1. – La Cooperativa Sicciara Allevamenti s.r.l. (d’ora in poi: Sicciara) ha impugnato la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo, ha accolto il ricorso proposto in primo grado dall’Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC) onde ottenere l’annullamento del DDS (decreto del dirigente del servizio) n. 5105/11 del 21 novembre 2011, avente ad oggetto un progetto per la realizzazione di un impianto serricolo.
2. – Si è costituito l’Assessorato regionale alle attività produttive (Assessorato). Si è costituito anche l’IRCAC, per resistere all’impugnazione.
3. – Con istanza, depositata il 21 ottobre 2014, la Sicciara ha chiesto una declaratoria di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse alla sua coltivazione, chiedendo la compensazione tra le parti delle spese processuali del secondo grado del giudizio.
4. – In occasione dell’udienza pubblica del 22 ottobre 2014 l’IRCAC e l’Assessorato si sono opposti alla declaratoria di improcedibilità dell’appello; la causa è stata quindi trattenuta in decisione.
5. – Tanto premesso, il Collegio ritiene che la causa non sia matura per un’immediata declaratoria di improcedibilità, siccome richiesto dalla Sicciara. Un tale esito processuale è, difatti, allo stato precluso dalle considerazioni che seguono.
Innanzitutto alla declaratoria dell’improcedibilità è di ostacolo l’opposizione manifestata in udienza pubblica dalle controparti. Orbene – ancorché tale opposizione, nei casi previsti dal comma 4 dell’art. 84 c.p.a. (nel quale è sussumibile la fattispecie in esame), non sia vincolante per il decidente (a differenza di quanto accade per la rinuncia, di cui al precedente comma 3 dello stesso articolo), dal momento che la previsione riserva alla discrezionalità giurisdizionale la valutazione circa la concreta sussistenza di una causa di estinzione del giudizio – nondimeno siffatta opposizione obbliga il giudicante a rendere, sul punto, una motivazione che non può fondarsi sulla mera presa d’atto della volontà espressa dall’appellante. Il giudice è, dunque, chiamato a verificare se l’intento abdicativo di una parte rispetto a una res litigiosa sia meritevole, o no, di tutela giudiziaria. Invero, il ricorrente, come l’appellante, non è il dominus del processo, quand’anche non siano stati proposti avversi ricorsi, o appelli, incidentali, e quindi mai può disporre liberamente della sorte di una controversia. L’instaurazione di una lite comporta, infatti, la genesi di un rapporto intersoggettivo, per l’appunto il rapporto processuale, la cui disciplina coinvolge, per un verso, gli interessi delle parti, diverse da quella che abbia intrapreso l’azione, che siano state coinvolte nel contraddittorio processuale, e, per altro verso, intercetta anche rilevanti profili pubblicistici (si pensi, solo per fare un esempio, agli aspetti attinenti alla eventuale responsabilità del giudice, alla ragionevole durata del giudizio, alla sussistenza di indizi di reati perseguibili d’ufficio che ogni giudice è, per legge, obbligato a denunciare ex art. 331, comma 4, c.p.p., e così via). Nel processo amministrativo, poi, l’inesistenza di tale autonoma disponibilità della lite dal parte del solo ricorrente, in primo o in secondo grado, è conclusione resa ancora più stringente dai rilievi sia della natura ordinariamente superindividuale degli interessi dedotti nel contenzioso sia dei potenziali effetti conformativi, inevitabilmente implicati da ogni pronuncia del giudice amministrativo.
I superiori argomenti convergono, dunque, nel senso di ritenere che solo il giudice, a cui la controversia sia stato sottoposta, abbia il potere di decidere, secondo un prudente esercizio della sua discrezionalità cognitoria, se di un giudizio possa essere dichiarata l’estinzione a fronte di una rappresentata sopravvenuta carenza di interesse di chi lo abbia instaurato.
Una volta calati i suesposti principi nel caso di specie, il Collegio ritiene, come sopra osservato, che l’opposizione alla estinzione del giudizio, manifestata dalle controparti, meriti condivisione e ciò per due ragioni.
