1 In via pregiudiziale, il Collegio ritiene di potere adottare la tipologia di provvedimento decisorio di cui all’art. 60 d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in ragione della ritualità delle modalità di instaurazione del contraddittorio e della completezza dello stesso, nonché della superfluità di ulteriore istruzione della causa e comunque dell’assenza delle cause ostative previste dal citato art. 60
2. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, si censurano i provvedimenti impugnati nella parte in cui hanno assegnato al minore interessato, affetto da disabilità grave ex art. 3 l. 104/1992 (documentata come in atti, e comunque non contestata), un insegnante di sostegno per un numero di ore settimanali (15) inferiore al numero delle ore (22) in relazione alle quali lo stesso minore necessita del sostegno (rapporto di 1:1), secondo quanto stabilito dai documenti educativi didattici relativi all’anno scolastico considerato (estratto del verbale del G.L.I.S. in data 10 aprile 2014).
Le censure proposte lamentano il sacrificio del diritto allo studio del minore, in conseguenza della contrazione delle ore di sostegno, funzionali a consentire la proficua partecipazione dei minori stessi alle attività didattiche, altrimenti preclusa dallo stato di disabilità.
3. Pregiudizialmente il Collegio ritiene di dover esaminare la questione della permanenze della giurisdizione amministrativa, a seguito della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 25011 del 25 novembre 2014: che ha affermato la sussistenza della giurisdizione dell’a.g.o. sul presupposto che l’inadeguato sostegno scolastico alla disabilità grave configuri una ipotesi di discriminazione rilevante ai sensi della legge 1° marzo 2006, n. 67.
Il Collegio ritiene, concordemente con le conformi conclusioni sul punto di entrambe le parti, che il richiamato arresto non comporti, nella fattispecie in esame, il difetto di giurisdizione di questo Tribunale Amministrativo Regionale.
A tale conclusione il Collegio perviene all’esito di plurimi, ma convergenti, itinerari esegetici.
4. In primo luogo, la fattispecie scrutinata dalla SS.UU. concerneva un ricorso avente come oggetto mediato l’integrazione del sostegno scolastico, ma come petitum sostanziale la domanda di rimedi contro la discriminazione in tal modo posta in essere nei confronti del soggetto disabile.
La prestazione amministrativa concernente il diritto allo studio – oggetto del presente giudizio – era dunque in quel caso una mera modalità attuativa della condotta discriminatoria.
Considerato che sul piano morfologico la condotta discriminatrice considerata – anche ai fini del riparto della giurisdizione – dalla citata l. 67/2006 è atipica, ne consegue che non ogni attività materiale suscettibile di indurre discriminazione è per ciò solo riconducibile alla disciplina di cui alla legge ora richiamata, anche ove difetti sul piano funzionale od effettuale tale connotato discriminatorio, ma solo nella misura in cui venga assunta – non già secondo la prospettazione di parte: ma, come nel caso deciso dalle SS.UU., in base alla causa petendi – quale veicolo di discriminazione.
Una inammissibile concezione pan-discriminatoria della tutela dei diritti sociali e dei diritti fondamentali non è infatti conforme al significato della – speciale – disciplina processuale recata dalla citata legge n. 67 del 2006: e non è, dunque, con essa compatibile.
5. In secondo luogo, ciò che appare comunque dirimente è che quand’anche si volesse superare il superiore profilo, va osservato che la legge n. 67/2006, nel testo attualmente vigente ed applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta, non pone alcuna norma attributiva di giurisdizione esclusiva dell’a.g.o. in materia: ma stabilisce – all’art. 3, comma 2: “I giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 2 sono regolati dall’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150” – quale rito si applichi una volta che la domanda, con valutazione logicamente pregiudiziale, sia stata riconosciuta come appartenente alla giurisdizione civile, secondo le ordinarie regole di riparto.
E sotto quest’ultimo – propedeutico – profilo, non può non rilevarsi che le censure proposte nel presente giudizio lamentano il sacrificio del diritto allo studio del disabile grave, in conseguenza della contrazione delle ore di sostegno, funzionali a consentire la proficua partecipazione del predetto alle attività didattiche, altrimenti preclusa dallo stato di disabilità.
Analogamente l’art. 28 del D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150, recante Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, cui l’art. 3, primo comma, della legge 67/2006 rinvia, è norma sul rito: tali disposizioni hanno, in questa materia, il medesimo valore esegetico in punto di disciplina del riparto attribuibile, ad esempio, alla disposizione – art. 8-bis. d.l. 12 settembre 2013, n. 104, convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128 – che esclude il pagamento del contributo unificato per i ricorsi proposti davanti alla giurisdizione amministrativa proprio in materia di sostegno scolastico alla disabilità grave (il che prova, quanto meno, che uno spazio per tale giurisdizione vi sia).
