CONTRATTO NULLO, RESTITUZIONE DELLA PRESTAZIONE E INGIUSTIFICATO ARRICCHIMENTO PER LA CONTROPRESTAZIONE RESTITUIBILE

Cass. civile, Sez. III, 16 dicembre 2024, n. 32696

Ricorrendo l’ipotesi della nullità della locazione, in relazione alla pretesa del conduttore di conseguire la restituzione di quanto versato in esecuzione del contratto nullo, il valore della (contro)prestazione – dallo stesso, comunque, fruita – può venire in rilievo solo in funzione dell’eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di un’utilità economica da parte del soggetto con correlativa diminuzione di altro soggetto, e dunque nei limiti dell’arricchimento e dell’impoverimento, della parte che, rispettivamente, abbia ricevuto o effettuato la prestazione di un contratto nullo; ma ciò può avvenire, non già sulla base della determinazione fattane dalle parti con il contratto nullo, bensì in esito ad una valutazione oggettiva dell’utilità conseguita, entro i limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, e ciò perché “l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale.

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. A.A. ricorre, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 3102/22, del 10 maggio 2022, della Corte d’Appello di Roma, che – pur riformando parzialmente, in accoglimento del gravame da esso esperito, la sentenza n. 16854/17, dell’11 settembre 2017, del Tribunale di Roma – ha dichiarato la nullità del contratto di locazione ad uso abitativo concluso, il 7 ottobre 2011, dal A.A. e da B.B., confermando, però, il rigetto della domanda, proposta dall’odierno ricorrente, di restituzione dei canoni corrisposti fino al rilascio, nella misura di Euro 24.115,00.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria, sul presupposto di aver condotto in locazione – in forza di un rapporto contrattuale, protrattosi dal 7 ottobre 2011 al 17 giugno 2015, che il locatore

B.B. aveva preteso svolgersi “de facto” – una stanza all’interno di un appartamento sito in Roma, in via Napoleone III, corrispondendo un canone mensile di Euro 500,00.

In particolare, il A.A. agiva – a conclusione del rapporto – al fine di conseguire la declaratoria di nullità del contratto, per difetto di forma scritta e registrazione, chiedendo la restituzione dei canoni corrisposti fino al rilascio, nella misura di Euro 24.115,00.

Il giudice di prime cure, nella contumacia del B.B., rigettava la domanda, escludendo che quello intercorso tra le parti potesse ricondursi “nell’alveo dei rapporti di locazione”.

Esperito gravame dall’attore soccombente, il giudice d’appello lo accoglieva parzialmente, ritenendo che quello intercorso tra il A.A. e il B.B. fosse un contratto di locazione, nullo per difetto di forma e scritta e registrazione, ex art. 4 legge 9 dicembre 1998, n. 431. Ciò nonostante, rigettava egualmente la domanda di restituzione, esito al quale perveniva sul presupposto che l’attore non avesse chiesto la riconduzione del contratto verbale alle condizioni di cui alla legge n. 431 del 1998, né tantomeno la restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto al canone agevolato (domanda formulata per la prima volta solo in appello, al pari di quella relativa alla restituzione del deposito cauzionale, donde la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.), bensì la restituzione di tutti canoni versati.

Ciò che doveva ritenersi precluso, avendo egli, comunque, goduto dell’immobile, sicché, mercé la restituzione integrale dei canoni, si sarebbe determinato, in suo favore, un arricchimento senza causa.

3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione il A.A., sulla base – come detto – di sette motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato), avendo statuito d’ufficio su eccezione di ingiustificato arricchimento riservata alla parte dagli artt. 2041 e 2042 cod. civ., nonché violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., con riferimento all’art. 2033 cod. civ. (indebito oggettivo), “che doveva essere applicato interamente in mancanza di valida ed efficace paralisi “ope exceptionis””.

Il ricorrente censura la sentenza impugnata là dove, pur riconoscendo quello intercorso con il B.B. un contratto di locazione affetto da nullità, non ha tratto da ciò la dovuta conseguenza, ovvero il diritto di esso A.A. di ripetere le somme corrisposte in esecuzione del contratto nullo.

