata. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta”, sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l’accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6/06/2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. non consente alla Corte di cassazione una nuova valutazione del fatto nè una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione (Sez. 3, n. 8570 del 14/01/2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3/09/2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5/07/2004, Scarcella; Sez. 5, n. 22771 del 15/04/2004, Antonelli).
In proposito, si osserva che il giudice a quo ha ritenuto di non qualificare il fatto come di minore gravità in considerazione dell’età di una delle parti offese, uno di loro dell’età di otto anni (non vi è nessun errore nel riferire l’età), e della serialità delle condotte, che replicano le medesime modalità di approccio, di gesti, di parole (pag. 11); ha ritenuto quindi che la gravità degli episodi non dovesse essere valutata singolarmente ma nel loro collegamento quasi compulsivo, considerato che due di essi si sono verificati nell’ambito della medesima giornata (pag.12): trattasi di motivazione assolutamente congrua ed esente da vizi logico- giuridici con la quale il ricorrente non si è neppure confrontato.
1.2. Altrettanto infondata è la censura concernente la qualificazione dei fatti quali condotte di adescamento di minori a norma dell’art. 609 undecies c.p., o di corruzione di minori, piuttosto che come reati di violenza sessuale e di atti sessuali con minori, sia pure nella forma tentata e nella forma della induzione.
Premesso che il rilievo è stato diffusamente affrontato nella sentenza di primo grado e da quella del giudice d’appello, si richiama copiosa giurisprudenza che ammette la configurabilità dei reati di cui agli artt. 609 bis e 609 quater c.p. nella forma tentata in caso di compimento di condotte preliminari e anche in caso di assenza di contatto fisico con le persone offese.
Costituisce principio consolidato quello secondo cui, affinchè sia configurabile il tentativo del reato previsto dall’art. 609 bis c.p., non occorre che venga effettuata una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima mediante contatto con le zone intime della vittima o dell’autore del fatto (Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016, Rv. 266900 – 01), essendo necessario che siano stati posti in essere atti idonei univocamente volti a compiere, con violenza o con minaccia, atti sessuali.
Altrettanto pacificamente è configurabile tentativo del delitto previsto dall’art. 609 quater, c.p., per il quale non si richiede nessuna coartazione o compressione della volontà della vittima, nè alcun contatto fisico. Infatti la giurisprudenza ha ritenuto configurabile la forma tentata quando, pur in mancanza di un contatto fisico tra i soggetti minori coinvolti, la condotta tenuta dall’imputato presenti i requisiti dell’idoneità e della univocità dell’invito o della richiesta a compiere atti sessuali, non essendo affatto necessario, con riferimento a tale fattispecie, alcuna condotta di coartazione della volontà della persona offesa (Sez.3, n. 3705 del 01/12/2021 Rv. 282709), in quanto specificamente diretta a raggiungere l’appagamento degli istinti sessuali dell’agente attraverso la violazione della libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (Sez.3, n. 27123 del 18/03/2015, Rv. 264036).
Al fine di tratteggiare il discrimen tra tentativo di violenza sessuale, tentativo di atti sessuali con minore e il reato di adescamento di minori, previsto dall’art. 609-undecies
c.p., va ricordato che quest’ultima norma, nell’anticipare la soglia della punibilità ai meri atti preparatori dei reati scopo, in forza della clausola di riserva, si configura soltanto quando la condotta non integri gli estremi del reato-fine, neanche nella forma tentata (Sez. 3, n. 8691 del 29/09/2016, Rv. 269194 – 01). Tale condotta si integra allorquando il reo attiri la parte offesa minore con ammiccamenti, lusinghe o inviti, senza implicare alcuna forma di coartazione psicologica o di pressione e senza richiedere una esplicita manifestazione dell’intento sessuale. Il reato di adescamento, infatti, non richiede affatto la prospettazione esplicita al minore del compimento di atti sessuali, in quanto il dolo specifico consistente nell’intenzione di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600-bis 600-ter e 600-quater c.p., non deve necessariamente risultare manifesto da quanto esplicitato nella condotta direttamente posta in essere nei confronti del minore, ben potendo la relativa prova essere ricavata anche “aliunde” (Sez. 7, Ordinanza n. 20427 del 19/06/2020, Rv. 280231); viceversa, qualora la condotta sia idonea ed univocamente volta al compimento di atti sessuali con il minore, sarebbero integrati gli estremi del tentativo punibile del reato scopo, e la condotta preparatoria di adescamento costituirebbe un antefatto non punibile. In tal senso, è stata ritenuta la configurabilità del reato di tentativo di atti sessuali con minorenne – ed esclusa quella del delitto di adescamento – in relazione alla condotta dell’imputato che, con Spa smodico invio di “sms”, aveva cercato di organizzare di incontri spirituali o di istruzione musicale per circuire ragazzi minorenni (Sez.3, n. 16329 del 04/03/2015, Rv. 263335).