Lo stesso articolo 4, comma 2, della legge 67/2006 (“Le associazioni e gli enti di cui al comma 1 possono intervenire nei giudizi per danno subito dalle persone con disabilità e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti lesivi degli interessi delle persone stesse”) chiarisce definitivamente che la regola di riparto, in materia di tutela antidiscriminatoria, segue il generale criterio diritto soggettivo/interesse legittimo (con l’implicito corollario di fare salva a fortiori, oltre alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, anche quella esclusiva, ove esistente).
5.1. Nel caso in esame la domanda ha dunque ad oggetto l’accertamento della necessità per il minore di vedersi erogato il servizio didattico previa predisposizione, da parte dell’amministrazione, di misure di sostegno – didattiche o assistenziali – necessarie per evitare che il soggetto disabile altrimenti fruisca solo nominalmente del percorso di istruzione, essendo impossibilitato ad accedere ai contenuti dello stesso in assenza di adeguate misure compensative (sicché trattasi di prestazioni accessorie e complementari al servizio pubblico istruzione).
In conseguenza della ridetta qualificazione della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, si versa nella ipotesi di giurisdizione esclusiva su diritti, ex art. 133, comma 1, lett. c), del cod. proc. amm.vo.
E’ indiscusso che la domanda concerna la protezione dei diritti fondamentali, tutelati dalle disposizioni costituzionali e convenzionali invocate in ricorso.
E’ tuttavia del pari difficilmente discutibile che nel caso di specie la lamentata lesione dei diritti fondamentali è diretta conseguenza del provvedimento amministrativo che ha conformato in modo solo inidoneo ed insufficiente il diritto allo studio.
In altre parole, senza provvedimento non vi è attività, e senza attività non vi è contenuto del diritto.
Se l’amministrazione, nell’emanare il provvedimento, ha violato il relativo paradigma normativo (anche – in tesi – costituzionale e convenzionale), il provvedimento sarà oggetto di annullamento: e, in caso di urgenza, ne saranno sospesi gli effetti.
La Corte costituzionale aveva già in passato chiaramente affermato che la lesione di un diritto fondamentale riconducibile ad un provvedimento dell’amministrazione ben può essere giudicata dal giudice amministrativo: “La richiamata giurisprudenza di questa Corte esclude, poi, che la giurisdizione possa competere al giudice ordinario per il solo fatto che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno (sentenza n. 191 del 2006). Il giudizio amministrativo, infatti, in questi casi assicura la tutela di ogni diritto: e ciò non soltanto per effetto dell’esigenza, coerente con i princípi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa” (Corte costituzionale, sentenza n. 140 del 2007).
Sul punto la sentenza delle SS.UU. in esame correttamente si mostra coerente a tale impostazione, affermando – ancorché con sovrapposizione categoriale fra diritti fondamentali e diritti costituzionalmente garantiti – al punto 2.6. della motivazione in diritto che “La natura fondamentale del diritto all’istruzione del disabile non è di per sé sufficiente a ritenere devolute le controversie che ad esso si riferiscono alla giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice ordinario dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale”; soggiungendo – con ampiezza e profondità di respiro sistematico – che “la categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi: questi sono sempre più spesso chiamati, non solo all’assolvimento dei compiti rivolti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, ma anche ad offrire ad essi una tutela sistemica, nel bilanciamento con le esigenze di funzionalità del servizio pubblico e tenendo conto, ai fini del soddisfacimento dell’interesse generale, del limite delle risorse disponibili secondo le scelte allocative compiute dagli organi competenti”.
6. Occorre però considerare che proprio la citata sentenza delle SS.UU., al successivo punto n. 2.6.1. della motivazione in diritto, applicando alla fattispecie de qua uno schema logico che ben si attaglia alla tutela dei diritti di credito (ma meno a quella dei diritti sociali: specie se finanziariamente condizionati), distingue fra la prestazione amministrativa conformativa del diritto, in relazione allo scrutinio della quale sussisterebbe la giurisdizione amministrativa; e quella meramente attuativa del diritto già conformato (a seguito della redazione del piano educativo individualizzato), in tesi priva di profili di discrezionalità amministrativa, nella quale l’amministrazione non agirebbe come autorità.
Tale descrizione del fenomeno – che tra l’altro prefigura una scissione della tutela fra cinque gradi di giudizio, definendo evidentemente uno scenario secondo cui il disabile grave, per avere tutela piena, dovrebbe rivolgersi dapprima al giudice amministrativo, quindi (per l’ipotesi di mancata attuazione del provvedimento satisfattivo) al giudice ordinario – sovrappone l’astratta disciplina del fenomeno, al suo concreto atteggiarsi, che costituisce oggetto di tutela giurisdizionale: e rischia, in tal modo, di proporre modelli rimediali, e corrispondenti tecniche di tutela, avulsi dalla realtà della lesione del diritto fondamentale.
Nello Stato sociale, il ruolo della pubblica amministrazione, di redistribuzione di risorse limitate nell’assolvimento degli obblighi e dei doveri di tutela, per un verso impone la qualificazione dei connessi diritti sociali come diritti (formalmente sanciti, ma) finanziariamente condizionati all’effettiva disponibilità delle risorse necessarie per riempirli di effettivo contenuto; e, per altro verso, pone il soggetto pubblico nella dialettica fra astratto disporre e concreto provvedere, vale a dire nella necessità, a fronte dell’incontestabile garanzia di diritti tutti parimenti tutelati e conformati, di ripartire le (inferiori) risorse esistenti.
Tale ripartizione, che produce nella sfera giuridica del disabile grave gli effetti lesivi lamentati con il ricorso in esame, è all’evidenza – basta leggere il tenore dei provvedimenti dei dirigenti scolastici, quale quello impugnato nel presente giudizio – improntata a criteri discrezionali: solitamente funzionali ad una ripartizione proporzionale, fra i disabili gravi frequentanti la medesima scuola, delle limitate risorse disponibili.
E’ proprio l’esercizio di questo potere discrezionale, espressione dell’autonomia organizzativa e didattica, che riempie di contenuto il diritto, in modo conforme o meno al paradigma normativo.
La mancata attribuzione di tutte le ore di sostegno indicate nel p.e.i. non è mai una mera omissione negligente, ma è l’effetto di una scelta volitiva, conseguente ad una ponderazione comparativa, tendente a minimizzare e a ripartire fra i soggetti aventi diritto le ricadute pregiudizievoli della limitatezza delle risorse disponibili.
L’affermazione di un inadempimento mero nell’attuazione del diritto è dunque, in questa materia, obiettivamente collidente con la realtà normativa.
Tale vizio d’impostazione si ricava anche dal fatto che la sentenza delle SS.UU. in esame ha fondato il proprio argomentare, discostandosi dai contrari precedenti dello stesso giudice del riparto citati in sentenza, anche sulla base delle conseguenze della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 33 del d. lgs. 80/1998, immediato precedente storico dell’attuale disposizione attributiva della giurisdizione (il citato art. 133 cod. proc. amm.), in relazione a quella parte del settore dei pubblici servizi in cui l’amministrazione non agisce come autorità: quella giurisprudenza costituzionale, infatti, concerneva proprio l’esercizio di diritti di credito (ad oggetto pecuniario) sottostanti l’organizzazione dei pubblici servizi, ma non già la garanzia del contenuto di diritti sociali (fondamentali).
La prova che il formante legislativo disciplini la materia nel modo anzidetto, che presuppone un’attuazione non meramente adempitiva del dovere di assicurare adeguato sostegno, si ricava dalle modifiche alla disciplina – richiamata dalla sentenza delle SSUU in esame, proprio per escludere che un potere vi sia – dell’assegnazione di insegnanti di sostegno in deroga, e in particolare dall’art. 15, commi 1, 2 e 2-bis del d.l. 12 settembre 2013, n. 104, convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128: laddove stabiliscono criteri legali, basati sul contemperamento di interessi generali (quale, ad esempio, l’equa ripartizione territoriale), che orientano l’esercizio del potere discrezionale in esame.
Ne consegue che proprio una consapevole e coerente applicazione del criterio indicato dalle SS.UU. nella richiamata sentenza n. 25011 del 25 novembre 2014 conduce alla conclusione che la conformazione del diritto allo studio del disabile non è operata dallo strumento programmatorio (che, nella teoria della predeterminazione dell’attività amministrativa, ha una mera funzione di autovincolo al successivo esercizio del potere discrezionale): ma dal provvedimento amministrativo che, in esercizio del potere autoritativo, e sulla base delle norme primarie da ultimo richiamate, assegna l’insegnante di sostegno.
Lo scrutinio della legittimità di tale provvedimento avviene alla stregua di un duplice paradigma normativo: le disposizioni normative (anche sovranazionali), e la norma programmatoria di auto vincolo.
Si è comunque al di fuori di una vicenda meramente esecutivo-adempitiva, in cui l’amministrazione sarebbe priva di poteri autoritativi, di un diritto in tesi già conformato: sicché il Collegio ritiene che sussista la giurisdizione di questo Tribunale Amministrativo Regionale.
7. Nel merito, appaiono pertanto fondate le censure dedotte nel ricorso.
Secondo i numerosi precedenti della sezione, alle cui motivazioni, per esigenze di sintesi si rinvia (per tutte, sentenze n. 472/2011 e 95/2013) – il quadro costituzionale e legislativo (si veda la sentenza n. 80/2010 della Corte costituzionale) è nel senso della necessità per l’amministrazione di erogare il servizio didattico predisponendo, per l’ipotesi di disabilità grave, le misure di sostegno necessarie per evitare che il soggetto disabile altrimenti fruisca solo nominalmente del percorso di istruzione, essendo impossibilitato ad accedere ai contenuti dello stesso in assenza di adeguate misure compensative, e che tale rapporto di adeguatezza va evidentemente parametrato in funzione dello specifico e concreto ciclo scolastico frequentato.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità dei provvedimenti impugnati.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Sezione (si veda esemplificativamente la sentenza n. 1947/2013), la statuizione di accertamento del diritto ha efficacia, sul piano diacronico, non limitata al corrente anno scolastico.
Fino a che non sopravvenga dunque un documento di contenuto contrario rispetto a quelli che hanno fondato la pretesa oggetto del presente giudizio con riferimento alle specifiche esigenze del minore ricorrente, va riconosciuto il diritto dello stesso ad essere seguito durante le ore di frequenza scolastica da un insegnante di sostegno in rapporto di 1/1, con ogni conseguente obbligo di prestazione incombente sull’amministrazione resistente.
8. Quanto all’istanza risarcitoria, il Collegio ritiene di condividere l’orientamento che riconosce il diritto al ristoro del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., qualificabile nella fattispecie come danno esistenziale, in presenza di lesioni ai valori della persona umana garantiti o protetti dalla carta costituzionale (Corte Cass., sez. III 30 aprile 2009 n. 10120) ovvero ai diritti costituzionalmente inviolabili (Corte Cass. SS.UU. 19 agosto 2009 n. 18356).
Nella specie, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa in due precedenti relativi a fattispecie analoghe, il danno è individuabile negli effetti che la, seppur temporanea, diminuzione delle ore di sostegno subita ha provocato sulla personalità del minore, privato del supporto necessario a garantire la piena promozione dei bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione a fasi di vita “normale” (T.A.R. Sardegna, sentenza n. 695/2011, T.A.R. Toscana, sentenza n. 746/ 2012); sia in relazione al pregiudizio subìto sotto il profilo psicologico (in relazione alla mancata, completa integrazione scolastica), sia con riferimento al deficit riscontrabile sotto il profilo didattico-culturale sulla base della stessa documentazione in atti, dalla quale si evince una partecipazione inutile all’attività didattica ove non adeguatamente assistita.
Pertanto, il danno può essere quantificato, in via equitativa, e considerato che il deficit non raggiunge il 50% del monte ore settimanale, in € 500/00 per ogni mese (con riduzione proporzionale per la frazione di mese) di mancanza dell’insegnante di sostegno nel rapporto 1/1 dalla data di notificazione del ricorso sino all’effettiva assegnazione; l’obbligo di corrispondere al ricorrente tale somma va posto a carico del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, a cui va imputata la responsabilità generale delle scelte gestionali poi attuate dalle articolazioni periferiche dell’Amministrazione; su tutte le somme dovute decorrono, altresì, gli interessi, al tasso legale, dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo saldo, in conseguenza della conversione in obbligazione di valuta del credito risarcitorio
Considerato che, pertanto, in accoglimento del ricorso:
– va dichiarata l’illegittimità, in parte qua, dei provvedimenti impugnati;
– va riconosciuto il diritto del minore indicato in epigrafe ad essere assistito da un insegnante di sostegno secondo il rapporto 1/1;
– vanno condannate le amministrazioni resistenti all’assegnazione, a favore del predetto minore, di insegnante di sostegno secondo il rapporto 1/1;
– va condannato il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca al risarcimento del danno come prima quantificato, nonché al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, oltre alla rifusione dell’importo del contributo unificato, in applicazione della regola della soccombenza, e tenuto altresì conto del fatto che le questioni dedotte sono oggetti di costante e pacifica giurisprudenza (le spese vanno, invece, compensate nei confronti della scuola, avendo la stessa rappresentato l’esigenza di un insegnante di sostegno in deroga).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto:
a) dichiara l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, nella parte in cui hanno assegnato al minore indicato in epigrafe insegnanti di sostegno per un numero di ore settimanali inferiore a quello necessario secondo il rapporto 1/1;
b) dichiara il diritto del predetto minore ad essere assistito da insegnanti di sostegno secondo il rapporto 1/1, secondo quanto specificato in motivazione;
c) condanna il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca al risarcimento del danno come quantificato in motivazione, e al pagamento in favore della parte ricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro cinquecento/00 oltre accessori. come per legge, e al rimborso dell’importo del contributo unificato versato, con distrazione in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario;
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52, commi 1,2 e 5 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di diffusione del provvedimento, all’annotazione di cui ai commi 1,2 e 5 della medesima disposizione.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati: