Pur considerando l’ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire, come auspica parte della dottrina, l’accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l’interesse ad agire per il mutamento, tra i quali, quindi, anche a una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è un’opzione esegetica non percorribile, in quanto non considera che l’interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa né nel mondo fenomenico né quale fonte normativa. Il timore che in tal modo possono ingenerarsi differenze nel trattamento dei destinatari dei comandi giudiziari, a seconda che il giudizio di revisione trovi o meno base nel verificarsi di fatti sopravvenuti, non ha ragion d’essere tenuto conto che in assenza di essi il diritto all’assegno poggia sul giudicato rebus sic stantibus, che comprende i parametri complessivi al riguardo valutati, e considerato, peraltro, che, anche, nel diverso caso di successione della legge nel tempo, l’applicazione della nuova legge trova, com’è noto, il suo limite nell’intervenuto giudicato sul rapporto dedotto in giudizio, senza che ciò comporti un vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. rientrando nella discrezionalità del legislatore di modificare nel tempo la disciplina giuridica degli istituti. Non va sottaciuto, poi, che ammettere che un mutamento di orientamento giurisprudenziale possa integrare uno dei “giustificati motivi” che consentono la revisione delle statuizioni in materia di revisione dell’assegno divorzile importerebbe conseguenze incongrue, sia nell’ipotesi di un successivo mutamento giurisprudenziale, sia nell’ipotesi in cui il giudice del merito, non tenuto per legge al principio dello stare decisis, non aderisse alla nuova linea interpretativa, anche resa in sede nomofilattica dalla Corte di Cassazione .
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