Per l’esistenza di una servitù non rileva la natura del vantaggio previsto dal titolo ma il fatto che esso sia concepito come qualitas fundi in virtù del rapporto, istituito convenzionalmente, di strumentalità e di servizio tra gli immobili, in modo che l’incremento di utilizzazione che ne consegue deve poter essere fruito da chiunque sia proprietario del fondo dominante, non essendo imprescindibilmente legato ad una attività personale del singolo beneficiario.Entro tali limiti, qualunque utilità che non sia di carattere puramente soggettivo e che si concretizzi in un vantaggio per il fondo dominante, in relazione alle caratteristiche e alla destinazione del diritto, può assumere carattere di realità.È dunque una mera questio facti stabilire, in base all’esame del titolo, se le parti abbiano inteso costituire una servitù o un diritto meramente obbligatorio, non sussistendo alcun ostacolo di carattere concettuale ad ammettere che il diritto parcheggio sia strutturato secondo lo schema dell’art. 1027 c.c.
Fatti di causa
La Ghima s.a.s ha adito il Tribunale di Venezia, quale titolare di uno spazio scoperto, suddiviso in 27 posti auto, ubicato (omissis) , esponendo che la Famar s.r.l. aveva illegittimamente occupato quattro posti auto di sua proprietà.
Ha chiesto il rilascio dei beni, con vittoria di spese.
La società convenuta, costituitasi in giudizio, ha sostenuto di aver acquistato, con atto del 15.2.1995, taluni locali facenti parte dello stabile denominato (omissis) , a cui vantaggio era stato precedentemente costituito il diritto di parcheggio con convenzione del 23.1.1979 tra la Adriapalace s.r.l., e la Ciga s.r.l. all’epoca proprietarie degli immobili.
Ha eccepito l’acquisto del diritto di parcheggio in base al titolo o, in subordine, per intervenuta usucapione.
Il Tribunale di Venezia ha accolto la domanda ed ha ordinato il rilascio dei posti auto, con pronuncia confermata in appello.
La Corte territoriale di Venezia, rigettando l’impugnazione principale della Famar s.r.l. e quello incidentale della Ghima s.a.s., ha affermato che non è configurabile nel nostro ordinamento una servitù di parcheggio, mancando il requisito della realità, poiché, in tali ipotesi, l’utilitas non è riferibile ai fondi, ma alle persone che esercitano il diritto.
Ha ritenuto che con la convenzione del 1979 fosse stato costituito un diritto reale di uso senza prevedere alcuna deroga al divieto di cessione di cui all’art. 1024 c.c., per cui la Famar s.r.l., in virtù del rogito del 15.2.1995, non aveva acquisito anche il diritto di utilizzare i posti auto.
Ha respinto l’eccezione di usucapione ventennale, affermando che, proprio in virtù del divieto di cessione, l’acquirente non poteva unire il proprio possesso a quello della dante causa, e che non era maturata l’usucapione abbreviata in base al contratto di compravendita del 15.2.1995 poiché, a tale data, la venditrice non era proprietaria dell’area ove insistono i posti auto, l’atto non era astrattamente idoneo a trasferire il diritto e l’acquirente non era in buona fede, non essendo stata trascritta la precedente convenzione del 23.1.1979.
Per la cassazione di questa sentenza la Famar s.r.l. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, illustrati con memoria.
La Immobiliare Marica 2000 s.r.l., quale incorporante della Ghima s.a.s., ha depositato controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 1027, 1140, 1158 e 1159 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che erroneamente la Corte distrettuale abbia escluso la configurabilità della servitù di parcheggio per carenza del carattere reale dell’utilitas, trascurando che la convenzione del 23.1.1979 prevedeva il diritto di parcheggio a favore dell’intero edificio denominato (omissis) e aveva dato luogo ad una vera e propria servitù, la quale si era trasmessa ai successivi acquirenti del fondo dominante o era stata, comunque, acquistata per usucapione, avendo la ricorrente esercitato il possesso in modo continuo, pacifico ed interrotto per oltre un ventennio ed essendo i singoli posti auto individualmente delimitati.
Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 1021, 1024, 1158, 1146 e 1147 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto che con la convenzione del 1979 fosse stato costituito un diritto reale di uso insuscettibile di cessione a terzi, trascurando che, trattandosi di diritto reale sui generis, le parti ne potevano liberamente disporre, come poteva desumersi – in via interpretativa – dal confronto con la disciplina fissata dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, al fine di evitare disparità di trattamento per i posti auto, quali quelli oggetto di causa, sottoposti al regime previgente.
Non poteva escludersi neppure la possibilità di unire il possesso della ricorrente a quello della dante causa ai fini dell’usucapione, non operando alcun divieto di cessione, ed inoltre sussistevano tutte le condizioni dell’usucapione abbreviata, poiché tutti i titoli prodotti in giudizio contemplavano il diritto di parcheggio già oggetto della convenzione del 1979, diritto che era stato trasferito a non domino ed era stato acquistato dalla ricorrente in buona fede.
2. Il motivo è fondato.
La Corte distrettuale ha ritenuto che non fosse stata costituita alcuna servitù di parcheggio in forza della convenzione del 23.1.1979 tra la Adriapalace s.p.a. (proprietaria, all’epoca, del Condominio Bucintoro) e la Ciga s.p.a. (originaria titolare dello spazio scoperto suddiviso in posti auto), poiché difettava “la caratteristica reale di tale diritto, ovverossia la realità (inerenza al fondo dominante dell’utilità, così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come un’utilità del fondo stesso, trattandosi di vantaggio del tutto personale dei proprietari”.
Ha soggiunto che non solo “la convenzione non ha costituito un diritto di servitù di parcheggio”, ma che tale diritto non era “sorto per usucapione perché non è configurabile né la servitù di parcheggio né, quindi, il relativo possesso”, sostenendo che le parti avevano costituito un diritto reale di uso disciplinato dal codice civile, non trasmissibile ai successivi acquirenti in mancanza di una deroga pattizia al divieto contemplato dall’art. 1024 c.c..
2.1. La decisione nel punto in cui ha escluso l’astratta configurabilità di una servitù di parcheggio è incorsa nel vizio denunciato.
Occorre anzitutto premettere che non è in discussione la ricostruzione della volontà delle parti come operata dalla Corte d’appello in base all’esame della convenzione del gennaio 1079, ma la premessa giuridica da cui ha preso le mosse la sentenza impugnata per stabilire la natura del diritto controverso.
Il procedimento di qualificazione giuridica consta – difatti – di due fasi: la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss.; la seconda attiene alla qualificazione che procede secondo il modello della sussunzione, cioè del confronto tra la fattispecie contrattuale concreta ed il tipo astrattamente definito sul piano normativo.
Tale seconda fase implica l’applicazione di norme giuridiche e non è, quindi, sottratta al controllo di legittimità per violazione di legge (Cass. 13399/2005; Cass. 5387/1999; Cass. 21064/2004).
2.1. Ciò posto, per l’indirizzo assolutamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità, il diritto di parcheggiare le auto su uno spazio di proprietà altrui sottenderebbe sempre un’utilitas di carattere personale, inidonea a sostanziare il contenuto di una servitù, mancando l’essenziale requisito della realità, intesa come inerenza dell’utilitas al fondo dominante.
Stante la natura personale del diritto di parcheggio, il suo esercizio non sarebbe suscettibile di possesso ad usucapionem e non potrebbe determinare alcun acquisto a titolo originario di una servitù (Cass. 5769/2013; Cass. 1551/2009; Cass. 20409/2009; Cass. 8137/2004).
Si è anche asserito che il contratto costituivo di una servitù di parcheggio è nullo per impossibilità dell’oggetto (Cass. 23708/2014), stante il divieto di dar vita a servitù meramente personali, potendo inquadrarsi detta convenzione nell’ambito dei negozi costitutivi di un diritto d’uso o in altro schema contrattuale tipico (locazione, affitto o comodato).
Tuttavia, questa Corte, a chiarimento dell’effettiva portata del principio enunciato dai precedenti che si sono esaminati, ha di recente escluso un’assoluta preclusione alla configurabilità della servitù volontaria di parcheggio, osservando che la relativa utilità può esser legittimamente prevista dal titolo a diretto vantaggio del fondo dominante (per la sua migliore utilizzazione), piuttosto che delle persone che concretamente ne beneficino.
In tal caso, ove le parti abbiano inteso costituire una vera e propria servitù, il diritto è trasmissibile unitamente alla cessione dei fondi secondo il principio di ambulatorietà.
2.2 Tale indirizzo il Collegio ritiene di dover dare continuità, non occorrendo (per quanto già osservato dalla sentenza n. 16698/2017), rimettere la questione alle sezioni unite.
Secondo il disposto dell’art. 1027 c.c., la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo, appartenente ad un diverso proprietario.
La formulazione della norma non tipizza – in modo tassativo – le utilità suscettibili di concretizzare il contenuto della servitù volontaria, ma si limita a stabilire le condizioni che valgono a distinguere queste ultime dai rapporti di natura strettamente personale, non derivando alcun ostacolo dal principio di tassatività dei diritti reali, il quale si connette alle connotazioni strutturali della situazione di vantaggio esercitabile erga omnes ed è indipendente dal contenuto di quest’ultima.
Difatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, per l’esistenza di una servitù non rileva la natura del vantaggio previsto dal titolo ma il fatto che esso sia concepito come qualitas fundi in virtù del rapporto, istituito convenzionalmente, di strumentalità e di servizio tra gli immobili, in modo che l’incremento di utilizzazione che ne consegue deve poter essere fruito da chiunque sia proprietario del fondo dominante, non essendo imprescindibilmente legato ad una attività personale del singolo beneficiario (Cass. 505/1974; Cass. 2413/1982; Cass. 9232/1991).
Entro tali limiti, qualunque utilità che non sia di carattere puramente soggettivo e che si concretizzi in un vantaggio per il fondo dominante, in relazione alle caratteristiche e alla destinazione del diritto, può assumere carattere di realità (Cass. 16698/2017; Cass. 10370/1997; Cass. 832/1993; Cass. 9232/1991).
È dunque una mera questio facti stabilire, in base all’esame del titolo, se le parti abbiano inteso costituire una servitù o un diritto meramente obbligatorio, non sussistendo alcun ostacolo di carattere concettuale ad ammettere che il diritto parcheggio sia strutturato secondo lo schema dell’art. 1027 c.c..
La sentenza impugnata è quindi errata nel punto in cui ha ritenuto che il diritto oggetto della convenzione del 1979 non fosse inquadrabile nello schema della servitù per l’assoluta impossibilità di ravvisare – nella facoltà di parcheggiare le auto sullo spazio scoperto della società resistente – un’utilitas di carattere reale, mentre avrebbe dovuto accertare se detta utilitas fosse stata costituita a diretto vantaggio del fondo dominante e se ricorressero le ulteriori condizioni prescritte dall’art. 1027 c.c. e ss., (l’altruità della cosa, l’assolutezza del diritto, l’immediatezza del vantaggio, la sua inerenza al fondo servente e a quello dominante, la specificità dell’utilitas, la localizzazione, intesa quale individuazione del luogo di esercizio della servitù).
2.3. Il secondo motivo è assorbito, poiché il giudice di merito dovrà integralmente rivalutare i fatti di causa, attenendosi al principio di diritto enunciato.
Segue accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento del secondo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.