1. Secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2014, un sistema legislativo che consenta soltanto alle coppie eterosessuali di unirsi in matrimonio può legittimamente escludere che si possano mantenere unioni coniugali divenute a causa della rettificazione di sesso di uno dei componenti non più fondate sul predetto paradigma. Ciò che non può essere costituzionalmente tollerato, tuttavia, in virtù della protezione costituzionale (nonché convenzionale ex art. 8 CEDU) di cui godono le unioni tra persone dello stesso sesso, è che per effetto del sopravvenuto non mantenimento del modello matrimoniale tali unioni possano essere private del nucleo di diritti fondamentali e di doveri solidali propri delle relazioni affettive sulle quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità sul piano soggettivo e relazionale.
2. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 del 2014, non si è limitata ha lanciare un monito la legislatore, ma ha, al contrario, ritenuto, con una sentenza additiva di principio, che il meccanismo di caducazione automatica del vincolo matrimoniale nel sistema di vuoto normativo attuale fosse produttivo di effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l’unione conseguente alla rettificazione di sesso di uno dei componenti deve, per obbligo costituzionale, conservare ex art. 2 Cost. Nei limiti così delineati, pertanto, la pronuncia è autoapplicativa e non meramente dichiarativa.
3. Ne consegue che, fermo l’assunto secondo il quale con le pronunce additive di principio la Corte non immettere direttamente nell’ordinamento (come per le sentenze manipolative in senso stretto) una concreta regola positiva, non intendendo invadere la competenza legislativa del Parlamento, non è seriamente contestabile che il principio della necessità immediata e senza soluzione di continuità di uno statuto sostanzialmente equiparabile, sul piano dei diritti e doveri di assistenza economico patrimoniale e morale reciproci, a quello derivante dal vincolo matrimoniale per le coppie già coniugate che si vengano a trovare nella peculiare condizione delle ricorrenti abbia natura imperativa e debba essere applicato con l’efficacia stabilità dall’art. 136 Cost.
4. In attea dell’intervento del legislatore, cui la Corte costituzionale ha tracciato la via da percorrere, il giudice a quo è tenuto ad individuare sul piano ermeneutico la regola per il caso concreto che inveri il principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento. Tale adeguamento non può che comportare la rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale sul regime giuridico di protezione dell’unione fino a che il legislatore non intervenga a colmare il vuoto normativo, ritenuto costituzionalmente intollerabile, costituito dalla mancanza id un modello di relazione tra persone dello stesso sesso all’interno del quale far confluire le unioni matrimoniali contratte originariamente da persone di sesso diverso e divenute, mediante la rettificazione del sesso di uno dei componenti, del medesimo sesso.
Tale opzione ermeneutica non determina l’estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive, svolgendo esclusivamente la funzione temporalmente definita (fino all’intervento del legislatore) e non eludibile di non creare quella condizione di massima indeterminatezza stigmatizzata dalla Corte costituzionale in relazione ad un nucleo affettivo e familiare che, avendo goduto legittimamente dello statuo matrimoniale, di trova invece in una condizione di assenza radicale di tutela.
Cassazione Civile 21 aprile 2015, n. 8097 (1402.5 Kb)