Esito al quale la Corte territoriale è pervenuta condividendo il rilievo, già espresso dal primo giudice, secondo cui il conduttore, “avendo avuto il godimento dell’immobile (fatto storico evidentemente ineliminabile) non può pretendere la restituzione di quanto corrisposto per tale godimento, venendosi altrimenti a verificare un’ipotesi di arricchimento senza causa”. Escludeva, inoltre, il giudice d’appello la fondatezza della censura mossa alla decisione del primo giudice di avere, in questo modo, compiuto “il rilievo d’ufficio dell’arricchimento sine causa”, e ciò perché – si legge nella sentenza impugnata – “il Tribunale, nell’esaminare la domanda di indebito oggettivo, ne ha rilevato l’infondatezza, sul presupposto che il pagamento non sia stato indebito, trovando la sua giustificazione nel godimento dell’immobile da parte del conduttore”.

Tuttavia, osserva il ricorrente, anche ad ammettere la correttezza del principio – da esso, peraltro, contestato – secondo cui, disponendo la restituzione integrale dei canoni pagati, come conseguenza dell’accertata nullità della locazione, si verrebbe a realizzare un arricchimento senza causa e/o ingiustificato a danno del locatore, resterebbe, comunque, precluso il rilievo ufficioso di tale circostanza, pena la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., essendo quella della “riversione dell’arricchimento” una vera e propria azione.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 13, comma 5 (ora comma 6), della legge 9 dicembre 1998, n. 431, censurando la sentenza impugnata sul rilievo che “quando viene accertata la nullità di un contratto di locazione per mancanza della forma scritta, la restituzione della (sola) somma eccedente il canone c.d. agevolato, e non degli integrali canoni pagati, è solo una questione di quantificazione e non necessita di apposita domanda giudiziale (con petitum e/o causa petendi differenti dall’azione di ripetizione di indebito), bensì semmai solo la prova, da un lato, del canone effettivamente pagato, e dall’altro, il materiale normativo (accordo territoriale) necessario al giudice per calcolare l’ammontare del canone agevolato, e il calcolo della differenza da restituire”.

3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 13, comma 5 (ora comma 6), della legge 9 dicembre 1998, n. 431, assumendo che “non è richiesta una formale domanda di “riconduzione del rapporto di fatto alle condizioni legali” distinta e separata”, come affermato dalla sentenza impugnata, “ma necessariamente cumulata alla domanda di determinazione del canone dovuto (c.d. canone agevolato) e di restituzione delle somme indebite a questo eccedenti, quando l’azione viene introdotta dopo la cessazione del rapporto, e pertanto nessun altro aspetto della locazione, e segnatamente la durata, necessiti di determinazione giudiziale”.

3.4. Il quarto motivo denuncia, innanzitutto, nullità della sentenza – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. (omessa motivazione e/o motivazione solo apparente), dato che la “conclusione qualificativa della domanda giudiziale, nel senso che l’odierno ricorrente non avrebbe domandato in primo grado (ma solo in appello per la prima volta) la restituzione delle somme “eccedenti il canone agevolato”, è del tutto priva di motivazione”; è denunciata, altresì, “violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato), (omessa pronuncia), (violazione del divieto di sostituire d’ufficio la domanda) in quanto la domanda di restituzione delle somme eccedenti il canone agevolato è stata effettivamente formulata in primo grado”.

Si denuncia, infine, nullità del procedimento e della sentenza – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – per violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ., applicabili all’interpretazione della domanda giudiziale, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., per aver omesso di esaminare la domanda di restituzione delle somme eccedenti il canone agevolato.

3.5. Il quinto motivo denuncia, innanzitutto, nullità della sentenza – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. (omessa motivazione e/o motivazione solo apparente), dato che la “conclusione qualificativa della domanda giudiziale, nel senso che l’odierno ricorrente non avrebbe domandato in primo grado (ma solo in appello per la prima volta) la restituzione del deposito cauzionale è del tutto priva di motivazione”; è denunciata, altresì, “violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato), (omessa pronuncia), (violazione del divieto di sostituire d’ufficio la domanda) in quanto la domanda di restituzione del deposito cauzionale è stata effettivamente formulata in primo grado”.

Si denuncia, infine, nullità del procedimento e della sentenza – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – per violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ., applicabili all’interpretazione della domanda giudiziale, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., per aver omesso di esaminare la domanda di restituzione del deposito cauzionale.

3.6. Il sesto motivo denuncia nullità della sentenza – ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. – per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (omessa pronuncia) sul secondo motivo d’appello in ordine alla errata quantificazione del canone di locazione (euro 500,00 anziché 530,00) nella sentenza di primo grado, nonché per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. (omessa motivazione), atteso che la sentenza d’appello ripete anch’essa la errata somma (euro 500,00) indicata nella sentenza di primo grado, ma manca ogni motivazione anche sull’eventuale ipotetico ritenuto assorbimento del secondo motivo d’appello.

Si denuncia, altresì, omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., per aver il giudice del gravame omesso di esaminare il secondo motivo d’appello, decisivo una volta accolto il primo motivo di ricorso, ovvero il secondo e/o eventualmente il quarto motivo (in particolare, il ricorrente fa riproposizione del secondo motivo d’appello qualora fosse da ritenersi assorbito, ma non validamente, e ne assume la fondatezza, in caso di accoglimento del primo o secondo e/o eventualmente quarto motivo del presente ricorso).

3.7. Il settimo motivo denuncia nullità della sentenza – ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. – per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (omessa pronuncia) sul quinto motivo d’appello in ordine alla errata esclusione, da parte della sentenza di primo grado, del (presunto) requisito della pretesa/imposizione “ex latere locatoris” del rapporto di locazione di fatto, nonché per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. (omessa motivazione), sull’eventuale assorbimento del motivo di appello, oltre a omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., per aver omesso di esaminare il quinto motivo d’appello (anche in questo facendo il ricorrente riproposizione del quinto motivo d’appello, qualora fosse da ritenersi assorbito).

4. È rimasto solo intimato il B.B.

5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

7. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.

Motivi della decisione
8. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati, e cioè in relazione al suo primo motivo.

8.1. Il primo motivo di ricorso è, infatti, fondato.

8.1.1. Esso denuncia, per un verso, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censurando l’operato del giudice d’appello perché avrebbe ravvisato d’ufficio l’ingiustificato arricchimento, in carenza di iniziativa assunta dalla controparte ai sensi degli artt. 2041 e 2042 cod. civ.; per altro verso, denuncia violazione dell’art. 2033 cod. civ., sul rilievo che tale articolo “doveva essere applicato interamente in mancanza di valida ed efficace paralisi “ope exceptionis””.

8.1.2. Orbene, nello scrutinare le due doglianze, deve muoversi dal presupposto secondo cui, “qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi – tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente – l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo”, e ciò anche “quando la controprestazione (come quella effettuata, nella specie da parte locatrice, con la concessione del godimento del bene) non sia ripetibile” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 ottobre 2016, n. 20383, Rv. 642908-01).

Infatti, “con specifico riferimento ai contratti ad esecuzione continuata (come la locazione che qui ci occupa) o periodica, l’esigenza di rispetto dell’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni è normativamente prevista solo per l’ipotesi di risoluzione per inadempimento, giacché l’art. 1458 cod. civ. espressamente sottrae i suddetti contratti all’effetto retroattivo, con una norma che – proprio per la sua eccezionalità – non è suscettibile di essere estesa all’ipotesi che qui ricorre di insussistenza ab origine della causa adquirendi, per nullità del contratto” (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 20383 del 2016, cit.). D’altra, parte, si osserva sempre nel medesimo arresto, a ritenere il contrario, si giungerebbe alla conclusione che la nullità non produce effetto “per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, solo perché una delle due prestazioni non è suscettibile di restituzione”.

Senonché, è proprio “l’eccezionalità delle ipotesi legislative in cui, nonostante il venire meno del vincolo contrattuale, è prevista l’irripetibilità delle prestazioni eseguite” (come accade nel caso di cui all’art. 2126 cod. civ., norma dettata “in funzione di precise esigenze di tutela dei diritti fondamentali ei lavoratori”), a costituire “la più sicura smentita” di tale assunto (così, ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 20383 del 2016, cit.).

8.1.3. Tali affermazioni, per vero, non risultano – a giudizio di questo Collegio – contradette in modo adeguato dai due precedenti (Cass. Sez. 3, sent. 3 maggio 1991, n. 4849, Rv. 471957-01; Cass. Sez. 3, ord. 12 febbraio 2019, n. 3971, Rv. 652741-01) ai quali si richiama la sentenza impugnata, per affermare che “qualora un contratto di locazione sia dichiarato nullo, pur conseguendo in linea di principio a detta dichiarazione il diritto per ciascuna delle parti di ripetere la prestazione effettuata”, la parte che abbia usufruito del godimento dell’immobile “non può pretendere la restituzione di quanto versato a titolo di corrispettivo per tale godimento, in quanto ciò importerebbe un inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore”.

Difatti, il primo – in ordine di tempo – dei due arresti richiamati dalla Corte capitolina (Cass. Sez. 3, sent. n. 4849 del 1991, cit.), ha riguardato un caso in cui la pretesa del locatore, di trattenere i canoni, versati dal conduttore in esecuzione di un contratto nullo, è stata considerata implicita nella domanda di rilascio dell’immobile e di risarcimento del danno dallo stesso proposta; nel caso che oggi occupa, per contro, il locatore è rimasto addirittura contumace in ambo i gradi del giudizio di merito. Quanto, invece, alla seconda di tali pronunce (Cass. Sez. 3, ord. n. 3971 del 2019, cit.), essa ribadisce il principio della “non ripetibilità” dei canoni corrisposti in esecuzione del contratto nullo senza, però, farsi minimamente carico dell’argomento – espresso dalla sentenza n. 20383 del 2016 (arresto, anzi, che mostra di ignorare completamente) – fondato sulla “eccezionalità” del disposto dell’art. 1458 cod. civ.

8.1.4. Orbene, da quanto precede deriva che, ricorrendo l’ipotesi della nullità della locazione, in relazione alla pretesa del conduttore di conseguire la restituzione di quanto versato in esecuzione del contratto nullo, il valore della (contro)prestazione – dallo stesso, comunque, fruita – può venire in rilievo solo “in funzione dell’eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di un’utilità economica da parte del soggetto con correlativa diminuzione di altro soggetto”, e dunque “nei limiti dell’arricchimento e dell’impoverimento, della parte che, rispettivamente, abbia ricevuto o effettuato la prestazione di un contratto nullo; ma ciò può avvenire, non già sulla base della determinazione fattane dalle parti con il contratto nullo, bensì in esito ad una valutazione oggettiva dell’utilità conseguita, entro i limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido”, e ciò perché “l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale” (cfr., ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 20383 del 2016, cit.).

8.1.5. Coglie, quindi, nel segno la duplice censura svolta con il primo motivo del presente ricorso.

Difatti, la Corte romana ha, per un verso, dato rilievo al profilo dell’ingiustificato arricchimento del conduttore, il quale pretenda la restituzione dei canoni corrisposti in esecuzione di un contratto nullo perché privo della forma scritta e non registrato, in difetto di alcuna domanda o eccezione riconvenzionale proposta, al riguardo, dal locatore.

Essa, poi, per altro verso, ha mancato di ricondurre la pretesa restitutoria del conduttore alla previsione dell’art. 2033 cod. civ., così incorrendo nel lamentato vizio di falsa applicazione della norma, se è vero che esso sussiste non solo “quando il giudice di merito” – dopo avere individuato e ricostruito, “sulla base delle allegazioni e delle prove offerte dalle parti e comunque all’esito dello svolgimento dell’istruzione cui ha proceduto, la “quaestio facti”, cioè i termini ed il modo di essere della c.d. fattispecie concreta dedotta in giudizio” – procede “a ricondurre quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile”, ma anche quando, come egli “si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe stata riconducibile” (così, nitidamente, Cass. Sez. 3, ord. 29 agosto 2019, n. 21772, Rv. 655084-01).

9. In conclusione, il ricorso va accolto in relazione al solo primo motivo (con assorbimento dei restanti) e la sentenza impugnata cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, alla stregua del seguente motivo di diritto:

“in caso di nullità del contratto di locazione, il conduttore ha diritto di ripetere, a norma dell’art. 2033 cod. civ., i canoni versati al locatore in esecuzione del contratto, ferma restando la facoltà di quest’ultimo di eccepire, ex art. 2041 cod. civ., la sussistenza di un ingiustificato arricchimento, facendo valere un credito indennitario che va, però, liquidato nei limiti della diminuzione patrimoniale subita nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che esso avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale”.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’Appello di Roma, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi l’11 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2024.