AMBITO E LIMITI DEL SINDACATO DEL G.O.
SULLA DESIGNAZIONE GOVERNATIVA DI UNO STATO TERZO
COME PAESE D’ORIGINE SICURO

Cass. civile. Sez I, 19 Dicembre 2024, n. 33398

 

La scelta di prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi di origine sicuri rientra nella discrezionalità politica.

Quella di paese di origine sicuro è una nozione giuridica di diritto europeo, recepita dal legislatore nazionale.

La designazione del paese di provenienza come paese di origine sicuro costituisce una agevolazione per l’autorità amministrativa preposta all’esame delle domande, la quale è esentata dal provare di volta in volta che il Paese di origine offre al richiedente un’effettiva e sufficiente protezione dal rischio di persecuzione o di altri gravi danni, riversando sul richiedente l’onere di fornire elementi contrari connessi alla sua situazione particolare.

La presunzione che vi si ricollega non è dunque una fictio, ma deve essere fondata su fonti certe che consentano di dimostrare la sicurezza del Paese designato.

La ratio dell’introduzione del concetto di paese di origine sicuro è quella di “deflazionare” il carico di lavoro inerente alla valutazione delle domande di protezione internazionale.

Infatti, il legislatore prevede, per le richieste presentate da persone provenienti da paesi designati sicuri, una procedura semplificata e più veloce che si fonda su una presunzione di infondatezza della richiesta in quanto, appunto, il paese di provenienza risulta privo di criticità in merito al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici: una procedura concepita per tracciare in via preliminare una distinzione tra richiedenti meritevoli e non, così da indirizzare i secondi verso una procedura più rapida.

L’inserimento di un paese nella lista di quelli designati come sicuri non è privo di conseguenze in relazione sia al procedimento amministrativo avente ad oggetto la richiesta di protezione internazionale, sia al processo che si svolge innanzi al giudice ordinario con l’impugnativa del provvedimento di diniego.

Le conseguenze che derivano dalla provenienza da un paese sicuro sono, dunque, numerose: (i) la procedura diviene ordinaria ad accelerata; (ii) il richiedente asilo ha un onere di allegazione aggravato, al quale corrisponde un onere motivazionale attenuato per la pubblica amministrazione; (iii) la domanda può essere rigettata perché manifestamente infondata ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettera b-bis}, del D.Lgs. n. 25 del 2008; (iv) i termini per proporre ricorso si riducono della metà; (v) la decisione con cui è rigettata la domanda presentata da un richiedente proveniente da un paese di origine sicuro è motivata potendosi dare atto che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro, in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso, il paese designato di origine sicuro (art. 9, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 25 del 2008); (vi) la proposizione del ricorso non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato; al ricorrente, tuttavia, viene riconosciuta, ex art. 35-bis, comma 4, del D.Lgs. n. 25 del 2008, la possibilità di avanzare istanza di sospensione della decisione adottata dalla Commissione territoriale. La sospensione potrà essere accordata, con decreto motivato, pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza e senza la preventiva convocazione della controparte, se ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni.

L’atto governativo che individua i paesi di origine sicuri non è un atto politico, un atto fuori dal diritto e dalla giurisdizione.

Perché un atto possa essere considerato politico e, come tale, sottratto alla giurisdizione, è necessario che esso sia posto in essere da un organo costituzionale nell’esercizio della funzione di governo e, quindi, nell’attuazione dell’indirizzo politico.

La nozione di atto politico è di stretta interpretazione ed ha carattere eccezionale, atteso che il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere costituisce un profilo fondante della Costituzione italiana (Cass., Sez. Un., 1 giugno 2023, n. 15601).

L’inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri non è un atto politico, perché deriva dalla applicazione dei criteri individuati dagli artt. 36 e 37 e dall’allegato I della direttiva 2023/32/UE e dall’art. 2-bis del D.Lgs. n. 25 del 2008.

La nozione di paese di origine sicuro ha carattere giuridico. L’inserimento di un paese di origine tra quelli sicuri è guidato da requisiti e da criteri dettati dal legislatore europeo e recepiti dalla normativa nazionale. Tali elementi devono essere considerati sulla base delle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo e da altre fonti qualificate (Stati membri dell’Unione europea, EASO, UNHCR, ConsigIio d’Europa, a I tre organizzazioni internazionali competenti).

L’esistenza di una dettagliata disciplina (procedurale e sostanziale) applicabile al relativo potere amministrativo implica che il rispetto di tali requisiti e criteri è suscettibile di verifica in sede giurisdizionale.

Se ci trovassimo in assenza di un parametro giuridico, il sindacato giurisdizionale sarebbe destinato ad arrestarsi; ma in presenza di un riferimento normativo quello stesso sindacato diviene doveroso, proprio perché la giustiziabilità dell’atto dipende dalla regolamentazione sostanziale del potere.

Non può escludersi che quella designazione involga a valutazioni che riguardano parallelamente l’attuazione politiche generali di governo sotto il profilo della sicurezza e delle esigenze di continuità del le relazioni internazionali.

L’aspetto politico, però, rileva “a monte”. Quando si tratta, invece, di verificare la sussistenza in concreto dei criteri, normativamente predefiniti, che consentono di qualificare un paese come sicuro, la presenza di un aspetto politico non può giustificare il ritrarsi del controllo giurisdizionale.

Pur dovendosi dare atto che la va lutazione governativa non è soltanto un’operazione tecnico-giuridica, come se ci trovasse di fronte a un atto totalmente vincolato e surrogabile dal giudice o a un esito a rime obbligate che l’interprete sia chiamato a desumere, tramite le fonti, dal confronto sillogistico di norma e fatto; pur dovendosi dare atto di tutto ciò, preme, tuttavia, sottolineare che il giudice non sostituisce le proprie valutazioni soggettive a quelle espresse dal decreto ministeriale (e ora dal decreto-legge) quando esercita il, doveroso e istituzionale, controllo di legittimità sugli esiti della valutazione effettuata dall’amministrazione e verifica se il potere valutativo sia stato esercitato con manifesto discostamento dalla disciplina europea o non sia ictu oculi più rispondente alla situazione reale (come risultante, ad esempio, dalle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente, ai sensi dell’art. 37 della direttiva 2013/32/UE).

Il giudice ordinario non si sostituisce all’autorità. L’accertamento giurisdizionale risponde, piuttosto, all’esigenza di verificare che il potere non sia stato esercitato arbitrariamente.

Il sindacato intrinseco di attendibilità non giunge affatto alla sostituzione nelle valutazioni che spettano, in generale, al governo.

Pur non potendosi negare l’esistenza di un potere discrezionale, per la compresenza di interessi pubblici, alla base della scelta di inserire un dato paese nella lista dei paesi sicuri di cui al decreto ministeriale, ciò non significa che il giudice debba astenersi dal verificare non solo l’esattezza degli elementi addotti, ma anche la loro attendibilità e la loro coerenza, come pure se essi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che debbono essere presi in considerazione nella situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le correlazioni che se ne sono tratte.

In altri termini, la nozione di paese di origine sicuro possiede una valenza definente che è in grado di specificare il concetto giuridico indeterminato del sintagma di cui essa si compone, di modo che è consentito al giudice di effettuare un test di coerenza della qualificazione nel caso concreto con la norma attributiva del potere.

Il giudice, dunque, non si sostituisce all’autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ma ha il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove esso chiaramente contrasti con la normativa europea e nazionale vigente in materia, anche tenendo conto di informazioni sui paesi di origine aggiornate al momento della decisione, secondo i principi in tema di cooperazione istruttoria.

L’ammissibilità del sindacato è una soluzione che discende de plano dalla sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione} del 4 ottobre 2024.

La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra negli aspetti procedurali della domanda di protezione internazionale, in quanto siffatta valutazione è suscettibile di comportare ripercussioni sull’accoglimento della richiesta.

Ne consegue che la designazione governativa, quanto all’identificazione di un certo paese come sicuro, non esprime una valutazione governativa vincolante per il giudice ordinario.

Venendo in gioco un diritto costituzionale (il diritto all’asilo e alla protezione come regolato e disciplinato dalla normativa europea e nazionale e dalle convenzioni internazionali), rimane fermo il potere dell’autorità giurisdizionale ordinaria di riconsiderare l’inserimento di un paese nella lista dei paesi sicuri, allorché la predetta designazione si discosti dai criteri di inserimento previsti dalla norma generale, sacrificando sull’altare di interessi pubblici diversi il riconoscimento della protezione internazionale a fronte di un effettivo rischio di compromissione, nel paese di origine, del nucleo irriducibile di diritti inviolabili coessenziali alla dignità della persona umana.

 

Cass civile 19 dicembre 2024, n. 33398