La prima di esse investe il profilo, di carattere generale, attinente al regolamento delle spese processuali del secondo grado del giudizio, spese che la Sicciara ha chiesto di compensare integralmente. Sennonché la compensazione postula sempre una valutazione, sia pur delibativa (o “virtuale”) della fondatezza della pretesa inizialmente avanzata dal ricorrente, non potendosi far carico automaticamente (ossia, si ripete, in assenza di una decisione giurisdizionale in tal senso) alle parti evocate in giudizio delle spese sostenute per resistere in un giudizio, in primo o in secondo grado, nel quale, nolenti, dette controparti siano state coinvolte.
La seconda questione, che in parte si innesta in quella testé richiamata, riguarda, invece, le motivazioni che, nel caso specifico, sorreggono la dichiarata carenza sopravvenuta dell’interesse della Sicciara alla coltivazione del processo di appello. Difatti l’istanza dell’appellante, depositata il 21 ottobre 2014, è, in sintesi, così argomentata:
– con nota, prot. n. 56459, del 14 ottobre 2014 l’Assessorato, dopo aver preso atto della sentenza di questo Consiglio n. 297/2014 pronunciata su una analoga vicenda (su tale decisione, v. infra), ha comunicato alla Sicciara che avrebbe adottato un decreto di annullamento del DDS n. 5105/11 (id est, dell’atto impugnato in prime cure) e altresì che avrebbe trasmesso la “pratica” (insieme a quella oggetto della sentenza di questo Consiglio n. 297/2014) al Dipartimento regionale tecnico dell’Assessorato per l’acquisizione del parere in sostituzione del Nucleo di Valutazione;
– tale atto di ritiro è stato effettivamente adottato con DDG n. 2350/1 del 20 ottobre 2014;
– la motivazione di detto DDG poggia, in sostanza, sulla ravvisata necessità di rinnovare il procedimento, emendandone il vizio rappresentato dalla omessa acquisizione, quand’anche in via sostituiva, di un parere obbligatorio.
Ebbene, come risulterà evidente dalla successiva esposizione, l’Assessorato ha sì annullato d’ufficio l’atto impugnato, ma ciò ha fatto all’apparente scopo di rinnovare l’attribuzione alla Sicciara – all’esito di un procedimento rinnovato – l’ausilio pubblico al centro del contendere.
A tal riguardo il Collegio non può astenersi dal rilevare che l’annullamento in questione, circoscritto alla considerazione di un solo profilo procedurale, non esaurisce tutti i vizi denunciati in primo grado dall’IRCAC e, soprattutto, non affronta il problema essenziale, centrale e critico, afferente alla legalità, o no, del contributo controverso rispetto al diritto dell’Unione europea, profilo quest’ultimo appartenente al thema decidendum devoluto al vaglio di questo Consiglio per avvenuta riproposizione di esso in appello, da parte del suddetto IRCAC.
La questione in parola, che investe la trama dei rapporti che legano questo Giudice, in quanto Giudice (anche) dell’Unione europea, alle Istituzioni sovranazionali non può essere obliterato da una pronuncia meramente dichiarativa di un’improcedibilità.
L’ultima statuizione merita un chiarimento: l’eliminazione dal mondo giuridico dell’atto impugnato in primo grado comporterà, ovviamente, in ossequio alle regole processuali che governano il processo amministrativo italiano (che è un processo, non di diritto oggettivo e totalmente conformato – tranne le poche ipotesi in cui si impone al giudicante il rilievo d’ufficio di determinate nullità – dai principi della domanda e dell’impulso di parte), un’inevitabile declaratoria di improcedibilità, ma non sono affatto indifferenti le motivazioni con le quali questo Consiglio dovrà pervenire a tale pronuncia, in relazione a quanto sopra osservato circa il riparto delle spese del giudizio, nonché con riferimento agli adempimenti obbligatori che potrebbero derivare da un’acclarata illegalità eurounitaria del contributo in questione (per esempio, sotto il profilo procedurale), con riguardo, ad esempio, alle eventuali segnalazioni della vicenda alle Procure della Repubblica, ossia a quella contabile e, fors’anche, ove ne ricorressero i presupposti, a quella presso il Tribunale ordinario di Palermo.
