In tema di responsabilità medica, l’art. 3 della legge 8 novembre 2012, n.189 esclude la rilevanza della colpa lieve per quelle condotte che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica; pertanto la limitazione della responsabilità in caso di colpa non può in linea di massima riguardare ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza perché le linee guida contengono solo regole di perizia.
Ritenuto in fatto
Con sentenza dell’11 febbraio 2010 il Tribunale di Napoli in composizione monocratica assolveva D.S.R. , L.A. e R.F. , sanitari in servizio presso la prima Unità Operativa Complessa di Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale Cardarelli di Napoli, dal delitto di lesioni colpose in danno di C.A. perché il fatto non sussiste.
Agli imputati, nelle loro rispettive qualità, era stato contestato di avere cagionato al minore C.A. (che in data (omissis) aveva riportato la frattura del terzo prossimale del radio sinistro) una lesione personale grave dalla quale erano derivate una malattia ed una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni (paresi del radiale con conseguente necessità per il paziente di sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico di trasposizione muscolare). Secondo l’accusa i medici avrebbero praticato l’intervento chirurgico di riduzione cruenta ed osteosintesi del radio con placca e viti sebbene l’ultimo controllo radiografico, del (omissis), avesse evidenziato i frammenti di frattura affrontati per più di due terzi; il che deponeva in senso favorevole alla consolidazione della lesione e sebbene l’apparecchio gessato fosse ben tollerato, potendo pertanto escludersi problemi di tipo vascolare o neurologico all’arto superiore sinistro legati alla frattura e all’apparecchio gessato. I medici avrebbero quindi determinato, per errore nell’esecuzione dell’atto operatorio, la lesione iatrogena del ramo terminale motorio del nervo radiale e non avrebbero posto immediatamente in essere una idonea terapia neurotrofica, in quanto non si erano avveduti o comunque non avevano sospettato, nel post operatorio, della suddetta lesione nervosa.
Avverso la decisione del Tribunale di Napoli hanno proposto appello la parte civile, il procuratore della Repubblica e il procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli, chiedendo tutti di volere dichiarare la responsabilità degli imputati con le conseguenze di legge.
La Corte di Appello di Napoli in data 5.07.2012, con la sentenza oggetto del presente ricorso, in riforma di quella emessa nel giudizio di primo grado, dichiarava D.S.R. colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado, pena sospesa; immutando la formula di assoluzione del primo giudice assolveva L.A. e R.F. dal reato a loro ascritto per non aver commesso il fatto.
Secondo la Corte di appello il danno riportato dal giovane C. è stato individuato con apprezzabile certezza in una sofferenza del nervo radiale, nella forma della paresi. Prima dell’intervento chirurgico in questione non vi erano certificati o annotazioni in cartelle cliniche che testimoniassero una qualche sofferenza del suddetto nervo tale da dover rendere necessaria l’operazione poi praticata. Anzi, sei giorni prima dell’intervento chirurgico, il dott. D.S. aveva visitato il C. e aveva certificato che l’apparecchio gessato era ben tollerato, il che escludeva problemi di natura vascolare, neurologica o muscolare all’arto superiore sinistro. Osservavano pertanto i giudici della Corte territoriale che il C. , prima di subire l’intervento al Cardarelli, era perfettamente in grado di muovere le dita della mano, come riferito dalla stessa persona offesa. Pertanto, sulla base delle convergenti conclusioni dei due consulenti tecnici, F. e M. , ritenevano i giudici di appello, che con ogni probabilità era stato l’intervento chirurgico effettuato al Cardarelli a causare la lesione del ramo terminale motorio del nervo radiale, in quanto l’aggressione chirurgica praticata aveva interessato proprio la delicata zona anatomica in cui c’era stata una frattura all’epoca dell’intervento in stato di consolidamento.
La Corte territoriale aveva pertanto ritenuto la responsabilità penale del solo dott. D.S. , che aveva visitato il C. , deciso ed eseguito l’intervento chirurgico incidendo il paziente ed attuando le manovre di riduzione cruenta della frattura, mentre non aveva ritenuto sussistente la responsabilità penale degli altri due sanitari, il dott. L. e il dott. R. , in quanto costoro si erano limitati il primo a mantenere al massimo i divaricatori, il secondo a passare i ferri al chirurgo.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli il Procuratore generale presso la Corte di appello della stessa città, l’imputato D.S.R. e la parte civile C.A. proponevano ricorso per Cassazione chiedendone l’annullamento.
