1. La presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale.
2. La partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante.
3. L’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4 di A.P. del 2021, proposto da
Lapresse S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vinci e Federico Tedeschini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo di essi in Roma, largo Messico 7;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaela Antonietta Maria Schiena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cristiano Bosin in Roma, viale delle Milizie 34;
nei confronti
Askanews S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Annoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Udine 6;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 2305/2019, resa tra le parti, concernente l’aggiudicazione della procedura aperta del servizio d’informazione giornalistica a mezzo delle agenzie di stampa – lotto 2;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e di Askanews S.p.A.;
Vista l’ordinanza di rimessione n. 313/2021;
Viste le memorie depositate in vista dell’udienza di discussione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2021 il cons. Hadrian Simonetti, uditi in modalità da remoto, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020, gli avvocati Claudio Vinci, Federico Tedeschini, Raffaella Antonietta Maria Schiena e Marco Annoni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Regione Lombardia ha indetto nell’anno 2018 una procedura aperta, divisa in 5 lotti, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento dell’appalto del servizio di informazione giornalistica a mezzo delle agenzie di stampa in favore della Giunta e del Consiglio Regionale, della durata di 24 mesi.
Relativamente al lotto 2 è risultata aggiudicataria, con atto del 10.5.2019, Askanews s.p.a. che ha conseguito il punteggio complessivo di 66,83 punti, di cui 43 per la parte tecnica e 23,83 per la parte economica.
2. La seconda classificata, La Presse s.p.a., ha proposto ricorso avverso l’aggiudicazione deducendo tre articolati motivi di censura, il primo dei quali concernente il possesso dei requisiti di partecipazione da parte di Askanews.
Secondo la Presse, avendo Askanews presentato, a gara in corso, domanda di ammissione al concordato preventivo, da tale momento doveva considerarsi, per sua stessa ammissione, priva del relativo requisito di affidabilità e quindi andava esclusa dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b).
Con il secondo motivo ha contestato il punteggio attribuito all’offerta tecnica presentata da Askenews, con particolare riferimento alla disponibilità del numero di giornalisti in essa indicati, assumendo la non veridicità di tale affermazione e quindi invocando l’applicazione della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-bis. In ogni caso assume che una diversa e più corretta valutazione del requisito avrebbe comportato un punteggio differente per effetto del quale La Presse sarebbe risultata aggiudicataria.
Con il terzo motivo ha impugnato anche il disciplinare di gara, censurandone la previsione che limitava la possibilità di aggiudicazione ad un solo lotto, sul rilievo che la Presse si era aggiudicata il lotto 5 ma avesse interesse ad aggiudicarsi anche il lotto 2, peraltro di valore economico maggiore del lotto 5.
3. Il Tar Lombardia, con sentenza n. 2305/2019, ha respinto il ricorso, integrato con motivi aggiunti con i quali era stata impugnata anche la conferma dell’aggiudicazione, quanto alla dedotta violazione dell’art. 80, comma 5, lett. b) sul duplice rilievo che la presentazione di una domanda di concordato ”in bianco” ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., tale qualificando quella presentata da Askanews il 29.1.2019, non impedisca di per sé la partecipazione alla procedura di gara non determinando la perdita dei requisiti; e che nel caso di specie fosse intervenuta, il 7.5.2019, prima che la procedura di gara si concludesse, l’autorizzazione da parte del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 186 bis l. fall., nonché il 2.8.2019 l’autorizzazione anche alla stipula del contratto, sottoscritto poi il 5.9.2019.
Ha poi respinto i restanti motivi e quindi, per l’effetto, confermato l’aggiudicazione in favore di Askanews
4. Avverso la sentenza La Presse ha proposto il presente appello, riproponendo e sviluppando le originarie censure disattese dal Tar, richiamando il precedente della sentenza del Consiglio di Stato, VI sezione, 3984/2019, precisando in punto di fatto come l’autorizzazione rilasciata dal Tribunale di Roma il 7.5.2019 non ricomprendesse la partecipazione alla gara in questione e sostenendo in punto di diritto la tesi per cui partecipare ad una procedura di gara rientrerebbe tra gli atti di straordinaria amministrazione, autorizzabili ai sensi dell’art. 161, comma 7, Ll.fall. solo se urgenti.
