Va rimessa alle Sezioni Unite la questione se un’area, prima edificabile e poi assoggettata con legge regionale ad un vincolo di inedificabilità assoluta, sia da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma di cd. compensazione urbanistica adottato dal Comune, ancorché il procedimento compensatorio non si sia ancora concluso, non essendo stata specificamente individuata ed assegnata ai proprietario la cd. area “di atterraggio”, ossia l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilità già cessata sull’area cd. “di decollo”.
FATTI DI CAUSA
1. La società XXXX a r.l. (successivamente incorporata nella YYYY s.p.a.) proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma avverso l’avviso di accertamento Ici 2005, notificatole da Roma Capitale in data 4/1/2011, con il quale veniva accertata una maggiore imposta ICI, oltre sanzioni ed interessi, relativa ad aree site nel comprensorio di (OMISSIS).
Deduceva la ricorrente, tra l’altro, che il tributo non era dovuto per le aree in questione in quanto divenute non più edificabili per essere state inserite nel parco regionale dell’Appia Antica con la L.R. Lazio 31 maggio 2002, n. 14, né poteva rilevare la prevista compensazione urbanistica, atteso che la cd. “arena di arrivo”, edificabile, avrebbe potuto essere assoggettata ad I.C.I. solo nell’ipotesi di acquisto della proprietà della stessa da parte della società contribuente.
Si costituiva il Comune di Roma Capitale chiedendo il rigetto del ricorso.
2. La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 5023/61/14, accoglieva il ricorso e compensava le spese di lite.
3. Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Roma Capitale, il quale insisteva per la debenza del tributo affermando che l’area in questione dovesse ritenersi edificabile.
Si costituiva la società appellata insistendo nelle sue deduzioni e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
4. La Commissione tributaria regionale di Roma, con sentenza n. 4323/14/15 del 16 giugno 2015, depositata il 21 luglio 2015 e non notificata, accoglieva l’appello e compensava le spese.
5. Avvero tale sentenza la XXXX s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Il Comune di Roma Capitale non si è costituito nel presente giudizio di legittimità.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa
applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 1 e 3 in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″. Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata si fonderebbe su argomentazioni completamente erronee ed illogiche, tali da risultare evidentemente contraddittorie, con il corollario che detta sentenza sarebbe anche nulla per mancanza di motivazione, come specificamente denunciato con il secondo motivo di ricorso.
Infatti, premesso che le aree in questione ricadono nel comprensorio di (OMISSIS) – prima edificabile e poi inserito, con L.R. Lazio n. 14 del 2002, nel parco regionale dell’Appia Antica, così perdendo il carattere dell’edificabilità – ad avviso della ricorrente non ricorrerebbe nella fattispecie il presupposto oggettivo previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1 per applicare l’imposta ICI sulle aree in questione, ossia il possesso di un fabbricato o di un’area edificabile.
Nè a diversa conclusione, aggiunge la società XXXX a r.l. potrebbe condurre l’istituto della cd. “compensazione urbanistica” introdotto nel 2003 nel Piano Regolatore Generale del Comune di Roma, trattandosi di capacità edificatorie “promesse” con il Piano delle certezze ma non ancora attribuite. La mera promessa di assegnazione di un’area edificabile in compensazione di quella sottratta, si legge nell’illustrazione del motivo, non conferisce alcun diritto al privato, sicché la ricorrente non risulta titolare di un’area chiaramente individuata sulla quale potrà esercitare il diritto edificatorio.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.
In particolare, la ricorrente lamenta una motivazione illogica e, pertanto, sostanzialmente assente circa le ragioni che hanno condotto la CTR a ritenere dovuta l’imposta ICI di cui è controversia.
2. La questione. I motivi sopra esposti pongono, sotto diversi profili, la questione se un’area, prima edificabile e poi assoggettata con legge regionale ad un vincolo di inedificabilità assoluta, sia da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma di cd. compensazione urbanistica adottato dal Comune, ancorché il procedimento compensatorio non si sia ancora concluso, non essendo stata specificamente individuata ed assegnata al proprietario la cd. area “di atterraggio”, ossia l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilità già cessata sull’area cd. “di decollo”.
3. La sentenza impugnata. La CTR, pur riconoscendo che le aree in questione sono state inserite nel perimetro dell’Appia Antica, con imposizione di un vincolo di inedificabilità assoluta, ha altresì rilevato che il Comune di Roma ha stabilito di assoggettare tali aree a volumetrie da realizzare nel sito originario, con il procedimento della “perequazione urbanistica”, come definito dalla Delib. c.c. 9 novembre 2000, n. 176 e di Delib. di giunta 21 luglio 2000, n. 811.
