Le norme sostanziali contenute nella L. n. 189 del 2012, al pari di quelle di cui alla L. n. 24 del 2017, non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, a differenza di quelle che, richiamando gli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni private in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
G.N. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte territoriale con tre motivi, di cui il primo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento agli artt. 2043 e 2697 c.c. e del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 8 novembre 2012, n. 189 affermando che nel caso di specie la responsabilità era regolata dall’art. 2043 c.c. e non pertanto, di ambito contrattuale o, comunque, da cd. contatto sociale;
con il secondo mezzo il ricorrente ha gravato la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 2043 c.c. e art. 41 c.p., deducendo vizio di sussunzione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale;
infine con il terzo motivo il ricorrente censura la pronuncia della Corte territoriale in forza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c. nonchè art. 1221 c.c. e art. 41 c.p. per non avere i giudici di merito adeguatamente individuato cause naturali concorrenti sulle conseguenze subite dal feto.
In ordine al primo motivo di ricorso si osserva quanto segue.
La L. n. 189 del 2012, di conversione con modificazioni del D.L. n. 158 del 2012 all’art. 3, comma 1, prevede(va):
“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
La norma è stata successivamente abrogata e dal 01/04 del 2017 è in vigore la L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3, che prevede:
“L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5”.
Entrambe le norme non possono ritenersi, in assenza di specifica disposizione transitoria, non contenuta nè nella stessa L. n. 189 del 2012 (o nel decreto legge convertito) o nella successiva L. n. 24 del 2017, avere efficacia retroattiva. Esse, pertanto, conformemente all’art. 11 preleggi regolano unicamente fattispecie verificatesi successivamente alla loro entrata in vigore.
Deve, inoltre, ribadirsi che secondo la lettura data da questa Corte alla L. n. 189 del 2012, art. 3, comma 1, nelle sue prime applicazioni ai giudizi in corso, la norma si limita ad escludere la rilevanza della colpa lieve ma non configura la responsabilità del sanitario quale extracontrattuale (Cass. n. 08940 del 17/04/2014).
La L. n. 189 del 2012, art. 3 in concreto, non specificava la natura della responsabilità medica, ma si limitava a stabilire che, se il medico evita la condanna penale quando sia in colpa lieve, per lui “resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.” e l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. non è che l’obbligo di risarcire il danno. La L. n. 189 del 2012, art. 3 nel richiamare l’art. 2043 c.c. non applicava al medico lo statuto della responsabilità civile aquiliana, ma lo richiamava solo per definire in modo indiretto l’oggetto dell’obbligazione.
Analoghe conclusioni in termini di non applicabilità a fattispecie verificatesi prima del 01/04/2017 valgono, giusta quanto rilevato con riferimento alla mancanza di norme transitorie, anche per la successiva L. 8 marzo 2017, n. 24. In linea generale può richiamarsi l’orientamento oramai risalente di questa Corte, che afferma (Cass. n. 15652 del 12/08/2004): “In mancanza di una disposizione esplicita di retroattività della legge, l’interprete, dato il carattere eccezionale di tale efficacia, può ricavare la “mens legis”, rivolta a attuarla implicitamente, sull’unica base della locuzione testuale della norma, solo, cioè, se il significato letterale non sia compatibile con la normale destinazione della legge a disporre esclusivamente per il futuro. Quando, invece, tale compatibilità sussiste, l’interprete è tenuto a ritenere osservati e a osservare egli stesso i principi generali sulla legge, orientando in particolare l’interpretazione al rispetto del principio generale della irretroattività enunciato nell’art. 11 disp. gen.”.
Con specifico riferimento alla materia della responsabilità civile si è affermato (Cass. n. 13158 del 10/09/2002): “La disciplina dettata dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 244, in materia di responsabilità del produttore per prodotti difettosi è priva di efficacia retroattiva, e pertanto non è applicabile ai fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore”.
Sulla portata non retroattiva delle norme sostanziali contenute nella legge Balduzzi (e, specularmente, in quelle di cui alla L. n. 24 del 2017) valgano le seguenti considerazioni:
1. La questione della applicazione retroattiva della L. n. 189 del 2012 e della L.n. 24 del 2017 ai processi in corso, ed iniziati in epoca precedente, rispettivamente, al primo gennaio 2013 ed al primo aprile 2017, è stata affrontata e variamente risolto da alcune sentenze di merito.
2. In favore della retroattività della normativa si è espresso il Tribunale di Milano, con la sentenza 11.12.2018 n. 12472, mentre, nell’opposto senso della irretroattività della norma di cui alla L. n. 24, art. 7 si sono espressi il Tribunale di Avellino con la sentenza n. 1806 del 2017 e il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18685/2017.
3. E’ convincimento di questa Corte che meriti accoglimento il secondo degli indirizzi interpretativi sopra riportati.
4. Va premesso come la questione della applicazione retroattiva della L. n. 189 del 2013 e della L. n. 24 del 2017 non possa essere esaminata unitariamente, in quanto occorre distinguere tra disposizioni che effettivamente pongono una questione di rapporto diacronico tra fonti (e, segnatamente, di successione di leggi nel tempo e di natura dell’intervento legislativo) e disposizioni che si collocano su un piano diverso.
5. Questo diverso piano riguarda, in particolare, il comma 3 della legge Balduzzi (quand’anche se ne volesse adottare, sia pur non condivisibilmente, un’interpretazione predicativa dell’introduzione di un principio di extracontrattualità della responsabilità del sanitario) e dell’art. 7, i commi da 1 a 3 (prima parte) che qualificano la natura della responsabilità civile della struttura sanitaria e di coloro dei quali la struttura stessa si avvale nell’adempimento della propria obbligazione (ossia del personale sanitario).
6. La L. n. 24 del 2017, comma 3, prima parte, qualifica in termini di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria di cui ai precedenti commi 1 e 2 (ossia dei sanitari di cui si avvale la struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica e privata), “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”; sicchè il sanitario risponde, in quest’ultimo caso, a titolo di responsabilità contrattuale.
7. La L. n. 24 del 2017 ha, quindi, operato in via immediata e diretta la qualificazione giuridica dei rapporti inerenti ai titoli di responsabilità civile riguardanti la struttura sanitaria e l’esercente la professione sanitaria, per un verso (quello concernente la struttura) recuperando l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza consolidatasi nel tempo, per altro verso (quello del sanitario operante nell’ambito della struttura, salvo l’ipotesi residuale dell’obbligazione assunta contrattualmente da quest’ultimo), discostandosi nettamente dal “diritto vivente”, che, a far data dal 1999 (Cass. n. 589/1999), aveva qualificato come di natura contrattuale la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, facendo leva sulla teorica del cd. “contatto sociale”.
8. Tale operazione il legislatore ha compiuto in base alle disposizioni del codice civile, senza che, dunque, vi sia stata alcuna successione di leggi nel tempo che abbiano dettato, tra loro, una disciplina sostanziale (almeno in parte) differente.
9. Un siffatto rapporto successorio – e, in ogni caso, ogni altro rapporto tra fonti aventi valore e forza di legge – è, del resto, da escludere che possa essersi istituito con riguardo all’interpretazione consolidata della Corte di cassazione in materia, poichè deve ritenersi jus receptum (tra le altre, Cass., S.U., n. 15144/2011, Cass. n. 174/2015, Cass., S. U., n. 27775/2018, Cass., S. U., n. 4135/2019) il principio secondo il quale il valore e la forza del “diritto vivente”, quand’anche proveniente dal giudice di vertice del plesso giurisdizionale, è meramente dichiarativo e non si colloca sullo stesso piano della cogenza che esprime la fonte legale (in tal senso la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 230 del 2012), alla quale il giudice è soggetto (art. 101 Cost.), tant’è che lo stesso mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non soggiace al principio di irretroattività, nè è assimilabile allo ius superveniens.
10. Non si pone, pertanto, nella specie, una problematica affine a quella della successione di leggi nel tempo, perchè non v’è una successione di discipline normative diverse dettate dal legislatore (venendo in rilievo sempre e comunque la medesima disciplina di ordine legale, ossia quella recata dal codice civile in tema di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale); nè – come detto è possibile configurare un siffatto rapporto diacronico tra il “diritto vivente” e l’intervento legislativo.
11. Il fenomeno che, nel caso in esame, si è verificato è, dunque, quello della qualificazione, da parte del legislatore, di una classe di fatti e della loro sussunzione in una fattispecie legale, già presente nell’ordinamento. Non, quindi, la creazione di una fattispecie legale astratta (nel nostro caso, come detto, già declinata dal codice civile) cui ricondurre, da parte del giudice, nell’esercizio del potere giurisdizionale suo proprio, i fatti, onde operarne la conseguente qualificazione.
12. Un siffatto modus operandi da parte del legislatore implica la necessità di un’actio finium regundorum rispetto all’analogo potere qualificatorio che spetta al giudice, e che rientra nell’alveo della riserva di giurisdizione costituzionalmente garantita (artt. 101 e 104 Cost.), ossia quella che include anche il potere di interpretare autonomamente non già le disposizioni di legge, ma gli stessi fatti rilevanti per la qualificazione del rapporto giuridico (latamente inteso).
13. La stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 76 del 2015, n. 121 del 1993 e n. 115 del 1994; meno di recente, Corte Cost. n. 51 del 1967), seppure in una materia particolare, assistita da garanzie puntuali e diversificate, come quella del lavoro e della previdenza sociale, ha affermato che la qualificazione normativa di un rapporto lavorativo non può snaturarne l’oggettività ove, tramite questa operazione, si determini l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato.
14. Ancora, la stessa Corte costituzionale si è chiaramente pronunciata in materia di limiti imposti al legislatore ordinario nell’emanare leggi retroattive, pur adottando, fin dal suo esordio, un atteggiamento possibilista nei riguardi delle leggi retroattive, rimettendo l’osservanza del tradizionale principio dell’irretroattività alla prudente valutazione del legislatore, “il quale peraltro – salvo estrema necessità – dovrebbe a esso attenersi, essendo, sia nel diritto pubblico che in quello privato, la certezza dei rapporti preferiti uno dei cardini della tranquillità sociale e del vivere civile” (Corte Cost. n. 118/1957).
15. Questo orientamento si è nel tempo consolidato attraverso l’affermazione del principio che segue: “al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattività della legge è stato elevato a dignità costituzionale dall’art. 25 Cost.), l’emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore incontra una serie di limiti che questa Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, tra l’altro, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (Corte Cost. n. 69/2014, n. 308/2013, n. 257/2011, n. 74/2008).
16. A sua volta, questa Corte ha da tempo chiarito che “il principio della irretroattività della legge comporta che la nuova norma non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso, sicchè la disciplina sopravvenuta è invece applicabile ai fatti, agli “status” e alle situazioni esistenti o venute in essere alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai nuovi fini, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi dal collegamento con il fatto che li ha generati” (ex multis, Cass. n. 16039/2016 e Cass. SU, n. 2926/1967; implicitamente nel senso dell’irretroattività della novella, di recente, Cass. n. 26517/2017).
17. Analoga efficacia paradigmatica sembra rivestire la pronuncia della Corte EDU del 6 ottobre 2005, resa con riguardo ad una questione assimilabile a quella della retroattività della L. n. 24 del 2017. Nel caso di specie, dopo l’approvazione della Loi Kouchner in tema di irrisarcibilità del danno subito iure proprio dal nato malformato, avente dichiarato effetto retroattivo, i cittadini francesi che al momento dell’entrata in vigore della legge avevano una causa pendente, avevano adito la Corte Europea dei diritti dell’uomo lamentando che la limitazione ai risarcimenti imposta da tale novella legislativa violasse l’art. 1 del Protocollo n. 1 della C.e.d.u. Per la Corte Europea, la nuova legge, che aveva escluso e limitato la risarcibilità di alcune voci di danno, aveva privato i genitori di un asse patrimoniale su cui essi avevano legittimamente fatto affidamento, sulla base dei precedenti orientamenti giurisprudenziali, e pertanto è stata ritenuta lesiva dell’art. 1 suddetto.
18. In altri termini e più in generale: il legislatore può intervenire nella qualificazione stessa di un rapporto giuridico, ma soltanto se tale esito non metta in discussione, nel suo nucleo essenziale ed irriducibile, la tutela costituzionale che il rapporto stesso riceva in ragione del suo carattere fenomenologico, ovvero dei beni che esso abbia ad oggetto.
19. Nella specie, non sembra revocabile in dubbio che, anche in forza del titolo di responsabilità ex art. 2043 c.c., non verrebbe elusa la tutela del diritto fondamentale alla salute imposta dall’art. 32 Cost..
20. Altro piano sul quale la qualificazione legislativa di un rapporto giuridico può interferire con la riserva di giurisdizione costituzionalmente garantita è quello della ingerenza concreta nei singoli processi, che non è di per sè salvaguardata dalla astrattezza della qualificazione effettuata dal legislatore – e cioè il suo riferirsi ad una classe indeterminata di fatti.
21. Ciò premesso, sussistono plurime ragioni per escludere che la qualificazione legislativa delle condotte determinanti la responsabilità sanitaria, operata, in astratta ipotesi, dalla L. n. 189 del 2012, e in concreto dalla L. n. 24 del 2017, abbia effetti retroattivi.
22. Ai sensi dell’art. 11 preleggi, la legge non ha effetto che per l’avvenire, per cui la sua retroattività deve essere esplicitamente prevista dalla nuova legge, ovvero deve trovare indici sicuri che ne consentano di postularla con certezza.
23. Nella specie, non vi è alcuna declaratoria di retroattività in nessuna dei due testi legislativi in parola.
24. Si configura, viceversa, come indice inequivocabilmente contrario alla retroattività la circostanza che un siffatto intervento legislativo verrebbe ad interferire comunque con il potere ordinariamente riservato al giudice di interpretare i fatti e qualificarli giuridicamente, venendo così inammissibilmente ad incidere, seppur indirettamente, sui singoli processi in corso, con patente lesione dell’affidamento di chi ha intrapreso un’azione giudiziaria sulla base di regole sostanziali certe, come quelle della natura “contrattuale” della responsabilità del sanitario – con dirompenti conseguenze sul riparto dell’onere di prova e sulla prescrizione – applicate in base al “diritto vivente”: ciò che esclude la legittimità della sussunzione dei fatti costituenti responsabilità civile del sanitario in termini di responsabilità extracontrattuale in epoca anteriore al primo gennaio 2013 ed al primo aprile 2017.
25. Si configura ancora come indice contrario alla retroattività anche l’ulteriore circostanza, correlata a quanto appena posto in rilievo, della sua incidenza diversificata a seconda della fase e del grado in cui i singoli processi si trovano, cosicchè, in base alla formazione o meno di preclusioni allegatorie e del giudicato interno, dovrebbe o meno operare la qualificazione ex lege del titolo di responsabilità, tanto da creare disparità di trattamento non solo tra i vari giudizi, ma anche all’interno dello stesso processo, con evidenti irragionevoli riflessi sul fisiologico esercizio della giurisdizione sulla materia.
Va, pertanto affermato il seguente principio di diritto:
Le norme sostanziali contenute nella L. n. 189 del 2012, al pari di quelle di cui alla L. n. 24 del 2017, non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, a differenza di quelle che, richiamando gli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni private in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi (per tale ultimo principio, funditus, Cassazione Sez. 3, sentenza in causa R. G. n. 05361/2017 deliberata all’udienza del 04/07/2019, depositata in pari data della presente).
Nel caso di specie i fatti per i quali è stata ritenuta la responsabilità risarcitoria del G. risalgono al 1992. Deve, pertanto, escludersi che essi possano ritenersi regolati, sul piano del diritto sostanziale, dalla legge intervenuta nel 2012.
I giudici di merito hanno affermato, con accertamenti di fatto non adeguatamente incisi dal motivo di ricorso, che: il Dott. G.N. era il medico curante di A.V., e comunque aveva seguito la gestante durante la gravidanza ed era a conoscenza di una minaccia di aborto già subita all’ottavo mese; il Dott. G. prestava la sua opera professionale presso la Casa di Cura (OMISSIS), priva di adeguate strutture mediche di neonatologia e in particolare di terapia intensiva e rianimazione neonatale; il Dott. G. era a conoscenza della gestosi da cui era affetta A.V. e non aveva, pur in presenza di detto quadro clinico, sconsigliato il ricovero nella detta struttura, del tutto priva di un reparto di terapia intensiva neonatale, con la conseguenza che sin dal giorno successivo alla nascita il neonato dovette essere trasferito all’ospedale di L’Aquila, adeguatamente munito di reparto di neonatologia.
L’affermazione della responsabilità del sanitario a titolo contrattuale, e più specificamente di cd. contatto sociale risulta, pertanto logicamente ed esaustivamente affermata dai giudici del merito.
Il primo motivo di ricorso è, pertanto, rigettato.
Il secondo mezzo verte sulla eziologia del danno.
Il mezzo è inammissibile in quanto prospetta un controllo sulla completezza della motivazione della sentenza e in particolare sul rilievo da attribuire alla consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado in ordine ad eventuali preesistenze iatrogene sul minore (o addirittura sul feto), non concretizzandosi, quindi, una censura di sussunzione bensì integrando un mero dissenso sulla motivazione, scrutinabile oramai nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134.
Il motivo è altresì infondato: la Corte territoriale ha ritenuto il medico responsabile per non avere sconsigliato il parto in struttura privata non adeguatamente attrezzate per la neonatologia in situazione di elevato rischio per inadeguato accrescimento del feto, già riscontrato nel novembre 1992, a fronte di un parto avvenuto il 09/12/1992, per gestosi della partoriente ed ha rilevato l’incompleta tenuta della cartella clinica, imputandola al Dott. G., medico curante ed inserito nella casa di cura.
Il motivo confligge, inoltre, con il più recente orientamento di questa Corte (Cass. n. 15859 del 12/06/2019), secondo il quale: “Nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda civile, sicchè la Corte di appello civile competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile e, conseguentemente, adotta, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del “più probabile che non” e non quello penalistico dell’alto grado di probabilità logica, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio”.
Il terzo mezzo è inammissibile in quanto, pur risultando il tema della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (e non solo di quella dell’evento) sollevato nelle fasi di merito, seppure soltanto con evocazione della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 15991 del 21/07/2011), deve rilevarsi che esso non incide adeguatamente la motivazione della sentenza di appello, che ha correttamente rilevato l’incompletezza – incontestata – della cartella clinica, imputandola al G. quale medico curante e comunque in quanto egli aveva seguito il parto, e, non potendo individuare, a causa della detta carenza documentale, cause patologiche concorrenti con quelle derivanti dall’inesatta predisposizione di adeguate misure per effettuare il parto, ha ricondotto la colpa al Dott. G. ed alla casa di cura, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte sul punto (Cass. n. 12218 del 12/06/2015: “In tema di responsabilità professionale sanitaria, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere presuntivamente dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione”), fermo restando che, nei rapporti interni, tra i detti soggetti valeva la presunzione di cui all’art. 1298 c.c., comma 2.
Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.
Nulla per le spese di lite non risultando essersi costituita alcuna altra parte in questo giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Si reputa opportuno disporre che in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
PQM
rigetta il ricorso;
nulla spese;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Dispone oscuramento dati identificativi e generalità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione III civile, il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019.