6. – Chiarito, dunque, il contesto in cui va calata la presente pronuncia, può ricostruirsi allora, per i fini di una migliore intelligenza delle questioni devolute in secondo grado, la complessa vicenda sulla quale si è innestata la controversia. All’uopo, attingendo alla narrativa del fatto contenuta nella sentenza impugnata, giova riferire che:
– con DA (decreto assessoriale) n. 5962 del 16 ottobre 1991 l’Amministrazione regionale ammise ai benefici della L.R. n. 37 del 1978 il progetto presentato dalla Sicciara, avente ad oggetto la realizzazione di un impianto serricolo per un importo pari ad €. 826.217,73;
– con DA n.1303 del 20 dicembre 2001 l’Amministrazione regionale approvò una prima variazione progettuale (ai sensi del D.P.Reg. n. 50 del 1998), consistente in una redistribuzione della spesa ed in un cambio di ubicazione dell’impianto;
– con DDS n. 1055 del 27 luglio 2004 approvò una seconda variante avente ancora ad oggetto la redistribuzione della spesa ed il mutamento di ubicazione dell’impianto; nonché la concessione di una proroga per la realizzazione dello stesso;
– con DDS n. 352 del 31 marzo 2006 l’Assessorato approvò una terza variante redistributiva della spesa (per un importo complessivo di €. 834.711,38, di cui €. 495.730,64 quale quota contributo, ed €. 330.487,09 a titolo di mutuo quindicennale), e autorizzò l’IRCAC a concedere alla Sicciara un mutuo trentennale di €. 2.655.000,00 per l’acquisto di un fondo rustico ai sensi dell’art. 20 della L.R. n.125 del 1980, a valere sul fondo di rotazione unificato a gestione separata istituito dall’art. 63 della L. reg. n.6 del 1997 (nel quale sono confluiti tutti i fondi a gestione separata previsti dalle previgenti leggi d’intervento);
– tale decreto fu impugnato dall’IRCAC con ricorso straordinario al Presidente della Regione e tale impugnativa fu trasposta in sede giurisdizionale, avanti al T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo (in data 16 maggio 2012), su istanza della Sicciara;
– con sentenza n.1306 del 2007 il T.a.r. dichiarò il ricorso inammissibile avendo ritenuto che l’IRCAC difettasse di legittimazione ad agire, ma questo Consiglio, con decisione n. 743 del 2008 – ritenuta la piena legittimazione dell’IRCAC – annullò la predetta sentenza e, nel merito, anche il decreto impugnato in prime cure, osservando, tra l’altro, che gli interventi previsti dalle LL.RR. n. 37 del 1978 e n.125 del 1980, a prescindere dalla loro compatibilità con l’ordinamento comunitario, erano stati definanziati con il D.P.Reg. n. 50 del 1995;
– a questo punto, con l’art.127, comma 16, della L.R. n. 11/2010, recante disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2010, il Legislatore regionale inserì, nell’art. 22 della L.R. n. 25 del 1993, i commi 5-undecies e 5-duodecies, secondo i quali, rispettivamente, “(l)e cooperative giovanili ammesse alle provvidenze di cui agli articolo 10 e 13 della legge regionale 18 agosto 1978 n. 37 e successive modifiche ed integrazioni, possono avvalersi dei benefici previsti dall’articolo 10, comma primo, punto 4, e comma terzo e dall’art. 13, comma primo, punti 3 e 4 della predetta legge, previa espressa istanza alla Segreteria tecnica per l’imprenditoria giovanile”, nonché “le cooperative giovanili ammesse alle provvidenze di cui all’articolo 11 della predetta legge e successive modifiche ed integrazioni possono essere ammesse ai benefici di cui all’art. 20 della legge regionale 2 dicembre 1980 n.125 per l’acquisto di terreni e relative pertinenze, previa espressa istanza alla Segreteria tecnica per l’imprenditoria giovanile”;
– in forza di tale normativa sopravvenuta, l’Assessorato adottò il DDS n. 5105/11 – impugnato in prime cure – con cui concesse alla Sicciara la quarta variante progettuale per un investimento di €. 2.851.374,61 (di cui €. 425.156,88 a carico della cooperativa) e autorizzò, tra l’altro, l’IRCAC ad erogare, in favore dell’appellante, €. 1.600.000,00 quale mutuo trentennale per l’acquisto di un fondo rustico;
– l’IRCAC impugnò detto decreto, lamentando, tra l’altro, la violazione delle norme comunitarie in materia di “aiuti di Stato” (artt. 107 e 108 TFUE, ex artt. 87 ed 88 TCE) e dell’art. 22 della L.R. n. 25 del 1993, nonché la violazione dell’art. 81 della Costituzione e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e sviamento, deducendo, tra l’altro, che:
a) gli interventi di sostegno previsti dalle leggi regionali n. 37 del 1978 e n.125 del 1980 erano stati “definanziati” dal Legislatore regionale per effetto del citato D.P.Reg. n. 50 del 1995 e che le predette leggi regionali sono state abrogate dall’art. 22 della L.R. n. 25 del 1993;
b) la L.R. n. 11 del 2010 era intervenuta successivamente al giudicato di annullamento formatosi sull’originario decreto di finanziamento emesso nel 2006 (DDS n. 352 del 31 febbraio 2006), e che pertanto non era idonea ratione temporis a regolare la fattispecie;
c) i benefici richiesti dalla controinteressata si connotavano come tipici “aiuti di Stato”, e che pertanto la loro corresponsione violava il diritto della concorrenza ed era vietata dal diritto dell’Unione europea;
d) si era al cospetto di una violazione dell’art. 52, commi 1 e 2, della L.R. n. 4 del 2000 e dell’art.115, comma 2, della L.R. n. 6 del 2001, posto che l’art. 115, comma 2, della L.R. n. 6 del 2001 stabilisce che “gli aiuti alle imprese cooperative previsti dalle disposizioni di legge previgenti all’entrata in vigore della legge regionale 4 gennaio 2000, n. 4 continuano ad essere concessi dall’IRCAC nei limiti stabiliti per gli aiuti ‘de minimis’”, così che, nel settore della produzione agricola, l’importo erogabile non avrebbe potuto superare gli €. 7.500,00 nell’arco di tre esercizi finanziari;
e) vi era stata altresì una violazione dell’art. 21 del D.P.Reg. n. 50 del 1995 e dell’art. 22 della L.R. n. 25 del 1993, atteso che, con il decreto impugnato, l’Assessorato aveva approvato la quarta variazione al progetto presentata dalla cooperativa interessata, senza però acquisire l’obbligatorio parere del Nucleo di Valutazione istituito dall’art. 22, comma 4, della legge n. 25 del 1993;
7. – Il T.a.r. – oltre a respingere tre eccezione preliminari sollevate dalla Sicciara (in ragione dell’asserita natura non definitiva dell’atto impugnato) e l’ulteriore eccezione in ordine al preteso difetto di legittimazione attiva dell’IRCAC – ha accolto il ricorso per i seguenti motivi, assorbendo gli altri:
I) il decreto impugnato non si limiterebbe a reiterare, in favore della Sicciara, i contributi previsti negli originari decreti assessoriali, ma autorizzerebbe la concessione di un nuovo contributo (che costituirebbe pure la parte più cospicua del finanziamento), ossia di un mutuo trentennale per l’acquisto di un fondo rustico ai sensi dell’art. 22, comma 5-duodecies e 5-terdecies, della L.R. n. 25 del 1993, introdotti dalla L.R. n. 11 del 2010, e dell’art. 20 della L.R. n. 125 del 1980, con conseguente “novazione” del titolo (id est, il relativo fondamento normativo);
II) gli interventi di sostegno previsti dalle LL.RR. n. 37 del 1978 e n. 125 del 1980 sarebbero stati definanziati dal Legislatore regionale per effetto del D.P.Reg. n. 50 del 1995 (art. 26, comma terzo) e le predette leggi regionali sarebbero state abrogate dall’art. 22 della L.R. n. 25 del 1993, così che, nonostante l’avvenuta istituzione di un “fondo unico di rotazione” regionale, in cui si sono confuse tutte le disponibilità finanziarie evocate da differenti interventi, sarebbe comunque vietato distrarre le risorse stanziate dalle varie leggi, nel tempo susseguitesi, dalle specifiche finalità alle quali le ridette risorse erano state normativamente destinate, utilizzandole promiscuamente per obiettivi diversi, con la conseguenza che il “fondo unico” non si sarebbe potuto utilizzare per finanziare “varianti” ad un progetto riferibile ad una normativa priva di copertura finanziaria;
III) del resto, il DDS n. 352 del 31 marzo 2006, con il quale fu autorizzata la terza variante al progetto e con cui fu concessa alla Sicciara una serie di provvidenze (fra le quali la c.d. “autorizzazione” all’IRCAC ad erogare un mutuo trentennale di €. 2.655.000,00 per l’acquisto di un fondo rustico) a valere su leggi entrate in vigore successivamente ad esso, fu poi annullato da questo Consiglio con la sunnominata decisione n.743 del 2008, in ragione del fatto che nel nuovo contesto normativo i benefici non trovavano più la necessaria copertura finanziaria; sicché la “novella”, introdotta con l’art. 127, comma 16, della L.R. n. 11 del 2010, avrebbe ulteriormente modificato il quadro normativo e, pertanto, pure il decreto impugnato sarebbe da considerarsi un atto nuovo e autonomo di concessione di un ausilio finanziario pubblico, in relazione al cui contenuto la Sicciara non avrebbe maturato né avrebbe potuto vantare alcun diritto soggettivo perfetto;
IV) il decreto impugnato sarebbe stato illegittimamente adottato dall’Assessorato, senza però acquisire l’obbligatorio parere del Nucleo di Valutazione istituito dall’art. 22, comma 4, della legge n. 25 del 1993, secondo cui sui progetti presentati da società cooperative, o sulla variazione degli stessi, deve esprimersi il predetto Nucleo, salvo che il costo complessivo del progetto rimanga invariato o che il maggior onere sia sopportato dal beneficiario con risorse proprie. Sennonché, nella fattispecie, il costo dell’originario progetto sarebbe lievitato e, quindi, il parere del Nucleo di Valutazione sarebbe stato indispensabile.
8. – Avverso la pronuncia, sopra riferita nei suoi contenuti essenziali, ha interposto appello la Sicciara, riproponendo le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado respinte dal T.a.r. e contestandone le motivazioni di supporto.
9. – L’IRCAC ha controdedotto che questo Consiglio, con la recente sentenza n. 297/2014, ha respinto un appello, proposto da una cooperativa destinataria di analogo decreto adottato dall’Assessorato. Secondo l’Istituto appellato, con tale sentenza, oltre ad essersi ribadita la legittimazione ad agire dell’IRCAC e l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione di un originario (e analogo) D.A. del 1991 di autorizzazione alla concessione dei finanziamenti, questo Consiglio avrebbe statuito che il DDS, analogo a quello al centro del presente contenzioso, costituiva un “sussidio, in toto, nuovo e diverso rispetto a quello originario del 1991”, essendo stato approvato un nuovo progetto, ancorché definito come variante, ai sensi dell’art. 20 della L.R. n. 125/1980 e dell’art. 22, comma 5-duodecies e 5-terdecies della L.R. n. 25/1993, introdotti dalla L.R. n. 11 del 2010 e altresì che sarebbe stato indispensabile acquisire il parere obbligatorio del Nucleo di Valutazione.
Al di là di tali controdeduzioni, l’IRCAC ha poi osservato che, nella citata sentenza n. 297/2014, questo Consiglio aveva assorbito le questioni relative alla violazione delle norme eurounitarie sul divieto degli aiuti di Stato, non essendo necessario esaminarle alla stregua dell’infondatezza dell’appello principale.
10. – Tanto premesso, questo Consiglio ritiene che, sebbene il precedente rappresentato dalla citata sentenza n. 297/2014 (dalla quale non sussistono ragioni per discostarsi) offra materia sufficiente per valutare anche la (in)fondatezza dell’appello emarginato, nondimeno non sia possibile prescindere, per le ragioni sopra spiegate, dall’esame della questione relativa alla legalità del contributo del quale si controverte sotto il profilo della sua conformità, o no, al diritto dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato.
Ed invero, ancorché la questione risulti ampiamente trattata nelle difese svolte dall’IRCAC, essa risulterebbe comunque scrutinabile d’ufficio, per due dirimenti ragioni, una attinente al diritto processuale interno e l’altra relativa ai doveri di collaborazione tra i giudici di ogni Stato membro e la Commissione europea quale garante del diritto sovranazionale della concorrenza.
Sul piano del diritto processuale italiano, è certamente questione rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, quella relativa alla sussistenza di quella condizione di ogni azione giurisdizionale, nota come “possibilità giuridica della pretesa”. Difatti, è evidente che, qualora il contributo del quale si controverte fosse da qualificarsi come aiuto di Stato e se il suo riconoscimento si presentasse non conforme al diritto dell’Unione europea (quanto meno nei limiti, sindacabili da ogni giudice dell’Unione, della sua effettiva notificazione alla Commissione europea), allora la pretesa azionata dalla Sicciara non sarebbe tutelabile – e, quindi, risulterebbe impossibile giuridicamente – per illiceità del relativo oggetto.
Sul piano, invece, dei rapporti tra i giudici di ogni Stato membro e la Commissione europea, va ricordato quanto previsto dalla Comunicazione della ridetta Commissione relativa all’applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali (2009/C 85/01, d’ora in poi “Comunicazione”), secondo cui le decisioni della Commissione possono fornire un valido aiuto ai giudici nazionali e ai potenziali ricorrenti riguardo alla nozione di aiuto di Stato e “13. Qualora nutrano dubbi in merito a un aiuto di Stato, i giudici nazionali possono chiedere il parere della Commissione in base alla sezione 3 della presente comunicazione.” e ciò perché “19. La Corte di giustizia europea ha ripetutamente confermato che sia i giudici nazionali che la Commissione svolgono ruoli essenziali, ma distinti, nel contesto dell’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato” (Causa C-368/04, Transalpine Ölleitung in Österreich; cause riunite C-261/01 e C-262/01, Van Calster e Cleeren, Racc. 2003, parte I, pag. 12249, punto 74; causa C-39/94, SFEI e altri). In particolare, nella Comunicazione, la Commissione europea ha chiarito che il suo sostegno ai giudici nazionali:
– discende dal dovere reciproco di leale collaborazione al fine di conseguire gli obiettivi dei Trattati;
– è connesso all’impegno della ridetta Commissione ad aiutare i giudici nazionali quando ritengano che siffatta assistenza sia necessaria in vista della loro decisione su una causa pendente;
– può assumere due diverse forme:
a) il giudice nazionale può chiedere che la Commissione gli trasmetta le informazioni pertinenti in suo possesso;
b) il giudice nazionale può chiedere che la Commissione esprima un parere sull’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato;
– comporta che la Commissione si mantenga neutrale e obbiettiva e che, di conseguenza, la Commissione non debba sentire nessuna delle parti dei procedimenti nazionali in merito all’assistenza da essa fornita al giudice nazionale;
– non pregiudica la possibilità o l’obbligo per i giudici nazionali di chiedere, se ne ricorrano i presupposti, alla Corte di giustizia europea una pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione europea;
– implica che le richieste di informazioni siano trattate, salvo richieste istruttorie complementari, entro un mese dalla data di ricevimento della richiesta e che, invece, i pareri siano comunicati al giudice nazionale entro quattro mesi dalla data di ricevimento della richiesta, fatta salva l’eventuale necessità di chiarimenti;
– impone alla Commissione europea di limitarsi a fornire al giudice nazionale gli elementi di fatto o i chiarimenti economici o giuridici richiesti, senza entrare nel merito della controversia, sicché il parere della Commissione non è giuridicamente vincolante per i giudici degli Stai membri che lo abbiano richiesto.
Sulla base di tali considerazioni, questo Collegio – pur senza abdicare al suo autonomo potere di decisione della controversia in esame, ivi incluso il potere di valutare se sussistano, una volta ricevuto il parere, i presupposti per disporre un eventuale rinvio pregiudiziale della controversia alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (giova al riguardo segnalare che il Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione siciliana, in quanto sezione staccata del Consiglio di Stato è giudice di ultima istanza del merito delle liti amministrative allo stesso sottoposte) – ritiene di non poter soprassedere rispetto alla questione concernente la legalità eurounitaria del contributo finanziario in contestazione e, a tale scopo, reputa di dover richiedere alla Commissione europea alcune informazioni e di sottoporre alla medesima Istituzione alcuni quesiti utili al migliore esame della fattispecie devoluta in secondo grado.
11. – All’uopo questo Collegio reputa, sulla base di una delibazione dei motivi di appello e dell’esame dei documenti acquisiti al fascicolo di causa, che il contributo finanziario del quale si controverte sia da qualificare come “aiuto di Stato” ai sensi del diritto dell’Unione europea, avendo ad oggetto un ausilio finanziario istituito e concesso dalla Regione siciliana (che è un’articolazione dello Stato membro “Repubblica Italiana”), che esso favorisca talune imprese (di qui la “selettività”) e che potrebbe falsare o minacciare di falsare la concorrenza e incidere sugli scambi tra Stati membri.
La correttezza di tale qualificazione va però sottoposta al vaglio consultivo della Commissione europea (Q1).
11.1. – Per l’ipotesi in cui siffatta qualificazione fosse esatta, il Collegio osserva che l’aiuto in questione potrebbe, tuttavia, essere considerato ammissibile, in deroga al generale divieto, senza previo obbligo di notifica alla Commissione europea qualora rientri nella previsione di uno dei c.d. Regolamenti di “esenzione”. Sotto questo aspetto, il Collegio condivide l’avviso espresso dall’IRCAC secondo cui, nella fattispecie, sia applicabile ratione temporis (non potendosi tener conto, se non nei limiti dell’art. 51, del Regolamento CE del 25 giugno 2014, n. 702/2014, successivo all’instaurazione del giudizio in primo grado) il Regolamento di esenzione CE n. 1857/2006 relativo “all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nella produzione di prodotti agricoli”. Ciò in quanto il progetto presentato dalla Sicciara prevede la realizzazione di un impianto serricolo e le provvidenze in parola afferiscono espressamente al sostegno dell’imprenditoria giovanile, ma anche agli “interventi in materia di agricoltura” (v. il Titolo I della L.R. 37/1978).
Il Regolamento n. 1857/2006 recava (giacché abrogato dal succitato Regolamento n. 702/2014) una disciplina speciale rispetto al Regolamento n. 800/2008 (a sua volta abrogato dal Regolamento CE del 17 giugno 2014, n. 651/2014) dedicata in via generale all’esenzione dal divieto di aiuti di Stato per le altre categorie e finalità.
L’art. 1, par. 3, del succitato Regolamento n. 800/2008 – come osservato dall’IRCAC – disponeva, però, che esso si applicasse a tutti i settori economici, ad eccezione degli aiuti a favore di attività connesse alla produzione di prodotti agricoli che rientravano, per l’appunto, nell’alveo del Regolamento CE n. 1857/2006, così che quest’ultimo regolamento risulterebbe in concreto applicabile al caso di specie.
La correttezza di tale ricostruzione della normativa sovranazionale va, però, rimessa alla valutazione consultiva della Commissione europea (Q2).
11.2. – Il Regolamento CE n. 1857/2006, qualora ritenuto applicabile al caso in esame, disponeva che l’importo globale degli aiuti concessi a una singola impresa non potesse superare l’importo di €. 400.000 erogati su qualsiasi periodo di tre esercizi (art. 4, par. 9) e l’art. 4, par. 8, di detto Regolamento prevedeva che potessero “essere concessi aiuti per l’acquisto di terreni diversi da quelli destinati all’edilizia con un costo non superiore al 10% delle spese ammissibili dell’investimento”.
Nel caso in esame entrambe le riferite soglie dimensionali relative all’intensità dell’aiuto risulterebbero superate.
Anche tale profilo merita di essere vagliato dalla Commissione europea (Q3).
11.3. – Inoltre, sotto il profilo procedurale, il citato Regolamento prevedeva che il regime di aiuti, per essere esentati dall’obbligo di notifica – oltre a rispettare le specifiche condizioni dettate in ordine all’intensità dell’aiuto – dovesse contenere un esplicito riferimento al medesimo regolamento, citandone il titolo e gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e che, per questi fini, sussistesse, altresì, l’obbligo di inviare alla Commissione europea un documento di sintesi che contenga le informazioni relative alla misura di aiuto in questione.
Non consta a questo Consiglio che tali adempimenti obbligatori, in relazione agli ausili dei quali si controverte e alla relativa disciplina regionale, siano stati rispettati e, quindi, occorre richiedere sul punto informazioni alla Commissione europea (RI1).