Pertanto, la sentenza impugnata, premesso che “l’area & proprietà della società di cui è causa, sita nel comprensorio di (OMISSIS), la quale è complessivamente di una certa volumetria, avente destinazione ad uso edificatorio…”, rileva altresì che “in tale contesto… le aree di proprietà della Società contribuente, dunque, risultano inserite in semplici programmi di trasformazione urbanistica…” per la cui attuazione, con Delib. Consiglio comunale di Roma 24 ottobre 2005, n. 261 “risultano individuate le aree di arrivo in compensazione”, limitandosi tale Delib. “a richiedere solo una migliore distribuzione dei volumi e non apporta, dunque, sostanziali modificazioni all’assetto edificatorio di tali aree di arrivo così individuate rispetto a quello delle aree di partenza, oggetto dell’intervento di compensazione”.
Conclude la sentenza impugnata affermando che “l’area de qua è edificabile in base allo strumento urbanistico, prima adottato e poi approvato da Roma Capitale, attraverso un procedimento di compensazione urbanistica; tenuto conto che il terreno è formalmente privo di cubatura e comunque ha avuto un incremento edificatorio in altra area”.
La CTR, in sostanza, ha ritenuto che le aree di cui si discorre siano da considerare edificabili in quanto inserite nel programma di cd. compensazione urbanistica adottato dal Comune (con diritto edificatorio cd. “in volo”).
4. I precedenti: Pur non rinvenendosi precedenti di legittimità che affrontano la specifica questione attinente allo strumento della cd. compensazione urbanistica, vi sono pronunce, anche recenti, che hanno valutato l’incidenza ai fini ICI del diverso strumento, ancorché con profili similari, della cd. urbanistica perequativa (cfr. Cass. 23/6/2017 n. 15693 e Cass. 23/6/2017 n. 15700, non massimate).
4.1. Urbanistica perequativa. In particolare, sul medesimo orientamento si pone, da ultimo, Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27575, Rv. 653311 – 01, la quale ha ritenuto “assoggettato ad ICI il terreno inserito nell’ambito di una “perequazione urbanistica”, per Otto della quale viene attribuito un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà destinate alla trasformazione di uno o più ambiti del territorio comunale, a prescindere dalla effettiva localizzazione dei diritti edificatori, trasferibili e negoziabili separatamente dal suolo, atteso che l’applicazione di tale imposta presuppone il possesso di immobili aventi potenzialità edificatoria, sebbene non immediatamente attuabile, desunta dalla qualificazione operata nel piano regolatore generale anche semplicemente adottato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto assoggettati ad ICI i terreni compresi in una perequazione urbanistica, ricadenti in un’area destinata a verde pubblico e viabilità, alla quale, in base al meccanismo perequativo, era stato attribuito un indice edificatorio)”.
4.2. Il principio della mera potenzialità edificatoria. Tali pronunce si ispirano al generale principio, affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, ai fini Ici, ciò che rileva è l’edificabilità in astratto del suolo, ovvero la sua potenzialità edificatoria, anche non immediatamente attuabile, purché il suolo sia incluso in un PRG anche semplicemente adottato.
In proposito si è infatti affermato che “in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’area, nè per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, né a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle c.d. “zone bianche” (nella specie quella di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c., applicabile “ratione temporis”), che, firma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (in questo senso, Cass. sez. 5, 24/10/2008, n. 25676, Rv. 605170 – 01, ma anche Cass. SU, 30/11/2006 n. 25506, Rv. 593375 – 01; in senso conforme cfr. Cass., sez. 5, 5/8/2016, Rv. 640777 – 01; Cass., sez. 5, 17/5/2017 n. 12308, Rv. 644145 – 01).
Recentemente è stato precisato, inoltre, che il D.Lgs. n. 504 del 1992, citato art. 2, comma 1, come autenticamente interpretato, “prevedendo che un terreno sia considerato edificatorio anche ove esistano possibilità effettive di costruzione, delinea, ai fini fiscali, una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria” (Cass. sez. 5, 2/3/2018, n. 4952, Rv. 647463 – 01)).
4.3. I vincoli di destinazione aree destinate a servii pubblici o di interesse pubblico, ovvero a verde pubblico attrezzato. Con riferimento alle aree incluse in una zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico, si sono affermati due opposti orientamenti: 1) l’uno, più recente, ritiene che tale situazione incide senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, da valutare in base alla maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, ma non ne esclude l’oggettivo carattere edificabile D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2 atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venir meno l’originaria natura edificabile (Cass. sez. 6-5, 6/7/2018, n. 17764, Rv. 649382 – 01; Cass. sez. 5, 23/11/2016 n. 23814, Rv. 641988-01; Cass., Sez. 5, 15/7/2015, n. 14763, Rv. 636122); 2) l’altro, consolidato sino al 2015, secondo il quale un’area compresa in una zona destinata dal PRG a verde pubblico attrezzato è sottoposta ad un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione con la conseguenza che detta area non può essere qualificata come fabbricabile, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e, quindi, il possesso della stessa non può essere considerato presupposto dell’imposta comunale in discussione (Cass., sez. 5, 25/3/2015, n. 5992, Rv. 635088 – 01; Cass. sez. 5, 24/10/2008, n. 25672, Rv. 605167 01).
In precedenza, peraltro, questa Corte, sia pure ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, aveva già affermato il principio secondo cui, ove la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico; attrezzature pubbliche; ecc.), la classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (cfr. in particolare con Sez. 1, 14/6/2007 n. 13197, Rv. 598061-01; conf. Cass. sez. 1, 06/07/2012, n. 11408, Rv. 623111 – 01).
4.4. I vincoli paesaggistici regionali di inedificabilità. Fermo restando il principio espresso dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 25506 del 2006 – secondo il quale la edificabilità dell’area ai fini Ici discende dalla sua inclusione come tale nel PRG, indipendentemente dalla adozione di strumenti attuativi, salva la rilevanza dei vincoli di destinazione in sede di commisurazione del valore venale del terreno e, dunque, della base imponibile – questa Corte ha in altre occasioni anche precisato che da tale affermazione “non discende l’irrilevanza delle disposizioni contenute negli atti di pianificazione territoriale diversi dal piano regolatore comunale”.
Invero, la citata sentenza delle Sezioni Unite del 2006 si è limitata ad individuare il momento temporale, inteso come stato di avanzamento dell’iter procedimentale di approvazione dell’atto di pianificazione urbanistica o territoriale, in relazione al quale un’area può considerarsi come edificabile dal punto di vista dell’imposizione fiscale, ma non è intervenuta sul tema della relazioni tra piani paesistici e piani urbanistici.
Per quanto concerne, in particolare, il rapporto tra PRG e piano paesaggistico regionale, è stata evidenziata “l’assoluta prevalenza delle prescrizioni del piano paesaggistico regionale, comunque denominato, sulla pianificazione urbanistica comunale”.
Ne deriva che la regola secondo cui la presenza sull’area di vincoli di destinazione influisce unicamente sulla maggiore o minore potenzialità edificatoria, ma non sulla natura edificabile ex se dell’area ai fini tributari, non concerne la diversa ipotesi in cui l’area, ancorché edificabile secondo il PRG, tale non sia all’esito della valutazione complessiva ed integrata di quest’ultimo con lo strumento di pianificazione paesaggistica ed ambientale regionale (cfr. Cass. sez. 6-5, 9/7/2014, n. 15726, Rv. 631685 – 01, Cass. sez. 6-5, 9/7/2014, n. 15729, non massimata, e, da ultimo, Cass., sez. 5, 19/4/2019, n. 11080, non massimata).
Come precisato dai precedenti citati, il principale riferimento normativo a sostegno di questo indirizzo va individuato nel Codice dei beni culturali e dell’ambiente di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, che nell’art. 145 cit. stabilisce (comma 3): “Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili ira attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”.
5. Necessità di un approfondimento. I principi giurisprudenziali sopra richiamati e la tendenza ad ampliare il concetto di edificabilità in senso tecnico fino a ricomprendervi la mera potenzialità edificatoria sembrano suggerire una statuizione che includa tra le aree edificabili anche quelle aree che abbiano perso la loro vocazione edificatoria in virtù di un vincolo di inedificabilità assoluta posto con legge regionale ma che, nel contempo, risultino inserite in un programma di compensazione urbanistica deliberato dal Comune, e ciò anche nel caso in cui, come nella specie, il relativo procedimento non si sia ancora concluso, essendo stato individuato il luogo in cui far “atterrare” le volumetrie in partenza dalle aree oggetto di compensazione, ma non le specifiche porzioni di terreno da assegnare a ciascun avente diritto.
Invero, a tale conclusione si potrebbe pervenire, come ha fatto la sentenza della cui impugnazione di discorre, in applicazione del principio secondo il quale la mera potenzialità edificatoria, riconosciuta al terreno di cui è causa dallo strumento della compensazione urbanistica, sarebbe condizione idonea ad integrare il presupposto oggettivo dell’imposta che, a norma del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2 è costituito, per quanto qui rileva, dal possesso di aree fabbricabili, per tale intendendosi le aree “utilizzabili a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione e pubblica utilità”.
Tuttavia, alcune considerazioni generano insoddisfazione per siffatta conclusione ed inducono a rimettere la questione alla Sezioni Unite, tenuto anche conto del crescente rilievo delle nuove tecniche di pianificazione urbanistica, le quali, abbandonando lo schema classico della cd. zonizzazione (intesa come distribuzione ordinata sul territorio delle diverse funzioni urbane, con previsione di spazi da riservare alle opere collettive aventi natura vincolistica e, conseguentemente, tali da produrre discriminazione tra proprietari), si esprimono attraverso gli strumenti della perequazione, della compensazione e dell’incentivazione, oggetto di ampi dibattiti dottrinari nonché di incerte e contrastanti decisioni da parte della giurisprudenza tributaria di merito (a titolo esemplificativo, tra le tante pronunce di segno opposto rispetto alla decisione della CTR impugnata in questa sede, cfr. la sentenza n. 7356/16 della sezione 17 della stessa CTR di Roma, la quale, in una fattispecie analoga alla presente, in cui non risultava portato a termine il procedimento del trasferimento del diritto edificatorio su un’area di cd. “atterraggio”, ha escluso la tassabilità ai fini ICI ritenendo in tale caso configurabile solo una “aspettativa” di edificabilità, come tale inidonea ad instaurare un rapporto da cui sorga il diritto ad esigere l’imposta).
5.1. La natura dei diritti edificatori. I nuovi strumenti di pianificazione urbanistica, sempre più frequentemente utilizzati dalla normativa regionale, da un punto di vista sistematico sono stati ricondotti nella ampia categoria dei cd. diritti edificatori, i quali, in estrema sintesi, riconoscono una determinata volumetria edificatoria ad un’area da esercitarsi su altra area.
Le ipotesi in cui le leggi regionali hanno fatto ricorso a tali diritti sono molteplici, essendo variamente utilizzati a fini di perequazione, compensazione ovvero incentivazione, secondo schemi che nella prassi hanno dato origine a realtà molto frastagliate, di difficile classificazione, tanto che in dottrina si è affermato che gli stessi non possono essere ricondotti ad un modello monolitico, ritenendosi più corretto parlare (al plurale) di “modelli perequativi e/o compensativi”.
La prima questione attiene alla natura giuridica dei diritti di cui si discorre.
Da un lato, secondo parte della dottrina si tratterebbe di diritti reali di godimento, ma a tale tesi si è replicato che i diritti in questione non sarebbero riconducibili nei diritti reali tipici, non potendo neppure inquadrarsi nella categoria delle servitù (come invero vennero qualificati da Cass. 25.10.1973 n. 2743 e da Cass. S.U. 20.12.1983 n. 7499, ma con riferimento alla cessione di cubatura tra privati proprietari di aree confinanti), in quanto, una volta sorto, il diritto edificatorio (e la volumetria edificabile che lo stesso rappresenta), perde ogni collegamento con l’immobile di partenza, potendo lo stesso circolare ed essere negoziato in maniera autonoma.
Altra parte della dottrina, riconosciuta l’impossibilità di collocare tale diritto nella categoria dei diritti reali tipici, lo ha inquadrato in un rapporto di credito tra il privato e l’amministrazione comunale: anche tale teoria, tuttavia, è stata criticata osservando che non si tratta sic et simpliciter di un diritto di natura obbligatoria, poiché presenta evidenti profili di realità in quanto, da un lato, il titolare di detto diritto non può che essere il proprietario di un immobile interessato da una perequazione, incentivazione o compensazione e, dall’altro lato, il diritto edificatorio per la sua realizzazione presuppone la titolarità di un immobile nel quale riversare la “quantità volumetrica” spettante.
L’unica norma statale che richiama i “diritti edificatori comunque denominati previsti da normative statali e regionali, ovvero da strumenti di pianificazione” è quella di cui all’art. 2643 c.c., n. 2 bis introdotto dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con L. n. 106 del 2011 (c.d. decreto sviluppo), che prevede la trascrivibilità dei contratti comportanti il trasferimento, la costituzione e la modificazione dei diritti edificatori, comunque denominati. La previsione della trascrivibilità secondo alcuni depone in maniera decisiva per la natura reale dei diritti in discorso; tuttavia, per altri, tale rilievo non sembra dirimente, considerata la previsione di cui all’art. 2645 bis c.c., il quale ha introdotto la trascrivibilità del contratto preliminare, di natura pacificamente obbligatoria.
Se, come sembra preferibile, si qualifica tale diritto come di natura obbligatoria (quantomeno con riferimento al “credito compensativo” promesso al proprietario con lo strumento della compensazione urbanistica), ancorché con profili di realità, difetterebbe il presupposto dell’edificabilità dell’area previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1 perché il diritto in questione non sarebbe una qualità intrinseca dell’area stessa, bensì un diritto obbligatorio spettante al suo proprietario.
Ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi ove si accedesse alla configurazione dei crediti edilizi in termini di “frutto” del bene, come pure è stato prospettato, laddove il frutto sarebbe appunto la capacità edificatoria espressa dal bene stesso ma da quest’ultimo destinata a staccarsi.
Infatti, è vero che il diritto edificatorio necessariamente “decolla” da un fondo e, infine, “atterra” su un altro fondo, nel quale viene materialmente sfruttato, ma è altresì vero che la volumetria può restare per lungo tempo “in volo”, completamente staccata sia dal fondo di decollo (che la genera) sia da quello di atterraggio (che è destinato a riceverla), potendo nel frattempo essere liberamente ceduta a fronte di un prezzo: insomma, si tratta di un diritto che non presenta quei caratteri di immediatezza e di inerenza che connotano qualsiasi diritto reale.
5.2. Presupposti di tassabilità ICI. Sotto altro profilo, va considerato che la disciplina in materia di ICI sembra prevedere, per la sua applicabilità alle superfici edificabili, che si tratti esclusivamente di aree fabbricabili in sito. Presupposto dello specifico tributo è infatti “un’area utilizzabile a scopo edificatorio” (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1), ossia una superficie sulla quale sia possibile costruire in forza della disciplina urbanistica (anche solo adottata). L’interpretazione letterale suggerisce in modo chiaro che è il bene suscettibile di edificazione ad essere gravato dalla norma in questione: in altri termini, è la riconosciuta capacità edificatoria intrinseca ed in loco dell’area che la rende edificabile.
Un eventuale credito edificatorio, non attuale, né certo, ancorché derivante da quell’area, nel caso delle aree di compensazione non può essere considerato esistente, neppure in via potenziale rispetto all’area si decollo, e, quindi, non può essere ritenuto elemento idoneo ad equiparare le aree in questione a quelle fabbricabili al loro interno. La differenza di qualità tra un’area in sè edificabile (da sottoporre ad imposta) ed un’area comunque non insediatile per esplicita disposizione urbanistica, sembra escludere la possibilità di una equiparazione o assimilazione. La prima è fabbricabile per una sua capacità-qualità intrinseca, la seconda, viceversa, non lo è e non lo sarà mai neppure in futuro. Il credito edificatorio compensativo farà eventualmente nascere, come una sorta di indennizzo o corrispettivo aggiuntivo, una capacità edificatoria (in altra sede) solo in forza della conclusione del procedimento compensatorio, sicché fino a tale momento non esisterà l’edificabilità di alcuna area, ma soltanto una mera possibilità futura di edificabilità, neppure certa nell’an e nel quando. Mancando i requisiti, richiesti dalla norma tributaria, della attualità, realità e localizzazione della capacità edificatoria, le aree di compensazione non sembrano poter essere assimilate a quelle fabbricabili indicate dalla normativa ICI, neppure sotto il profilo di una loro “potenzialità”.
Il problema è particolarmente evidente nella fase in cui il diritto edificatorio è in “volo”, in quanto: 1) risulta totalmente soppressa l’edificabilità sull’area, di proprietà del contribuente, precedentemente avente vocazione edilizia; 2) il diritto all’indennizzo conseguente al depauperamento dell’area è postergato, a fronte di una mera promessa di compensazione in natura; 3) è aperta una fase, di durata incerta e spesso anche decennale o più, caratterizzata da un potere ampiamente discrezionale della P.A., volta ad individuare la specifica area di “atterraggio” del diritto; 4) il riconoscimento di un diritto edificatorio su una nuova area potrà avvenire solo all’esito del procedimento compensatorio.
Per tutto il tempo del “volo“, dunque, il proprietario o il titolare di altro diritto reale non ha il possesso di alcuna arca fabbricabile sita nel territorio comunale, là dove resta titolare e possessore di un area gravata da un vincolo di inedificabilità assoluta, nella specie in virtù della pianificazione paesaggistica regionale (strumento sovraordinato al piano urbanistico comunale), e vanta una mera aspettativa di divenire titolare di altra area edificabile, sita altrove, ma della quale non conosce neppure gli estremi catastali, in quanto ancora non specificamente individuata e, conseguentemente, non ne ha neppure il possesso.
In tale situazione, non appaiono sussistere i due presupposti richiesti dalla normativa ICI per l’applicazione dell’imposta: non sembra infatti ravvisabile nè il presupposto oggettivo, costituito dal possesso di un’area fabbricabile (ancorché solo potenzialmente), e neppure il presupposto soggettivo, ossia la proprietà o la titolarità di altro diritto reale su un’area fabbricabile.
La mera promessa di assegnazione di un’area edificabile in compensazione di quella di partenza, infatti, non appare idonea a conferire alcun diritto al privato, ma solo una legittima aspettativa, soggetta a una ampia discrezionalità dell’Amministrazione ed incerta nell’an, nel modus e nel tempus.
6. Ulteriori considerazioni. I meccanismi di pianificazione urbanistica descritti, in assenza di disposizioni-quadro statali, hanno assunto nella realtà diverse forme tecnico-giuridiche tramite l’emanazione di eterogenee disposizioni di rango regionale, che si sono diffuse in modo non organico ed unitario sul territorio nazionale, spesso utilizzando indifferentemente e con poca precisione tecnica i termini di riferimento (in particolare riguardo alla distinzione tra perequazione e compensazione).
Anche tale circostanza induce a ritenere opportuno un intervento delle Sezioni Unite teso a valutare la tassabilità ai fini ICI delle aree sottoposte a tali procedure distinguendo o armonizzando fattispecie come quella di cui è causa rispetto a quelle esaminate nei precedenti di legittimità sopra richiamati.
Va in proposito evidenziato che, in linea generale, nel modello perequativo viene riconosciuta ai fondi, quale strumento alternativo all’imposizione di un vincolo, una frazione della cubatura complessiva, modulabile e fruibile in altre aree (contigue o meno): in tali ipotesi, come osservato da una parte della dottrina, il diritto edificatorio viene ad accedere al fondo, anche se tale potenzialità, prodotta dal fondo, non sarà dispiegabile sul fondo.
La compensazione, invece, rappresenta uno strumento indennitario in funzione di pieno ristoro delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’imposizione di un vincolo ed opera mediante attribuzione al proprietario del fondo di un’utilità consistente in una cubatura fruibile in altra area, così venendosi a configurare, secondo alcuni, una sorta di datio in solutum ad effetti non reali consistente nell’attribuzione di un credito compensativo.
Tali caratteristiche richiedono un approfondimento circa l’esistenza del presupposto della potenzialità edificatoria dei fondi sottoposti a tali procedure, tenuto conto anche delle diverse fasi che le caratterizzano (decollo, volo ed atterraggio), ed in particolare della fase del “volo” in un procedimento di compensazione come nella fattispecie di cui è causa, considerato altresì che una interpretazione eccessivamente elastica di siffatto presupposto potrebbe condurre ad un’arbitraria estensione della nozione di “area fabbricabile” di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 non rispettosa della realtà normativa della pianificazione territoriale, sempre più tendente a realizzarsi secondo schemi variegati e anche molto diversi tra loro.
Si ritiene, in definitiva, che possano sussistere i presupposti, come questione di massima di particolare importanza, ex art. 374 c.p.c., comma 2, per un intervento delle Sezioni Unite al fine di chiarire se un’area, prima edificabile e poi assoggettata con legge regionale ad un vincolo di inedificabilità assoluta, sia da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma di cd. compensazione urbanistica adottato dal Comune, ancorché il procedimento compensatorio non si sia ancora concluso, non essendo stata specificamente individuata ed assegnata ai proprietario la cd. area “di atterraggio”, ossia l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilità già cessata sull’area cd. “di decollo”.
La causa va, pertanto, rimessa all’esame del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, affinché valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.