Ne segue quindi che, nel caso in disamina, senza ombra di dubbio si configurano i reati sessuali nella forma tentata, avendo il ricorrente dichiarato e manifestato chiaramente l’intento di compiere atti sessuali con le parti offese, invitandole verbalmente ed espressamente, mostrandosi nudo o mimando con gesti univoci il compimento. La condotta punita ai sensi dell’art. 609 bis c.p. è stata realizzata mediante induzione della persona offesa, alla quale il ricorrente si è manifestato sotto falso nome, con una scusa attirandola dentro la macchina e allontanandosi con la parte offesa a bordo dell’auto per un breve tragitto, persino cercando un contatto fisico, accarezzandola e toccando la mano. Una siffatta condotta presenta i requisiti della idoneità e univocità degli atti di induzione al compimento di atti sessuali, essendo innegabilmente un effetto, anche minimo, di coartazione della volontà della persona offesa minore di età, che si è trovata all’interno dell’auto con l’autore del reato, anche se per un breve tragitto, e che ha dovuto subire apprezzamenti e approcci fisici finchè non è riuscita a scendere dall’auto. Altrettanto idonea e univoca è la condotta posta in essere nei confronti delle altre due parti offese, punibile ai sensi dell’art. 609 quater c.p., posto che la norma in questione non richiede alcuna coartazione della volontà della vittima. Nè si configura il reato di corruzione di minorenni, non avendo il ricorrente compiuto atti di mero esibizionismo, al solo fine di far assistere il minore.
1.3. In ordine al terzo motivo di ricorso, i giudici di merito, con motivazione altrettanto adeguata, hanno escluso le attenuanti generiche in ragione delle qualifiche professionali del ricorrente che riveste il ruolo di psicologo all’interno di un consultorio familiare, in quanto la particolare formazione professionale dell’imputato avrebbe dovuto renderlo consapevole del disvalore delle condotte e delle ripercussioni che le stesse possono aver avuto sullo sviluppo sessuale del minore; nè il ricorrente ha addotto specifici elementi fattuali da prendere in considerazione in ordine al loro riconoscimento ed applicazione, ma si è limitato a rilevare che la professione svolta non costituisce occasione di incontro e di frequentazione di minorenni.
1.4. Anche la dogiianza afferente al trattamento sanzionatorio esaurisce ogni rilevanza sul piano del merito, avendo i giudici a quo mostrato di voler mitigare il trattamento sanzionatorio in grado di appello in ragione dei profili fattuali e personologici dell’imputato, assumendo la pena base per il reato più grave di anni nove, quindi nella media edittale, ridotta ad anni 5 di reclusione per il tentativo, aumentata di mesi nove per ciascuno degli altri reati, e diminuita per la scelta del rito in anni quattro e mesi quattro di reclusione.
1.5. L’ultimo motivo, oltre ad essere meramente ripetitivo di censure già esaminate dal giudice di merito, esula dal novero delle censure deducibili nel giudizio di legittimità, in quanto le valutazioni in merito al quantum della provvisionale hanno natura meramente interinale e sono destinate a refluire nelle valutazioni di competenza del giudice civile all’esito del giudizio di liquidazione del danno in via definitiva (Sez.4, n. 20318 del 10/01/2017, Rv.269882).
1.6. Il motivo sulla responsabilità, relativo alla valutazione dell’attendibilità delle persone offese, alla metodologia di accertamento della capacità a testimoniare, al mancato rispetto delle garanzie scolpite nella c.d. Carta di Noto, oltre a peccare di genericità, è inammissibile, in quanto dedotto per la prima volta nel giudizio di legittimità con motivi aggiunti, facendo espresso al primo motivo di appello. La responsabilità non ha costituito oggetto specifico di doglianza nel contesto del ricorso principale, poichè le predette problematiche sono state richiamate esclusivamente con nell’ottica della mancata concessione dell’ipotesi lieve, con riferimento al reato di cui all’art. 609 quater c.p. La doglianza dedotta con i motivi nuovi non può, dunque, trovare ingresso in questa sede. Le Sezioni unite hanno infatti stabilito che i motivi nuovi devono avere ad oggetto i capi e i punti della decisione impugnata che sono stati investiti dall’originario atto di impugnazione (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259). E’ pertanto inammissibile un motivo nuovo, presentato ai sensi dell’art. 585, comma 4, c.p.p. e avente ad oggetto un punto della decisione estraneo all’atto di ricorso originario (Sez. 1, n. 33662 del 9/05/2005, Rv. 232406; Sez 1, n. 46950 del 2/11/2004, Rv. 230281).
2. Il ricorso deve quindi essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L’imputato va inoltre condannato alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre l’imputato alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati indentificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.