L’imputato L.A. depositava tempestiva memoria in cui chiedeva di volere dichiarare inammissibili i ricorsi della Procura Generale e della parte civile in quanto il Procuratore Generale si era limitato a riportarsi al principio della responsabilità dell’equipe e la parte civile aveva fatto riferimento ad atti processuali allegati al ricorso che non potevano essere rivalutati dalla Corte di Cassazione.
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) contraddittorietà ed illogicità della motivazione assolutoria;
2) inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche. Ad avviso del Procuratore generale ricorrente i Giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare la responsabilità di tutti e tre i medici imputati, dal momento che gli stessi facevano parte di una équipe medica e che le norme in materia di cooperazione medica impongono che il controllo del buon andamento dell’intervento chirurgico spetti alla intera equipe, non potendo esimersi il singolo sanitario dal conoscere e valutare l’attività precedente e contestuale svolta da altro collega e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio agli errori altrui se emendabili.
L’imputato D.S.R. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) difetto di motivazione;
2) contrasto tra la sentenza assolutoria di primo grado e quella di condanna di appello;
3) contraddittorietà della motivazione;
4) contraddittorietà della prova e travisamento del fatto;
5) dichiarazioni, contestazioni ed attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa.
Secondo il difensore del ricorrente la Corte territoriale si sarebbe limitata a propendere per una ricostruzione alternativa rispetto a quella fornita dal giudice di primo grado, senza peraltro motivarne le ragioni e senza in alcun modo spiegare come sarebbe avvenuta la lesione del nervo radiale, lesione peraltro che mai sarebbe stata accertata, essendo stata individuata con certezza solo una lesione muscolare.
Secondo la difesa era invece corretta la ricostruzione effettuata dal giudice di prime cure secondo cui:
-il deficit di estensione dell’arto del giovane C. era riferibile ad un danno non del nervo radiale bensì di due piccoli muscoli: l’estensore comune delle dita e l’estensore proprio del pollice;
-la causa del danno non poteva essere immediatamente ed assolutamente riconducibile all’intervento chirurgico effettuato dai sanitari del Cardarelli, in quanto lo stesso poteva essere una conseguenza sia del trauma iniziale dovuto all’urto ricevuto, sia delle manovre riduttive;
-non vi era prova del diretto nesso causale tra l’intervento al Cardarelli e la lacerazione del muscolo, fonte del deficit motorio accusato dal C. , per cui non si poteva con certezza escludere che fosse stato proprio il trauma iniziale ovvero le manovre riduttive a provocare il sopra indicato danno.
Lamentava inoltre la difesa che la Corte di appello aveva omesso completamente di motivare sulla colpa attribuita all’imputato D.S. , con riferimento in particolare alla condotta omissiva postoperatoria consistita nel non avere posto in essere una idonea terapia neurotrofica e lamentava altresì che i giudici di appello non avevano motivato neppure sul ritenuto nesso causale tra la condotta colposa del medico e la lesione del nervo radiale.
Secondo la difesa infine sarebbe emersa chiaramente dall’istruttoria dibattimentale la scarsa attendibilità della persona offesa C.A. a proposito dell’an e del quantum del dolore percepito prima dell’intervento chirurgico, che la sentenza impugnata ha affermato essere stato assente o comunque non certificato, in contrasto con quanto affermato dal consulente del pubblico ministero e dalla persona offesa in sede di controesame.
La difesa di D.S.R. presentava altresì tempestiva memoria difensiva e motivi nuovi per la presente udienza.
La parte civile C.A. ha censurato la sentenza impugnata per il seguente motivo:
violazione dell’art. 606 n. 1 lett.e) c.p.p. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Secondo la parte civile ricorrente la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la responsabilità di tutti e tre gli imputati e sarebbe contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata, laddove, da un lato, ha descritto la particolare difficoltà dell’intervento praticato dai tre sanitari (che sono tutti e tre ortopedici), dall’altro ha ridimensionato il ruolo dei dottori L. e R. fino ad esautorarli di ogni specifica competenza e professionalità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Osserva preliminarmente la Corte che, con riferimento al reato contestato al D.S. previsto dagli articoli 113, 590 co. 1 e 2 c.p., commesso in data (OMISSIS) , risulta decorso, alla data odierna, considerando tutti i periodi di sospensione, il termine massimo di prescrizione che è pari ad anni sette e mesi sei. Non emergono infatti elementi che rendano evidente che il fatto non sussiste, o che l’imputato non lo ha commesso, o che il fatto non è preveduto dalla legge come reato.
Perché possa applicarsi la norma di cui all’art. 129 cpv cod.proc.pen., che impone il proscioglimento nel merito in presenza di una causa di estinzione del reato, è necessario che risulti evidente dagli atti processuali la prova dell’insussistenza del fatto, o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non è preveduto dalla legge come reato. Il sindacato della Corte di Cassazione, infatti, in presenza di una causa estintiva del reato, deve limitarsi ad accertare se una delle ipotesi di cui all’art. 129 cpv cod.proc.pen. ricorra in maniera evidente in base alla situazione di fatto risultante dalla stessa sentenza impugnata, senza che possa estendersi ad una critica del materiale probatorio acquisito al processo, ciò implicando indagini e valutazioni di fatto che esulano dai compiti costituzionali della Corte.
“In tema di declaratoria di causa di non punibilità nel merito, rispetto a causa estintiva del reato, il concetto di “evidenza” presuppone la manifestazione di una verità processuale cosi chiara, manifesta ed obiettiva, che ogni manifestazione appaia superflua, concretizzandosi, cosi, in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato” (Cass. Sez. 4 sent. N. 12724 del 28.10.1988).
Tanto premesso, nella fattispecie che ci occupa, non può certo dirsi che risulti evidente l’esistenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cpv c.p.p. nei confronti del D.S. .
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata ai fini penali senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Essendo presente la parte civile, che ha proposto altresì ricorso in cassazione, questa Corte deve valutare, ex art. 578 c.p.p., se il ricorso dell’imputato D.S. sia o meno meritevole di accoglimento, e questo limitatamente ai fini civili. Tanto premesso si osserva che il proposto ricorso non è fondato. Quanto ai motivi relativi al difetto di motivazione, osserva la Corte (cfr. Cass., Sez.4, Sent. n.4842 del 2.12.2003, Rv. 229369) che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art.606, comma 1, lett.e) c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di Napoli hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la sussistenza della responsabilità del D.S. in ordine al reato ascrittogli. In particolare hanno dettagliatamente spiegato le ragioni per cui doveva ritenersi che il danno riportato dal giovane C. fosse conseguente ad una sofferenza del nervo radiale, nella forma della paresi e non già ad una lesione del muscolo, come sostenuto dal teste prof. Co.Ez.Ma. , che aveva operato la persona offesa parecchi mesi dopo l’intervento chirurgico di cui è processo. I giudici di appello hanno basato il loro convincimento sugli esiti di numerosi accertamenti diagnostici effettuati in diversi ospedali, tutti documentati in atti e sulle valutazioni di tutti i consulenti: quello del pubblico ministero (dott. F. ), quello del giudice civile (dott. M.D. ) e infine quelli della difesa (dott. Lo. e prof. B. , nonché dott. S. nel giudizio civile). Hanno poi fatto presente che neppure gli stessi imputati hanno mai contestato tale dato, anzi il dott. L. , all’esito della visita specialistica effettuata il (OMISSIS) , aveva fatto una diagnosi di paresi del radiale e aveva prescritto cicli di elettrostimolazione dei muscoli innervati.
I giudici di appello valutavano altresì il diverso parere espresso dal prof. Co.Ez.Ma. , che aveva ritenuto che il danno riguardasse il muscolo e non il nervo, ritenendo peraltro che tale opinione non era idonea a smentire o ad insinuare il dubbio su quanto accertato sulla base di specifici esami diagnostici e di appropriate indagini peritali.
I giudici della Corte territoriale hanno poi dettagliatamente, con logica motivazione, spiegato le ragioni per cui doveva ritenersi che il detto danno, e cioè la lesione del ramo terminale motorio del nervo radiale con deficit di estensione delle dita, fosse da imputare esclusivamente all’intervento chirurgico subito dal C. all’ospedale Cardarelli il (OMISSIS) ad opera del D.S. , coadiuvato da L. e da R. . Rilevavano infatti che, prima del predetto intervento chirurgico, non vi erano certificati né annotazioni nelle cartelle cliniche che testimoniassero una qualche sofferenza del suddetto nervo e che anzi sei giorni prima dell’intervento chirurgico il dott. D.S. aveva visitato il C. , aveva certificato che l’apparecchio gessato era ben tollerato, escludendo di fatto problemi di natura vascolare, neurologica o muscolare all’arto superiore sinistro. Evidenziavano poi i giudici di appello che la stessa persona offesa aveva dichiarato di essere perfettamente in grado, prima di subire l’intervento al Cardarelli, di muovere le dita della mano, potendosi quindi escludere che una siffatta lesione potesse essersi verificata all’atto del trauma o potesse essere stata provocata dalle manovre di riduzione incruenta della frattura nella fase iniziale, effettuate dal dott. Li. presso il C.T.O. di Napoli. In tale contesto non hanno ragion d’essere le critiche riguardanti le dichiarazioni della persona offesa, che non sarebbe attendibile, secondo la difesa del ricorrente, perché non avrebbe fornito indicazioni precise circa l’entità del dolore patito prima dell’intervento chirurgico di cui è causa.
I giudici di appello hanno poi risposto con logiche argomentazioni alla obiezione della difesa del D.S. secondo cui la lesione del nervo radiale non poteva essere stata determinata dal predetto intervento chirurgico, dal momento che nei giorni successivi all’intervento in questione non era stato evidenziato alcun tipo di disturbo neurologico, a riprova della integrità del nervo. Sul punto la sentenza impugnata ha osservato, riportandosi a quanto dichiarato dal consulente prof. M. , che la condizione obiettiva, anatomica e funzionale del soggetto operato ed in tutela gessata non consentiva al paziente stesso ed al sanitario una puntuale osservazione sintomatologica, ma che tuttavia ben presto il C. si era reso conto della impossibilità di muovere le dita e il D.S. prima lo aveva rassicurato, attribuendo la immobilità alla pigrizia del paziente stesso, ma poi, tolto il gesso, non aveva potuto che riconoscere la sofferenza del nervo radiale.
Sulla base di tutte le logiche argomentazioni sopra indicate la sentenza impugnata ha pertanto ritenuto che fu l’intervento chirurgico in questione, effettuato in modo inidoneo, a cagionare al giovane la lesione del ramo terminale motorio del nervo radiale e per tali motivi ha ritenuto sussistente la responsabilità in ordine al reato di lesioni colpose del D.S. , che tale intervento aveva deciso ed eseguito, incidendo il paziente ed attuando le manovre di riduzione cruenta della frattura ed applicazione della placca.
La difesa del dott. D.S. ha poi proposto tempestiva memoria difensiva e motivi nuovi in cui affermava che la fattispecie oggetto del ricorso non poteva non essere esaminata alla luce del novum normativo introdotto dall’art.3, comma 1, del d.l. 13.09.2012, n.158 (decreto Balduzzi), così come sostituito in sede di conversione dall’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n.189, entrata in vigore quindi successivamente alla proposizione del ricorso che ci occupa, il quale dispone che “… l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Sosteneva quindi la difesa che erroneamente era stato contestato al D.S. di avere con imperizia eseguito un intervento chirurgico di riduzione cruenta e osteosintesi del radio con placca e viti, laddove non avrebbe dovuto praticarlo in considerazione delle condizioni dell’organo fratturato.
Sosteneva invece la difesa che, sulla base delle argomentazioni dei consulenti tecnici di parte dott. L.A. e dott. Ma.Ug. , di cui allegava ai motivi aggiunti le conclusioni, l’intervento chirurgico eseguito dal dott. D.S. era stato eseguito alla luce delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Tanto premesso si osserva che questa Corte si è già occupata delle problematiche conseguenti all’applicazione dell’art. 3 della legge 8 novembre 2012 n. 189 e ha statuito (cfr. cass., sez.4, sent. N.16237 del 29.01.2013, Rv. 255105) che, in tema di responsabilità medica, l’art. 3 della legge 8 novembre 2012, n.189 esclude la rilevanza della colpa lieve per quelle condotte che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica; precisando altresì che comunque la limitazione della responsabilità in caso di colpa lieve prevista dalla legge sopra indicata opera prevalentemente per le condotte professionali conformi alle linee guida contenenti regole di perizia, ma non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imperizia (cfr, sul punto, Cass., Sez.4, sent. N.11493 del 24.01.2013, Rv. 254756). Pertanto la norma di cui sopra non può in linea di massima riguardare ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza perché, come ritenuto in giurisprudenza, le linee guida contengono solo regole di perizia.
Deve essere comunque precisato che, in via generale, le linee guida per avere rilevanza nell’accertamento della responsabilità del medico devono indicare standard diagnostico terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente e non devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura del paziente, con la conseguenza del dovere del sanitario di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio per il paziente.
Solo nel caso di linee guida conformi alle regole della migliore scienza medica sarà poi possibile utilizzarle come parametro per l’accertamento dei profili di colpa ravvisabili nella condotta del medico ed attraverso le indicazioni dalle stesse fornite sarà possibile per il giudicante – anche, se necessario, attraverso l’ausilio di consulenze rivolte a verificare eventuali particolarità specifiche del caso concreto, che avrebbero potuto imporre o consigliare un percorso diagnostico terapeutico alternativo – individuare eventuali condotte censurabili.
Tanto premesso si osserva che nei motivi aggiunti la difesa del dott. D.S. si limita a sostenere, allegando anche le conclusioni dei suoi consulenti, che le linee guida sono state osservate nel momento della scelta di procedere chirurgicamente, ma nulla dice, e nulla affermano i suoi consulenti, in merito all’osservanza delle linee guida nel successivo momento dell’esecuzione dell’intervento chirurgico. La difesa invece avrebbe dovuto quanto meno allegare che l’imputato aveva osservato le linee guida non solo nel momento in cui doveva decidere se intervenire o meno chirurgicamente, ma anche durante l’esecuzione dell’operazione, dovendosi imputare a errore lieve la lesione del nervo radiale.
Al D.S. infatti è stato contestato non solo di essere intervenuto chirurgicamente senza necessità, ma anche di avere causato alla persona offesa – per errore nell’esecuzione dell’atto operatorio e quindi per imperizia – la lesione iatrogena del ramo terminale motorio del nervo radiale.
Pertanto, anche se rispondessero al vero le osservazioni contenute nei motivi aggiunti circa la necessità, sulla base delle linee guida, di procedere all’intervento chirurgico, il ricorso del D.S. dovrebbe comunque essere rigettato ai fini civili atteso che, sulla base delle argomentazioni di cui sopra, la sentenza impugnata ha motivato in maniera adeguata e congrua in ordine al fatto che fu il D.S. , con la sua condotta imperita nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, a causare la lesione al nervo radiale al C. .
Infondati sono infine i ricorsi del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Napoli e della parte civile C.A. .
La sentenza impugnata ha infatti ben spiegato le ragioni per cui ha ritenuto di assolvere i dottori L. e R. . Ha infatti rilevato che, se è vero che nell’attività chirurgica di équipe tutti i soggetti partecipanti sono tenuti ad esercitare il controllo sul buon andamento dell’intervento chirurgico, mostrando quindi di ben conoscere la giurisprudenza di questa Corte sul punto, purtuttavia le caratteristiche specifiche della fattispecie che ci occupa fanno ritenere correttamente motivata la decisione assolutoria. Ha considerato infatti la Corte territoriale i compiti assegnati e svolti dai predetti sanitari e ha valutato che difficilmente i sopraindicati sanitari avrebbero potuto intervenire sull’operatore per evitare che fosse causata la lesione del nervo radiale, dal momento che il dott. L. si era occupato soltanto di mantenere al massimo i divaricatori e il dott. R. si era limitato a passare i ferri al chirurgo. E quindi non risulta che i due medici abbiano partecipato attivamente all’intervento o che abbiano potuto rendersi conto dell’errore del chirurgo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, ai fini penali, perché il reato ascritto è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale e rigetta inoltre il ricorso della parte civile che condanna al pagamento delle spese processuali.