Sul punto va peraltro precisato che, in via delibativa e tenuto conto del sunnominato precedente n. 297/2014, questo Consiglio ritiene non rilevante la considerazione dell’originario decreto del 1991, in relazione al quale la Sicciara assume di vantare un diritto soggettivo, anche in ragione dell’obiettiva novità dell’aiuto che trova fondamento legislativo nell’art. 22, comma 5-duodecies e 5-terdecies, della L.R. n. 23/1993, commi introdotti dal Legislatore regionale siciliano soltanto con la L.R. n. 11 del 2010. Del resto, la norma transitoria dell’art. 23 del Regolamento CE n. 1857/2006 renderebbe comunque irrilevante nel caso in esame la circostanza che il regime di aiuto in parola sia stato attuato prima dell’entrata in vigore del regolamento medesimo, qualora non ne rispettasse le condizioni sostanziali.
12. – Alla luce dei superiori rilievi si formulano dunque i seguenti quesiti:
“Q1. – Secondo l’avviso di Codesta Commissione europea, il contributo finanziario oggetto della presente controversia è un aiuto di Stato?
Q2. – Secondo Codesta Commissione europea, in caso di risposta affermativa al precedente quesito, il contributo finanziario configura un aiuto a favore di attività connesse alla produzione di prodotti agricoli e rientra, pertanto, come tale, ratione temporis et materiae nel campo di applicazione del Regolamento CE n. 1857/2006?
Q3. – Secondo Codesta Commissione europea, in caso di risposta affermativa al precedente quesito, il contributo finanziario in parola rispetta i limiti di intensità dell’aiuto stabiliti dal Regolamento CE n. 1857/2006?”.
13. – Si formula altresì, in conseguenza dei precedenti quesiti, la seguente richiesta di informazioni:
“RI1. – Codesta Commissione europea ha notizia del rispetto, o no, da parte della Regione siciliana degli adempimenti comunicativi in generale imposti dalla normativa dell’Unione europea e, segnatamente, con riferimento alla superiore ricostruzione normativa (qualora essa risultasse corretta in diritto) di quelli stabiliti dal Regolamento CE n. 1857/2006 in relazione al regime di aiuto del quale si controverte?”.
14. – Si manda la Segreteria di questo Consiglio per l’esecuzione, con ogni consentita urgenza, della presente ordinanza, nei seguenti modi:
a) invio del provvedimento, con mezzo telematico e per posta, all’indirizzo e ai recapiti del punto di contatto, ossia alla Commissione europea, Segretariato Generale, B-1049 Bruxelles, Belgio, telefono: 0032 2 29 76271, fax: 0032 2 29 98330, email: ec-amicus-state-aid@ec.europa.eu;
b) allegazione dei seguenti documenti utili per l’esame della fattispecie:
– il testo di tutte le disposizioni normative, statali e regionali, citate nella superiore motivazione, nella versione vigente al 16 maggio 2012 (escluse, quindi, le previsioni del diritto dell’Unione europea);
– copia di tutte le sentenze del T.a.r. per la Sicilia, sede di Palermo e di questo Consiglio, citate nella superiore motivazione;
– copia autentica del DDS impugnato in primo grado;
– copia autentica del DDG n. 2350/1 del 20 ottobre 2014;
c) trasmissione alla Commissione europea, in copia autentica, di ogni documento, ulteriore rispetto a quelli sopra indicati e contenuto negli atti della causa, eventualmente richiesto dalla Commissione medesima.
15. – In attesa del riscontro della Commissione europea, va pertanto sospeso l’ulteriore corso del giudizio a norma dell’art. 79 c.p.a., e la trattazione della causa, per mere esigenze acceleratorie, deve essere rinviata alla udienza pubblica dell’8 luglio 2015, ore di rito, riservandosi questo Consiglio la decisione definitiva, anche in ordine al regolamento delle spese processuali e agli eventuali adempimenti di obblighi comunicativi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
non definitivamente pronunciando, dispone trasmettersi la presente ordinanza alla Commissione europea e, per l’effetto, sospende l’ulteriore corso del giudizio e rinvia la trattazione della causa all’udienza pubblica dell’8 luglio 2015, ore di rito.
Manda la Segreteria per la comunicazione e per l’esecuzione della presente ordinanza, nei termini e nei modi precisati in motivazione, nonché per gli altri adempimenti di competenza.
Riservato ogni ulteriore provvedimento.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014, con l’intervento dei magistrati: