L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
5 dicembre 2017 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 325 TFUE – Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) – Procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) – Normativa nazionale che prevede termini di prescrizione che possono determinare l’impunità dei reati – Lesione degli interessi finanziari dell’Unione europea – Obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione di diritto interno che possa pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dal diritto dell’Unione – Principio di legalità dei reati e delle pene»
Nella causa C‑42/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte costituzionale (Italia), con ordinanza del 23 novembre 2016, pervenuta in cancelleria il 26 gennaio 2017, nel procedimento penale a carico di
M.A.S.,
M.B.
con l’intervento di:
Presidente del Consiglio dei Ministri,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, L. Bay Larsen, T. von Danwitz, J.L. da Cruz Vilaça (relatore), C.G. Fernlund e C. Vajda, presidenti di sezione, A. Borg Barthet, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, M. Safjan, F. Biltgen, K. Jürimäe, M. Vilaras ed E. Regan giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: R. Schiano, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 maggio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
– per M.A.S., da G. Insolera, A. Soliani e V. Zeno-Zencovich, avvocati;
– per M.B., da N. Mazzacuva e V. Manes, avvocati;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. De Bellis, G. Galluzzo e S. Fiorentino, avvocati dello Stato;
– per la Commissione europea, da P. Rossi, J. Baquero Cruz, H. Krämer e K. Banks, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 luglio 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE come interpretato dalla sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) (in prosieguo: la «sentenza Taricco»).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale a carico di M.A.S. e M.B. relativo a reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA).
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3. L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE prevede quanto segue:
«1. L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.
2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari».
Diritto italiano
4. L’articolo 25 della Costituzione così dispone:
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge».
5. L’articolo 157 del codice penale, come modificato dalla legge del 5 dicembre 2005, n. 251 (GURI n. 285 del 7 dicembre 2005; in prosieguo: il «codice penale»), prevede quanto segue:
«La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
(…)».
6. L’articolo 160 del codice penale è così formulato:
«Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e (…) il decreto di fissazione della udienza preliminare (…).
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre il termine di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articolo 51, commi 3‑bis e 3‑quater, del codice di procedura penale».
7. Ai sensi dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale:
«Salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3‑bis e 3‑quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere (…)».
8. Ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo del 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (GURI n. 76 del 31 marzo 2000; in prosieguo: il «d.lgs. n. 74/2000»), la presentazione di una dichiarazione IVA fraudolenta che menzioni fatture o altri documenti relativi a operazioni inesistenti è punita con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
9. Nella sentenza Taricco, la Corte ha dichiarato che il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161 del codice penale (in prosieguo: le «disposizioni del codice penale in questione»), nella parte in cui tali disposizioni prevedono che un atto interruttivo della prescrizione verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA comporti il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell’ipotesi in cui tali disposizioni nazionali impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. La Corte ha altresì dichiarato che il giudice nazionale competente è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dalle suddette disposizioni del Trattato FUE.
10. La Corte suprema di cassazione (Italia) e la Corte d’appello di Milano (Italia), che hanno rimesso alla Corte costituzionale (Italia) le questioni di costituzionalità, ritengono che la regola tratta da detta sentenza sia applicabile nell’ambito di due procedimenti pendenti dinanzi alle medesime. Tali procedimenti, infatti, hanno ad oggetto reati previsti dal decreto n. 74/2000 suscettibili di essere qualificati come gravi. Inoltre, detti reati sarebbero prescritti ove si dovessero applicare le disposizioni del codice penale in questione mentre, in caso contrario, i suddetti procedimenti si potrebbero concludere con una pronuncia di condanna.
11. La Corte d’appello di Milano, inoltre, dubita che l’obbligo derivante dall’articolo 325, paragrafo 2, TFUE sia rispettato per quanto riguarda il procedimento pendente dinanzi ad essa. Infatti, il reato di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto all’articolo 291 quater del decreto del Presidente della Repubblica del 23 gennaio 1973, n. 43, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (GURI n. 80 del 28 marzo 1973), benché assimilabile a reati puniti dal decreto n. 74/2000, come quelli oggetto dei procedimenti principali, non è soggetto alle medesime regole sul limite del termine di prescrizione previste per tali reati.
12. La Corte suprema di cassazione e la Corte d’appello di Milano ritengono quindi di essere tenute, conformemente alla regola enunciata dalla sentenza Taricco, a disapplicare il termine di prescrizione previsto dalle disposizioni del codice penale in questione e a pronunciarsi sul merito.
13. La Corte costituzionale solleva dubbi sulla compatibilità di una soluzione del genere con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. In particolare, secondo tale organo giurisdizionale, questa soluzione potrebbe ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive.
14. A tale riguardo, la Corte costituzionale precisa che, nell’ordinamento giuridico italiano, il regime della prescrizione in materia penale riveste natura sostanziale e, pertanto, rientra nell’ambito di applicazione del principio di legalità, previsto all’articolo 25 della Costituzione italiana. Di conseguenza, tale regime dovrebbe essere disciplinato da norme precise vigenti al momento della commissione del reato considerato.
15. Alla luce di tali premesse, la Corte costituzionale ritiene di essere chiamata dai giudici nazionali interessati a pronunciarsi sul rispetto, da parte della regola enunciata nella sentenza Taricco, del requisito della «determinatezza» che, secondo la Costituzione, deve caratterizzare le norme di diritto penale sostanziale.
16. Pertanto, in primo luogo, si tratterebbe di verificare se l’interessato potesse sapere, al momento della commissione del reato considerato, che il diritto dell’Unione impone al giudice nazionale, in presenza dei presupposti individuati nella suddetta sentenza, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione. Peraltro, il principio secondo cui la natura penale dell’illecito e la pena applicabile devono essere previamente e chiaramente determinabili dall’autore della condotta punibile discenderebbe, altresì, dalla giurisprudenza pertinente della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
17. In secondo luogo, il giudice del rinvio rileva che la sentenza Taricco non precisa a sufficienza gli elementi che il giudice nazionale deve prendere in considerazione per riscontrare il «numero considerevole di casi» cui è legata l’applicazione della regola tratta da tale sentenza, e non pone quindi limiti al potere discrezionale dei giudici.
18. Secondo il suddetto organo giurisdizionale, peraltro, la sentenza Taricco non si pronuncia sulla compatibilità della regola da essa enunciata con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano, e ha espressamente demandato questo compito ai giudici nazionali competenti. Esso rileva, a tale riguardo, come al punto 53 di tale sentenza si affermi che, se il giudice nazionale dovesse decidere di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, detto giudice dovrà allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Esso aggiunge che al punto 55 di detta sentenza si precisa che una disapplicazione siffatta va disposta con riserva di verifica da parte del giudice nazionale in ordine al rispetto dei diritti degli imputati.
19. Inoltre, il giudice del rinvio rileva che la Corte, nella sentenza Taricco, si è pronunciata sulla questione della compatibilità della regola enunciata in detta sentenza con l’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») riferendosi unicamente al principio di irretroattività. La Corte non avrebbe tuttavia esaminato l’altro profilo del principio di legalità dei reati e delle pene, ossia la necessità che la norma relativa al regime di punibilità sia sufficientemente determinata. Si tratterebbe tuttavia di un principio comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, presente anche nel sistema di tutela della CEDU, e che come tale corrisponde a un principio generale del diritto dell’Unione. Orbene, anche qualora si dovesse attribuire natura processuale al regime di prescrizione in materia penale nell’ordinamento giuridico italiano, nondimeno esso dovrebbe essere applicato in base a regole determinate.
20. Alla luce di tali premesse, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, (…) TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata.
2) Se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, (…) TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità.
3) Se la debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro».
21. Con ordinanza del 28 febbraio 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, non pubblicata, EU:C:2017:168), il presidente della Corte ha deciso di accogliere la domanda del giudice del rinvio diretta a sottoporre la presente causa al procedimento accelerato previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte.
Sulle questioni pregiudiziali
Considerazioni preliminari
22. Occorre anzitutto ricordare che il procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE instaura un dialogo da giudice a giudice tra la Corte e i giudici degli Stati membri, il quale mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione nonché la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto .
23. Il procedimento ex articolo 267 TFUE funge dunque da strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a dirimere (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov, C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 16).
24. A tale riguardo, occorre sottolineare che, quando risponde a questioni pregiudiziali, la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto materiale e normativo nel quale si inseriscono dette questioni, quale definito dalla decisione di rinvio (sentenza del 26 ottobre 2017, Argenta Spaarbank, C‑39/16, EU:C:2017:813, punto 38).
25. Si deve rilevare che, nell’ambito del procedimento all’origine della sentenza Taricco, il Tribunale di Cuneo (Italia) ha interrogato la Corte sull’interpretazione degli articoli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE nonché dell’articolo 158 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).
26. Nella sentenza Taricco, la Corte ha tuttavia ritenuto necessario, ai fini del procedimento penale pendente dinanzi a detto giudice italiano, fornirgli un’interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.
27. Nel procedimento principale, la Corte costituzionale solleva la questione di un’eventuale violazione del principio di legalità dei reati e delle pene che potrebbe derivare dall’obbligo, enunciato dalla sentenza Taricco, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, in considerazione, da un lato, della natura sostanziale delle norme sulla prescrizione stabilite nell’ordinamento giuridico italiano, la quale implica che dette norme siano ragionevolmente prevedibili per i soggetti dell’ordinamento al momento della commissione dei reati contestati senza poter essere modificate retroattivamente in peius, e, dall’altro, della necessità che qualunque normativa nazionale relativa al regime di punibilità si fondi su una base giuridica sufficientemente determinata, al fine di poter delimitare e orientare la valutazione del giudice nazionale.
28. Spetta pertanto alla Corte precisare, tenuto conto degli interrogativi che sono stati sollevati dal giudice del rinvio con riferimento a tale principio e che non erano stati portati a conoscenza della Corte nella causa all’origine della sentenza Taricco, l’interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE operata da tale sentenza.
Sulle questioni prima e seconda
29. Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE debba essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, e ciò anche qualora l’attuazione di tale obbligo comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o di un’applicazione retroattiva di quest’ultima.
30. Occorre ricordare che l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE impone agli Stati membri di lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure effettive e dissuasive nonché di adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari.
31. Poiché le risorse proprie dell’Unione comprendono in particolare, ai sensi della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 105), le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione, sussiste un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 26, nonché Taricco, punto 38).
32. È compito degli Stati membri garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2016, Degano Trasporti, C‑546/14, EU:C:2016:206, punto 21). A questo proposito, tali Stati membri sono tenuti a procedere al recupero delle somme corrispondenti alle risorse proprie che sono state sottratte al bilancio dell’Unione in conseguenza di frodi.
33. Al fine di assicurare la riscossione integrale delle entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 34, nonché Taricco, punto 39).
34. A tale riguardo, occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che possono essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 39).
35. Gli Stati membri, pena la violazione degli obblighi loro imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, devono quindi assicurarsi che, nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione in materia di IVA, siano adottate sanzioni penali dotate di carattere effettivo e dissuasivo (v., in tal senso, sentenza Taricco, punti 42 e 43).
36. Deve pertanto ritenersi che gli Stati membri violino gli obblighi loro imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE qualora le sanzioni penali adottate per reprimere le frodi gravi in materia di IVA non consentano di garantire efficacemente la riscossione integrale di detta imposta. A tale titolo, detti Stati devono altresì assicurarsi che le norme sulla prescrizione previste dal diritto nazionale consentano una repressione effettiva dei reati legati a frodi siffatte.
37. In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 2, TFUE, gli Stati membri devono adottare, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, in particolare in materia di IVA, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari.
38. Per quanto riguarda le conseguenze di un’eventuale incompatibilità di una normativa nazionale con l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, dalla giurisprudenza della Corte emerge che detto articolo pone a carico degli Stati membri obblighi di risultato precisi, che non sono accompagnati da alcuna condizione quanto all’applicazione delle norme enunciate da tali disposizioni (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 51).
39. Spetta quindi ai giudici nazionali competenti dare piena efficacia agli obblighi derivanti dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE e disapplicare disposizioni interne, in particolare riguardanti la prescrizione, che, nell’ambito di un procedimento relativo a reati gravi in materia di IVA, ostino all’applicazione di sanzioni effettive e dissuasive per combattere le frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Taricco, punti 49 e 58).
40. Si deve ricordare che, al punto 58 della sentenza Taricco, le disposizioni nazionali in questione sono state considerate idonee a pregiudicare gli obblighi imposti allo Stato membro interessato dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell’ipotesi in cui dette disposizioni impediscano di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono detti interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti in casi di frode che ledono gli interessi finanziari di tale Stato membro.
41. Spetta, in prima battuta, al legislatore nazionale stabilire norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall’articolo 325 TFUE, alla luce delle considerazioni esposte dalla Corte al punto 58 della sentenza Taricco. È infatti compito del legislatore garantire che il regime nazionale di prescrizione in materia penale non conduca all’impunità in un numero considerevole di casi di frode grave in materia di IVA o non sia, per gli imputati, più severo nei casi di frode lesivi degli interessi finanziari dello Stato membro interessato rispetto a quelli che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
42. A tale riguardo, occorre ricordare che il fatto che un legislatore nazionale proroghi un termine di prescrizione con applicazione immediata, anche con riferimento a fatti addebitati che non sono ancora prescritti, non lede, in linea generale, il principio di legalità dei reati e delle pene (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 57, e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo citata a tale punto).
43. Ciò premesso, occorre aggiungere che il settore della tutela degli interessi finanziari dell’Unione attraverso la previsione di sanzioni penali rientra nella competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TFUE.
44. Nella fattispecie, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione, armonizzazione che è successivamente avvenuta, in modo parziale, solo con l’adozione della direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (GU 2017, L 198, pag. 29).
45. La Repubblica italiana era quindi libera, a tale data, di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse, al pari delle norme relative alla definizione dei reati e alla determinazione delle pene, nel diritto penale sostanziale e fosse a questo titolo soggetto, come queste ultime norme, al principio di legalità dei reati e delle pene.
46. Dal canto loro, i giudici nazionali competenti, quando devono decidere, nei procedimenti pendenti, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, sono tenuti ad assicurarsi che i diritti fondamentali delle persone accusate di aver commesso un reato siano rispettati (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 53).
47. A tale riguardo, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità o l’effettività del diritto dell’Unione (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
48. In particolare, per quanto riguarda l’inflizione di sanzioni penali, spetta ai giudici nazionali competenti assicurarsi che i diritti degli imputati derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene siano garantiti.
49. Orbene, secondo il giudice del rinvio, tali diritti non sarebbero rispettati in caso di disapplicazione delle disposizioni del codice penale in questione, nell’ambito dei procedimenti principali, dato che, da un lato, gli interessati non potevano ragionevolmente prevedere, prima della pronuncia della sentenza Taricco, che l’articolo 325 TFUE avrebbe imposto al giudice nazionale, alle condizioni stabilite in detta sentenza, di disapplicare le suddette disposizioni.
50. Dall’altro, secondo detto giudice, il giudice nazionale non può definire il contenuto concreto dei presupposti in presenza dei quali esso dovrebbe disapplicare tali disposizioni – ossia nell’ipotesi in cui esse impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave – senza violare i limiti imposti alla sua discrezionalità dal principio di legalità dei reati e delle pene.
51. A tale riguardo, si deve ricordare l’importanza, tanto nell’ordinamento giuridico dell’Unione quanto negli ordinamenti giuridici nazionali, che riveste il principio di legalità dei reati e delle pene, nei suoi requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile.
52. Tale principio, quale sancito all’articolo 49 della Carta, si impone agli Stati membri quando attuano il diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, come avviene allorché essi prevedano, nell’ambito degli obblighi loro imposti dall’articolo 325 TFUE, di infliggere sanzioni penali per i reati in materia di IVA. L’obbligo di garantire l’efficace riscossione delle risorse dell’Unione non può quindi contrastare con tale principio (v., per analogia, sentenza del 29 marzo 2012, Belvedere Costruzioni, C‑500/10, EU:C:2012:186, punto 23).
53. Inoltre, il principio di legalità dei reati e delle pene appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (v., per quanto riguarda il principio di irretroattività della legge penale, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 42, nonché del 7 gennaio 2004, X, C‑60/02, EU:C:2004:10, punto 63) ed è stato sancito da vari trattati internazionali, segnatamente all’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU (v., in tal senso, sentenza del 3 maggio 2007, Advocaten voor de Wereld, C‑303/05, EU:C:2007:261, punto 49).
54. Dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17) emerge che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il diritto garantito all’articolo 49 della medesima ha significato e portata identici al diritto garantito dalla CEDU.
55. Per quanto riguarda gli obblighi derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene, occorre rilevare, in primo luogo, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, a proposito dell’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, che, in base a tale principio, le disposizioni penali devono rispettare determinati requisiti di accessibilità e di prevedibilità per quanto riguarda tanto la definizione del reato quanto la determinazione della pena (v. Corte EDU, 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia, CE:ECHR:1996:1115JUD001786291, § 29; Corte EDU, 7 febbraio 2002, E.K. c. Turchia, CE:ECHR:2002:0207JUD002849695, § 51; Corte EDU, 29 marzo 2006, Achour c. Francia, CE:ECHR:2006:0329JUD006733501, § 41, e Corte EDU, 20 settembre 2011, OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, CE:ECHR:2011:0920JUD001490204, §§ da 567 a 570).
56. In secondo luogo, occorre sottolineare che il requisito della determinatezza della legge applicabile, che è inerente a tale principio, implica che la legge definisca in modo chiaro i reati e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, in base al testo della disposizione rilevante e, se del caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici, gli atti e le omissioni che chiamano in causa la sua responsabilità penale (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 162).
57. In terzo luogo, il principio di irretroattività della legge penale osta in particolare a che un giudice possa, nel corso di un procedimento penale, sanzionare penalmente una condotta non vietata da una norma nazionale adottata prima della commissione del reato addebitato, ovvero aggravare il regime di responsabilità penale di coloro che sono oggetto di un procedimento siffatto (v., per analogia, sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punti da 62 a 64 e giurisprudenza ivi citata).
58. A tale riguardo, come rilevato al punto 45 della presente sentenza, i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività inerenti al principio di legalità dei reati e delle pene si applicano, nell’ordinamento giuridico italiano, anche al regime di prescrizione relativo ai reati in materia di IVA.
59. Ne deriva, da un lato, che spetta al giudice nazionale verificare se la condizione richiesta dal punto 58 della sentenza Taricco, secondo cui le disposizioni del codice penale in questione impediscono di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, conduca a una situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano quanto alla determinazione del regime di prescrizione applicabile, incertezza che contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile. Se così effettivamente fosse, il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale in questione.
60. Dall’altro, i requisiti menzionati al punto 58 della presente sentenza ostano a che, in procedimenti relativi a persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della pronuncia della sentenza Taricco, il giudice nazionale disapplichi le disposizioni del codice penale in questione. Infatti, la Corte ha già sottolineato, al punto 53 di tale sentenza, che a dette persone potrebbero, a causa della disapplicazione di queste disposizioni, essere inflitte sanzioni alle quali, con ogni probabilità, sarebbero sfuggite se le suddette disposizioni fossero state applicate. Tali persone potrebbero quindi essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
61. Se il giudice nazionale dovesse quindi essere indotto a ritenere che l’obbligo di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione contrasti con il principio di legalità dei reati e delle pene, esso non sarebbe tenuto a conformarsi a tale obbligo, e ciò neppure qualora il rispetto del medesimo consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punti 58 e 59). Spetta allora al legislatore nazionale adottare le misure necessarie, come rilevato ai punti 41 e 42 della presente sentenza.
62. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni prima e seconda dichiarando che l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
Sulla terza questione
63. In considerazione della risposta fornita alle prime due questioni, non è necessario rispondere alla terza questione.
Sulle spese
64. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.