La madre è onerata dalla prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolvere l’onere mediante presunzioni semplici, sulla base non solo di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l’id quod plerumque accidit, ma anche di circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche (quali, ad esempio, il ricorso al consulto medico proprio per conoscere le condizioni di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della donna, pregresse manifestazioni di pensiero, in ipotesi, sintomatiche di una propensione all’opzione abortiva in caso di grave malformazione del feto).
Il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta”, poiché l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere se non sano”. Ammetterlo significherebbe riconoscere il danno nella vita stessa del bambino e l’assenza di danno nella morte, dal momento che il secondo termine di paragone tra le due situazioni alternative, prima e dopo l’illecito, è la non vita, da interruzione della gravidanza, e la non vita non può essere un bene della vita; “per la contraddizione che nol consente”.
25767_Cassazione civile 22 dicembre 2015 (1040.19 Kb)