[vc_row css=”.vc_custom_1595493734065{margin-bottom: 30px !important;}”][vc_column][edumax_title title=”RESPONSABILITÀ PER ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO: LA CASSAZIONE CONFERMA CHE L’ASBESTOSI È MALATTIA DOSE-CORRELATA” subtitle=”Cassazione Penale Sez. IV, 30 novembre 2012, n. 46428 – Pres. Brusco, Est. Foti”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]In punto di nesso causale tra l’esposizione all’inalazione di fibre e polveri di amianto e asbestosi, correttamente il giudice di merito, rifacendosi alle valutazioni scientifiche provenienti dagli esperti, nel comparare tale patologia con il mesotelioma pleurico, ha sostenuto che l’asbestosi è una malattia “dose-correlata”, nel senso che il suo sviluppo e la sua gravità aumentano in relazione alla durata di esposizione all’inalazione delle fibre, per cui la quantità di asbesto che viene inalata nei polmoni e la sua pericolosità sono legati alla durata dell’esposizione. L’asbestosi va quindi considerata una malattia caratterizzata da una stretta correlazione fra “dose” di asbesto inalata e “risposta” dell’organismo. Correttamente il giudice di merito ha poi evidenziato, sempre sulla base delle valutazioni scientifiche, la stretta correlazione tra asbestosi e mesioteloma pleurico ed ha riconosciuto la predisposizione dei soggetti sottoposti ad inalazioni di amianto o portatori di asbestosi a contrarre il mesiotelioma pleurico con una probabilità di circa 13- 15 volte maggiore rispetto ad altri soggetti.
RITENUTO IN FATTO
-1- Con sentenza del 16 giugno 2009, il giudice monocratico del Tribunale di Bari ha dichiarato S.D. colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e con previsione dell’evento, in pregiudizio di G.G., deceduta l'(OMISSIS), M.C.M.C., deceduto il (OMISSIS), Ma.Fr., deceduto il (OMISSIS) e C. O., deceduto il (OMISSIS), nonchè del delitto di lesioni colpose commesso, con violazione delle medesime norme, e con previsione dell’evento, in pregiudizio di Ci.Fr.
P.. All’affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell’imputato, ritenuta la continuazione tra i delitti contestati e tra questi ed i fatti oggetto di precedente giudizio, definito con sentenza irrevocabile del 14.5.2009, alla pena di otto mesi di reclusione; con revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con detta sentenza.
Lo S. è stato condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, eredi G., eredi Ma. e Ci.Fr.Pa., ai quali due ultimi ha liquidato, a titolo di provvisionale, la somma di Euro 20.000,00 ciascuno.
Secondo l’accusa, condivisa dal tribunale, l’imputato, amministratore delegato e legale rappresentante della “Cementifera Italiana Fibronit s.p.a.”, già “Sapic s.p.a.”, con stabilimento in (OMISSIS) destinato alla produzione di manufatti in cemento-amianto, ha provocato per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonchè nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la morte per mesotelioma pleurico della G., per anni residente nelle vicinanze dello stabilimento della “Fibronit”, nonchè la morte per asbestosi polmonare, seguita da mesotelioma pleurico, dei dipendenti della stessa azienda: M.C., Ma.Fr., e C.O., ed inoltre lesioni gravissime a Ci.Fr., pure dipendente della “Fibronit”, affetto da asbestosi con indebolimento permanente dell’apparato respiratorio.
L’imputato, in particolare, secondo il giudice del merito, aveva omesso, con riguardo al decesso della G., di adottare tutte le cautele ed i presidi necessari a contenere la diffusione nell’ambiente esterno delle polveri di amianto (materia prima utilizzata per la produzione di tubi, lastre e pezzi speciali) e la conseguente esposizione della popolazione residente. Tale esposizione, di natura ambientale, si è protratta per molti anni, avendo la donna abitato, a partire dal 1959 e fino alla data del decesso, in appartamenti prossimi all’area dello stabilimento “Fibronit”, dismesso nel 1985, dopo circa mezzo secolo d’attività.
Con riguardo ai dipendenti, tutti addetti a mansioni che comportavano l’esposizione alle fibre e alle polveri di amianto, l’imputato aveva omesso: a) di adottare i provvedimenti tecnici, organizzativi e procedurali necessari per contenere l’esposizione all’amianto (impianti localizzati di respirazione, limitazione dei tempi di esposizione, procedure di lavorazione atte ad evitare la manipolazione manuale, lo sviluppo e la diffusione dell’amianto), b) di curare la fornitura e l’effettivo impiego di idonei mezzi personali di protezione, c) di sottoporre i lavoratori ad adeguati controlli salutari, d) di informarli circa i rischi derivanti dall’amianto e le misure per ovviarvi, e) di allontanare dall’attività lavorativa i dipendenti che manifestavano i segni dell’insorgenza dell’asbestosi.
Il tribunale è quindi pervenuto alla conclusione secondo cui la patologia di cui i quattro dipendenti della “Fibronit” sono risultati affetti è stata dagli stessi contratta per effetto dell’attività lavorativa svolta nello stabilimento della società in un periodo anteriore o immediatamente successivo al 1970 e che la stessa si è successivamente nel tempo gradualmente aggravata a causa della continuata esposizione alle fibre di amianto, benchè fossero intervenute talune bonifiche del ciclo produttivo che avevano ridotto l’entità delle inalazioni entro limiti di tollerabilità.
Tali bonifiche non hanno impedito, secondo il giudicante, l’aggravamento progressivo delle condizioni dei lavoratori, essendo i limiti di tollerabilità degli stessi, da anni esposti all’amianto ed affetti da asbestosi, molto più bassi rispetto a soggetti sani; nei confronti di tali lavoratori, l’esposizione avrebbe dovuto essere del tutto azzerata con il proseguimento dell’opera di bonifica, ovvero con il loro definitivo allontanamento dall’azienda. Viceversa, essi hanno continuato a lavorare alle dipendenze della “Fibronit” e, nell’inerzia dello S., a svolgere le medesime mansioni e ad essere, quindi, esposti alle inalazioni di amianto.
La condotta omissiva tenuta dall’imputato ha determinato, a giudizio del tribunale, un acceleramento della malattia, sfociata nel mesotelioma e nel conclusivo arresto cardiaco per grave insufficienza respiratoria.
Lo stesso tribunale ha poi sostenuto che, pur non essendo stato accertato se all’epoca dell’assunzione delle funzioni di amministratore da parte dell’imputato la patologia fosse già insorta o no, doveva comunque ritenersi certo che l’esposizione alla inalazione di massicce dosi di polveri di amianto ha avuto effetto patogenetico o sulla latenza di una malattia già esistente o sull’insorgenza di una non ancora sorta. La pericolosità dell’amianto, del resto, ha soggiunto il tribunale, e la stretta correlazione esistente tra l’esposizione a tale sostanza e talune patologie tumorali era nota fin dagli anni sessanta, tanto che persino alcune scritte apposte sui sacchi adoperati dalla “Fibronit” avvertivano della presenza di fibre di asbesto ed invitavano a porre attenzione al fine di evitare la formazione di polveri e di respirarne, poichè l’assunzione di esse avrebbe potuto provocare il cancro ed altre gravi malattie.
Di qui anche la prova della prevedibilità dell’evento e della evitabilità dello stesso ove fossero state rispettate le norme prevenzionali.
Evidente, peraltro, è apparsa allo stesso giudice la posizione di garanzia assunta dall’imputato, in ragione della carica di amministratore delegato della società (ricoperta dal 30.4.1969 al 31.8.1981) e di componente del consiglio di amministrazione.
Posizione che lo obbligava ad adottare le misure necessarie a tutelare la salute dei lavoratori e di quanti risiedevano nei pressi dello stabilimento, anche per il fatto che era stata la “Fibronit” a generare, con la precedente attività ad essa riconducibile, la situazione di pericolo poi sfociata nelle patologie sopra indicate.
-2- Su appello proposto dall’imputato, la Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 21 marzo2011, inparziale riforma della decisione impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dello S. in ordine ai delitti di omicidio in danno di G.G. e di M.C. e di lesioni personali gravissime in danno di Ci.Fr., essendo detti reati estinti per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena in mesi cinque e giorni quindici di reclusione, e ha confermato, nel resto, la sentenza di primo grado.
La corte territoriale – respinta l’obiezione difensiva preliminare, con la quale l’appellante ha denunciato l’utilizzo, da parte del giudice di primo grado, di prove diverse da quelle acquisite in dibattimento, rappresentate, a giudizio dello stesso, da teorie scientifiche apprese al di fuori del processo- ha quindi ribadito, per gli avvenimenti non coperti dalla prescrizione, e cioè con riguardo ai decessi di Ma.Fr. e C.O., la responsabilità dello S..
Ha, quindi, la stessa corte ricordato la palese e grave violazione, da parte dell’imputato, delle norme antinfortunistiche, mentre in punto di nesso causale tra l’esposizione all’inalazione di fibre e polveri di amianto e asbestosi, il giudice del gravame ha richiamato la copiosa e quasi unanime letteratura scientifica ed ha rilevato come tale malattia sia dose correlata, nel senso che la sua evoluzione e gravità aumentano in proporzione alla durata dell’esposizione all’inalazione; di guisa che, più intensa e prolungata è l’esposizione, maggiore è la quantità di asbesto che viene inalata nei polmoni. L’asbestosi, peraltro, ha ancora ribadito la corte territoriale, è la causa dell’insorgere della patologia tumorale che ha poi determinato la morte dei lavoratori (e della G.), E’ stata altresì confermata la posizione di garanzia riconosciuta dal primo giudice all’imputato, in ragione delle cariche sociali dallo stesso ricoperte.
-3- Avverso detta sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, lo S., che deduce:
A) Violazione dell’art. 526 c.p.p., comma 1, e art. 111 Cost., comma 4.
Sostiene il ricorrente, riformulando l’obiezione già proposta nei motivi d’appello, che il tribunale, con il successivo avallo del giudice del gravame, ha utilizzato, ai fini della contestata decisione, prove diverse da quelle legittimamente acquisite nella sede dibattimentale. In particolare, il giudice avrebbe fatto ricorso alle proprie conoscenze personali, richiamando tesi scientifiche sostenute da alcuni esperti in altri processi e persino in corsi di aggiornamento tenutisi dopo la lettura del dispositivo. Ciò comporterebbe, secondo il ricorrente, la declaratoria di nullità della sentenza per violazione del principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, sancito dall’art. Ili della Costituzione. Analoga declaratoria dovrebbe conseguire nei confronti della sentenza di secondo grado, che ha condiviso in toto le scelte del primo giudice.
B) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il duplice profilo della manifesta illogicità e della contraddittorietà della stessa.
Sostiene il ricorrente l’erroneità della tesi di un concorso di cause tra asbestosi e mesotelioma al fini dell’evento morte, anche in considerazione dell’irrilevanza dell’ulteriore esposizione ad amianto sulla latenza di una patologia tumorale già in atto.
Il mesotelioma, si sostiene nel ricorso, sarebbe una patologia autonoma ed indipendente, rispetto all’asbestosi, che si è posta quale causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare la morte.
Sul punto, la motivazione sarebbe illogica, poichè ha rinviato a quanto emerso in altri procedimenti, aventi ad oggetto la sola patologia dell’asbestosi, non quella y del mesotelioma, ed ha trascurato quanto emerso nel corso del dibattimento attraverso l’esame dei tecnici escussi, i cui contenuti sarebbero stati anche travisati.
La corte confonderebbe il maggior rischio di un soggetto asbestotico di contrarre il mesotelioma con la possibilità che l’asbestosi possa incidere sul periodo di latenza del mesotelioma accelerando l’exitus del soggetto ammalato. Tale fraintendimento sarebbe fortemente incidente sul giudizio di responsabilità dell’imputato, tenuto conto della sussistenza del dubbio che per le persone decedute Ma., M., C. e G. il periodo di latenza del mesotelioma sia iniziato in data precedente il 1969, data in cui lo S. ha acquisito la posizione di garanzia con l’assunzione delle cariche sociali.
-4- Con atto e memorie depositati presso la cancelleria di questa Corte il 16 aprile 2012, N.A., Ma.Gi., Ma.Gr. e Ma.Fr., nel ribadire le rispettive costituzioni di parte civile, chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile ed improponibile in quanto proposto avverso una ignota sentenza n. 1217 del 2011 della Corte d’Appello di Bari e non, più correttamente, avverso la sentenza della stessa corte n. 824 del2011. Insubordine chiedono il rigetto del ricorso perchè infondato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premessa l’ammissibilità del proposto ricorso, irrilevante dovendosi ritenere l’errata indicazione, nello stesso, del numero di registro della sentenza impugnata, comunque da tutti, anche dalle parti civili, facilmente individuata, osserva la Corte che esso è infondato.
-1- Inesistente è il vizio dedotto con il primo dei motivi proposti.
In realtà, i giudici del merito, pur talvolta ricorrendo ad espressioni improprie, sono pervenuti alla contestata decisione dopo un esame attento delle teorie scientifiche generali elaborate sull’argomento oggetto di analisi che, ricondotte nell’ambito delle fattispecie oggetto di esame, hanno comprensibilmente fatto da sfondo, da un lato, alle tesi contrapposte che si sono confrontate all’interno del dibattito processuale, dall’altro, all’impianto argomentativo che caratterizza la motivazione della sentenza impugnata.
Le decisioni di ambedue i giudici del merito non sono quindi il frutto, come sostiene il ricorrente, di opinioni personali o conoscenze del giudice, aliunde dallo stesso acquisite, rimaste estranee al dibattito processuale, bensì del sapere scientifico generale elaborato in materia nel corso degli ultimi anni, richiamato dalle stesse parti attraverso le tesi scientifiche da ciascuno propugnate e sottoposte all’attenzione degli stessi giudici; i quali, partendo proprio dal sapere scientifico generale sotteso alle stesse teorie valorizzate dalle parti, sono legittimamente pervenuti alle decisioni contestate, dopo un attento esame critico delle contrapposte tesi.
D’altra parte, il confronto processuale si è essenzialmente svolto su un tema ben definito e noto alle parti, e dunque anche al ricorrente, che è oggetto di un dibattito scientifico che contrappone due diverse tesi: quella della c.d. “dose risposta” e quella della c.d. “dose killer”, alla quale ultima aderisce lo stesso ricorrente, che ad essa si richiama per richiedere una sentenza assolutoria.
Anche in ragione di ciò, non può ragionevolmente sostenersi che il giudice del merito abbia violato il principio della formazione della prova in dibattimento per avere fondato la propria decisione su elementi di probatori rimasti estranei al confronto processuale.
-2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
E’ opportuno anzitutto precisare che, in tema di vizio motivazionale, questa Corte ha, in generale, costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorchè il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l’iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. E’ stato, altresì, affermato che il vizio è presente anche nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale ( evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.
D’altra parte, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), pur come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, che prevede la possibilità per la Corte di Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha modificato la natura del relativo giudizio, che rimane di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. Non è quindi consentito a questa Corte procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, tali apprezzamenti essendo riservati al giudice del merito. E’ viceversa consentito dedurre in sede di legittimità il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre allorchè il giudice del merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova sicuramente diverso da quello reale, posto che, in tal caso, il giudice di legittimità non è chiamato ad una rivalutazione del fatto e delle prove acquisite, ma solo ad accertare se gli elementi di prova utilizzati siano realmente sussistenti e siano stati correttamente richiamati e riportati nella motivazione.
Orbene, nel caso di specie la corte territoriale ha compiutamente affrontato tutti i temi della vicenda processuale sottoposti, con i motivi d’appello, al suo esame ed ha indicato, richiamando le diverse, approfondite e contrapposte analisi scientifiche proposte dagli esperti intervenuti, le ragioni del proprio dissenso rispetto alle tesi difensive, e dunque, della decisione di conferma della sentenza impugnata con riguardo ai punti della stessa non raggiunti dalla prescrizione.
In particolare, il giudice del gravame ha anzitutto rilevato come gli esperti intervenuti nel confronto scientifico che ha caratterizzato il dibattito processuale abbiano collegato alla esposizione ad amianto, e quindi all’inalazione delle relative fibre, l’insorgenza dell’asbestosi ed abbiano evidenziato come, ad ogni ulteriore inalazione, abbia fatto seguito un aggravarsi della malattia, ritenuta “firmata” dall’amianto e determinata dalla mancata attuazione degli interventi necessari ad evitare la diffusione, all’interno dello stabilimento e nell’ambiente esterno circostante, delle polveri e delle fibre di amianto.
Lo stesso giudice, ancora rifacendosi alle valutazioni scientifiche provenienti dagli esperti, nel comparare tale patologia con il mesotelioma pleurico, ha sostenuto che l’asbestosi è una malattia “dose-correlata”, nel senso che il suo sviluppo e la sua gravità aumentano in relazione alla durata di esposizione all’inalazione delle fibre, per cui la quantità di asbesto che viene inalata nei polmoni e la sua pericolosità sono legati alla durata dell’esposizione. L’asbestosi è quindi considerata una malattia caratterizzata da una stretta correlazione fra “dose” di asbesto inalata e “risposta” dell’organismo. E’ stata poi evidenziata dagli stessi esperti la stretta correlazione tra asbestosi e mesioteloma pleurico ed è stata riconosciuta la predisposizione dei soggetti sottoposti ad inalazioni di amianto o portatori di asbestosi a contrarre il mesiotelioma pleurico con una probabilità di circa 13- 15 volte maggiore rispetto ad altri soggetti; è stato anche riconosciuto che detta neoplasia è caratterizzata da una latenza temporale molto elevata (20-40 anni) e da un decorso breve (1-2 anni).
E’, dunque, sulla base delle considerazioni di natura scientifica svolte dagli esperti intervenuti nel dibattito processuale che i giudici del merito sono pervenuti all’affermazione della responsabilità dell’imputato.
Quanto al tema del momento dell’insorgenza della neoplasia nelle persone decedute ( Ma., M., C. e G.), ipotizzata dalla difesa dell’imputato come avvenuta prima dell’assunzione, da parte dello S., della posizione di garanzia (1969) ed alla conseguente tesi secondo cui la causa di detta patologia dovrebbe ricercarsi nell’iniziale assunzione delle polveri di amianto, di guisa che sarebbero irrilevanti le successive inalazioni, è stato dalla corte territoriale giustamente osservato, da un lato, che non sono emersi elementi che autorizzassero a sostenere una tal tesi, in realtà prospettata ma non dimostrata nè dimostrabile, non potendosi risalire con certezza al momento d’insorgenza della malattia, dall’altro, che il protrarsi dell’esposizione alle polveri di amianto in epoca successiva all’assunzione della posizione di garanzia da parte dell’imputato, ha comunque avuto effetto patogenico sui tempi di latenza della malattia già presente o sull’insorgenza di una malattia non ancora presente.
Anche tali affermazioni hanno trovato fondamento nei pareri scientifici espressi in materia, i quali, come già rilevato, convergono nel sostenere che ogni esposizione ha un effetto causale concorrente, non essendo necessario l’accertamento della data dell’iniziale insorgenza della malattia, ed inoltre che, pur non essendovi certezze in ordine alla dose sufficiente a determinare l’insorgenza della neoplasia, è comunque certo che il rischio di insorgenza è proporzionale al tempo e all’intensità dell’esposizione.
Ed ancora a precise considerazioni elaborate in sede scientifica in materia di riduzione dei tempi di latenza della malattia per le patologie già insorte, ovvero di accelerazione dei tempi di insorgenza per le patologie successivamente insorte, che si basa la giurisprudenza di questa Corte che, in diverse occasioni, ha ritenuto di confermare le decisioni dei giudici di merito che hanno legittimamente causalmente attribuito, sulla scorta dei dati scientifici emersi in dibattimento, la responsabilità degli eventi dannosi legati all’inalazione di polveri di amianto, pur in assenza di dati certi sull’epoca di maturazione della patologia, alla condotta omissiva dei responsabili della gestione aziendale, pur se per un periodo soltanto dell’esposizione.
Deve, dunque, riconoscersi che è proprio in adesione alle puntuali valutazioni scientifiche articolate nel corso degli esami dibattimentali che la corte territoriale ha sostenuto che la condotta dell’imputato – che ben poco aveva fatto rispetto alla portata del problema ed ai gravi rischi che incombevano sui lavoratori, a lungo lasciati esposti alle polveri di amianto, anche dopo la diagnosi della malattia (il livello di negligenza manifestato in proposito dall’azienda è facilmente desumibile dalla lettura della sentenza di primo grado) – ha avuto una precisa efficacia causale rispetto agli eventi oggetto d’esame, avendo provocato l’insorgenza della malattia o il suo aggravarsi, con un’accelerazione dei tempi di latenza della patologia.
Nè vale richiamare, come fa il ricorrente, opposte tesi provenienti da altri esperti, secondo cui la neoplasia non rappresenta un’evoluzione dell’asbestosi ma sarebbe una patologia autonoma ed indipendente, rispetto a questa, postasi quale causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare gli eventi dannosi. I giudici del merito, invero, non hanno omesso di segnalare detta tesi, qualificata come minoritaria, nè hanno omesso di considerare le argomentazioni che l’hanno accompagnata, ed hanno legittimamente e motivatamente ritenuto di aderire alla tesi, ritenuta maggioritaria, sulla base della quale è stata ribadita la responsabilità dell’imputato.
Peraltro, occorre rilevare che il tema della correlazione tra l’asbestosi ed il mesotelioma è privo di concreto rilievo, ove si consideri che, in ogni caso, l’asbestosi è certamente da attribuirsi all’esposizione all’amianto, altre cause non essendo state riconosciute.
Mentre in punto di elemento soggettivo, è stato correttamente sostenuto che proprio l’assenza di cautele nell’impiego dell’amianto ha determinato la diffusione sul luogo di lavoro, ed anche all’esterno, delle relative polveri e la conseguente inalazione delle stesse da parte di quanti, lavoratori e non, ne sono venuti a contatto.
Nessun vizio di motivazione, dunque, con riguardo ai casi di decessi per asbestosi complicata dall’insorgenza della neoplasia, nessun travisamento della prova nè inversione dell’onere della prova è dato di cogliere nel percorso argomentativo elaborato da quei giudici, che hanno adeguatamente esaminato le opposte opinioni scientifiche in campo, privilegiando l’una delle due in esito ad un accurato e completo esame delle diverse posizioni, caratterizzato da una motivazione coerente ed in sintonia con gli elementi probatori acquisiti, che non può essere oggetto di censura nella sede di legittimità.
Non conforta, d’altra parte, la tesi difensiva il richiamo, nel ricorso, alla sentenza di questa sezione n. 43786 del 17.9.10 (Cozzini), che ha condizionato l’affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni di norme antinfortunistiche da parte del datore di lavoro e il decesso (conseguente a mesotelioma pleurico) del lavoratore esposto alle polveri di amianto, all’esistenza di una legge scientifica circa l’effetto acceleratore della protrazione della esposizione dopo l’inizio del processo carcinogenetico e alla realizzazione di tale accelerazione nel caso concreto.
In realtà, proprio tale metodologia hanno seguito i giudici del merito, che alle decisioni oggi contestate sono pervenuti dopo avere individuato la legge scientifica di copertura, che ha trovato il consenso di numerosi ed autorevoli esperti, taluni dei quali partecipi del dibattito processuale, alla quale hanno legittimamente ricondotto i casi concreti oggetto del processo.
Analoghe considerazioni valgono per il decesso di G.G., per anni residente nei pressi dello stabilimento della “Fibronit” e rimasta colpita, pur in assenza di una diagnosi di asbestosi, dalla stessa patologia tumorale che ha condotto a morte i tre lavoratori di cui sopra si è detto.
Anche con riferimento a tale vicenda, le censure motivazionali proposte dal ricorrente si manifestano del tutto infondate, avendo il giudice del gravame -pur nel richiamato contrasto delle opinioni scientifiche prospettate- individuato la legge scientifica di copertura ed adeguatamente motivato in ordine, sia alla posizione di garanzia dell’imputato, sia ai profili di colpa individuati a carico dello stesso, sia al nesso causale tra la condotta colposa e l’evento determinatosi.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione, in favore delle parti civili, delle spese del presente giudizio, che si liquidano, complessivamente, in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2012[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]