Si sono costituiti la Regione Lombardia e Askanews, replicando con articolate memorie difensive nel senso della conferma della sentenza del Tar. La prima eccependo tra l’altro la tardività del motivo concernente l’esclusione, che La Presse avrebbe dovuto far valere all’indomani dell’ammissione dell’aggiudicataria, ossia entro il 12.3.2019, quando ancora era in vigore l’art. 120, comma 2 bis, del c.p.a.
5. Con ordinanza n. 313/2021 la V sezione del Consiglio di Stato, alla luce del contrasto di orientamenti registratisi in proposito, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a. ha rimesso all’Adunanza plenaria una serie di questioni concernenti il tema e i profili di rilevanza della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara.
Le questioni poste all’esame dell’adunanza plenaria sono in particolare le seguenti:
“a) Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale;
b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione;
c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara;”
Le difese, in vista della discussione, hanno depositato ulteriori memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a., ribadendo le proprie rispettive tesi.
DIRITTO
1. Le tre questioni sollevate dalla V sezione sottopongono all’esame dell’Adunanza plenaria il tema delle interferenze tra il concordato preventivo con continuità aziendale, in particolare nella versione del concordato in bianco o con riserva o preconcordato, e le vicende dei contratti pubblici, con specifico riferimento alla fase dell’evidenza pubblica e dunque alla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto o della concessione.
2. Se tradizionalmente il rapporto tra le procedure concorsuali e le procedure ad evidenza pubblica è sempre stato all’insegna dell’antinomia, nel senso che la sottoposizione dell’impresa al fallimento o a procedure similari è sempre stata una causa ostativa o di impedimento a partecipare alle gare, a partire dal d.l. 83/2012 che modificava l’art. 38 del Codice dei contratti del 2006 si è aperta per così dire una breccia, che ha riguardato proprio il concordato preventivo con continuità aziendale.
Si tratta, questa, di una variante del concordato preventivo, procedura concorsuale che, a differenza in particolare del fallimento, ha sempre avuto una finalità “recuperatoria” ma che, nella logica originaria della legge fallimentare del 1942, incentrata sull’espulsione dal mercato dell’impresa insolvente, occupava un posto secondario, se non marginale.
L’evoluzione del diritto concorsuale italiano, quale registratasi soprattutto a partire dalle riforme del 2005-2006 attraverso una profonda revisione dell’impianto della legge fallimentare, nel quadro di una riscoperta e di un forte potenziamento delle procedure finalizzate al recupero del valore dell’impresa e alla continuazione dell’azienda, privilegiando soluzioni della crisi concordate con i creditori, ha visto, con il ricordato d.l. 83/2012 che ha aggiunto l’art. 186 bis alla legge del 1942, l’ingresso nel nostro sistema del concordato con continuità aziendale, finalizzato ad assicurare il ritorno in bonis dell’imprenditore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso.
Sin dal suo primo apparire, il nesso tra concordato con continuità e contratti pubblici è stato molto forte, sul presupposto che, nella generalità dei casi e in un mercato dove gli appalti aggiudicati dalle pubbliche amministrazioni occupano uno spazio considerevole, fossero funzionali, per non dire del tutto necessari, al perseguimento dell’obiettivo del recupero di valore dell’impresa sia la continuazione dei contratti pubblici già in corso, sia la partecipazione a procedure di assegnazione di nuovi contratti pubblici con la possibilità, quindi, di aggiudicarsi nuove commesse (come ha ricordato anche, di recente, Corte cost. n. 85/2020, al punto 5.1).
Di questo nesso così stretto il legislatore del 2012 si era mostrato subito consapevole, non solo nella disciplina dell’istituto racchiusa nell’art. 186 bis della legge fallimentare, che già allora in diversi punti faceva menzione dei contratti pubblici per garantirne la prosecuzione e quindi la stabilità o per permetterne a determinate condizioni la stipula di nuovi, ma anche nella coordinata modifica dell’art. 38 del codice dei contratti del 2006, già ricordata. Modifica in forza della quale, alla tradizionale e risalente regola di esclusione per le imprese in stato di fallimento, liquidazione coatta o concordato preventivo (v. già l’art. 75 del d.p.r. 554/1999 e prima ancora l’art. 13 della l. 584 del 1977 e a ritroso l’art. 15 della l. 57 del 1962 sull’istituzione dell’albo nazionale dei costruttori che aveva specificato e definito sul punto la clausola generale di “insindacabile” esclusione di cui all’art. 68 del r.d. 827 del 1924), si introduceva la novità di un’eccezione esplicita per “il caso di cui all’art. 186 bis…”.
Allo stesso anno, il 2012, risale anche, mutuato dall’esperienza nordamericana, la prima previsione del concordato in bianco o con riserva, introdotto all’art. 161, comma 6, con il quale l’imprenditore può depositare un ricorso contenente una domanda di concordato, avente comunque un contenuto minimo, riservandosi di procrastinare di sessanta o centoventi giorni la presentazione del piano e della proposta di concordato, così da anticipare i tempi dell’emersione della crisi, ma avendo uno spazio maggiore per elaborare una via d’uscita dalla stessa, e nel frattempo beneficiare degli effetti “protettivi” di cui all’art. 168 nei confronti delle iniziative di terzi, con la possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione e anche, purché urgenti, di straordinaria amministrazione su autorizzazione del tribunale, come anche di assicurare la prededuzione ai nuovi creditori.
Il concordato in bianco o con riserva – in cui autorevole dottrina ha scorto una scissione tra il profilo volitivo (la domanda di apertura del concordato), quello propositivo (la proposta) e quello argomentativo (il piano) – ha conosciuto sin dai primi mesi di applicazione un significativo successo ricevendo, anche per questo improvviso e largo utilizzo, valutazioni discordanti, in specie per i temuti rischi di abuso (sui quali v. Cass. Sez. U., n. 9935/2015). Il legislatore è quindi presto tornato sull’art. 161, comma 6, con alcuni correttivi significativi, il principale dei quali è consistito nel prevedere la possibilità che il tribunale – nel fissare il termine entro il quale l’imprenditore deve presentare la proposta e il piano di concordato nonché depositare la documentazione – nomini subito un commissario giudiziale affinché vigili sull’impresa nel tempo, che potrebbe anche essere non breve, compreso tra la presentazione della domanda di concordato e l’ammissione alla procedura, e dove maggiori sono i timori di un uso dilatorio dell’istituto.
Del commissario giudiziale e della sua funzione di vigilanza è fatta menzione anche all’art. 186 bis, a proposito del concordato con continuità aziendale, in particolare al comma 4 inserito nel 2013 e da allora rimasto sostanzialmente immutato, dove si è previsto che successivamente al deposito del ricorso, ovvero alla domanda di concordato con esso proposta, “la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato”.
Anticipando quel che si osserverà a breve, mentre le disposizioni della legge fallimentare, rilevanti ai fini della presente decisione (artt. 161 e 186 bis), dal 2013 in poi si sono stabilizzate e da ultimo sono state trasfuse nel codice della crisi d’impresa del 2019 (non ancora in vigore, per queste parti), sono cambiate invece, più volte come si vedrà, quelle del codice dei contratti del 2016 racchiuse negli articoli 80, comma 5, lett. b) e 110, il che ha reso il coordinamento tra le prime e le seconde sicuramente meno agevole.
3. Ciò premesso, sulla questione posta con il primo quesito si è registrato un contrasto di orientamenti, puntualmente ripercorso nell’ordinanza di remissione.
L’indirizzo favorevole all’applicabilità anche al concordato in bianco o con riserva della deroga all’art. 80 , comma 5, lett. b) del codice dei contratti prevista per il concordato con continuità aziendale (Cons. St., sez. V n. 1328/2020, sez. III n. 1772/2018, sez. VI n. 426/2016, sez. III n. 5519/2015, sez. V n. 6272/2013, sez. IV n. 3344/2014) fa leva sull’effetto prenotativo della domanda di concordato in bianco, in funzione del possibile concordato con continuità aziendale, e sulle finalità anticipatorie e protettive dell’istituto.
L’indirizzo restrittivo, che conduce all’esclusione in via automatica dalla procedura di gara (Cons. St., VI n. 3984/2019, sez. III n. 5966/2018), muove dalla duplice premessa che con la domanda di concordato in bianco il debitore riconosca il venir meno dei propri requisiti di affidabilità e che la partecipazione alla gara sia un atto di straordinaria amministrazione, autorizzabile a mente dell’art. 161, comma 6, solo se urgente, per poi sottolineare l’incertezza e la fluidità della fase che si apre a seguito della domanda in bianco o con riserva, il che renderebbe tale fattispecie non comparabile con quella del concordato con continuità aziendale in senso proprio, il solo caso peraltro contemplato dall’art. 80, comma 5, lett. b) quale ragione di eccezione alla veduta regola che, in omaggio alla tradizione della contrattualistica pubblica nazionale, dispone altrimenti l’esclusione dell’operatore che si trovi in stato di insolvenza o di crisi, giudicandolo inaffidabile.
4. La soluzione del contrasto impone di riprendere il discorso sul quadro normativo di riferimento, approfondendo ora il rapporto tra le discipline della legge fallimentare e del codice dei contratti.
Se della prima si è già detto, sottolineandone la sostanziale stabilità dal 2013 in poi, la seconda ha conosciuto invece continui rimaneggiamenti per effetto dei quali è mutato nel tempo il grado – ora maggiore, ora minore – di concordanza con la prima.
In linea generale va ricordato come nella disciplina sui contratti pubblici il problema della crisi di impresa sia sempre stato affrontato per lo più o primariamente secondo la prospettiva e dal punto di vista della stazione appaltante, muovendo quindi dalla preoccupazione che la crisi possa minare alla radice l’affidabilità dell’appaltatore in vista della realizzazione della commessa pubblica. A tale preoccupazione l’ordinamento risponde con delle norme di ordine pubblico poste a tutela della stazione appaltante e improntate non da oggi (si è già citato, tra gli altri, l’art. 15 della l. 57/1962) ad una regola di esclusione obbligatoria ed automatica.
Si tratta, sempre ragionando in linea generale, di un approccio non del tutto necessitato sul piano del diritto europeo, nel senso che le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, e quindi riconoscendone certamente la rilevanza nell’ambito dei requisiti di partecipazione a garanzia dell’integrità degli operatori economici, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come (verrebbe da dire, quanto) escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni, al pari di quanto previsto per le ipotesi di grave illecito o errore professionale.
In questo senso il richiamo alla recente sentenza della Corte di giustizia 28.3.2019, C-101/18, non è di particolare ausilio, non solo e non tanto poiché pronunciata in relazione all’art. 45 della direttiva 2004/18 e sull’assunto – si vedrà, revocabile in dubbio – del giudice remittente che la normativa nazionale disponga l’esclusione dalla gara dell’operatore economico che abbia presentato una domanda di concordato con riserva; ma, soprattutto, in quanto il giudice europeo ricorda come l’art. 45 in questione “non contempla un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. In tale ambito, gli Stati membri hanno il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri stabiliti da tale disposizione” (punto 45 della motivazione).
Nel fare uso del proprio margine di scelta il legislatore italiano, ancora nel 2016, ha optato per un criterio binario: per cui la regola è e rimane l’esclusione obbligatoria e automatica per l’operatore in stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, mentre l’eccezione è ammessa per l’ipotesi di concordato con continuità aziendale.
Poiché il legislatore del codice dei contratti ha riferito testualmente il motivo di esclusione anche agli operatori nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, o per le altre situazioni, si è fatta strada negli interpreti l’idea che l’eccezione andasse declinata unicamente in favore degli operatori che fossero già stati ammessi al concordato con continuità aziendale. Un’idea rafforzata dalla lettura dell’art. 110, comma 3 – nel testo applicabile ratione temporis – dove la partecipazione alle procedure di affidamento è riferita, oltre che al curatore del fallimento ammesso all’esercizio provvisorio, alla (sola) impresa (già) “ammessa” al concordato con continuità aziendale; e dove per l’impresa che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva si dice(va) solo che “può eseguire i contratti già stipulati”.
5. Stando al complessivo (e innegabilmente complesso) dato testuale ricavabile dal codice dei contratti, nella versione applicabile sempre ratione temporis, se ne potrebbe ricavare allora la duplice conclusione per cui la partecipazione a nuove gare sarebbe preclusa non solo a chi ha presentato domanda di concordato in bianco ma, più in generale, in tutti i casi in cui l’operatore che ha presentato domanda di concordato preventivo a norma dell’art. 161 non sia stato ancora ammesso alla procedura. Il che, nei casi di concordato con continuità, non solo condurrebbe al sicuro insuccesso dell’istituto ma contrasterebbe frontalmente con quanto si è sempre letto, in questi anni, all’art. 186 bis, comma 4, dove – come già sottolineato – si dice chiaramente che tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell’ammissione al concordato, si ricava inoltre dall’art. 5 del DM 31.1.2015 in tema di regolarità contributiva).
Da questo inciso della norma fallimentare – “se nominato”, nella formulazione in vigore dal 2013 al 2019, divenuto attualmente (come confermato anche, quando finalmente sarà in vigore, dall’art. 95 del codice della crisi) “ove già nominato” – già l’ANAC (con la determinazione n. 5 dell’8.4.2015) e la dottrina hanno ricavato la convinzione che esso dimostrerebbe come l’art. 186 bis, comma 4, contempli (anche) l’ipotesi del concordato in bianco o con riserva, dal momento che per il concordato preventivo ordinario la nomina del commissario giudiziale è doverosa, sicché l’uso della formula ipotetica si spiegherebbe solo se riferita al concordato in bianco dove, invece, la nomina del commissario giudiziale è una facoltà lasciata al tribunale.
In epoca più recente, successivamente all’indizione della gara qui in contestazione, queste distonie (ma v’era chi tra i commentatori aveva parlato, al principio, di vero e proprio corto circuito tra due blocchi normativi) tra il codice dei contratti e la legge fallimentare sono andate riducendosi (come ha osservato anche Corte cost., n. 85/2020 al punto 4.2.1), se è vero che l’art. 80, comma 5, lett. b) fa ora (di nuovo) testuale rinvio all’art. 186 bis della legge fallimentare (come già prima era avvenuto con l’art. 38 del vecchio codice) e quindi anche al suo comma 4; e che l’art. 110 è stato riscritto in occasione dell’adozione proprio del codice della crisi d’impresa (ad opera dell’art. 372 di tale codice), prevedendosi che alle imprese che hanno depositato domanda di concordato con riserva si applichi l’art. 186 bis della legge fallimentare e che per la partecipazione alle gare, tra il momento di tale domanda e quello del decreto di ammissione, sia sempre necessario l’avvalimento dei requisiti di un altro soggetto. Dove il primo periodo, nel fare rinvio all’art. 186 bis, ha una valenza di chiarimento o di interpretazione autentica; laddove invece il secondo periodo ha carattere innovativo, introducendo – per l’avvenire – un elemento di ulteriore garanzia che si aggiunge al controllo giudiziale.
Esplicativa di questo stato delle cose parrebbe la relazione illustrativa all’art. 372 del codice della crisi, che nel ribadire come la domanda con riserva non impedisce la partecipazione a procedure di affidamento, puntualizza come “Lo scopo è quello di evitare che paradossalmente, tale domanda, da strumento di tutela per l’imprenditore, diventa un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale”.
6. Oltre al dato ricavabile dalla legge fallimentare, e al progressivo riavvicinamento da parte del codice dei contratti, viene in soccorso nella soluzione del primo quesito l’inquadramento che la domanda con riserva riceve da parte della giurisprudenza della Suprema Corte nel più ampio contesto della procedura di concordato preventivo. Si è osservato al riguardo come con il ricorso di cui all’art. 161, comma 6, della legge fallimentare l’imprenditore presenta la domanda di concordato preventivo, “e non già un ricorso di portata diversa e più circoscritta”, e come “il procedimento innescato dalla domanda con riserva non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell’unico procedimento che rileva, articolato in due fasi per così dire interne” (Cass. sez. I n. 14713/2019, nel senso che il cosiddetto preconcordato costituisce una mera opzione di sviluppo del concordato, in cui l’imprenditore ha già assunto la qualità di debitore concordatario ed è già sottoposto ad un regime di controllo giudiziale, v., altresì,.Cass., sez. I, n. 7117/2020).
7. L’insieme di questi rilievi e di queste evidenze conduce quindi l’Adunanza plenaria a ritenere che, sulla scorta dell’art. 186 bis, comma 4, della legge fallimentare, la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione né inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici. In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione – il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St. AP n. 8/2012 e 8/2015) – ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell’art. 186 bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice della crisi d’impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l’accesso al mercato dei contratti pubblici (non pertinente è il richiamo a Cons. St., AP, n. 2155/2010, perché precedente le novità sul concordato introdotte a partire dal 2012).
Questa conclusione, che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica, che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara. In questo senso la formula “partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, contenuta nell’art. 186 bis, comma 4 (e da ultimo all’art. 110, comma 4, del codice dei contratti), deve essere letta nel suo significato più pieno e più coerente con quella esigenza di controllo giudiziale ab initio che, realizzandosi sin dal momento in cui si costituisce il rapporto processuale con il giudice fallimentare, rappresenta il punto di equilibrio tra la tutela del debitore e quella dei terzi.
8. Si deve quindi precisare come, qualora come nel caso di specie l’impresa presenti la domanda di concordato dopo avere già presentato la domanda di partecipazione alla gara, dovrà chiedere al tribunale di essere autorizzata a (continuare a) partecipare alla procedura (in tal senso già Cons. St, sez. V, n. 6272/2013). Sebbene la legge non indichi un termine ad hoc per la presentazione di una tale istanza (di autorizzazione), è del tutto ragionevole ritenere che, secondo un elementare canone di buona fede in senso oggettivo, l’istanza debba essere presentata senza indugio, anche per acquisire quanto prima l’autorizzazione ed essere – per quanto si dirà – nella condizione utile di poterla trasmettere alla stazione appaltante con la procedura ad evidenza pubblica ancora in corso.
In casi di questo tipo, il richiamo alla buona fede, e agli obblighi di protezione che ne discendono nel corso delle trattative e della formazione del contratto (cfr. AP n. 5/2018), vale anche a ritenere che della avvenuta presentazione della domanda di concordato ai sensi dell’art. 161, comma 6, l’operatore debba mettere prontamente a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n.16/2020.
9. Quanto sinora evidenziato dispensa l’Adunanza dal dare risposta al secondo quesito, siccome incentrato sull’assunto che la questione della partecipazione, possibile o meno, alle gare pubbliche debba trovare la sua soluzione sulla base dell’art. 161, comma 7, della legge fallimentare, a seconda che detta partecipazione sia qualificabile come un atto di ordinaria ovvero di straordinaria amministrazione; quando invece, per quanto in precedenza osservato, il legislatore con l’art. 186 bis, comma 4, ha considerato nello specifico la partecipazione alla gara come un atto (ovvero, anche se non soprattutto, una condotta complessiva), da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del tribunale fallimentare. Il che – è appena il caso di osservare incidentalmente – non deve significare che in linea generale partecipare ad una gara pubblica sia da considerarsi (sempre) un atto di straordinaria amministrazione quanto, piuttosto, che dopo la presentazione di una domanda di concordato (soprattutto se con riserva) quel che in astratto potrebbe anche considerarsi come di ordinaria amministrazione assume un connotato diverso, tale da richiedere il controllo giudiziale assicurando in tale sede – come si è chiarito – un minimo di discovery (in più) ovvero dovendo fornire l’imprenditore idonee informazioni sul contenuto del piano in preparazione (Cass. 14713/2019 cit.).
10. La centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conduce a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debba intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St, sez. V n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione.
Si intende che – anche a chiarimento del quesito rivolto all’Adunanza – si sta ragionando sempre dell’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara, di cui all’art. 186 bis, comma 4, e non anche dell’ammissione alla procedura di concordato di cui all’art. 163, trattandosi di provvedimenti del tribunale differenti, nei presupposti e negli effetti, il secondo dei quali destinato ad essere adottato a distanza di mesi dalla presentazione della domanda di concordato con riserva, quando la procedura ad evidenza pubblica normalmente è già conclusa. Proprio perché consapevole di questa distanza temporale, sempre in chiave anticipatoria e prenotativa, il legislatore ha previsto che il rilascio del primo provvedimento sia condizione necessaria ma al tempo stesso (anche) sufficiente. Ove poi, nonostante il rilascio dell’autorizzazione, alla fine il tribunale non procedesse più all’ammissione dell’impresa al concordato o l’ammissione fosse revocata, aprendo così la via al fallimento ricorrendone i presupposti, è evidente che varranno le regole generali previste per i casi in cui il fallimento sopravvenga nel corso della gara o dopo la stipula del contratto (art. 110 e, per i raggruppamenti temporanei d’impresa, art. 48 del codice dei contratti).
10. Così rispondendosi in linea generale al terzo quesito, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un’autorizzazione tardiva ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione possa avere efficacia integrativa o sanante. E’ il caso singolare dal quale è originato il giudizio in corso, in cui la prima autorizzazione in atti del 2.5.2019, rilasciata dal tribunale prima dell’aggiudicazione (e che reca un accertamento approfondito in ordine alla capacità economica ed organizzativa della società, la cui domanda di concordato con riserva sin dal principio è stata declinata in chiave di continuità aziendale), potrebbe ritenersi non sufficientemente riferibile alla gara in questione (di cui non è fatta menzione), mentre la seconda autorizzazione, rilasciata il 2.8.2019, ad aggiudicazione già intervenuta, è sicuramente più specifica nel consentire la stipula dell’appalto con la Regione Lombardia.
11. Sulla base di tutto quanto finora considerato possono quindi essere formulati i principi di diritto sulle questioni deferite ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. all’Adunanza plenaria dalla V sezione del Consiglio di Stato, alla quale la causa va restituita ai sensi del comma 4 della medesima disposizione:
– a) la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale;
– b) la partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante;
– c) l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, afferma i principi di diritto di cui in motivazione e restituisce per il resto il giudizio alla V sezione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2021 tenuta con le modalità previste dagli artt. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come modificato dall’art. 1, comma 17, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, convertito dalla legge 26 febbraio 2021, n. 21, con l’intervento dei magistrati: