SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2052 del 2005, proposto da:
Parrini Mario e Vettori Luisa, rappresentati e difesi dall’avv. Alberto Ferretti, domiciliatario in Firenze, viale Lavagnini, 45;
contro
Comune di Poggio a Caiano, n.c.;
per
il risarcimento del danno conseguente a rilascio e successivo annullamento della concessione edilizia n. 6324 del 25 febbraio 2002.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2015 la dott.ssa Rosalia Messina e udita per i ricorrenti l’avv. F. Milani, delegata dall’avv. A. Ferretti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti chiedono il risarcimento del danno che affermano avere subìto per effetto dell’ordinanza n. 55 del 28 agosto 2002, con la quale il Comune di Poggio a Caiano ha annullato la concessione edilizia loro rilasciata in precedenza (n. 6324 del 25 febbraio 2002), relativa alla costruzione di un magazzino con annessa unità abitativa su terreno di loro proprietà, già in avanzato stato di edificazione al momento dell’annullamento e oggetto di un preliminare di vendita.
La motivazione del provvedimento che ha annullato la concessione edilizia fa riferimento alla distanza inferiore a quella prevista dal regolamento di attuazione del codice stradale (art. 26 del D.P.R. n. 495/1992) e all’erronea considerazione dell’ubicazione dell’area su cui insiste l’intervento edilizio, cioè al di fuori dell’area urbana e non già all’interno di essa, come inizialmente ritenuto dal Comune, che a seguito di ulteriore attività istruttoria e sulla base della consultazione di nuove planimetrie si è avveduto dell’errore e quindi della mancanza di presupposti per il rilascio della concessione di cui trattasi.
Nel provvedimento di annullamento si menziona l’azione intrapresa dinanzi a questo Tribunale dalla società Beauty Car s.r.l.; il ricorso (n. 1797/2002 R.G.) è stato definito con sentenza n. 1890/2002, resa in forma semplificata, con la quale è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere proprio in virtù dell’ordinanza n. 55/2002.
I signori Parrini e Vettori provvedevano alla demolizione delle opere realizzate fino al mese di agosto 2002.
Ciò ha esposto gli odierni ricorrenti alla pretesa del promissario acquirente di ottenere il versamento del doppio della caparra, che era stata corrisposta nell’ammontare di € 124.000,00 e quindi all’azione da lui intentata dinanzi al Tribunale di Prato con atto di citazione dell’8 maggio 2005.
Le spese documentate dai ricorrenti per la costruzione e la demolizione del fabbricato ammontano a € 37.900,00 (37.900,01), mentre gli oneri di urbanizzazione sono stati già rimborsati.
Secondo i ricorrenti l’amministrazione ha agito con negligenza, come sarebbe dimostrato dalla mancanza dei presupposti per il rilascio della concessione; in particolare, le planimetrie utilizzate durante il procedimento volto al rilascio del titolo edilizio poi annullato in autotutela non sarebbero state ancora vigenti in quanto non approvate. Di ciò il Comune avrebbe dovuto avere contezza.
L’ente intimato non si è costituito in giudizio, nonostante la rituale notifica del ricorso in epigrafe.
Alla pubblica udienza del 7 luglio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2. Il Collegio ritiene di dover preliminarmente affrontare, d’ufficio, la questione dell’ammissibilità del ricorso sotto il profilo della giurisdizione.
Orbene, è noto che le SS.UU. della Cassazione hanno statuito che le controversie aventi per oggetto il risarcimento del danno derivante dall’annullamento legittimo di un provvedimento favorevole illegittimo sono devolute alla cognizione del giudice ordinario (ordd. 23 marzo 2011 n. 6594, n. 6595, n. 6596); e ciò in quanto il danno lamentato dall’interessato, in simili ipotesi, non deriverebbe direttamente dal provvedimento, bensì dal comportamento dell’amministrazione che, adottando il provvedimento favorevole, avrebbe ingenerato un incolpevole affidamento in capo alla parte, travolto dal successivo annullamento. Quindi il pregiudizio subìto dal privato sarebbe riconducibile non già al provvedimento bensì al comportamento complessivamente tenuto dall’autorità e, pertanto, la giurisdizione sulle domande che hanno ad oggetto il suo risarcimento non dovrebbe appartenere al giudice amministrativo bensì al giudice ordinario.
Ciò, secondo le Sezioni Unite, varrebbe anche per le controversie attinenti a materie di giurisdizione esclusiva. Le argomentazioni sulle quali riposa la tesi in esame sono così riassumibili:
come ha chiarito la Corte costituzionale (con sent. n. 204 del 2004), anche per queste materie la giurisdizione del giudice amministrativo va esclusa nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione non agisca in veste di autorità;
il risarcimento del danno non costituirebbe ulteriore materia di giurisdizione esclusiva ma semplice strumento di tutela dell’interesse legittimo leso dal provvedimento, il quale si aggiunge alla tutela di tipo demolitorio;
di conseguenza, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo potrebbe conoscere delle sole controversie nelle quali il risarcimento del danno venga chiesto quale rimedio per le conseguenze dannose provocate dall’atto illegittimo, restando invece devolute al giudice ordinario le controversie nelle quali l’atto amministrativo abbia contenuto favorevole e costituisca solamente uno degli elementi che compongono il complessivo comportamento scorretto tenuto dalla pubblica amministrazione.
Tuttavia, il Collegio ritiene condivisibile un orientamento giurisprudenziale (Tar Lombardia – Milano, II, n. 218/2015) secondo il quale, soprattutto in una materia come quella dell’edilizia, in cui il g.a. ha giurisdizione esclusiva, il ragionamento delle SS.UU. può essere superato in base alle riflessioni che di seguito si espongono.
Sotto un profilo pratico, l’orientamento cui qui si aderisce sottolinea che spesso il provvedimento amministrativo, oltre che regolare i rapporti fra amministrazione e privato destinatario del provvedimento, regola anche i rapporti fra privato e terzi; ciò avviene in modo particolare proprio in materia edilizia, laddove i provvedimenti incidono sugli interessi della p.a. e del richiedente, incidendo però anche sulla sfera di interessi dei soggetti che hanno proprietà confinanti a quella interessata dall’intervento. In sostanza, il provvedimento può essere al tempo stesso favorevole per un soggetto e sfavorevole per un altro.
Il Tar di Milano ha tratto da ciò la conseguenza che, ai fini del riparto di giurisdizione, la distinzione fra azione risarcitoria proposta a causa dell’adozione di provvedimento sfavorevole e azione risarcitoria proposta per l’adozione di provvedimento favorevole può talvolta risolversi in una distinzione meramente formale, in quanto la giurisdizione varierebbe a seconda del soggetto che propone la domanda pur essendo, nelle due ipotesi, l’oggetto della cognizione demandata al giudice quasi del tutto identica. In entrambi i casi oggetto della controversia sarebbero l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento e della colpa dell’amministrazione, con la sola peculiarità, per le cause del secondo tipo, data dalla necessità di accertare anche la sussistenza di un affidamento incolpevole in capo alla parte privata.
Condivisibile, ad avviso del Collegio, è l’osservazione che far dipendere il riparto di giurisdizione dal soggetto che propone la domanda costituisce soluzione insoddisfacente sia in quanto due giudici diversi potrebbero pronunciare su questioni quasi identiche, con possibilità di contrasto fra giudicati, sia perché si moltiplicherebbero i giudizi riguardanti un’unica vicenda, essendo il controinteressato soccombente nel giudizio impugnatorio costretto a proporre, per ottenere il risarcimento del danno, un nuovo giudizio dinanzi al giudice ordinario.
Al contrario, la devoluzione della giurisdizione unicamente al giudice amministrativo, potrebbe offrire la possibilità al controinteressato stesso di proporre domanda subordinata risarcitoria all’interno del processo di impugnazione instaurato dalla controparte, con conseguente semplificazione procedurale nonché rapidità della tutela.
Da un punto di vista teorico, poi, il Tar Milano ha contestato la riconduzione dell’affidamento inciso dal provvedimento favorevole illegittimo alla categoria del diritto soggettivo. La soluzione prospettata, che il Collegio condivide, nega l’autonomia dell’affidamento come situazione soggettiva, muovendo dalla considerazione che in ogni rapporto giuridico dev’essere osservato dalle parti, tra l’altro, il canone di lealtà, il quale si sostanzia nei doveri di non ingenerare falsi affidamenti, di non speculare su affidamenti errati e di non tradire ragionevoli affidamenti insorti nella controparte.
Per tale sua natura, l’affidamento arricchisce il contenuto delle situazioni giuridiche che fanno capo ai soggetti che sono parti di un rapporto giuridico, assumendo contenuto e qualificazione diversi a seconda delle diverse situazioni sulle quali esso incide.
In particolare, nel rapporto giuridico tra potere autoritativo da una parte e interesse legittimo dall’altra, è a questa situazione giuridica soggettiva che l’affidamento inerisce, arricchendola.
Pertanto, la lesione dell’affidamento provocato dall’esercizio scorretto del potere determina sempre la lesione della situazione giuridica sostanziale tipica che si instaura fra il cittadino e la p.a. quando la seconda esercita le proprie potestà pubblicistiche, vale a dire l’interesse legittimo; senza che possa distinguersi (e senza che tale distinzione sia utile ai fini risarcitori) fra il caso in cui l’esercizio scorretto del potere abbia determinato la reiezione di un’istanza e quello in cui ne sia invece conseguito l’accoglimento.
Ciò posto, in applicazione delle regole sul riparto della giurisdizione, nelle ipotesi in questione la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo; ciò vale, a maggior ragione, per le controversie che hanno per oggetto materie riservate alla giurisdizione esclusiva di quel giudice, qual è la materia edilizia.
Per altro, secondo la Corte costituzionale il giudice amministrativo è il “giudice ordinario” della funzione pubblica, e cioè di quell’attività esercitata dalla pubblica amministrazione mediante l’esercizio del pubblico potere (cfr. sent. 18 aprile 2007, n. 140).
Appare dunque costituzionalmente corretta l’attribuzione a questo giudice della cognizione di tutte le controversie nelle quali l’autorità agisca in via autoritativa, comprese quelle nelle quali le parti, investite dall’esercizio del potere, agiscano per ottenere non già il rimedio demolitorio ma il rimedio risarcitorio. E senza necessità di distinguere a seconda che l’esercizio scorretto del potere, comunque pregiudizievole per il privato, abbia in un primo momento determinato l’accoglimento ovvero la reiezione delle istanze rivolte dal privato alla p.a..
3. Passando al merito della domanda risarcitoria oggetto della controversia, si rileva la sussistenza dei presupposti per la risarcibilità del danno patito dai ricorrenti.
Sotto il profilo soggettivo (che è necessario accertare al di fuori di alcuni settori, come quello degli appalti: si veda Cons. Stato, IV, 6 dicembre 2013, n. 5823 − in cui ulteriori citazioni di giurisprudenza − che ha escluso la ricorrenza della colpa dell’amministrazione in presenza di una disciplina urbanistica di complessa e difficile applicazione), una grave negligenza va infatti ravvisata nell’operato dell’amministrazione, la quale ha rilasciato un titolo edilizio illegittimo senza avere attentamente verificato la sussistenza dei presupposti di tale rilascio e senza che possano invocarsi in contrario gravi difficoltà nella ricostruzione della disciplina applicabile. Dalla lettura dell’ordinanza n. 55/2002 emerge che dopo il rilascio della concessione edilizia n. 6234/2002 sono stati disposti «ulteriori verifiche e controlli», dai quali è risultato che l’area oggetto dell’intervento edilizio in questione è esterna al centro abitato «la cui delimitazione è stata approvata con delibera G.m. n. 217 del 29 giugno 1993 con allegate planimetrie»; si precisa inoltre che «l’amministrazione comunale non ha provveduto a modificare le suddette perimetrazioni e quindi si intendono vigenti quelle allegate alla delibera n. 217/93 suddetta».
Dal tenore dell’ordinanza si evince che la vicenda non richiedeva accertamenti complessi e che la disciplina da applicare non presentava caratteristiche di complessità e difficile ricostruibilità. Né le incertezze dovute alla mancata approvazione delle nuove planimetrie predisposte dall’Ufficio tecnico, né l’aver contato su informazioni ricavate attraverso contatti con i tecnici dell’ANAS costituiscono in alcun modo circostanze escludenti la colpa dell’amministrazione, la quale avrebbe dovuto sapere, attenendosi a criteri di ordinaria diligenza, della mancata approvazione e avrebbe dovuto pretendere dall’ANAS elementi istruttori certi e documentali.
Sussiste altresì, con tutta evidenza, il pregiudizio economico, sia in termini di spese sostenute per l’edificazione e la successiva demolizione della fondazione a platea con sovrastanti pilastri in cemento armato fino all’altezza del primo solaio, come risulta dalla stessa ordinanza n. 55/2002 (che richiama un sopralluogo effettuato dai tecnici comunali), sia per la somma da corrispondere al promissario acquirente per mancata stipula del contratto definitivo di vendita al quale gli odierni ricorrenti si erano obbligati con il preliminare (tuttavia, per tale secondo aspetto il difensore ha dichiarato in pubblica udienza di rinunciare alla domanda, essendo intervenuta una transazione fra i soggetti interessati).
Altrettanto evidente è il nesso eziologico fra l’operato dell’amministrazione e il danno arrecato ai ricorrenti dalla concessione rilasciata in assenza di presupposti. Su tale concessione i ricorrenti hanno fatto affidamento; essi si sono determinati, nelle scelte edificatorie e contrattuali, alla luce del provvedimento ampliativo, stipulando un contratto preliminare di compravendita e sostenendo spese di costruzione e poi, dopo l’ordinanza di annullamento della concessione edilizia, di demolizione dell’edificato.
Pertanto, preso atto della rinuncia alla domanda relativa alla somma di 124.000 € (caparra confirmatoria), la domanda risarcitoria oggetto del giudizio va accolta per quanto attiene alle spese documentate con fatture (documenti da 12 a 20) e con bollette relative al cantiere (documenti 21 e 22), per un ammontare di € 37.900,01 /trentasettemilanovecento/01).
Su tale somma spettano i richiesti interessi e rivalutazione, trattandosi di debito di valore, dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo.
Le spese seguono il principio di soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così statuisce:
– dà atto della rinuncia alla domanda relativa alla somma di € 124.000,00 (centoventiquattromila/00);
– accoglie, per il resto, il ricorso e, per l’effetto, condanna il Comune di Poggio a Caiano al risarcimento del danno nella misura di € 37.900,01 (trentasettemilanovecento/01), con interessi e rivalutazione dalla data della pubblicazione della presente sentenza al saldo;
– pone le spese processuali a carico del Comune intimato, liquidandole, in favore dei ricorrenti, indivisamente, nella somma di € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati: